ISSN 2039-1676


19 novembre 2013 |

Ancora sulla sentenza delle Sezioni unite civili a proposito del sequestro e della confisca di prevenzione (n. 10532 del 2013). Il non detto dice?

Ancora a proposito di Cass., Sez. un civ., 7 maggio 2013, n. 10532

1. È noto come la Corte Suprema abbia recentemente affermato, a Sezioni unite civili, un importante principio di diritto a proposito del rapporto tra confisca di prevenzione (o penale) e ipoteca, ed in particolare sul rapporto tra quest'ultima e la confisca governata dalla normativa di prevenzione antecedente al d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Cass., Sez. un civ., 7 maggio 2013, n. 10532, pubblicata in questa Rivista con note di F. Menditto, Le Sezioni Unite Civili sulla tutela dei terzi nella confisca di prevenzione dopo la legge n. 228/12: l'ambito di applicabilità della nuova disciplina, e di I. Patrone, Le Sezioni unite civili, la confisca di prevenzione e qualche discutibile riferimento al diritto "comunitario").

La decisione esprime una interpretazione del comma 194 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, intorno alla quale è sorto contrasto, in alcuni Tribunali, tra le sezioni incaricate delle procedure di esecuzione immobiliare e le sezioni istituite per l'applicazione delle misure di prevenzione. La norma in questione, al comma 1, recita che «a decorrere dall'entrata in vigore della presente legge sui beni confiscati all'esito del procedimento di prevenzione per i quali non si applica la disciplina dettata dal libro I del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159 , non possono essere iniziate o proseguite, a pena di nullità, azioni esecutive».

Prima facie, sembra che la norma si sia limitata ad estendere la disciplina introdotta dal Codice antimafia, con l'articolo 55, ai beni confiscati ai sensi della normativa antecedente allo stesso d.lgs. n. 159 del 2011. In realtà, come sottolinea la Corte di cassazione, anche il non detto dice: l'omesso riferimento ai beni sequestrati, oltre che a quelli confiscati, diversamente da quanto previsto dall'art. 55 del Codice citato, potrebbe essere ragione per ritenere che l'inibitoria delle azioni esecutive riguardi, esclusivamente, i beni confiscati in via definitiva con «la conseguenza che i pignoramenti sul patrimonio sequestrato non possono essere sospesi sino all'eventuale misura ablatoria definitiva».

 

2. Secondo le Sezioni unite civili della Cassazione, l'indicata  lettura del dato normativo sarebbe avallata da argomenti di ordine letterale e sistematico cosi sintetizzabili:

a) il dato testuale del divieto di azioni esecutive per i soli  «beni confiscati» escluderebbe che l'inibitoria possa riguardare le procedure mobiliari ed immobiliari pendenti durante la fase del sequestro e fino alla confisca definitiva;

b)  quando il legislatore ha voluto estendere l'inibitoria di azioni esecutive anche ai beni sequestrati, come nel caso dell'art. 55 del Codice antimafia, lo ha detto espressamente.

Ora, se l'interpretazione da dare alla norma è quella adottata dalle Sezioni unite, le conseguenze non sono e non saranno di poco momento.

Qualunque creditore che avesse iscritto ipoteca su un bene confiscato potrebbe avviare e coltivare l'azione esecutiva diretta sul bene senza che si instauri alcun procedimento incidentale diretto a verificare, oltre che l'anteriorità dell'iscrizione ipotecaria, la buona fede dello stesso creditore, l'affidamento incolpevole, l'assenza di nesso di strumentalità tra il credito e l'attività illecita del debitore-prevenuto.

Immaginiamo un potenziale proposto-prevenuto che, con la complicità di un terzo compiacente, abbia sapientemente simulato l'esistenza di più debiti, e divenga poi destinatario di uno o più decreti ingiuntivi muniti di clausola esecutiva e di iscrizione di ipoteca sui suoi beni, successivamente assoggettati a sequestro di prevenzione. L'ipotesi è tutt'altro che peregrina, perché chi ha ragionevole motivo di immaginarsi possibile destinatario di una misura di prevenzione ricorre a escamotage di ogni tipo per preservare il patrimonio.

Torniamo all'ipotesi formulata. Secondo la lettura della Corte di legittimità, il procedimento di esecuzione pendente al momento di entrata in vigore della legge n. 228 del 2012, mentre coesiste il sequestro di prevenzione sui medesimi beni, senza che sia intervenuto un decreto definitivo di confisca,  potrà proseguire fino alla vendita dei beni interessati. Questi ultimi potranno essere acquistati da un intestatario fittizio, che ne restituirà la disponibilità di fatto al prevenuto esecutato senza che, necessariamente, questa operazione lasci una traccia idonea ad avviare un procedimento penale per intestazione fittizia.

La soluzione implica che resterebbe vanificato il costante sforzo della giurisprudenza di merito e di legittimità,  diretto a cercare un punto di equilibrio fra le ragioni sottese alla necessità di salvaguardare il diritto del creditore di fare affidamento sul patrimonio del debitore, il suo affidamento incolpevole da un lato, e le ragioni di ordine pubblico dall'altro, ragioni tese ad evitare che, attraverso la creazione di poste debitorie fittizie,  si rendano possibili vere e proprie operazioni elusive delle misure di prevenzione patrimoniale. Anni di elaborazione giurisprudenziale si rivelerebbero inutili, perché da nulla si evince che il Giudice dell'esecuzione sarebbe tenuto a verificare l'esistenza dei presupposti di cui all'art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011, richiamati dal comma 200 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012.

 

3. Orbene, le argomentazioni della Corte di cassazione si nutrono indubbiamente del dato letterale della norma ma, sotto altro profilo, non tengono in considerazione tutte le disposizioni dell'art. 1 della legge di stabilità, e in particolare dei commi 194, 195, 197, 199 e 205 dell'art. 1.

Muoviamo proprio dal comma 195. Posta la regola di cui al comma precedente, la legge definisce, subito, l'eccezione e stabilisce che «la disposizione di cui al comma 194 non si applica quando, alla data di entrata in vigore della presente legge, il bene è stato già trasferito o aggiudicato, anche in via provvisoria, ovvero quando è costituito da una quota indivisa già pignorata». Ai fini della distribuzione delle somme ricavate, stante il disposto del comma 196, si applica «il limite di cui al comma 203, terzo periodo e le somme residue sono versate al Fondo unico ai sensi del comma 204». Il limite di cui al terzo periodo del comma 203 è quello fissato dall'art. 53 del d.lgs. n. 159 del 2011. Fuori dai casi di cui al comma 195, prosegue il comma 197, «gli oneri e i pesi iscritti o trascritti sui beni di cui al comma 194 anteriormente alla confisca sono estinti di diritto».

La lettera della norma sembra, quindi, ribadire che - al di fuori dei casi di bene confiscato già trasferito e\o aggiudicato anche in via provvisoria alla data del 1° gennaio 2013 - oneri e pesi iscritti o trascritti sui beni oggetto di procedimento esecutivo prima della confisca (senza alcun riferimento, tra l'altro, all'anteriorità dell'iscrizione ipotecaria rispetto al sequestro) si estinguono,  e nella distribuzione del ricavato della vendita del bene occorre adeguarsi ai limiti di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 159 del 2011, richiamati nel citato comma 203.

Avere circoscritto l'eccezione al regime di estinzione di oneri e pesi iscritti sui beni confiscati al solo caso di bene già trasferito e\o aggiudicato, anche in via provvisoria, è scelta coerente con il regime previsto dai commi 199 e 205 che, nel disciplinare il procedimento mediante il quale i titolari dei crediti di cui al comma 198 devono proporre domanda di ammissione dinanzi al giudice dell'esecuzione ( inteso come il giudice presso il Tribunale che ha disposto la confisca),  prevede un termine di decadenza per i titolari di diritti su beni già confiscati in via definitiva al primo gennaio di quest'anno, e un termine di decadenza per i titolari di diritti su beni confiscati successivamente all'entrata in vigore della legge n. 228 del 2012. Pur fissando un dies a quo differenziato per il creditore che intenda agire a tutela del suo credito, la norma disciplina nello stesso modo i casi di beni ipotecati già confiscati in via definitiva al 1° gennaio 2013 e quelli per cui la confisca sia divenuta definitiva successivamente alla stessa data.

Essendo inequivoca la scelta del legislatore, occorre porsi una domanda inevitabile: perché prevedere un termine di decadenza per la richiesta di ammissione dei creditori assistiti da ipoteca su beni confiscati successivamente all'entrata in vigore della legge n. 228 del 2012  se quegli stessi creditori fossero comunque ammessi a proseguire, dinanzi al giudice dell'esecuzione immobiliare, l'azione esecutiva sui beni sequestrati, o comunque confiscati non in via definitiva al momento di entrata in vigore della legge citata? Perché  mai un creditore assistito da ipoteca su un bene sequestrato o oggetto di confisca non definitiva ai sensi della normativa vigente prima del d.lgs. n. 159 del 2011 dovrebbe sottoporsi alle stringenti verifiche imposte dall'art. 52 del Codice antimafia, dinanzi al giudice che ha disposto la confisca, e azionare i rimedi di cui ai commi 199 e seguenti dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012, quando potrebbe, ben più agevolmente, agire dinanzi al giudice dell'esecuzione immobiliare che non sarebbe tenuto a verificare, a parte l'anterorità dell'iscrizione ipotecaria, la buona fede, l'affidamento incolpevole, l'assenza di nesso di strumentalità tra il credito e l'attività illecita del proposto?

Una puntuale verifica giudiziale dei presupposti di cui all'art. 52 del Codice antimafia porterebbe a negare l'ammissione di numerosi crediti, come la casistica delle sezioni per le misure di prevenzione attesta, e a detta conclusione giungerebbero anche i giudici dell'esecuzione immobiliare che fossero chiamati a quel tipo di verifica.

Quante volte i creditori, e tra questi anche gli istituti bancari, chiedono l'ammissione di crediti correlati all'erogazione di mutui ipotecari concessi senza alcuna verifica della capacità reddituale dei mutuatari?

Seguire pedissequamente il dato letterale,  sganciando il riconoscimento e la tutela di tali crediti dalla verifica dei requisiti di cui all'art. 52 del Codice antimafia crea una ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni identiche, meramente connessa a un dato accidentale quale quello temporale.

 

4. La lettura che le Sezioni unite hanno proposto, in merito al comma 194 dell'art. 1 della legge n. 228 del 2012, appare dissonante, oltre che con l'intera disciplina dello stesso art. 1, con risolutive statuizioni contenute proprio nella sentenza della Suprema Corte.

Le Sezioni Unite hanno ritenuto che la norma in questione abbia sostanzialmente riconosciuto alla confisca la natura di mezzo per acquisto della proprietà in capo allo Stato a titolo originario. Non solo. Alla confisca si è attribuita la valenza di una nuova causa di estinzione dell'ipoteca,  che va ad ampliare il novero delle fattispecie previste dall'art. 2878 c.c.

Sul punto la motivazione della sentenza non lascia margini per interpretazioni alternative. Si tratta di principi che dicono cose risolutive su questioni a lungo dibattute.

Ma, se cosi è, perché lasciare aperta quella che pare essere una irragionevole falla nel sistema?

In particolare, nella sentenza, si legge che:

a) in ogni caso la confisca prevarrà sull'ipoteca;

b) la salvaguardia del preminente interesse pubblico giustifica il sacrificio inflitto al terzo in buona fede, titolare di diritto reale di godimento o di garanzia, ammesso ora a una tutela risarcitoria;

c) il bilanciamento di contrapposti interessi viene differito a un momento successivo, allorché il terzo creditore di buona fede chiederà, attraverso apposito procedimento, il riconoscimento del suo credito.

Scrivono, ancora, i giudici del Supremo Collegio, che la legge n. 228 del 2012 recepisce integralmente l'elaborazione della giurisprudenza penalistica sui presupposti per il riconoscimento del credito, già fatti propri dall'art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011, così come i limiti previsti dall'art. 53 della stessa legge per il riconoscimento del diritto.

La giurisprudenza penalistica e il legislatore del Codice antimafia hanno individuato nell'anteriorità dell'iscrizione ipotecaria, nella buona fede del creditore intesa come incolpevole affidamento, nell'assenza di nesso di strumentalità tra il credito e l'attività illecita del prevenuto, i presupposti indefettibili che consentono di mediare tra l'interesse pubblico sotteso alla confisca di prevenzione e gli interessi privatistici pur connessi a principi costituzionalmente garantiti, come il diritto di proprietà e la libertà d'impresa.

Ancora si fa insistito riferimento, nella decisione in commento, all'elaborazione giurisprudenziale maturata negli anni, soprattutto in ambito penale, sui molteplici aspetti del rapporto fra confisca e ipoteca, ad esempio, con riguardo alla veste sostanziale di attore assunta dal creditore nel giudizio, in virtù della quale grava su questo ultimo la prova positiva per l'ammissione del credito. E ancora, non può sfuggire il riferimento alla razionalità del legislatore e alla sua conoscenza del diritto vivente, con la conseguenza che laddove il legislatore non ha innovato le soluzioni connesse ad approdi interpretativi elaborati dalla giurisprudenza dovrebbe dedursi che ha inteso recepirli e farli propri. Non può, in ultimo, trascurarsi il riconoscimento che le nuove disposizioni della legge n. 228 del 2012 hanno tributato al previgente orientamento giurisprudenziale .

Tutto nella sentenza, nella ricostruzione del rapporto fra gli istituti, nell'esegesi della nuova norma, muove nel senso della continuità tra la legge n. 228 del 2012 e l'elaborazione della giurisprudenza penalistica, nel senso della piena adesione ai principi e alle opzioni legislative adottate dal d.lgs. n. 159 del 2011.

Proprio in ragione di tutti i principi più volte affermati nel provvedimento, richiamati o enucleati per la prima volta (si pensi, per tutti, alla qualificazione della confisca come ulteriore forma di estinzione dell'ipoteca),  appare, ancor di più, distonica una lettura strettamente letterale del comma 194,  quale quella offerta in sentenza e propugnata da alcuni Tribunali di merito.

 

5. Occorre porre in evidenza che, se dovesse prestarsi adesione all'affermazione contenuta nell'obiter dictum della sentenza delle Sezioni unite, si arriverebbe alla singolare conclusione per cui tra i procedimenti disciplinati dal d.lgs. n. 159 del 2011 e i procedimenti di confisca definiti al momento di entrata in vigore della legge n. 228 del 2012, per i quali la disciplina del rapporto tra confisca ed ipoteca è uniforme e coerente, si insinuerebbe una zona franca, rappresentata dai procedimenti governati dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, ma non definiti al momento di entrata in vigore della legge 228: tali procedure esecutive su beni sequestrati e\o confiscati sarebbero sottratte all'inibitoria di cui al comma 194 della legge n. 228.

In questa zona franca il procedimento di esecuzione immobiliare, su beni sequestrati o confiscati ma non in via definitiva, potrebbe procedere fino all'assegnazione definitiva del bene e al suo trasferimento,  e tutto questo accadrebbe al di fuori e a prescindere dalla verifica dei presupposti di cui all'art. 52 del d.lgs. n. 159 del 2011 (buona fede del creditore, assenza di nesso strumentale del credito con l'attività illecita del prevenuto),  presupposti, di contro, integralmente recepiti dalla più volte citata legge n. 228 del 2012.

Per una significativa porzione di beni, sequestrati e\o confiscati ai sensi della legge n. 575 del 1965, ma ancora non oggetto di confisca definitiva, il procedimento esecutivo immobiliare potrebbe progredire fino alla ripartizione del ricavato dalla vendita, e tutto questo avverrebbe, anche per tale aspetto, al di fuori dei limiti di cui all'art. 53 del d.lgs. n. 159 del 2011,  recepiti dal comma 203, terzo inciso, della legge n. 228, limiti che governano, invece, le prime due fattispecie.

Tutto questo consentirebbe, al prevenuto che si fosse precostituito poste debitorie fittizie tramite terzi compiacenti, efficaci manovre elusive delle misure di prevenzione, ove non raffinate operazioni di riciclaggio.

È giustificata una simile disparità di trattamento tra situazioni, sostanzialmente identiche ?

Il sequestro di prevenzione, pacificamente, è ritenuto misura cautelare anticipatoria degli effetti del provvedimento finale di merito[1], con funzione prodromica, propedeutica rispetto alla misura ablatoria definitiva, tanto è vero che, negli art. 24, comma 1,  e 27 commi 1 e 2,  del d.lgs. n. 159 del 2011 si legge di «confisca dei beni sequestrati». Nessuno dubita della natura unitaria del procedimento di prevenzione patrimoniale e del fatto che il sequestro abbia la precipua funzione di assicurare il futuro trasferimento coattivo del bene al patrimonio dello Stato[2].

Se così è, non si comprende come possa conciliarsi la sottrazione di beni sequestrati ai sensi della legge n. 575 del 1965 all'inibitoria di cui al comma 194 della legge n. 228 con quanto scrivono le stesse Sezioni Unite a pagina 19 della propria motivazione, ove affermano che il legislatore «sembra aver risolto» nel senso della prevalenza della misura di prevenzione patrimoniale il quesito relativo al rapporto ipoteca-confisca indipendentemente dal dato temporale, con conseguente estinzione di diritto degli oneri e pesi iscritti.

La stessa massima ufficiale tratta dalla sentenza muove nel senso di una lettura della legge n. 228 del 2012 sistematica e armonica con il quadro normativo globale di riferimento e con la elaborazione giurisprudenziale. Si legge : «Nel conflitto tra l'interesse del creditore a soddisfarsi sull'immobile ipotecato e quello dello Stato a confiscare i beni, che siano frutto o provento di attività mafiosa, deve prevalere il secondo, onde è inopponibile allo Stato l'ipoteca iscritta su di un bene immobile confiscato, ai sensi della legge 31 maggio 1965, n. 575, prima che ne sia pronunziata l'aggiudicazione nel procedimento di espropriazione forzata, in virtù della norma di diritto transitorio prevista dall'art. 1, comma 194, della legge 24 dicembre 2012, n. 228»[3].

E dunque ci si domanda: il mancato riferimento letterale nel comma 194 dell'art. 1 della legge n. 228 ai beni sequestrati deve considerarsi una consapevole opzione legislativa o non, piuttosto, un mero difetto di coordinamento in cui è incorso il legislatore?

Una lettura sistematica del comma 194 in uno con i commi successivi, unitamente ai principi più volte richiamati e affermati nella stessa sentenza delle Sezioni Unite, porterebbero a ritenere che l'inibitoria di azioni esecutive di cui al comma 194 non possa che riguardare sia i beni confiscati, in via definitiva e non, che i beni sequestrati nell'ambito di una procedura di prevenzione, con l'unica eccezione di cui al comma 195 della legge n. 228 del 2012.

 


[1] Cfr. Corte cost., 17 dicembre 1993, n. 465;  Cass. pen. Sez. V, 27 ottobre 2010,  n. 41153, Rotella, in C.e.d. Cass., n. 248893.

[2] Sul punto F. Menditto, Le Sezioni Unite Civili sulla tutela dei terzi, cit.

[3] In C.e.d. Cass., n. 626570.