ISSN 2039-1676


2 aprile 2012 |

Durata massima del sequestro di prevenzione e provvedimento di confisca dopo il d.lgs. n. 159 del 2011

Note sui termini per la definizione del procedimento finalizzato alla confisca di prevenzione

1. Natura del termine. Uno dei temi più caldi sui quali si sono cimentati i più recenti commentatori del d.lgs. 6 settembre 2011,  n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136) è costituito dalla introduzione di termini per la definizione del procedimento.

È stato affermato che il legislatore, con le disposizioni di cui agli artt. 24 e 27 del citato decreto, si sarebbe ispirato ad una logica di "processo breve", come quella elaborata ( e mai attuata ) per il processo penale.

Analizziamo la nuova disciplina.

L'art. 24 dispone al comma 2: «Il decreto di confisca può essere emanato entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell'amministratore giudiziario. Nel caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti, tale termine può essere prorogato con decreto motivato del tribunale per periodi di sei mesi e per non più di due volte. Ai fini del computo dei termini suddetti e di quello previsto dall'articolo 22, comma 1, si tiene conto delle cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare, previste dal codice di procedura penale, in quanto compatibili».

L'art. 27 dispone al comma 6: «In caso di appello, il provvedimento di confisca perde efficacia se la corte d'appello non si pronuncia entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso».

Il termine di durata del sequestro non è un istituto nuovo; era stato previsto anche dal legislatore del 1982, che, introducendo nel corpo della legge n. 575 del 1965 l'art. 2-ter, aveva disposto: «nel caso di indagini complesse il provvedimento può essere emanato anche successivamente, ma non oltre un anno dalla data dell'avvenuto sequestro».

Ai fini dell'interpretazione della nuova norma, ci basta ricordare che la giurisprudenza aveva relegato l'operatività di tale termine ad una ipotesi del tutto marginale: quella del sequestro eseguito successivamente all' applicazione di misura di prevenzione personale. È importante però precisare che la giurisprudenza era comunque consolidata ( cfr. Cass. 11. 1. 1998, Albanese, Cass. 15.1.1988, Molè; Cass. 9.6.1998, Ciminello; Cass.,  Sez. Un., 13.12.2000, Madonia; contra App. Palermo 6.10.1997, Ciminello,  in Cass. pen. 1998, 1492, con nota contraria di Molinari) nel ritenere che «in tema di misure di prevenzione patrimoniali, il provvedimento che dispone la confisca dei beni di cui non sia stata dimostrata la legittima provenienza deve necessariamente essere preceduto dal sequestro, ed è invalido qualora sia stato emanato oltre il termine perentorio di cui all'art. 2-ter, comma terzo, l. 31 maggio 1965, n. 575, decorrente dalla data dell'avvenuto sequestro».

Era stata sottolineata la stranezza - non prevista da nessun altro ordinamento - della previsione di un meccanismo processuale che fa dipendere le sorti del merito del processo dalle vicende delle misure cautelari adottate (si consenta di rinviare, sul punto a Grillo, I vizi di una misura cautelare o la sua sopravvenuta inefficacia possono pregiudicare il merito della decisione?, in Arch. nuova proc. pen. 1998, 583).

Adesso l'art. 24, comma 2, del nuovo T.u. in materia di criminalità mafiosa  ripropone negli stessi termini la formulazione della norma. Già sopra se ne è trascritto il testo. Per un agevole confronto può citarsi ora quello del comma 3 dell'art. 2-ter della citata legge n. 575 del 1965: «Nel caso di indagini complesse il provvedimento può essere emanato anche successivamente, ma non oltre un anno dalla data dell'avvenuto sequestro».

La principale differenza sta nel fatto che, mentre nel precedente sistema la decadenza operava in ipotesi marginale, adesso la norma estende l'efficacia preclusiva a tutte le ipotesi di sequestro, e quindi, anche a quelle - più frequenti - di contestuale proposta di applicazione di misura personale e patrimoniale.

Ciò ha indotto i primi interpreti a ritenere che nel nuovo sistema, scaduto il termine, al giudice sarebbe preclusa, in tutti i casi, la possibilità di pronunciare il provvedimento definitivo di confisca.

In tal senso Balsamo e Maltese (Il codice antimafia in Il Penalista) che lo qualificano come «termine per l'emanazione del provvedimento di confisca».

Diversamente Menditto (Il codice antimafia, ed. Simoni) lo qualifica come «termine previsto a pena di inefficacia» in tutti i casi, con possibilità di emettere un nuovo provvedimento di sequestro, «in presenza dei relativi presupposti». L'Autore non chiarisce quali sarebbero i relativi presupposti, ma sembrerebbe far riferimento alla sopravvenienza di nuovi elementi, che siano idonei a vincere la preclusione di giudicato rebus sic stantibus caratteristica della materia della prevenzione.

Anche De Simone (Commento al codice antimafia, ed. Maggioli) parla di termine di efficacia, ma acriticamente e senza alcun riferimento alla interpretazione precedente dell'art. 2-ter della legge n. 575 del 1965.

A mio modo di vedere, l'interpretazione della norma nel solco del precedente indirizzo giurisprudenziale darebbe vita alla sua illegittimità costituzionale.

Come è noto, il decreto legislativo n. 159 del 2011 è stato emanato in attuazione della legge delega 13 agosto 2010,  n. 136,  il cui art. 1 prevedeva al terzo comma che «nell'esercizio della delega di cui al comma 1, previa ricognizione della normativa vigente in materia di misure di prevenzione, il Governo provvede altresì a coordinare e armonizzare in modo organico la medesima normativa, ... aggiornandola e modificandola secondo principi e criteri direttivi" enunciati nel prosieguo.

Il legislatore delegato incontrava, quindi, due specifici limiti:

a. La ricognizione della precedente legislazione consentiva un'opera di compilazione con la formazione di un testo unico, che - nella ricognizione - non poteva spingersi oltre il c.d. "diritto vivente";

b. Nei casi in cui la legge delega prevedeva delle direttive, la legge delegata non poteva superarle, introducendo un regime diverso.

Sul termine la legge delega disponeva:

«8.2) che il sequestro perda efficacia se non viene disposta la confisca entro un anno e sei mesi dalla data di immissione in possesso dei beni da parte dell'amministratore giudiziario e, in caso di impugnazione del provvedimento di confisca, se la corte d'appello non si pronuncia entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso».

Sottoponendo le norme di cui agli artt. 24 e 27 del T.U. ad una verifica di corrispondenza ai criteri della delega, è chiaro come la nuova disciplina non costituisca una mera trasposizione della precedente, perché estende la portata della precedente norma a tutti i procedimenti di prevenzione.

L'estensione dell'efficacia caducatoria del mancato rispetto del termine a tutte le altre ipotesi procedimentali (esemplificando: proposte per contestuale applicazione di misura di prevenzione personale e patrimoniale; proposte di applicazione di misura patrimoniale disgiunta da quella personale ) ed al procedimento di appello, in quanto non ricognitiva della precedente disciplina, può ritenersi conforme alla delega solamente se supera anche il vaglio della verifica riguardante la direttiva n. 8.2. Ed è evidente che il delegante aveva in mente una disciplina diversa da quella precedente; infatti, con inequivocabile terminologia, faceva attenzione a limitare gli effetti del mancato rispetto del termine, predisponendo una sanzione di inefficacia della misura cautelare, ininfluente sul merito.

Ciò aveva un senso: attenuando la drastica sanzione prevista dalla disciplina precedente, il legislatore intendeva estenderne la portata a tutti i procedimenti.

Era, però, chiaro che una norma conforme alla delega non poteva trasformare, se non violando la delega stessa, una vicenda cautelare in una questione di merito, di presupposti della confisca.

Ritengo che queste considerazioni siano destinate a valere per tutte le ipotesi procedimentali, anche per quelle di applicazione disgiunta di misura personale e misura patrimoniale, dato che la delega 8.2 imponeva al legislatore delegato di attenuare anche la sanzione prevista dall'art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 per quella limitata ipotesi.

Deve, quindi, procedersi ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 24 del T.U., qualificando il nuovo termine come una semplice vicenda cautelare, non incidente sul merito della decisione finale.

Ove non si ritenga percorribile una simile opzione interpretativa, va sollevata questione di costituzionalità per il mancato rispetto della legge delega.

Stessa soluzione, a mio avviso, va adottata nella lettura dell'art. 27 del T.U., del quale va sottolineata l'approssimazione terminologica ( «la confisca perde efficacia»).

In definitiva, secondo la opzione interpretativa che sostengo, il legislatore, abbandonando un regime eccezionale, ha trasposto anche nel procedimento di prevenzione l'ordinaria regola procedimentale secondo cui le vicende attinenti le misure cautelari non inficiano il merito: anche se il sequestro dovesse perdere efficacia a seguito della scadenza del termine, il giudice del merito potrà sempre disporre la confisca.

 

2. Su eventuali modifiche legislative. Dalle premesse fatte appare chiaro che,  ove il legislatore, in accoglimento delle istanze di riforma provenienti da più parti, voglia modificare la disciplina del termine, eliminandola, non potrà adottare lo strumento del decreto legislativo. Infatti il procedimento di modifica previsto dalla legge delega, che può essere attivato «entro tre anni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo di cui al comma 1» non può prescindere dal «rispetto delle procedure e dei principi e criteri direttivi stabiliti» dalla legge delega.

Abbiamo evidenziato che la delega sub 8.2 prevedeva l'introduzione di un termine e la sua specifica durata. Dovrà, dunque, procedersi con una legge ordinaria.

E', invece, percorribile una modifica per decreto legislativo che riconduca la sanzione ricollegata al decorso del tempo in termini di mera inefficacia.

E deve segnalarsi che il Dipartimento di studi europei e della integrazione internazionale- DEMS, Osservatorio su confisca amministrazione e destinazione dei beni e delle aziende, presentando al Ministro della Giustizia un documento con proposte di modifica al D. L.vo n. 159 del 2011, ha espressamente suggerito ai punti 7 ed 8 delle proposte, la modifica in questo senso degli artt. 24 e 27 (Vedi testo della proposta su questa Rivista).

 

3. Altre questioni sul termine. L'art. 24 comma 2, secondo e terzo periodo,  prevede due distinti istituti: da una parte la proroga di cui si è detto, dall'altra, in quanto compatibili, la sospensione dei termini di durata secondo le norme in materia di custodia cautelare previste dal codice di procedura penale.

A proposito della proroga, va rilevato come le norme di cui agli artt. 24 e 27 del T.U., come previsto dalla direttiva 8.3, prevedono che il termine sia prorogabile con decreto motivato del tribunale,  per periodi di sei mesi e per non più  di due volte, in caso di indagini complesse o compendi patrimoniali rilevanti. La proroga può essere disposta d' ufficio. Stessa possibilità di proroga è prevista per il procedimento di appello.

Nei primi commenti è stato affermato che fra esecuzione del sequestro e deposito del provvedimento di appello non potranno decorrere più di cinque anni. L' affermazione è imprecisa. A parte quanto si dirà in materia di sospensione dei termini, va rilevato che il termine per il primo grado decorre dall'esecuzione del sequestro e spira al deposito del decreto conclusivo. A questo punto parte una fase paradossalmente indifferente fino «al deposito del ricorso»; da tale momento, a norma dell'art. 27 T.U., comincerà a decorrere il termine previsto per la fase di appello.

Il ricorso cui fa riferimento la norma è evidentemente quello previsto dall'art. 10 del Testo unico, anche nell'ipotesi di appello del P.M., nei casi in cui la Corte di Appello sospenda la revoca del sequestro, a norma dell' art. 27 T.U.

A proposito della sospensione della decorrenza del termine, ritengo che le relative cause operino di diritto,  e senza che sia necessario un provvedimento che disponga la sospensione. A norma dell'art. 304 c.p.p., «i termini previsti dall'art. 303 sono sospesi con ordinanza appellabile nei seguenti casi ....»; per contro, nel procedimento di prevenzione «si tiene conto delle cause di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare previste dal codice di procedura penale, in quanto compatibili», ma non è prevista la pronuncia di apposita ordinanza di sospensione».

Altra questione sta, poi, nell' individuare l'efficacia complessiva della sospensione: la migliore interpretazione è quella che estende la automatica operatività della sospensione al decorso di tutti i termini, ivi compresi quelli di un anno e sei mesi e di sei mesi.

La comparazione con la struttura dell' art. 304 c.p.p. conferma, inoltre, che in tema di misure di prevenzione, in presenza di cause di sospensione dei termini, non è prevista una durata massima, come invece accade dall' art. 304, comma 6,  c.p.p.

Conseguentemente i termini resteranno sospesi:

a) nella fase del giudizio, durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato per impedimento dell'imputato o del suo difensore ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per esigenze di acquisizione della prova o a seguito di concessione di termini per la difesa;

b) nella fase del giudizio, durante il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato a causa della mancata presentazione, dell'allontanamento o della mancata partecipazione di uno o più difensori che rendano privo di assistenza uno o più imputati;

c) nella fase del giudizio, durante la pendenza dei termini previsti dall'articolo 544, commi 2 e 3.

Relativamente a tale ultimo termine, sembrerebbe comunque opportuno, al termine della discussione, l'adozione di un autonomo provvedimento di sospensione, con l' indicazione di un termine di deposito.

Concludendo,  il termine massimo di efficacia del sequestro sarà così computato:

a) Primo grado: 1 anno e 6 mesi + 2 proroghe di 6 mesi ciascuna + le sospensioni eventuali, sottolineandosi come per il deposito dei decreti sia possibile attivare una sospensione di 90 giorni per fase.

b) Secondo grado: 1 anno e 6 mesi + il termine (variabile) intercorrente fra deposito del provvedimento di confisca in primo grado e deposito del ricorso in appello + 2 proroghe di 6 mesi ciascuna + le sospensioni eventuali.

 

4. Accorgimenti utili a prevenire l'estinzione del sequestro. Sarà opportuno instaurare delle prassi virtuose, tese a ridurre gli spazi procedimentali non produttivi, con:

a) la fissazione dell' udienza camerale in calce al provvedimento di sequestro;

b) lo scoraggiamento delle tattiche dilatorie con la fissazione di un termine per il deposito dei documenti;  

c) l' imposizione alle parti di ritmi serrati di udienza

d) l'approfondimento preventivo di alcuni temi in sede di «ulteriori indagini», ai sensi dell'art. 19 T.U., prima dell' adozione del sequestro.

È evidente che l' esigenza di velocizzare si ripercuoterà negativamente sul diritto di difesa. Spesse volte, nei procedimenti più complessi, la difesa chiede un termine per predisporre consulenze o cercare documenti. A queste richieste non potrà più concedersi l'ampio spazio finora accordato, dato che i rinvii per l' acquisizione della prova o per la difesa non determinano alcuna sospensione, ai sensi dell' art. 304 lett. a).