12 gennaio 2012 |
In assenza di collaborazione con la giustizia, i delitti commessi con finalità di terrorismo sono ostativi alla concessione dei benefici penitenziari solo se realizzati mediante il compimento di atti di violenza
Cass. Pen., sez. II, 15 novembre 2011 (dep. 12 dicembre 2011), n. 45945, Pres. Chieffi, Rel. Zampetti
1. Con la sentenza che può leggersi in allegato, la Corte di Cassazione ha affermato che solo qualora i delitti commessi con finalità di terrorismo siano stati realizzati mediante atti di violenza possono essere ostativi alla concessione dei benefici penitenziari, diversi dalla liberazione anticipata, nel caso in cui l'autore del reato non decida di collaborare con la giustizia secondo le modalità dell'art. 58 ter O.P. In particolare, secondo la S.C., qualora il detenuto sia stato condannato per il delitto di cui all'art. 270 bis c.p. (associazione con finalità di terrorismo anche internazionale), poiché in tale fattispecie criminosa gli atti di violenza non sono elemento costitutivo del tipo, ma oggetto del dolo specifico, il Giudice di Sorveglianza dovrà verificare se in concreto tali atti di violenza siano stati realizzati dal condannato nell'ambito dei reati-fine dell'associazione.
2. La decisione in commento scaturisce dal ricorso di un condannato per associazione con finalità di terrorismo avverso l'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Torino che rigettava la sua richiesta di ammissione alle misure alternative dell'affidamento in prova o della semilibertà. Il tema centrale della questione, come rilevato dalla Suprema Corte, attiene all'esatta interpretazione della prima parte del primo comma dell'art. 4 bis O.P. che dispone: "le misure alternative alla detenzione (...) possono essere concesse ai detenuti e internati per i seguenti delitti solo nei casi in cui tali detenuti e internati collaborino con la giustizia a norma dell'art. 58 ter della presente legge: delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza". Mentre il Tribunale di Sorveglianza di Torino ha ritenuto ostativo ai benefici penitenziari ex se il delitto di cui al 270 bis c.p., a prescindere dal concreto compimento di atti di violenza, il ricorrente ha sostenuto la diversa tesi per cui l'esclusione dai predetti benefici possa operare solo se il delitto con finalità di terrorismo sia stato commesso mediante concreti atti di violenza: la Cassazione ha avvallato la tesi del ricorrente, sostenendo che a tale risultato ermeneutico conducono all'unisono le interpretazioni letterale, sistematica e costituzionalmente orientata della norma.
2.1. Secondo la Corte di legittimità, infatti, il tenore letterale dell'art. 4 bis esclude una lettura del primo periodo della disposizione che scinda il dato modale "con compimento di atti di violenza" dai "delitti commessi con finalità di terrorismo" giacché o si ricollega l'uso della violenza ai solo delitti per finalità di eversione, creando, però, una irrazionale diversità di trattamento tra autori di illeciti penali in tutto assimilati dal Legislatore, oppure tale carattere della condotta - per assurdo - si scinde da entrambe le tipologie di reato, addivenendo, tuttavia, ad un'interpretazione abrogatrice di parte del disposto normativo non concessa al Giudice.
2.2. In senso sistematico la decisione rileva che la stessa prima parte del primo comma dell'art. 4 bis prevede come ostativo alla concessione dei benefici penitenziari ex se il delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso, indipendentemente dal concreto compimento di atti di violenza o dalla tipologia dei reati-fine eventualmente realizzati dal detenuto. Secondo la Corte tale differenziazione si spiega in quanto "il Legislatore, nell'affrontare i due temi (terrorismo ed eversione da un lato, mafia dall'altro) li ha voluti trattare in modo diverso, essendo per verità differenti i due fenomeni, sia sul piano sociale che su quello criminologico; la mafia va combattuta sempre e comunque, non avendo essa né giustificazioni, né ideologie di riferimento, e dunque non merita neppure benefici in sede di esecuzione (salva la collaborazione); per le finalità di terrorismo o di eversione si è, evidentemente, voluta evitare la prospettiva (ove si prescindesse dai concreti atti di violenza) di una criminalizzazione, perseguita fino al momento dell'espiazione della pena, del mero dissenso ideologico politico-sociale che si sia manifestato in forme solo associative pur pericolose (proprio perché "si propongono"), ma non attuate mediante concreti atti di violenza".
2.3. Infine, il Giudice di legittimità sottolinea che il rispetto del favor rei e del principio di rieducazione del condannato impongono l'adesione ad un'opzione ermeneutica che valorizzi come positivo punto di partenza di un percorso risocializzante, cui la pena deve tendere, l'assenza di atti di violenza nel vissuto deviante del condannato.