17 dicembre 2012 |
La Corte europea su principio di legalità e applicazione retroattiva del mutamento giurisprudenziale sfavorevole in materia di esecuzione delle pene in Spagna
Nota a C. eur. dir. uomo, terza sezione, sent. 10 luglio 2012, pres. Casadevall - Del Rio Prada c. Spagna
Per leggere la sentenza dell Corte europea clicca su download documento.
1. Con un'importante sentenza, la Corte europea si è pronunciata nel luglio scorso sul rilevante dibattito originato in Spagna dal mutamento giurisprudenziale sfavorevole del Tribunal Supremo circa le modalità di applicazione dei benefici penitenziari a determinati soggetti pluricondannati per reati di matrice terroristica separatista. La sentenza ha un ovvio rilievo anche nel nostro ordinamento, non solo in ordine alla sempre vexata quaestio dell'estensione del principio di irretroattività della legge penale alle norme in materia di esecuzione della pena, ma anche in relazione al dibattito circa l'estensione dei corollari del principio di legalità di cui all'art. 7 CEDU, per l'appunto, ai mutamenti giurisprudenziali: problema che la nostra Corte costituzionale ha recentemente affrontato, in riferimento al diverso corollario della retroattività della lege più favorevole, nella sentenza n. 230/2012 (clicca qui per accedere alla sentenza e alla nota di Valerio Napoleoni pubblicata a suo tempo dalla nostra nostra Rivista; si vedano anche i documenti correlati pubblicati nella colonna di destra qui a fianco).
In particolare, la Corte decide sul ricorso proposto da una donna condannata per gravi reati a pene che, sommate, ammontavano a più di tremila anni di reclusione, ridotti a trenta in applicazione dell'art. 70 del codice penale spagnolo che in tale misura individua il limite massimo nelle ipotesi di cumulo. Individuato il "fine-pena" nel giorno 27 luglio 2017, l'istituto penitenziario indicava conseguentemente nel 2 luglio 2008 la data effettiva di liberazione della ricorrente in applicazione della misura alternativa della redención de penas por el trabajo.
Tuttavia, attraverso una nuova interpretazione della legge sull'esecuzione della pena (secondo una soluzione denominata come "doctrina Parot"), il Tribunal Supremo nel 2006 affermava che la frazione di pena da scontare prima di accedere a tale beneficio dovesse essere calcolata in base alla misura della sanzione individuata prima dell'applicazione del limite dei trent'anni (e quindi, nel caso concreto, in base ai più di tremila anni di reclusione conseguenti al cumulo materiale delle pene). L'esito di tale mutamento giurisprudenziale si risolveva, in pratica, in uno spostamento della data di effettiva liberazione della ricorrente al 27 luglio 2017. Per tale motivo, nel ricorso alla Corte europea veniva denunciata una violazione del principio di irretroattività in materia penale sancito dall'art. 7 Cedu e del canone della "regolarità" della detenzione previsto dall'art. 5 Cedu.
2. Nella motivazione, la Corte europea non manca di confrontarsi con la posizione del Tribunal constitucional spagnolo[1] che, investito di diversi recursos de amparo, aveva rigettato tutte le doglianze dei ricorrenti, anche riferendosi alla stessa prospettiva di Strasburgo circa l'esclusione della materia dell'esecuzione penale dallo spettro di operatività dell'art. 7 Cedu[2]. Su tale profilo, la Corte europea tenta da un lato di mantenere fede al principio generale che vuole la disciplina dell'esecuzione affrancata dai limiti intertemporali della legge penale (non essendo esse tali regole riconducibili al concetto "autonomo" di matière pénale elaborato dalla stessa Corte nella sua giurisprudenza); ma, dall'altro, osserva come nel caso concreto l'accoglimento della doctrina Parot abbia finito per incidere in maniera significativa sulla pena da scontare da parte della ricorrente, così da rendere alquanto sfumati i confini tra disciplina della pena e regolamentazione della sua esecuzione e da giustificare, in definitiva, l'estensione del principio di legalità delle pene[3]. Si consideri che, in effetti, tale evoluzione giurisprudenziale può essere letta alla luce delle diverse riforme legislative che, negli ultimi anni, hanno irrigidito le modalità di accesso ai benefici carcerari ed aumentato a quaranta anni di reclusione il limite massimo in caso di cumulo materiale di pene comminate per reati di matrice terroristica (riforme, tuttavia, evidentemente insuscettibili di applicazione retroattiva)[4].
Risolta in senso positivo la questione dell'applicabilità in astratto dell'art. 7 Cedu al caso di specie, la Corte non ha difficoltà nell'affermare che il mutamento nell'interpretazione del Tribunal Supremo (equiparabile, come da giurisprudenza costante in materia, ad un vero e proprio mutamento legislativo) non poteva essere previsto dalla ricorrente al momento della commissione dei reati e, pertanto, a ritenere insoddisfatta l'esigenza di "prevedibilità" delle applicazioni giurisprudenziali che promana dalla disposizione.
Per le stesse ragioni, i giudici di Strasburgo riscontrano altresì una violazione dei requisiti di "regolarità" e "legalità" (voies légales) della privazione della libertà personale delineati dall'art. 5 Cedu.
3. È opportuno sottolineare, ancora, che ai sensi dell'art. 46 Cedu la Corte individua come unico rimedio utile la rimessa in libertà della ricorrente, non essendo ritenuta sufficiente una semplice riparazione di tipo economico. Si tenga presente, tuttavia, che nonostante le diverse violazioni siano state riconosciute all'unanimità dalla Terza sezione - e probabilmente anche in relazione alla rilevanza pubblica della questione - in data 22 ottobre 2012 è stata accolta la richiesta di rinvio alla Grande Camera inoltrata dal governo spagnolo, per cui la sentenza non può considerarsi definitiva.
[1] V. i paragrafi 31 e ss. della sentenza.
[2] Sulla posizione del Tribunal constitucional, si veda la nota pubblicata nell'osservatorio delle pronunce delle Corti costituzionali straniere nella rivista Ius17@unibo.it, n. 1/2012, 64.
[3] La Corte si sofferma su tale problematica nei paragrafi 58 e 59 della decisione, facendo salvi i principi enucleati nella precedente giurisprudenza (viene citato, in particolare, il precedente Kafkaris c. Cipro, 12 febbraio 2008, ma il Tribunal Constitucional spagnolo aveva richiamato anche i precedenti Grava c. Italia e Hogben c. Regno Unito), ma operando una sorta di distinguishing alla luce delle circostanza del caso concreto.
[4] La stessa Corte fa un breve cenno a tali vicende al paragrafo 62 della sentenza.