ISSN 2039-1676


28 marzo 2012 |

Monitoraggio Corte EDU gennaio 2012

Rassegna di sentenze e decisioni della Corte EDU rilevanti in materia penale

Prosegue il monitoraggio mensile delle sentenze e delle più importanti decisioni della Corte EDU che interferiscono con il diritto penale sostanziale. 

La scheda mensile è, come di consueto, preceduta da una breve introduzione contenente una presentazione ragionata dei casi decisi dalla Corte, nella quale vengono segnalate al lettore le pronunce di maggiore interesse.

Tutti i provvedimenti citati sono agevolmente reperibili sul database ufficiale della Corte EDU. Per facilitare il reperimento delle sentenze e delle decisioni della Corte, verrà segnalato in grassetto, oltre alla data del provvedimento e al case title, anche il numero di ricorso.

 

SOMMARIO

 

1. Introduzione

2. Articolo 2 Cedu

3. Articolo 3 Cedu

4. Articolo 5 Cedu

5. Articolo 6 Cedu

6. Articolo 7 Cedu

7. Articolo 8 Cedu

8. Articolo 9 Cedu

9. Articolo 10 Cedu

10. Articolo 11 Cedu

11. Articolo 2 Protocollo 4 Cedu

 

* * *

 

1. Introduzione

 

a) Tra le pronunce in tema di art. 2 Cedu si segnala la sentenza Gorovenky e Bugara c. Ucraina, in cui la Corte ha riscontrato una violazione sostanziale di detta norma in relazione all'uccisione di cinque cittadini da parte di un poliziotto ubriaco: già in precedenza, infatti, l'agente aveva causato incidenti ma, nondimeno, continuava a portare la pistola d'ordinanza perché non era stato esercitato alcun controllo effettivo sulle sue condizioni psico-fisiche.

Presenta profili di interesse anche la sentenza Choreftakis e Choreftaki c. Grecia. Il caso riguardava l'uccisione del figlio dei ricorrenti da parte di un pluriomicida a cui era stata concessa la libertà condizionale. In tale occasione, i giudici di Strasburgo - contrariamente a quanto avevano fatto nel precedente Maiorano e altri c. Italia - hanno escluso la violazione dell'art. 2 Cedu, rilevando come non vi fosse stata alcuna irregolarità nella procedura di concessione della libertà condizionale e come la disciplina di tale istituto prevista dall'ordinamento greco fornisse sufficienti garanzie per la protezione della società dalle persone condannate per crimini violenti.

b) L'elevato numero di pronunce rese dalla Corte, nel mese di gennaio, in tema di art. 3 Cedu ci impone di privilegiare, questa volta, un approccio di tipo essenzialmente quantitativo.

Delle trentuno sentenze qui sintetizzate (nelle quali i giudici di Strasburgo hanno per lo più accolto le doglianze dei ricorrenti):

- nove (RoÅŸioru c. Romania; Sokurenko c. Russia; Åžerban c. Romania; Zontul c. Grecia; A. A. c. Russia; Alchagin c. Russia; Mehmet Ali Okur c. Turchia; Petrov c. Bulgaria; Feraru c. Moldavia) riguardano episodi di police brutality;

- dieci (Ananyev e altri c. Russia; Iglin c. Ucraina; Ustyantsev c. Ucraina; István Gábor Kovács c. Ungheria; Stanev c. Bulgaria; Popov c. Francia; Fetisov e altri c. Russia; Petrov c. Bulgaria; Mitrokhin c. Russia; Smajovic c. Slovenia) afferiscono invece alle condizioni della detenzione (anche in luoghi diversi dagli istituti carcerari, come gli analoghi dei nostri ospedali psichiatrici giudiziari o dei nostri CIE), e spesso toccano anche il profilo del sovraffollamento carcerario;

- otto (Arutyunyan c. Russia; Sakhvadze c. Russia; Shahanov c. Bulgaria; Vladimir Vasilyev c. Russia; Todorov c. Ucraina; la già menzionata Ustyantsev c. Ucraina; Krivošejs c. Lettonia; Valeriy Samoylov c. Russia) hanno ad oggetto l'inadeguatezza delle cure mediche apprestate a soggetti in vinculis;

- quattro (Harkins e Edwards c. Regno Unito; H.N. e altri c. Svezia; S.S. c. Regno Unito; M.S. c. Belgio) hanno fatto applicazione del principio cd. di non refoulement in relazione all'espulsione;

- una (Vinter e altri c. Regno Unito) affronta l'annosa questione della compatibilità dell'ergastolo con l'art. 3 Cedu;

- una (Karaman ed altri c. Turchia) riguarda un caso di applicazione orizzontale di detta norma, in relazione però a un contesto peculiare (le celle nelle quali i detenuti attendono la celebrazione delle udienze).

Merita un cenno, tra queste, la sentenza Stanev c. Bulgaria, in cui la Corte ha fatto applicazione dei principi espressi in tema di violazione dell'art. 3 Cedu per via dell'inadeguatezza delle condizioni detentive in relazione alla permanenza del ricorrente, erroneamente ritenuto schizofrenico, in una casa di cura sociale per uomini con disturbi psichiatrici (rispetto alla gestione della quale già il Comitato per la prevenzione della tortura aveva espresso le proprie riserve).

Paradigmatica la qualificazione del mistreatment subito dal ricorrente come trattamento degradante.

c) Sul fronte dell'art. 5 Cedu si segnala, anzitutto, la già citata sentenza Stanev c. Bulgaria in cui la Grande Camera - per la prima volta - ha ritenuto integrata una privazione della libertà personale in relazione al ricovero di un soggetto in una casa di cura sociale, sottolineando, da un lato, come la libertà di movimento del medesimo fosse stata considerevolmente ridotta (in particolare, questi aveva la possibilità di uscire dalla casa di cura solo se espressamente autorizzato dalle autorità sanitarie) e, dall'altro, come questi non avesse prestato il proprio consenso all'internamento. Ciò posto, ritenuto che tale privazione della libertà nel caso di specie non fosse giustificata da un disturbo psichico effettivo ai sensi dell'art. 5 § 1 lett. e Cedu, la Corte ha condannato la Bulgaria. È peraltro interessante notare che la Corte ha espressamente precisato che le conclusioni raggiunte nella pronuncia in commento non hanno valenza generale: "it is unnecessary in the present case to determine whether, in general terms, any placement of a legally incapacitated person in social care institution consitutes a deprivation of liberty whitin he meaning of art. 5 § 1" (§ 121).

Merita un cenno inoltre la sentenza Brega e altri c. Moldovia, in cui la Corte, conformemente alla propria giurisprudenza consolidata, ha concluso che il trattenimento dei ricorrenti presso una stazione di polizia per motivi di ordine pubblico avesse integrato una privazione della libertà personale ai fini dell'art. 5 Cedu, a nulla valendo l'obezione dello Stato convenuto secondo cui i ricorrenti erano rimasti sotto il controllo della polizia solo per alcune ore. Di conseguenza, ritenuto che tale vera e propria privazione della libertà nel caso di specie non trovasse giustificazione nell'art. 5 § 1 Cedu, la Corte ha ravvisato una violazione della citata norma convenzionale.

In tema di detenzione dello straniero nel corso del procedimento di espulsione, giova ricordare le sentenze Keshmiri c. Turchia (in cui la Corte ha ravvisato una violazione dell'art. 5 Cedu poiché il trattenimento del ricorrente era privo di una base legale nell'ordinamento interno) e Tabassum c. Gran Bretagna (in cui i giudici di Strasburgo, invece, hanno ritenuto legittima la detenzione del ricorrente, protrattasi per un periodo di oltre due anni, poiché questi aveva rifiutato di collaborare con le autorità britanniche rifiutandosi di fornire a queste ultime le informazioni necessarie per eseguire l'espatrio).

E ancora, si ricordano le sentenze Reiner c. Germania e Kronfeldner c. Germania in tema di custodia di sicurezza (Sicherungsverwahrung) e relative a fatti antecedenti alla pronuncia della Corte costituzionale tedesca del 4 maggio 2011. In particolare, nel caso Reiner  la Corte è tornata a ribadire che l'applicazione della custodia di sicurezza non viola l'art. 5 § 1 Cedu allorchè essa consegua ad una condanna penale legittima; mentre nel caso Knonfeldner la Corte ha affermato - secondo la propria giurisprudenza consolidata a partire dal caso M. c. Germania del 2009 - che la l'applicazione retroattiva del nuovo e più severo regime di durata della custodia di sicurezza integra una violazione dell'art. 5 Cedu nonché dell'art. 7 Cedu in quanto la misura in questione costituisce una vera e propria sanzione penale ai sensi della Convenzione e dunque è soggetta al principio di irretroattività.

Meritano un cenno infine le sentenze Dmitriyev c. Russia, Smolik c. Ucraina e Korneykova c. Ucraina, in cui la Corte, conformemente alla propria giurisprudenza consolidata, ha ritenuto che la detenzione dei ricorrenti fosse priva di una base legale nel diritto interno perché la loro detenzione non era stata documentata in nessun registro ufficiale (indicando la data, l'ora e il luogo di inizio della privazione della libertà, i motivi che la giustificavano e i nomi delle persone che ne erano responsabili).

d) In tema di art. 6 Cedu, particolarmente significativa è la sentenza Othman (Abu Qatada) c. Regno Unito perché la Corte europea - per la prima volta - ha negato la possibilità di procedere all'espulsione di un individuo in ragione della possibile violazione del diritto ad un processo equo riconosciuto dall'art. 6 Cedu nel paese di destinazione. Nel caso di specie, infatti, la Corte ha espressamente ritenuto sussistente per il ricorrente un "real risk of being subject to a flagrant denial of justice" in relazione al processo da celebrarsi in Giordania a suo carico: più precisamente, ad avviso dei giudici di Strasburgo, vi è il pericolo concreto che nel processo pendente a carico del ricorrente in patria, le autorità giordane ammettano prove estorte con tortura.

e) Per quel che concerne l'art. 7 Cedu, si segnala la sentenza Mihai Toma c. Romania in cui la Corte ha ravvisato una violazione della citata norma Convenzionale in relazione all'applicazione retroattiva della sanzione della sospensione della patente a seguito di condanna per il reato di guida in stato di ebbrezza.

f) Sul fronte dell'art. 8 Cedu, merita anzitutto menzione la sentenza Sarno e altri c. Italia in cui la Corte europea ha condannato il nostro paese, sulla base dell'ormai consolidata giurisprudenza in tema di obblighi di protezione a fronte di attività pericolose, per non aver adeguatamente fronteggiato l'emergenza rifiuti in Campania (sul punto si rinvia al commento di Angela Colella, pubblicato in questa Rivista).

Con riferimento al diritto dei detenuti a ricevere visite dai familiari, si segnala invece la sentenza Feldman c. Ucraina in cui la Corte ha ravvisato una violazione della citata norma convenzionale in quanto il divieto apposto al ricorrente era privo di una base legale nell'ordinamento interno.

Infine, in tema di tutela del diritto alla riservatezza,  merita un cenno la sentenza VarapnickaitÄ—-MažylienÄ— c. Lituania, nella quale la Corte ha escluso la violazione dell'art. 8 Cedu in relazione alla pubblicazione di un articolo di stampa contenente informazioni personali riguardanti un minore sulla base della considerazione che dall'articolo in parola non emergevano elementi idonei ad identificarlo.

g) In tema di art. 9 Cedu,  meritano un cenno le sentenze Tsaturyan c. Romania e Feti DemitraÅŸ c. Lettonia in cui la Corte europea ha ribadito l'incompatibilità con la citata norma convenzionale della repressione penale dell'obiezione di coscienza al servizio militare prevista dagli ordinamenti nazionali.

Invece, nella sentenza Kowlas c. Lettonia la Corte ha avuto modo di affermate che il divieto, imposto ad un detenuto di fede Vaishnavism, di bruciare bastoncini di incenso all'interno della sua cella non comportasse una violazione del diritto di cui all'art. 9 Cedu in quanto tale divieto incideva su una pratica ritenuta non essenziale per tale credo religioso.

h) Tra le numerose sentenze in tema di art. 10 Cedu si segnalano le sentenze Standard Verlags GMBH c. Austria; Krone Verlag GmbH & Co KG e Krone Multimedia GmbH & Co KG c. Austria; Kurier Zeitungsverlag und Druckerei GmbH c. Austria in tema di diffamazione; nonché la sentenza Lahtonen c. Filandia in tema divulagazione e pubblicazione di informazioni relative alle deliberazioni di una giuria.

i) In tema di art. 11 Cedu, riveste particolari profili di interesse la sentenza Paty c. Ungheria in cui la Corte - con una pronuncia innovativa - ha ritenuto arbitrarie, perché prive di una base legale nel diritto interno, le restrizioni imposte alla libertà di riunione dei ricorrenti, ai quali era stata negata l'autorizzazione ad organizzate una manifestazione di fronte al parlamento ungherese, sulla base del divieto imposto dall'autorità di polizia di svolgere riunioni pubbliche in quell'area (in senso conforme cfr. anche la successiva sentenza Szerdahelyi c. Ungeria).

l) Infine, con riferimento all'art. 2 Prot. n. 4 Cedu, si segnala la sentenza Miażdżyk c. Polonia in cui i giudici europei hanno ravvisato una violazione della suddetta norma convenzionale affermando che non poteva considerarsi proporzionato rispetto allo scopo legittimo di assicurare la presenza dell'imputato al processo il divieto di espatrio imposto al ricorrente, imputato in un processo penale, per un periodo di tempo indeterminato nel massimo. (Introduzione a cura di Lodovica Beduschi e Angela Colella)

 

***

 

2. Articolo 2 Cedu

C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 10 gennaio 2012, ric. n. 13462/06, Česnulevičius c. Lituania (importance level 3)

Il ricorrente è il padre di un detenuto, deceduto il 7 agosto 2000 a 22 anni, a seguito di ripetute aggressioni, avvenute tra il 4 e il 6 agosto 2000, da parte di alcuni codetenuti: lamenta la violazione dell'art. 2 Cedu, dal momento che le autorità lituane avevano omesso di proteggere la vita di suo figlio in carcere e che non era stata effettuata un'inchiesta approfondita sull'accaduto.

La Corte accoglie il ricorso, rilevando che le autorità penitenziarie erano a conoscenza, fin dal primo incidente verificatosi il 4 agosto 2000, che il figlio del ricorrente era in reale pericolo (avevano interrogato la vittima dell'aggressione, scoperto le barre di metallo che erano state utilizzate contro di lui e la situazione insicura del carcere era nota); le cure a lui fornite, inoltre, erano state inadeguate. La Corte ritiene che sia stato violato l'art. 2 Cedu, anche sotto l'aspetto procedurale.

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 12 gennaio 2012, ric. n. 36146/05 e 42418/05, Gorovenky e Bugara c. Ucraina (importance level 2)

I ricorrenti, cinque cittadini ucraini, sono i parenti di due uomini uccisi nel novembre 1999 con un'arma da fuoco da un poliziotto fuori servizio, ubriaco, successivamente condannato all'ergastolo; lamentano la violazione dell'art. 2 Cedu, in quanto lo Stato non era riuscito a proteggere la vita dei loro cari, non controllando il possesso e l'uso di armi da fuoco da parte di uno dei suoi agenti, e degli artt. 6 § 1 e 13 Cedu.

La Corte accoglie il ricorso con riferimento all'art. 2 Cedu, ponendo in rilievo che da tale norma discende per lo Stato l'obbligo di adottare misure appropriate e ragionevoli per salvaguardare la vita delle persone all'interno della propria giurisdizione. Nel caso di specie, i superiori dell'agente non avevano valutato adeguatamente la sua personalità, essendogli stato consentito di portare l'arma, nonostante i precedenti incidenti che aveva causato. Inoltre, in violazione delle norme nazionali esistenti in Ucraina, non era mai stato controllato lo stato in cui veniva conservata tale arma da fuoco.

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 46846/08, Choreftakis e Choreftaki c. Grecia (importance level 2)

I ricorrenti sono i genitori della vittima di un omicidio. Il colpevole è un uomo, precedentemente condannato per diversi omicidi, al quale era stata concessa la libertà condizionale: i ricorrenti lamentano che le autorità avevano contribuito a creare la scena del crimine, violando gli obblighi che discendono dall'art. 2 Cedu.

La Corte non accoglie il ricorso, precisando che, per affermare la responsabilità delle autorità, sarebbe necessario provare che esse conoscevano o avrebbero dovuto conoscere l'esistenza di un reale e immediato rischio per la vita di un individuo identificato o di atti criminali provenienti da una terza parte e che avevano fallito nel prendere le misure che avrebbero dovuto ragionevolmente essere prese per evitare tale rischio. In particolare, afferma che non vi era stata alcuna irregolarità nella procedura di concessione della libertà condizionale e non critica il sistema vigente in Grecia, che fornisce sufficienti garanzie per la protezione della società dalle persone condannate per crimini violenti.  

* * *

 

3. Articolo 3 Cedu 

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 gennaio 2012, ric. n. 48977/09, Arutyunyan c. Russia (importance level 2)  

Il ricorrente, attualmente detenuto per avere commesso un omicidio, è su una sedia a rotelle, vede molto male, ha subito un trapianto di rene che è fallito e soffre di obesità e di una grave forma di diabete. Lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu per essere stato privato di cure adeguate in detenzione: in particolare, egli è stato collocato in una cella al quarto piano di un edificio senza ascensore, così che non ha la possibilità di accedere ai i servizi medici, che si trovano al pianterreno, e di uscire all'aria aperta durante i periodi riservati a questo scopo. Inoltre, lamenta la violazione dell'art. 5 § 1 e 3 Cedu, in quanto la sua detenzione provvisoria era stata irregolare ed eccessivamente prolungata.

La Corte riconosce la violazione dell'art. 3 Cedu, in quanto le condizioni a cui è sottoposto il ricorrente devono avergli provocato inutili e evitabili sofferenze fisiche e morali, nonché dell'art. 5 § 1 Cedu.

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 gennaio 2012, ric. n. 15492/09, Sakhvadze c. Russia (importance level 2)

Il ricorrente, attualmente detenuto per tentativo di furto, soffre di mielopatia, di tubercolosi, di una malattia allo stomaco, di dolori ai reni e al fegato; inoltre, egli è incontinente, la sua vista peggiora sempre più, ha perso la maggior parte dei denti per lo stato delle sue gengive e ha delle difficoltà a parlare, avendo subito un'operazione durante la quale gli è stata tolta metà della lingua. Lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu, essendo stato privato, dal luglio 2006 al giugno 2009, di cure adeguate in detenzione, nonostante le raccomandazioni dei medici.

La Corte accoglie il ricorso affermando che il Governo non ha fornito la prova di avere apportato al ricorrente cure appropriate per la vista, cure odontoiatriche e un trattamento specifico per la mielopatia. 

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 10 gennaio 2012, ric. n. 37554/06, RoÅŸioru c. Romania (importance level 3)

Il ricorrente, un cittadino rumeno, dopo essere entrato in un bar e avere visto sei poliziotti delle forze speciali, li definiva terroristi, parlando con un'amica, e veniva quindi ammanettato da essi e picchiato a colpi di bastoni e di calci. Conducendolo alla sede della polizia dipartimentale, i poliziotti continuavano a picchiarlo nel furgone finché egli perdeva conoscenza. Dopo avere inflitto al ricorrente un'ammenda contravvenzionale per ingiurie verso gli impiegati del locale e per essersi rifiutato di fornire delle informazioni sulla sua identità, la polizia lo liberava. A seguito della querela depositata dalla moglie del ricorrente per torture e comportamenti abusivi nei confronti del marito, iniziava un'indagine, che durava più di otto anni e che portava alla prescrizione del delitto. Invocando l'art. 3 Cedu il ricorrente lamenta le aggressioni subite da parte dei poliziotti e l'ineffettività dell'inchiesta condotta dalle autorità nazionali.

La Corte accoglie il ricorso, in quanto ritiene che il Governo non ha fornito alcun argomento credibile e convincente per spiegare o giustificare il grado di forza utilizzato da parte della polizia durante l'interrogatorio del richiedente; inoltre, le autorità non hanno indagato in modo efficace e diligente sui maltrattamenti cui il ricorrente afferma di essere stato sottoposto.

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 gennaio 2012, ric. n. 33619/04, Sokurenko c. Russia (importance level 3)

Il ricorrente, un cittadino russo accusato di rapina e di detenzione illegale di armi, posto in detenzione provvisoria e condannato a cinque anni di detenzione, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu, per essere stato picchiato dalle guardie della casa d'arresto nella notte tra l'1 e il 2 gennaio 2004 e per mancanza di effettività dell'inchiesta, nonché dell'art. 5 § 3 Cedu, per la durata eccessiva della detenzione provvisoria, e dell'art. 5 § 4 Cedu.

La Corte accoglie il ricorso, con riferimento alla violazione sostanziale dell'art. 3 Cedu, in quanto le lesioni riportate dal ricorrente hanno raggiunto un livello sufficiente di gravità e il Governo non ha fornito prove adeguate per dimostrare che si è trattato di un caso di auto-mutilazione.

La Corte ritiene inoltre che sia stato violato l'art. 5 § 3 e 4 Cedu. 

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 gennaio 2012, ric. n. 42525/07 e 60800/08, Ananyev e altri c. Russia (importance level 1)

I tre ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 3 e 13 Cedu per le condizioni inumane della loro detenzione (in particolare, le celle nelle quali erano stati detenuti erano sovraffollate) e per la mancanza di un ricorso effettivo.

La Corte accoglie il ricorso di due ricorrenti (mentre un ricorso viene dichiarato irricevibile a causa della scadenza dei termini), quanto alla violazione dell'art. 3 Cedu, dal momento ad essi era stato concesso uno spazio personale inferiore agli standard minimi (in un caso, meno di 1,25 metri quadrati e il numero dei detenuti per cella era superiore ai posti letto; nell'altro, 2 metri quadrati). Inoltre, per quanto riguarda le condizioni igienico-sanitarie, il tavolo da pranzo e la tazza del gabinetto si trovavano molto vicini (alla distanza di 1 metro o di 1 metro e mezzo), senza essere separati da una tenda o da una porta; l'accesso alle docce era consentito ai detenuti una volta ogni 7-10 giorni.

La Corte rinviene una violazione anche dell'art. 13 Cedu, per l'assenza della possibilità di un ricorso effettivo a fronte di situazioni come quella descritta. 

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 10 gennaio 2012, ric. n. 11014/05, Åžerban c. Romania (importance level 3)

Il ricorrente, nella notte tra il 22 e il 23 settembre 2002, si trovava in un parco a Bucarest. Due agenti della polizia gli chiedevano di esibire il suo documento d'identità per un controllo, dopo avergli segnalato che lui e la sua amica erano seduti su una panchina in una posizione indecente in un luogo pubblico. A fronte del suo diniego, i poliziotti tentavano d'immobilizzarlo con l'assistenza di cinque agenti di sicurezza che lavoravano nella discoteca situata nel parco e gli procuravano lesioni. Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu, per l'aggressione subita dagli agenti di sicurezza, su incitazione e in presenza di due agenti della polizia, e per l'ineffettività dell'inchiesta condotta dalle autorità nazionali sulle sue allegazioni di aggressione fisica e di rapina (avendo lui sostenuto che dopo l'aggressione gli erano state strappate dal collo due catene d'oro), nonché dell'art. 6 § 3 Cedu, per non essere stato informato dell'accusa di oltraggio formulata contro di lui.

La Corte riconosce la violazione dell'art. 3 Cedu, in quanto i poliziotti non avevano in nessun modo organizzato l'intervento dei cinque agenti di sicurezza e avevano provocato così una reazione sproporzionata; a fronte dell'obiezione per cui il ricorrente aveva provocato l'incidente rifiutandosi di dichiarare la propria identità, comportandosi aggressivamente, la Corte afferma che non è stata depositata querela contro di lui per questi fatti, che la procedura di oltraggio iniziata nei suoi confronti si è conclusa con un "non-lieu" e che in ogni caso il ricorso alla forza deve essere necessario e non eccessivo; infine, i poliziotti non sono in alcun modo intervenuti per fare cessare le aggressioni sproporzionate degli agenti di sicurezza. La Corte rileva, inoltre, la violazione dell'art. 3 Cedu sotto l'aspetto procedurale, mentre esclude la violazione dell'art. 6 § 3 Cedu.

C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 10 gennaio 2012, ric. n. 16391/05, Shahanov c. Bulgaria (importance level 3)

Il ricorrente lamenta, con riferimento al periodo di detenzione dal dicembre 2002 al febbraio 2009, la violazione dell'art. 3 Cedu, dal momento che aveva dovuto soggiornare in una cella umida, con correnti d'aria e infestata da ratti, aveva a disposizione un secchio per soddisfare i suoi bisogni personali e poteva fare il bagno ogni 15 giorni, nonché dell'art. 8 Cedu, poiché le autorità penitenziarie avevano monitorato la corrispondenza con il suo avvocato, dell'art. 6 § 1 Cedu, per la durata eccessiva della procedura nei suoi confronti, e dell'art. 13 Cedu, per la mancanza di un ricorso effettivo.

La Corte accoglie il ricorso con riferimento agli artt. 3, 8, 6 § 1 e 13 Cedu (in relazione agli artt. 3 e 6 Cedu).

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 10 gennaio 2012, ric. n. 28370/05, Vladimir Vasilyev c. Russia (importance level 3)

Il ricorrente, dopo il suo arresto amputato di un dito e di una parte del piede sinistro per congelamento, soffre di tubercolosi e di diabete. Condannato alla pena di morte, sostituita a seguito di un atto di clemenza del Presidente della Russia con l'ergastolo, per tentato stupro e diversi episodi di omicidio, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu, per essere stato privato di cure adeguate e essenziali in detenzione (alimentazione insufficiente e inadeguata, assenza di calzature ortopediche e altro), nonostante le raccomandazioni dei medici, e dell'art. 6 § 1 Cedu, per il carattere iniquo del processo civile avviato.

La Corte accoglie il ricorso. In particolare, afferma che l'art. 3 Cedu è stato violato in quanto lo Stato non ha fornito soluzione adeguata tra il 2005 e il 2011 al ricorrente a fronte della necessità di calzature speciali.

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 12 gennaio 2012, ric. n. 16717/05, Todorov c. Ucraina (importance level 2)

Il ricorrente ha scontato una pena di sette anni di detenzione per i reati di appartenenza ad associazione criminale e diversi episodi di furto aggravato. Lamenta la perdita della propria vista a causa del difetto di cure in detenzione, la durata eccessiva della detenzione provvisoria e il carattere iniquo del processo penale svoltosi nei suoi confronti.

La Corte riconosce la violazione dell'art. 3 Cedu, constatando che le autorità non avevano fatto quello che si poteva ragionevolmente attendere da loro per affrontare il deterioramento della salute del richiedente e per evitare che egli perdesse la vista (il rifiuto del ricorrente di sottoporsi a intervento chirurgico era stato giustificato dai rischi posti in rilievo dagli stessi medici a fronte della sua malattia alla pelle; era stato richiesto dall'amministrazione del centro di permanenza temporaneo il rilascio del ricorrente alle autorità per l'incapacità a fornire cure adeguate; il Governo non ha fornito prove per confutare tali fatti). La Corte riconosce, inoltre, la violazione degli artt. 5 § 3 e 6 § 1 Cedu.

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 12 gennaio 2012, ric. n. 39908/05, Iglin c. Ucraina (importance level 3)

Il ricorrente, condannato all'ergastolo nel 2005 per aver commesso diversi reati, lamenta la violazione degli artt. 3 (per le condizioni di vita che aveva dovuto sopportare, l'assenza di assistenza sanitaria e il pestaggio da parte delle guardie, avvenuto il 28 febbraio 2006, nella casa d'arresto dove era rimasto dal gennaio 2004 all'agosto 2006), 6 § 1 e 3 lett. b) e c) e 13 Cedu.

La Corte, con riferimento al pestaggio del 28 febbraio 2006, afferma che il ricorrente non ha fornito sufficienti prove di quanto afferma essere avvenuto; con riferimento alle condizioni della detenzione, invece, riscontra la violazione dell'art. 3 Cedu, in quanto il ricorrente aveva trascorso la maggior parte della propria detenzione in una cella sotterranea, di 7 metri quadrati, in condivisione con un altro detenuto, e il Governo non aveva fornito sufficienti prove contrarie alle affermazioni circa l'insufficiente ventilazione, illuminazione, igiene della cella in questione e assistenza medica. 

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 12 gennaio 2012, ric. n. 3299/05, Ustyantsev c. Ucraina (importance level 2)

Il ricorrente, condannato per furto di autovetture nel 2003, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu per le condizioni nella quali era stato detenuto nel centro di permanenza temporanea tra il 17 settembre 2001 e 10 novembre 2005. Afferma che i detenuti venivano alimentati una sola volta al giorno, le luci venivano spente durante la notte e non gli era stato possibile rispettare norme fondamentali di igiene personale e preparare la sua difesa; nella cella in cui era stato detenuto il 4 luglio 2005, lo spazio era limitato a un metro quadrato a persona (successivamente, in risposta alle osservazioni del Governo, il ricorrente aveva precisato che la cella, in cui alloggiavano quattro detenuti, misurava 7,5-10 metri quadrati, di cui 1,5 metri quadrati occupati da un gabinetto e da un lavabo); le autorità non gli avevano fornito generi di prima necessità, assistenza medica adeguata, stampa o mezzi audiovisivi, e il diritto alla corrispondenza privata; infine, le condizioni del suo trasporto in furgone in carcere erano state inadeguate. Inoltre, lamenta la violazione degli artt. 5 § 3 e § 5, 6 § 1 e 34 Cedu.

La Corte accoglie il ricorso solo con riferimento alla violazione dell'art. 3 Cedu, non avendo il Governo fornito sufficienti prove per dimostrare il contrario di quanto affermato dal ricorrente; ritiene invece inammissibili le censure riferite all'assistenza medica e al trasporto in carcere, in quanto fondate su dichiarazioni troppo generiche.

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 12294/07, Zontul c. Grecia (importance level 2)

Il ricorrente, un immigrato clandestino, afferma che il 5 giugno 2001, mentre si trovava a Chania (Creta) in una marina mercantile, degli agenti di guardia costiera lo avevano violentato con un manganello e che, dopo il fatto, non gli era stato permesso di essere visitato da un medico che si trovava sul posto. Egli lamenta, in particolare, che il Tribunale d'appello greco ha imposto inadeguate sanzioni agli ufficiali di guardia costiera, in quanto non ha considerato il suo stupro una forma aggravata di tortura; inoltre, denuncia che le autorità non avevano condotto un'accurata, equa e imparziale indagine sull'accaduto.

La Corte, dopo avere precisato che il ricorrente è stato senza dubbio vittima di una tortura, ravvisa una violazione dell'art. 3 Cedu per mancanza di proporzione tra la gravità del fatto, da una parte, e le sanzioni penali inflitte agli agenti e il risarcimento accordato al ricorrente, dall'altra; inoltre, le autorità greche avevano informato in modo insufficiente il ricorrente, nel periodo successivo all'accaduto, sullo stato di avanzamento del procedimento penale in questione.

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 43710/07, 6023/08, 11248/08, 27668/08,  
31242/08 e 52133/08
, Fetisov e altri c. Russia (importance level 2)

I sei ricorrenti, detenuti in diversi periodi tra il 2006 e il 2009 per alcuni reati (tra cui traffico di droga e sequestro di persona), lamentano la violazione degli artt. 3, a causa del sovraffollamento carcerario, e 13 Cedu, per l'assenza di un rimedio effettivo interno a tale riguardo; inoltre, uno dei ricorrenti afferma che le lettere indirizzate alla Corte EDU dal carcere erano state aperte dalle autorità penitenziarie, in violazione dell'art. 34 Cedu.

La Corte non accoglie il ricorso con riferimento all'art. 3 Cedu, in quanto cinque dei ricorrenti avevano avuto almeno 4 metri quadrati di spazio personale, mentre uno dei ricorrenti aveva disposto per un breve periodo di circa 2 metri quadrati, ma aveva avuto un proprio spazio per dormire; inoltre, a tutti i ricorrenti era stata concessa un'ora di esercizio fisico all'aria aperta tutti i giorni, le loro celle erano illuminate e le finestre potevano essere aperte per fare entrare aria fresca; erano state rispettate le regole minime igienico-sanitarie; quanto al periodo di detenzione trascorso da un ricorrente nel carcere di San Pietroburgo, sebbene non fosse garantito il diritto alla privacy dei detenuti, i dormitori non erano stati riempiti oltre la loro capacità di progettazione. Viene ravvisata, viceversa, la violazione degli artt. 13 e 34 Cedu.

C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 9146/07 e 32650/07, Harkins and Edwards c. Regno Unito (importance level 2)

I due ricorrenti, accusati negli Stati Uniti nel 2000 e nel 2006 di omicidio e altri gravi reati e arrestati nel 2003 e 2007 nel Regno Unito, lamentano che, qualora fossero estradati negli Stati Uniti, vi sarebbe il rischio che venga loro applicata la pena di morte o la pena dell'ergastolo senza libertà condizionale, in violazione dell'art. 3 Cedu.

La Corte rigetta il ricorso rilevando, da una parte, che gli Stati Uniti hanno fornito sufficienti assicurazioni che la pena di morte non verrà loro applicata; quanto all'ergastolo senza libertà condizionale, d'altra parte, non sembra una pena eccessivamente sproporzionata e spetterà ai giudici statunitensi decidere discrezionalmente se sia una sanzione adeguata o meno con riferimento ai casi di specie.

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 49097/08, A. A. c. Russia (importance level 3)

Il ricorrente, condannato nel giugno 2007 a 25 anni di reclusione per rapimento, sostiene di essere stato maltrattato dagli agenti dell'unità di criminalità organizzata (in particolare, picchiato, aggredito sessualmente, umiliato, costantemente ammanettato, per lunghi peridi attaccato ad un calorifero, privato delle cure mediche necessarie) e che non avevano avuto luogo indagini sull'accaduto.

La Corte ritiene che nel caso di specie sia stato violato l'art. 3 Cedu, in quanto le autorità non hanno fornito spiegazioni e sufficienti prove contrarie a quanto affermato dal ricorrente.

C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 66069/09, 130/10 e 3896/10, Vinter e altri c. Regno Unito (importance level 2)

I tre ricorrenti venivano condannati all'ergastolo: il primo aveva ucciso la moglie a pugnalate, dopo averle rotto il naso e tentato di strangolarla, mentre si trovava in libertà condizionale a seguito della condanna per un altro omicidio; il secondo aveva ucciso con arma da fuoco la sorella adottiva e i due giovani figli di lei, cercando poi di far credere che fosse stata la sorella adottiva ad uccidere i figli e ad essersi poi suicidata; il terzo aveva ucciso quattro omosessuali con un coltello da combattimento con una grande lama. Lamentano la violazione dell'art. 3 Cedu, in quanto la loro detenzione "senza speranza di liberazione" costituirebbe un trattamento inumano e degradante.

La Corte non accoglie le censure dei ricorrenti poiché, alla luce di quanto affermato dalla High Court, essi hanno commesso degli omicidi particolarmente brutali e dunque le pene cui sono stati condannati non sono manifestamente sproporzionate e perseguono scopi legittimi di punizione e deterrenza.

C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 15707/10, István Gábor Kovács c. Ungheria (importance level 3)

Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu, per essere stato detenuto in celle sovraffollate (aveva a disposizione 2,5 metri quadrati, calcolati senza tenere conto dello spazio per i mobili) mentre scontava la pena di 3 anni e mezzo per contrabbando di prodotti sottoposti ad accisa, nonché dell'art. 8 Cedu, non essendo stato autorizzato a ricevere visite che per un'ora al mese, durante la sua detenzione provvisoria.

La Corte accoglie il ricorso, rilevando che non erano stati rispettati gli standard minimi di almeno 4 metri quadrati di spazio per persona e che la restrizione al diritto di visita in carcere non è giustificabile ai sensi dell'art. 8 § 2 Cedu.

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 45517/04, Krivošejs c. Lettonia (importance level 3)

Il ricorrente, condannato per diversi reati, tra cui omicidi aggravati e furti, lamenta di non avere potuto beneficiare di cure adeguate in detenzione, di avere visto il suo stato di salute peggiorare e di avere dovuto, ciò nonostante, rimanere in carcere (egli è affetto da una ciste ereditaria al cervello).

La Corte ritiene che nel caso di specie non sia stato violato l'art. 3 Cedu, in quanto la diagnosi della malattia è stata adeguata e tempestiva e l'assistenza fornita sufficiente.

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 20212/05, Alchagin c. Russia (importance level 3)

Il ricorrente, condannato nel novembre 2004, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu in quanto, durante  i 10 giorni di custodia cautelare, dei poliziotti, nel sottoporlo ad interrogatorio, lo avrebbero colpito con calci, avrebbero usato maschere a gas per impedirgli di respirare  e gli avrebbero inflitto delle scariche elettriche; inoltre, nessuna inchiesta effettiva avrebbe avuto luogo sull'accaduto; infine, erano state utilizzate durante il suo processo delle confessioni ottenute con la costrizione.

La Corte riscontra la violazione dell'art. 3 Cedu, affermando, in particolare, che il Governo non ha dato una spiegazione convincente e soddisfacente circa l'origine delle ferite che il ricorrente ha riportato nel momento in cui si trovava sotto il controllo delle autorità in custodia, mentre esclude la violazione dell'art. 6 Cedu, evidenziando che il ricorrente ha avuto la possibilità di contestare davanti ai giudici le prove ottenute sotto costrizione. 

C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 31869/06, Mehmet Ali Okur c. Turchia (importance level 3)

Il ricorrente veniva arrestato il 3 febbraio 2005, in quanto sospettato di avere commesso violenza contro una persona e avere ferito con armi a fuoco un restauratore. Nel verbale redatto nel corso della notte la polizia indicava che il ricorrente aveva vivamente protestato, gettandosi a terra e contro il muro, alla notizia che sarebbe stato consegnato agli agenti della sezione di criminalità organizzata. Un certificato medico di tre giorni dopo riferiva che il ricorrente aveva lividi violacei su una superficie di 10 per 15 cm della scapola destra. Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3, per essere stato maltrattato durante la custodia e per essere stato privato di un'inchiesta effettiva sull'accaduto, nonché dell'art. 6 Cedu.  

La Corte accoglie il ricorso, rilevando che il verbale in questione non fornisce dettagli sull'accaduto, il referto non appare del tutto affidabile (in quanto l'esame medico si era svolto in presenza degli agenti di polizia, nonostante nel rapporto medico non se ne faccia menzione) e diversi elementi depongono a favore della versione del ricorrente; inoltre, le indagini non si erano svolte in modo sufficientemente approfondito. La Corte respinge invece il ricorso con riferimento alla presunta violazione dell'art. 6 Cedu.

C. eur. dir. uomo, Grande Camera, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 36760/06, Stanev c. Bulgaria (importance level 1)

Nel 2001 i tribunali bulgari dichiaravano il ricorrente parzialmente incapace e nel 2002 lo ponevano sotto la parziale tutela di un ufficiale del Consiglio. Quest'ultimo, senza consultare o informare il ricorrente, il 10 dicembre 2002 lo affidava a una casa di cura sociale per uomini con disturbi psichiatrici: tale luogo, come gli ufficiali del CPT constatarono in occasione di sopralluoghi compiuti nel 2003 e nel 2004, era in pessime condizioni e veniva migliorato solo nel 2009. Inoltre, nell'agosto del 2006 una relazione psichiatrica provava che nel giugno del 2005 era stata erroneamente diagnosticata la schizofrenia del ricorrente, che il suo stato di salute era migliorato, ma che veniva danneggiato dal permanere in quella casa. Il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 3, 5 § 1, § 4 e § 5, 6, 8 e 13 Cedu.

La Corte accoglie il ricorso, salvo ritenere non necessario esaminare le doglianze ex art. 8 Cedu. In particolare, con riferimento alla violazione dell'art. 3 Cedu, la Corte afferma che nel periodo trascorso dal ricorrente nella casa di cura sociale dal 2002 al 2009 il cibo era stato insufficiente e di scarsa qualità e gli edifici erano inadeguatamente riscaldati; era possibile lavarsi una sola volta a settimana in un bagno non igienico; non erano stati restituiti i vestiti lavati alle persone che vivevano in quella casa. La mancanza di risorse finanziarie citata dal Governo non era un argomento rilevante per giustificare il mantenimento del ricorrente in quelle condizioni. 

C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 19 gennaio 2012, ric. n. 39472/07, Popov c. Francia (importance level 2)

I ricorrenti sono Vladimir e Yekaterina Popov, cittadini kazaki.

Questi, in fuga dalle persecuzioni perpetrate nel loro Paese a causa della loro origine russa e fede ortodossa, hanno cercato rifugio in  Francia, entrandovi con un visto della durata di due settimane; ivi, i ricorrenti hanno fatto richiesta d'asilo, ma la loro domanda è stata respinta, così come le loro domande di permesso di soggiorno.  Il 27 agosto 2007 i ricorrenti sono stati arrestati, e con i loro figli, dell'età rispettivamente di cinque mesi e di tre anni, il  giorno seguente sono stati trasferiti all'aeroporto Charles-de-Gaulle per essere rimpatriati in Kazakistan.  Tuttavia, il volo è stato annullato e l'espulsione rinviata.  Dopo un trattenimento di 15 giorni presso un centro di detenzione amministrativa, è stato nuovamente tentato -anche questa volta invano - il rimpatrio.  Poiché tale omissione non era addebitabile a colpa dei ricorrenti, il giudice ne ha ordinato il rilascio. Nel  luglio 2009, infine, è stato loro concesso lo status di rifugiati, poiché la mancanza di riservatezza nell'esame delle domande di asilo e nelle indagini che la Prefettura di Ardenne aveva fatto sulle autorità del Kazakistan, aveva reso pericoloso il loro ritorno. 

I ricorrenti chiedono il riconoscimento della violazione degli artt. 3, 5 e 8  Cedu.

La Corte rileva che le condizioni di detenzione dei bambini (letti e porte pericolosi, mancanza di aree di gioco o attività per i bambini) sono state inadeguate. In particolare, il Commissario per i diritti umani e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura ha rilevato che la promiscuità, lo stress, l'insicurezza e l'atmosfera ostile di questi centri li pongono in contraddizione con i principi internazionali di protezione dell'infanzia, secondo i quali - tra l'altro - le autorità devono prevedere come extrema ratio la possibilità di detenzione dei minori per lunghi periodi :  due settimane di detenzione, pur non essendo di per sé eccessive, lo sono se il destinatario è un bambino. Viene quindi riscontrata una violazione dell'articolo 3, nonché dell'art. 5 par. 1 f). Tale violazione, invece, non è ritenuta sussistente per i genitori, che tra l'altro non sono stati separati dai propri figli.

Nei confronti dei minori, è stata altresì rilevata una violazione dell'art. 5 § 4, in quanto per loro  - non essendo destinatari diretti del provvedimento di espulsione - non c'era stata possibilità di attivare il rimedio della verifica della legittimità della detenzione.

La Corte, infine, ha rilevato altresì una violazione dell'art. 8; in virtù della necessità di tutelare l'interesse superiore del bambino,  due settimane di detenzione sono da ritenersi sproporzionate rispetto all'obiettivo  - ritenuto comunque legittimo - di combattere l'immigrazione clandestina e prevenire crimine (Contra, in un caso analogo, Muskhadzhiyeva e altri c. Belgio). 

C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 24 gennaio 2012, ric. n. 22926/04, Petrov c. Bulgaria (importance level 2).

Il richiedente, Iordan Petrov, è un cittadino bulgaro che sta scontando l'ergastolo. 

Egli - sotto il profilo sostanziale - lamenta una violazione dell'art. 3, sia per le condizioni del carcere (dove il cibo è insufficiente; i locali sono infestati da scarafaggi e ratti; e le celle prive di acqua corrente e servizi igienici), che per i maltrattamenti subiti e la mancanza di cure mediche.

Il governo, da parte sua, - nel riconoscere che solo taluni dei traumi fisici riportati dal ricorrente fossero addebitabili alle forze dell'ordine - afferma comunque che essi siano stati determinati dalla necessità di reagire alla resistenza opposta all'arresto, nonché ai ripetuti comportamenti aggressivi del ricorrente.

La Corte, anzitutto, riconosce una violazione dell'art. 3 per quanto attiene agli abusi subiti dalla polizia e dai supervisori carcerari. Peraltro, non essendo documentati effettivi comportamenti aggressivi del ricorrente o tentativi di autolesioni - e in considerazione del fatto che il ricorrente era solo e disarmato in un carcere di massima sicurezza -  i mezzi impiegati dai funzionari di polizia sembrano del tutto sproporzionati.

Secondo la Corte, la violazione dell'art. 3 è riscontrabile anche in relazione alle condizioni di vivibilità del carcere, soprattutto in ragione della mancanza di servizi igienici e di acqua nelle celle e del fatto che in maniera ingiustificata il Petrov ha passato lunghissimi periodi in isolamento.

Nessuna violazione dell'art. 3 - in assenza della prova "oltre ogni ragionevole dubbio" - è invece riscontrata per l'asserita mancanza di cure mediche.

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 24 gennaio 2012, ric. n. 55792/08, Feraru c. Moldavia (importance level 2); C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 24 gennaio 2012, ric. n. 35648/04, Mitrokhin c. Russia (importance level 3); C. eur. dir. uomo, sez. V, dec. 31 gennaio 2012, ric. n. 5714/10, Smajovic c. Slovenia (importance level 3).

Questi casi sono analoghi a quelli della sentenza precedente.

Infatti, nei casi Feraru c. Moldavia e  Mitrokhin c. Russia, sono state riscontrate dalla Corte altre ipotesi di violazione dell'art. 3 per detenzione in condizioni intollerabili - tra l'altro sotto il profilo del sovraffollamento, della mancanza di cibo e di servizi igienici accettabili.

E' invece stata ritenuta inammissibile una analoga questione sulle condizioni di detenzione, nonché sulle restrizioni a telefonate, visite e corrispondenza nella decisione Smajovic c. Slovenia.

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 24 gennaio 2012, ric. n.  57541/09,  Valeriy Samoylov c. Russia (importance level 2)

Il ricorrente, Valeriy Samoylov, è un cittadino russo che - per quanto concerne il mero profilo sostanziale - lamenta una violazione dell'art. 3 Cedu, per l'inadeguatezza delle cure mediche ricevute durante la detenzione.

La Corte, anzitutto, ribadisce che l'articolo 3 non può essere interpretato come fonte di obblighi generali determinanti l'impossibilità di arrestare o il dovere di liberare i detenuti in condizioni di salute cagionevoli. Inoltre, l'interruzione del trattamento sanitario ospedaliero, al fine di applicare il regime detentivo, non comporta di per sé una violazione dell'articolo 3 della Convenzione, laddove all'interno del carcere vi sia la dovuta attenzione per lo stato di salute del detenuto. Nel caso di specie, non essendo state fornite argomentazioni sufficienti e convincenti a dimostrazione dell'inadeguatezza delle cure mediche ricevute, non può ritenersi violato l'art. 3 Cedu.

C. eur. dir. uomo, sez. V, dec. 31 gennaio 2012, ric. n. 29964/10, Breslavskaya c. Ucraina (importance level 3).

In questo caso, analogo a quello della sentenza precedente, il ricorso - sulla base delle circostanze fattuali - è stato addirittura giudicato inammissibile.

 C. eur. dir. uomo, sez. V, dec. 24 gennaio 2012, ric. n.  50043/09,  H.N. e altri c. Svezia (importance level 3)

I ricorrenti, una donna vittima di uno stupro (dal quale - a dire dei ricorrenti- sarebbe nato un figlio) e suo marito, lamentano una possibile violazione dell'art. 3, in caso di espulsione in  Burundi:  ciò per la generale condizione sociale del Paese, per il rischio di emarginazione, ed infine per l'impossibilità di ottenere cure mediche adeguate.

La Corte - pur consapevole dell'alto numero di stupri in Burundi - ritiene anzitutto che non vi siano elementi sufficienti ad affermare che la situazione sociale sia così grave che l'espulsione costituirebbe, di per sé, una violazione dell'articolo 3 della Convenzione.

Né vi è prova che - a causa dello stupro - i ricorrenti potrebbero essere emarginati e stigmatizzati nel proprio Paese d'origine (in realtà, non vi sono neanche prove certe sulla paternità).

Infine, per quanto riguarda la depressione della ricorrente, quest'ultima sarebbe curabile anche in Burundi.

Di conseguenza - visti anche i stringenti requisiti stabiliti dall'articolo 3 al fine di realizzarne una violazione, in particolare quando il caso non concerne la responsabilità diretta dello Stato contraente - a parere della Corte, il ricorso è inammissibile.

C. eur. dir. uomo, sez. IV, dec. 24 gennaio 2012, ric. n.  12096/10,  S.S. c. Regno Unito (importance level 3)

Nella decisione in questione - al di là della valutazione (negativa) sull'effettiva possibilità che il ricorrente potesse subire trattamenti disumani e degradanti in caso di ritorno in Afghanistan - la Corte ribadisce, con un breve obiter dictum, il principio per cui il rischio di indigenza nel Paese d'origine non è motivo ostativo all'espulsione se non in casi eccezionali. Nel caso di specie - in cui il ricorrente, un uomo sano di 27 anni, non ha presentato alcuna prova volta a dimostrare l'impossibilità di soddisfare i suoi bisogni essenziali di vita a Kabul - non si può dunque riscontrare la lesione dell'art. 3 CEDU.

C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 31 gennaio 2012, ric. n. 50012/08, M.S. c. Belgio (importance level 2)

Il ricorrente, MS, è un cittadino iracheno, che nel 2000 ha presentato una domanda di asilo in Belgio, motivata sulla base della persecuzione subita da parte dei seguaci di Saddam Hussein.

Nel  2003, il ricorrente è stato arrestato in Belgio, e poi condannato nel 2004, con l'accusa di far parte di un'associazione a delinquere, di svolgere contraffazione e falsificazione di documenti -  anche al fine di fare infiltrare 'islamisti' in Europa - e di avere legami con l'organizzazione terroristica Al Qaeda.

A seguito di ciò, la sua richiesta d'asilo è stata respinta e, dopo aver scontato la pena,  il Ministro degli Interni ha emesso nei suoi confronti un ordine di espulsione, con temporaneo trattenimento presso un centro d'espulsione.

Nel frattempo, M.S. ha continuato a presentare altre domande d'asilo - tutte rigettate - basate sul rischio che in Iraq potrebbe essere sottoposto a pena capitale o, comunque, alla sanzione del carcere a tempo indeterminato.

Alla fine, il 5 marzo 2009, M. S. è stato rimesso in libertà, con assegnazione da parte del ministero ad una residenza specifica, in virtù di un parere della Commissione generale dei richiedenti asilo circa la possibilità di violazione della Cedu.

Tuttavia, il 9 marzo 2010, il sindaco del comune di residenza segnalava che la presenza di M.S.  nel comune era coincisa con l'arrivo sul posto di vari estremisti. Il 22 marzo 2010 la polizia redigeva un rapporto dettagliato sui comportamenti di M.S. ed il 1 aprile 2010, il segretario di stato per le politiche migratorie e d'asilo era informato dal 'dipartimento analisi del rischio' che il soggiorno in Belgio di M.S. costituiva un pericolo per l'ordine pubblico.

Il 2 aprile 2010, M.S. veniva nuovamente messo in un centro di detenzione.

Intanto il governo belga cercava, invano, di trovare accordi con Paesi terzi per allontanarlo.

Resosi conto che le uniche offerte del governo belga consistevano nel ritorno in Iraq o nell'allontanamento verso Paesi terzi, il 30 agosto 2010, M.S. comunicava che avrebbe accettato di ritornare in Iraq a condizione che il Belgio avesse versato una somma di denaro per garantirgli la difesa processuale, e che avesse cercato assicurazioni diplomatiche da parte delle autorità irachene che non sarebbe stato perseguitato, torturato o detenuto arbitrariamente o condannato a morte.

M.S. è rimpatriato in Iraq il 27 ottobre 2010. Viene fermato appena sceso dall' aereo e collocato in detenzione per tre settimane; in seguito, rilasciato sotto cauzione, viene posto agli arresti domiciliari.

Il ricorrente lamenta  una violazione degli artt. 3,  5 § 1,  5 § 4.

La Corte, in primo luogo, ricorda che la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura e i trattamenti disumani e degradanti,  indipendentemente dalla pericolosità del soggetto richiedente asilo.

Sussistendo fondati motivi per ritenere esistente un rischio di trattamenti siffatti in Iraq, ed in assenza di qualsiasi sforzo delle autorità belghe volto ad ottenere assicurazioni in senso contrario, la Corte ritiene integrata una violazione dell'art. 3.

La Corte valuta altresì  che c'è stata violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione, anzitutto, per quanto riguarda il  periodo di detenzione dal 29 maggio 2008 al 4 marzo 2009 dal 29 maggio 2008, ossia a seguito del parere del CGRA circa i rischi che MS avrebbe corso in caso di ritorno in Iraq.  Illegittimo è stato altresì - a dire della Corte - il periodo di detenzione successivo fondato sulla sola relazione elaborata dalla polizia e sulla lettera del dipartimento analisi del rischio, senza alcuna statuizione giurisdizionale. 

La situazione è differente per il periodo di detenzione tra il 17 maggio 2010 ed i 16 agosto 2010, quando M.S. aveva rifiutato l'allontanamento verso il Burundi, considerato Stato terzo sicuro :  quindi solo quell'intervallo  è conforme all'art. 5 § 1 f) della Convenzione.

Torna, invece, ad essere illegittima la detenzione successiva a tale momento, considerata l'assenza di documentazione circa i tentativi del Belgio di trovare un Paese terzo che volesse accogliere l'M.S.

C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 31 gennaio 2012, ric. n. 60272/08, Karaman ed altri c. Turchia (importance level 3)

I ricorrenti, detenuti nella prigione di Tekirda di tipo F, lamentano di essere stati posti, all'interno del Tribunale, in attesa di comparire in udienza, nella cella con altri imputati - di opinioni e di punti di vista divergenti - con i quali lo scontro era inevitabile. Lamentano, altresì,  l'inerzia delle forze dell'ordine.

Un altro ricorrente, Cengiz Kara, sostiene di essere stato picchiato da un soggetto che era nel suo stesso veicolo, mentre veniva trasportato in tribunale.

La Corte riscontra una violazione dell'art. 3. Essa ritiene che le autorità turche erano consapevoli della presenza in quel giorno, nello stesso palazzo di giustizia, di detenuti appartenenti a gruppi antagonisti, e che quindi potevano ragionevolmente prevedere il verificarsi di incidenti e pianificare un altro modo per occupare le celle disponibili, onde prevenire qualsiasi rischio di scambi fisici tra i detenuti. Anche il trasporto poteva essere effettuato diversamente. 

***


4. Articolo 5 Cedu

 

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 29747/09, Tsitsiriggos c. Grecia (importance level 2)

Il ricorrente veniva arrestato e posto in detenzione provvisoria il 4 febbraio 2008, essendo oggetto di sei mandati d'arresto e di un'ordinanza di detenzione provvisoria emessi tra il 2004 e il 2007, prorogati da decisioni separate della Camera d'accusa del Tribunale correzionale di Atene. Nel febbraio e nel marzo 2008 tutti i periodi di detenzione - salvo uno, che decorreva dal 4 febbraio e aveva una durata di sei mesi, poi prorogata ad un anno - venivano sostituiti da periodi di libertà sotto condizione. Il 6 aprile 2009 la Camera d'accusa estendeva la durata della detenzione del ricorrente fino al massimo autorizzato, vale a dire fino a 18 mesi. Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 5 § 1 e § 4 Cedu, poiché il suo periodo di detenzione dal 4 febbraio al 6 aprile 2009 si era svolto senza alcuna base giuridica, il suo mantenimento in detenzione provvisoria oltre un anno era contrario alla procedura interna in materia e la Camera d'accusa della Corte d'appello non aveva deciso entro un breve termine.

La Corte accoglie il ricorso.

C. eur. dir. uomo, sez. II , sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 22426/10, Keshmiri c. Turchia (importance level 3)

Il ricorrente, un cittadino iraniano, arrestato nel giugno 2008 in Turchia allorché tentava di lasciare il paese per la Grecia con l'aiuto di un falso passaporto e posto in detenzione in vista di essere espulso per l'Iran, lamenta la violazione dell'art. 5 § 1 e 4 Cedu, per essere stato oggetto di una detenzione irregolare e arbitraria e per non avere potuto disporre di un ricorso effettivo che gli permettesse di ottenere un esame giudiziario sulla legittimità della sua detenzione entro breve termine.

La Corte accoglie il ricorso.

C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 24580/06, Biziuk c. Polonia (importance level 2)

Le autorità giudiziarie nel settembre 2005 mettevano fine alla procedura diretta contro il ricorrente per diverse infrazioni, ordinando il suo ricovero in un ospedale psichiatrico. L'11 settembre 2006 i giudici stimavano che il suo stato di salute era migliorato in maniera significativa e ordinavano la sua messa in libertà. Tuttavia l'ospedale, facendo riferimento alla decisione del settembre 2005, rifiutava il rilascio del ricorrente, il quale scappava il 17 settembre 2006. Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 5 § 1 e 4 Cedu, in quanto il suo ricovero tra l'11 e il 17 settembre aveva costituito una privazione della libertà irregolare.

La Corte accoglie il ricorso. In particolare, quanto alla violazione dell'art. 5 § 1 Cedu, afferma che non è stato dimostrato che in data 11 settembre il ricorrente soffrisse di un vero disturbo mentale.

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 17 gennaio 2012, ric. n. 50717/09, Levinţa c. Moldavia (importance level 3)

I ricorrenti, cittadini moldavi, arrestati in Russia nell'ottobre 2000 e poi estradati in Moldavia, dove venivano dichiarati colpevoli di omicidio e tentato omicidio commesso in una banda organizzata, nella sentenza del 16 dicembre 2008 della Corte EDU erano stati dichiarati vittime di una violazione degli artt. 3 e 6 Cedu, dal