ISSN 2039-1676


25 luglio 2012 |

Monitoraggio Corte EDU maggio 2012

Rassegna di sentenze e decisioni della Corte EDU rilevanti in materia penale

Prosegue il monitoraggio mensile delle sentenze e delle più importanti decisioni della Corte EDU che interferiscono con il diritto penale sostanziale. La scheda mensile è, come di consueto, preceduta da una breve introduzione contenente una presentazione ragionata dei casi decisi dalla Corte, nella quale vengono segnalate al lettore le pronunce di maggiore interesse.

Tutti i provvedimenti citati sono agevolmente reperibili sul database ufficiale della Corte EDU.

 

SOMMARIO

 

1. Introduzione

2. Articolo 2 Cedu

3. Articolo 3 Cedu

4. Articolo 8 Cedu

5. Articolo 1 Prot. n. 1 Cedu

6. Articolo 3 Prot. n. 1 Cedu

  

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1. Introduzione

 

a) Tra le sentenze in tema di art. 2 Cedu vanno senz'altro menzionate le pronunce Putintseva c. Russia (in cui la Corte è tornata ad occuparsi sulla disciplina dell'uso legittimo delle armi, ravvisando una violazione sostanziale della norma in parola) e Damayev c. Russia (relativa a un'operazione militare condotta in un villaggio ceceno, in relazione alla quale i giudici europei hanno riscontrato una duplice violazione, sostanziale e procedurale, dell'art. 2).

Merita un cenno, poi, la sentenza Yelden e a. c. Turchia, in cui la Corte ha fatto corretta applicazione del criterio dell'inversione dell'onere della prova in un'ipotesi di tortura dalla quale è derivata la morte del soggetto.

Nel caso Kleyn e Aleksandrovich c. Russia, invece, la Corte non ha ravvisato alcuna violazione sostanziale dell'art. 2 Cedu, limitandosi a censurare il deficit di effettività dell'inchiesta svolta a livello interno sull'accaduto (in particolare in relazione alle scarse possibilità di partecipazione dei familiari della vittima).

b) In tema di art. 3 Cedu merita menzione anzitutto la sentenza Kaverzin c. Ucraina, in cui i giudici di Strasburgo hanno ravvisato una violazione strutturale dell'art. 3 e hanno chiesto al governo ucraino di adottare riforme sistemiche in grado di scongiurare la sottoposizione dei detenuti a pratiche di tortura e trattamenti inumani e degradanti e, in ogni caso, di permettere l'instaurazione di inchieste effettive su queste ultime: un precedente di estremo rilievo anche per le sue possibili ricadute sul nostro Paese.

Nella sentenza Labsi c. Slovacchia, invece, la Corte ha ritenuto sussistente una violazione potenziale dell'art. 3 Cedu in relazione a un provvedimento di espulsione verso l'Algeria, cui era stata data esecuzione nonostante i giudici europei avessero adottato un provvedimento cautelare sulla base della Rule 39 del regolamento della Corte.

Nella pronuncia I.G. c. Moldova, ancora, la Corte ha ritenuto violati gli obblighi di tutela penale promananti dall'art. 3 Cedu in relazione a un'ipotesi di abuso sessuale su minore sul quale non era stata condotta, a livello interno, alcuna inchiesta effettiva.

Nella sentenza Idalov c. Russia, invece, i giudici europei hanno riscontrato una duplice violazione sostanziale dell'art. 3 Cedu, anche in relazione alle condizioni in cui avveniva il trasferimento del ricorrente dal carcere al tribunale per assistere alle udienze del procedimento che lo vedeva imputato.

Si segnalano poi le sentenze M.S. c. Regno Unito e Liartis c. Grecia, in cui la Corte ha riscontrato una violazione della norma in parola in relazione al mancato apprestamento di cure mediche tempestive.

Date le incertezze applicative che talora si riscontrano in proposito, meritano menzione, infine, le   sentenze Nitsov c. Russia e Sochichiu c. Moldavia, nelle quali la Corte ha fatto corretta applicazione del criterio dell'inversione dell'onere della prova.

c) Sul fronte dell'art. 8 Cedu, si segnala anzitutto la sentenza Madah e altri c. Bulgaria,  in cui la Corte europea è tornata a pronunciarsi sulla compatibilità della espulsione amministrativa per motivi di sicurezza nazionale prevista dall'ordinamento bulgaro, ribadendo i principi affermati nel leading case C. G. e altri c. Bulgaria del 2008. Essa ha infatti affermato una violazione potenziale dell'art. 8 Cedu in relazione all'allontanamento del ricorrente (un cittadino iraniano sposato con una cittadina bulgara dalla quale aveva avuto un figlio, il quale era sospettato di traffico di stupefacenti finalizzato a finanziare gruppi separatisti curdi) considerata l'assenza di una chiara enunciazione dei motivi di adozione della misura, come prescritto dalle esigenze di legalità fatte proprie dalla citata norma convenzionale.

Sempre in materia di espulsione, per quanto la stessa non presenti ricadute immediate sotto il profilo penalistico (trattandosi di un caso di espulsione amministrativa di straniero privo di permesso di soggiorno), va segnalata anche la sentenza Rahmani c. Bulgaria, nella quale la Corte ha ritenuto manifestamente infondato il ricorso del ricorrente, sposato con una cittadina bulgara, perché nel caso di specie non vi erano motivi per escludere che questi, dopo l'esecuzione della misura, potesse comunque chiedere un nuovo permesso di soggiorno giustificato dall'esigenza di ricongiungersi con i propri familiari.

Va menzionata, infine, la sentenza R.I.P. e D.L.P c. Romania, relativa ad un caso di violenze sessuali nei confronti di un minore, nel quale la Corte ha ravvisato una violazione procedurale dell'art. 8 Cedu in relazione alla mancata apertura di un'inchiesta penale sull'accaduto. La pronuncia, che si inserisce nel filone inaugurato con la setenza M. e C. c. Romania del settembre 2011, conferma la progressiva estensione degli obblighi procedurali promanati dall'art. 8 Cedu, evidenziando l'importanza di un indagine effettiva e celere nel caso di violenze sessuali, specie ove siano coinvolti dei minori.

d) Per quel che concerne invece l'art. 1 Prot. n. 1 Cedu, riveste particolari profili di interesse la sentenza Sud Fondi e altri c. Italia, della quale si è già dato conto in questa Rivista. Nella pronuncia, che mette la parola fine alla interminabile vicenda degli "Ecomostri" di Punta Perotti, la Corte, pronunciandosi sulla richiesta di risarcimento presentata dalle società costruttrici Sud Fondi, Mabar e Iami per la confisca dei terreni siti in Bari presso la zona costiera di Punta Perotti e del complesso immobiliare che su di essi insisteva, ha riconosciuto alle medesime a titolo di equa riparazione ex art. 41 Cedu, 49 milioni di euro complessivi, a fronte di una richiesta da parte delle ricorrenti di 571 milioni di euro.  

e) Particolarmente significativa - soprattutto per quanto riguarda le sue ripercussioni sul nostro ordinamento - è la sentenza Scoppola c. Italia (n. 3), in cui la Grande Camera - chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con l'art. 3 Prot. 1 Cedu della disciplina italiana sull'interdizione dei pubblici uffici da cui discende, ai sensi dell'art. 28 comma 1 n. 1 c.p., la privazione dell'elettorato attivo e passivo - ha escluso (con sedici voti a favore e un solo dissenso) una violazione della norma in parola ribaltando la pronuncia resa dalla seconda sezione nel gennaio 2011 (sul punto si rinvia all'approfondita analisi di Angela Colella, in questa Rivista). (Introduzione a cura di Lodovica Beduschi e Angela Colella).

 

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2. Articolo 2 Cedu

 

C. eur. dir. uomo, sez. I, 3 maggio 2012, ric. n. 40657/04, Kleyn e Aleksandrovich c. Russia (importance level 2)

Il ricorso è proposto dai familiari di una donna deceduta, secondo le autorità russe, dopo essersi gettata dalla finestra dei bagni del commissariato durante le fasi di arresto per il reato di furto con strappo e, precisamente, in un tentativo di fuga. I ricorrenti lamentano la scarsa credibilità della versione fornita dalle autorità e denunciano l'assenza di un'inchiesta effettiva.

La Corte rileva come non sussistano elementi idonei a sostenere l'ipotesi di omicidio doloso e, anzi, osserva come la spiegazione del governo russo sia credibile alla luce di diversi elementi di riscontro. Per tale motivo, non viene riconosciuta alcuna violazione diretta dell'art. 2 Cedu, così come nessuna negligenza da parte delle autorità in grado di configurare una violazione dell'obbligo sostanziale di tutela del diritto alla vita. Tuttavia, l'inchiesta aperta su istanza dei familiari non risulta essere stata effettiva e, in particolare, ha visto riconosciute scarse possibilità di partecipazione per questi ultimi (ai quali non è stato neanche notificato il provvedimento di non luogo a procedere) e, per tale motivo, viene riconosciuta una violazione del profilo procedurale dell'obbligo di tutela derivante dall'art. 2 Cedu.

C. eur. dir. uomo, sez. I, 3 maggio 2012, ric. n. 49379/09, Shafiyeva c. Russia (importance level 3)

Il ricorso trae origine dal rapimento del marito della ricorrente, residente nella repubblica del Daghestan, ad opera di diversi soggetti che, introdottisi nella sua auto, lo conducevano via. Da allora non vi è stata più notizia di costui e l'inchiesta aperta dalle autorità non ha condotto ad alcun risultato.

La Corte osserva come una violazione del diritto alla vita sia stata di frequente riconosciuta in analoghi casi di sparizione avvenuti nella repubblica cecena ma ritiene, tuttavia, che tale indirizzo non possa essere confermato in relazione alla presente vicenda alla luce delle diverse circostanze di fatto, tanto ambientali (assenza di coprifuoco e di restrizioni alla circolazione dei veicoli) quanto specifiche (assenza di elementi in grado di indicare l'appartenenza dei rapitori a servizi governativi). Nondimeno, la scarsa effettività dell'inchiesta aperta per far luce sui fatti, nella quale peraltro non sono mai stati sentiti i testimoni del rapimento, comporta una violazione del profilo procedurale dell'obbligo di tutela derivante dall'art. 2 Cedu.

C. eur. dir. uomo, sez. II, 3 maggio 2012, ric. n. 16850/09, Yelden e a. c. Turchia (importance level 3)

I ricorrenti sono i familiari di un soggetto deceduto durante le fasi di ricovero coatto in ospedale successivo alla sottoposizione a misura cautelare detentiva nell'ambito di un'inchiesta su di un omicidio. Secondo la versione delle autorità, al momento delle formalità per la rimessione in libertà, egli sarebbe improvvisamente caduto in uno stato maniaco-depressivo e deceduto a causa di un trauma cranico dovuto ad un forte colpo contro il pavimento subito nel tentativo di divincolarsi dai medici. Visti i risultati dell'autopsia, che faceva emergere diverse ecchimosi sotto le piante dei piedi, veniva tuttavia aperta un'indagine per omicidio a carico degli agenti che avevano custodito il soggetto, i quali erano infine assolti per asserita mancanza di prove, pur essendosi affacciata nel procedimento l'ipotesi che egli fosse stato sottoposto alla tortura della falaka (consistente, appunto, nella sottoposizione a multiple percosse sotto le piante dei piedi).

La Corte riconosce una violazione del volet matériel del diritto alla vita ritenendo poco credibile l'ipotesi secondo la quale i traumi cranici sarebbero stati causati da cadute del ricorrente durante le colluttazioni e, invece, sussistente un legame causale tra i maltrattamenti consistenti nella pratica della falaka, dimostrata dalle ecchimosi sotto i piedi, e la morte del soggetto (la quale, in ogni caso, non è stata spiegata in modo credibile dal governo resistente). L'ineffettività dell'inchiesta e la lunghezza del procedimento comportano, altresì, una violazione dell'art. 2 Cedu sotto il profilo procedurale degli obblighi di tutela da esso promananti.

C. eur. dir. uomo, sez. I, 10 maggio 2012, ric. n. 33498/04, Putintseva c. Russia (importance level 2)

La ricorrente è la madre di un militare russo che, internato in una sezione disciplinare, colpiva alla testa un caporale mentre quest'ultimo tentava di perquisirlo. Nel trasferimento ad una diversa unità di detenzione, il caporale medesimo, al fine di impedire la fuga del militare, gli sparava nelle natiche, causandone la morte. L'inchiesta sui fatti si chiudeva con l'assoluzione del caporale poiché veniva ravvisata un'ipotesi di uso legittimo delle armi.

La Corte riconosce che l'inchiesta è stata effettiva e portata avanti da autorità indipendenti e che, pertanto, sebbene questa si sia chiusa con un esito sfavorevole alla ricorrente, non vi è stata violazione del profilo procedurale degli obblighi di tutela derivanti dall'art. 2 Cedu. Proprio sulla base delle stesse risultanze dell'indagine, tuttavia, viene riconosciuta una violazione degli obblighi di tutela penale di matrice sostanziale dato che niente permette di ritenere che l'utilizzo delle armi fosse necessario o che il caporale fosse stato istruito sui modi per neutralizzare eventuali tentativi di recidiva del soggetto poi deceduto, tenendo anche conto del fatto che appare alquanto imprudente la scelta di aver affidato la scorta di quest'ultimo alla stessa persona precedentemente coinvolta nell'episodio dal quale era scaturito l'arresto.

C. eur. dir. uomo, sez. V, 15 maggio 2012, ric. n. 30720/09, H.N. c. Svezia (importance level 3)

Il ricorrente è un cittadino del Burundi a cui è stata negato l'asilo politico e il quale denuncia il rischio, in caso di espulsione, di essere sottoposto ad atti contrari all'art. 3 Cedu e alla pena di morte.

La Corte non rileva sussistente un reale rischio di sottoposizione ad atti contrari agli artt. 2 e 3 Cedu (ossia condanna a morte o tortura e altri trattamenti inumani e degradanti) e, pertanto, ritiene che un'eventuale espulsione disposta dalle autorità svedesi sarebbe compatibile con la Convenzione.

C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 22 maggio 2012, ric. n. 1099/08, Miladenovic c. Serbia (importance level 3)

La ricorrente lamenta la violazione procedurale dell'art. 2 Cedu per l'ineffettività dell'inchiesta penale in merito alla morte del figlio, ucciso accidentalmente nel luglio del 1991 da un poliziotto fuori servizio, intervenuto per sedare una rissa tra alcuni giovani. La Corte europea, riconosciuta la propria competenza ratione temporis esclusivamente con riferimento ai fatti avvenuti successivamente al 2004 (anno in cui la Serbia ha ratificato la convenzione), riconosce una violazione procedurale dell'art. 2 Cedu per via dell'eccessiva durata del processo celebratosi a livello nazionale che al momento della pronuncia della Corte (ovvero otto anni dopo la ratifica della Convenzione) era ancora pendente.

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 29 maggio 2012, ric. n. 36150/04, Damayev c. Russia (importance level 3)

Il caso riguardo l'operazione di bombardamento di un villaggio ceceno ad opera dei militari russi avvenuta nell'aprile del 2004, durante la quale venivano uccisi la moglie e i cinque figli del ricorrente.

La Corte europea conclude per una violazione sostanziale e procedurale dell'art. 2 Cedu, sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello procedurale. Quanto al primo profilo, essa ritiene che l'uso della forza da parte delle autorità russe doveva ritenersi non giustificato e quindi sproporzionato in assenza di una minaccia concreta e specifica per la sicurezza pubblica. Per quel che concerne, invece, il profilo procedurale, i giudici europei rilevano che le autorità russe avevano avviato le indagini con ritardo (otto giorni dopo l'accaduto) e che esse erano state condotte superficialmente e presentavano gravi lacune (nessuno dei militari coinvolti nell'accaduto era mai stato interrogato); inoltre, il ricorrente non era stato informato della decisione di archiviare l'inchiesta per insufficienza di prove e, pertanto, non aveva avuto il diritto di opporsi a tale provvedimento. Per tali ragioni, dunque, i giudici europei accordano al ricorrente 300,000 euro a titolo di risarcimento per il danno non patrimoniale subito.

Per contro, essi escludono la violazione dell'art. 3 Cedu in relazione alla sofferenza patita dal ricorrente per la morte dei suoi familiari in quanto i medesimi non erano stati arrestati né detenuti dalle autorità russe; nonché la violazione degli art. 1 Prot. n.  1 e 8 Cedu in relazione alla distruzione della propria abitazione durante il bombardamento perché il ricorrente non ha fornito informazioni sufficienti in merito alla quantificazione del danno subito.

 

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3. Articolo 3 Cedu

 

C. eur. dir. uomo, sez. IV, 3 maggio 2012, ric. n. 24527/08, M.S. c. Regno Unito (importance level 2)

Il ricorrente viene sottoposto a una misura cautelare detentiva, tale da consentire l'internamento di un alienato per 72 ore al fine di sottoporlo ad un esame psichiatrico, in quanto fermato in stato di estrema agitazione. A causa di un ritardo nella procedura di internamento in una clinica psichiatrica, egli finisce per trascorrere più di tre giorni in stato custodiale privo, peraltro, di ogni assistenza medico-psichiatrica.

La Corte riconosce la legittimità del momento genetico della misura custodiale applicata al ricorrente ma, ciò nonostante, sottolinea come egli necessitasse di immediate cure psichiatriche e che, pertanto, nel periodo di custodia ha subito trattamenti contrari all'art. 3 Cedu, essenzialmente dovuti ad una colpevole assenza di coordinamento tra le autorità di sicurezza e quelle sanitarie.

C. eur. dir. uomo, sez. I, 3 maggio 2012, ric. n. 35389/04, Nitsov c. Russia (importance level 3)

Il ricorrente sostiene di aver subito atti di tortura durante la sottoposizione a misura cautelare detentiva preposta in relazione all'accusa di tentativo di omicidio di un poliziotto, nonostante che egli avesse già confessato il delitto. Egli lamenta, in particolare, la violazione dell'art. 3 Cedu in relazione ad entrambi i profili, sostanziale e procedurale, data l'ineffettività dell'inchiesta aperta sui fatti.

La Corte, in applicazione dei propri principi in tema di ripartizione dell'onere della prova in casi del genere, osserva come il governo resistente non abbia saputo giustificare l'origine delle lesioni riportate dal ricorrente e, pertanto, rileva una violazione dell'art. 3 Cedu, non potendo peraltro rilevarsi una "minima gravità" delle stesse. Un'ulteriore violazione è rilevata per ciò che concerne il profilo procedurale dell'obbligo di tutela derivante dalla stessa disposizione in relazione all'ineffettività dell'indagine.

C. eur. dir. uomo, sez. I, 3 maggio 2012, ric. n. 23880/05, Salikhov c. Russia (importance level 2)

Il ricorrente sostiene che, durante l'interrogatorio al quale è stato sottoposto in relazione all'accusa di violenza sessuale, egli è stato sottoposto a maltrattamenti di vario genere al fine di ottenere una confessione, così come a un tentativo di prelievo forzato del sangue. Altri maltrattamenti sarebbero stati posti in essere durante un successivo trasferimento in udienza e, in entrambi i casi, nessuna inchiesta effettiva sarebbe stata aperta. Infine, egli lamenta la contrarietà delle condizioni di custodia cautelare all'art. 3 Cedu, nonché l'iniquità della procedura connessa all'impossibilità di controinterrogare i testimoni a carico.

La Corte dichiara violato l'art. 3 Cedu sia relativamente al suo volet matériel sia per ciò che concerne l'obbligo procedurale di inchiesta effettiva che la disposizione impone agli Stati membri.

C. eur. dir. uomo, sez. I, 10 maggio 2012, ric. n. 7788/11, A.L. c. Austria (importance level 3)

Il ricorrente è un cittadino togolese la cui richiesta di asilo in Austria, motivata dal rischio di essere perseguitato e ucciso in relazione all'appartenenza ad un partito di opposizione e alle minacce ricevute dai soldati togolesi in occasione di una protesta organizzata nell'estate del 2008 contro la distribuzione degli aiuti per le vittime di un'inondazione, viene respinta con la conseguente adozione di un ordine di espulsione.

La Corte osserva come, sulla base dei diversi rapporti sulla situazione politica in Togo, non possa ritenersi sussistente un autentico rischio per il ricorrente di sottoposizione ad atti di tortura e, pertanto, dichiara che l'eventuale espulsione dello stesso non sarebbe contraria all'art. 3 Cedu.

C. eur. dir. uomo, sez. I, 10 maggio 2012, ric. n. 16906/10, Liartis c. Grecia (importance level 2)

Il ricorrente è un cittadino greco detenuto nel penitenziario di Tiryntha il quale denuncia la mancanza di cure mediche in relazione al tumore benigno al cervello e alla lombalgia acuta di cui soffre.

La Corte rileva che, quanto alla prima malattia, le autorità hanno fatto tutto ciò che si poteva ragionevolmente esigere per un adeguato trattamento, anche in considerazione del rifiuto del ricorrente di sottoporsi ad intervento chirurgico e, pertanto, rigetta tale motivo di ricorso. Per ciò che concerne la lombalgia acuta, invece, il fatto che il ricorrente sia stato sottoposto a trattamento chirurgico solo due anni dopo la diagnosi medica che indicava tale intervento come necessario viene ritenuto configurante una violazione dell'art. 3 Cedu.

C. eur. dir. uomo, sez. I, 10 maggio 2012, ric. n. 41558/05, Glotov c. Russia (importance level 3)

Il ricorrente è un cittadino russo che lamenta la contrarietà delle condizioni di detenzioni alle quali è stato sottoposto nel penitenziario di Mosca da marzo a ottobre 2005, con particolare riferimento alla situazione di sovraffollamento, all'art. 3 Cedu.

La Corte, anche riferendosi ai propri precedenti in materia riguardanti le carceri russe, dichiara l'art. 3 Cedu violato in considerazione dello spazio esiguo a disposizione di ogni singolo detenuto e della collocazione dei servizi igienici nella cella, tale da non consentire un'adeguata riservatezza e un livello di igiene accettabile.

C. eur. dir. uomo, sez. V, 15 maggio 2012, ric. n. 23893/03, Kaverzin c. Ucraina (importance level 2)

Il ricorrente è un cittadino ucraino considerato estremamente pericoloso e condannato all'ergastolo per aver commesso diversi omicidi. Egli denuncia i trattamenti subiti, successivamente all'arresto, nel periodo trascorso in custodia cautelare e che sono attestati dai certificati medici rilasciati in occasione di un ricovero ospedaliero, nei quali si segnalavano le diverse ecchimosi presenti su varie parti del corpo. Inoltre, egli lamenta il fatto che il procuratore che avrebbe dovuto aprire un'inchiesta sui fatti ha ritenuto indebitamente tali lesioni riconducibili alle fasi concitate di arresto, decidendo così di non procedere ad indagini nei confronti degli agenti di guardia. Il ricorrente sostiene, altresì, di essere divenuto cieco a causa degli errori nella diagnosi e nel trattamento delle lesioni riportate all'occhio e, infine, egli lamenta i maltrattamenti subiti durante la detenzione nel penitenziario di Dnepropetrovsk, perpetrati nonostante la sua oramai certificata cecità.

La Corte ritiene gli agenti di polizia responsabili delle lesioni riportate dal ricorrente, dato che i certificati medici mostrano come queste non siano state provocate nelle fasi di arresto bensì in un momento successivo, da individuare nel periodo trascorso in custodia (e, d'altra parte, il governo ucraino non ha saputo fornire alcuna prova contraria rispetto alle allegazioni del ricorrente); peraltro, data la gravità delle lesioni riportate, l'art 3 Cedu viene ritenuto violato sotto lo specifico profilo del divieto di tortura. La Corte rileva altresì una violazione degli obblighi procedurali derivanti dalla medesima disposizione a causa dell'ineffettività di ogni inchiesta sui fatti, sin dal primo rifiuto di procedere da parte del procuratore competente. Costituiscono ancora violazione dell'art. 3 Cedu l'assenza di ogni trattamento medico della lesione all'occhio del ricorrente, che ne ha cagionato la successiva cecità, ed i trattamenti subiti durante l'esecuzione della pena (con particolare riferimento all'utilizzo di manette rispetto ad un soggetto cieco e che non risultava aver mai tentato la fuga). Considerata, infine, la natura "strutturale" della violazione, data la frequenza con la quale l'Ucraina viene condannata per vicende analoghe, vengono richieste al governo riforme sistemiche in grado di scongiurare pratiche di tortura e trattamenti inumani e degradanti o, in ogni caso, di permettere l'instaurazione di inchieste effettive.

C. eur. dir. uomo, sez. III, 15 maggio 2012, ric. n. 33809/08, Labsi c. Slovacchia (importance level 2)

Il ricorrente è un cittadino algerino che, espulso dalla Francia, arrivava in Slovacchia (dove si sposava con una cittadina slovacca) formulando invano tre domande di asilo giustificate dal fatto di essere stato condannato all'ergastolo in Algeria, dove pertanto avrebbe rischiato di subire trattamenti contrari all'art. 3 Cedu. Nonostante che proprio in considerazione di tale ragione le giurisdizioni slovacche non ne avessero inizialmente autorizzato l'estradizione e che la stessa Corte europea avesse intimato allo Stato di non procedere all'espulsione ai sensi dell'art. 39 Cedu, tale misura veniva infine adottata a seguito del rigetto della terza richiesta di asilo.

La Corte ritiene l'art. 3 Cedu violato alla luce del rischio per il ricorrente di essere sottoposto a trattamenti vietati dalla disposizione, il quale è attestato dalla decisione in tema di estradizione emessa dalle stesse giurisdizioni slovacche e da diversi rapporti di organizzazioni non governative. Viene rilevata, inoltre, una violazione dell'art. 34 Cedu in relazione all'inottemperanza al provvedimento cautelare adottato dalla Corte ai sensi dell'art. 39 Cedu.

C. eur. dir. uomo, sez. V, 15 maggio 2012, ric. n. 52077/10, S.F. e a. c. Svezia (importance level 2)

I ricorrenti sono due coniugi iraniani e il loro figlio, di nazionalità iraniana ma nato in Svezia. I due coniugi arrivarono in Svezia dall'Iran chiedendo asilo sulla base del rischio di persecuzioni nel Paese di origine connesso alle attività svolte a favore della causa curda, per le quali erano stati già sottoposti a misure detentive. Visto il rigetto delle domande di asilo, lamentano una possibile violazione dell'art. 3 Cedu qualora dovessero essere espulsi verso l'Iran.

La Corte, ribadendo il generale divieto di espulsione verso Paesi sospetti di praticare la tortura o altri trattamenti inumani e degradanti, osserva che la situazione in Iran è andata peggiorando successivamente alla decisione delle autorità svedesi e che l'esecuzione dell'espulsione metterebbe effettivamente a rischio i ricorrenti rispetto ad atti contrari all'art. 3 Cedu. Per tale motivo, viene adottata una misura provvisoria ai sensi dell'art. 39 Cedu volta ad impedire l'espulsione dei ricorrenti fino a che la Corte non abbia riesaminato il caso.

C. eur. dir. uomo, sez. III, 15 maggio 2012, ric. n. 38623/05, Plotnicova c. Moldova (importance level 3)

La ricorrente lamenta, accanto ad alcune violazioni relative all'equità del processo intentato nei sui confronti, le condizioni di detenzione alle quali è stata sottoposta in esecuzione di una condanna a dieci anni di reclusione, con particolare riferimento all'assenza di cure mediche e alla qualità del cibo.

La Corte dichiara violato l'art. 3 Cedu in relazione alle condizioni di detenzione, considerate le diverse e puntuali allegazioni della ricorrente e la contestuale assenza di elementi contrari forniti dal governo resistente.

C. eur. dir. uomo, sez. III, 15 maggio 2012, ric. n. 28698/09, Sochichiu c. Moldova (importance level 3)

Il ricorrente lamenta i maltrattamenti subiti ad opera della polizia in occasione del suo arresto e l'assenza di un'inchiesta effettiva volta ad accertare le relative responsabilità. In particolare, egli dichiara di aver ricevuto un colpo sulla testa ancorché l'utilizzo della forza non fosse giustificato, dato che egli non era ricercato né tantomeno armato.

La Corte rileva una violazione dell'art. 3 Cedu, tanto sotto il profilo sostanziale quanto sotto il profilo procedurale, in considerazione degli elementi forniti dal ricorrente (tra i quali un video dell'arresto) attestanti l'avvenuto pestaggio e dell'ineffettività dell'inchiesta aperta sui fatti, nella quale non sono neanche stati sentiti i diversi testimoni che avevano assistito alle fasi di arresto.

C. eur. dir. uomo, sez. V, 15 maggio 2012, ric. n. 16567/10, Nacic e a. c. Svezia (importance level 2)

I ricorrenti sono due coniugi di origine rom e i loro figli, fuggiti in Svezia nel 2006 dopo che, a seguito dell'inizio della guerra in Kosovo, la diserzione del padre aveva dato luogo a diverse minacce di ritorsioni da parte dei militari serbi e aveva costretto la famiglia a nascondersi in casa di conoscenti. Le domande di asilo e di permesso di soggiorno in Svezia, tuttavia, venivano rigettate, ad eccezione di quella relativa al permesso di soggiorno richiesto da uno dei figli in quanto affetto da malattie mentali. Essi denunciano il rischio di violazione dell'art. 3 Cedu e la violazione dell'art. 8 Cedu in caso di eventuale espulsione.

La Corte rigetta entrambi i motivi di ricorso rilevando, anzitutto, l'insussistenza di un reale rischio di sottoposizione a trattamenti contrari all'art. 3 Cedu in caso di espulsione. Quanto alla doglianza dedotta dall'art. 8 Cedu, la Corte osserva come debba ritenersi corretta la valutazione delle autorità svedesi le quali hanno ritenuto lo stato di salute del ricorrente che ha ottenuto il permesso di soggiorno comunque compatibile con un ritorno in patria assieme alla propria famiglia, cosicché un'eventuale espulsione degli altri ricorrenti non comporterebbe necessariamente una separazione del nucleo familiare.

C. eur. dir. uomo, sez. V, 15 maggio 2012, ric. n. 51671/07, Grigoryev c. Ucraina (importance level 3)

Il ricorrente è detenuto attualmente in esecuzione di una condanna per omicidio e altri gravi delitti. Egli lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu in relazione agli atti di tortura subiti in occasione del suo arresto e diverse violazioni delle garanzie processuali sancite dall'art. 6 Cedu.

La Corte, basandosi sui referti medici e sull'assenza di prova contraria circa la provenienza delle lesioni fornita dal governo resistente, rigettando contestualmente l'argomento della "minima entità" delle stesse, rileva una violazione dell'art. 3 Cedu tanto sotto il profilo sostanziale quanto sotto quello procedurale, vista l'assenza di ogni inchiesta effettiva. Le doglianze relative ai profili processuali vengono anch'esse accolte.

C. eur. dir. uomo, sez. III, 15 maggio 2012, ric. n. 53519/07, I.G. c. Moldova (importance level 3)

La ricorrente sostiene di aver subito violenza sessuale da parte di un conoscente quando aveva l'età di 14 anni e lamenta il fatto che, nonostante l'avvenuta denuncia, le autorità non hanno posto in essere alcuna inchiesta effettiva, peraltro chiedendole di produrre elementi in grado di riscontrare l'opposta resistenza.

La Corte, puntualizzando di non volersi pronunciare sulla colpevolezza del presunto autore dei fatti, rileva una violazione del profilo procedurale dell'obbligo di tutela penale promanante dall'art. 3 Cedu in relazione alle condotte integranti violenza sessuale, le quali richiedono un'inchiesta effettiva e celere, soprattutto in caso di coinvolgimento di minori, che nel caso di specie non è stata posta in essere. Le doglianze proposte ex artt. 8, 13 e 14 Cedu vengono ritenute assorbite nella precedente statuizione.

C. eur. dir. uomo, sez. IV,  dec. 22 maggio 2012, ric. n. 61533/10, H.A.L. c. Regno Unito (importance level 3)

Il ricorrente, un cittadino dello Sri Lanka di etnia Tamil, lamenta il rischio di subire torture connesso alla sua possibile espulsione verso il paese di origine, teatro di una recente guerra civile tra le forze governative e le Tigri di liberazione del Tamil. La Corte, tuttavia, dichiara inammissibile il ricorso non ritenendo credibile l'allegazione del ricorrente, secondo il quale l'espulsione verso il suo paese di origine lo avrebbe inevitabilmente condannato a subire trattamenti inumani e degradanti contrarie all'art. 3 Cedu.

C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 22 maggio 2012, ric. n. 5826/03, Idalov c. Russia (importance level 1)

Il ricorrente, che attualmente sta scontando una condanna alla pena di dieci anni di reclusione per delitti in materia di stupefacenti, lamenta una violazione degli artt. 3 (in relazione alle  condizioni di detenzione durante la custodia cautelare in carcere); 5 (per quel che concerne l'illegittimità e l'eccessiva durata della detenzione preventiva); 6 (sotto il profilo della durata irragionevole del processo) nonché dell'art. 8 Cedu (per i controlli esercitati dalle autorità penitenziarie sulla sua corrispondenza indirizzata alla Corte di Strasburgo).

I giudici europei concludono, anzitutto, per una violazione dell'art. 3 Cedu per il solo fatto che il ricorrente, durante la custodia cautelare in carcere (dall'ottobre 2002 al dicembre 2003) aveva a disposizione uno spazio personale di soli 3 metri quadri. Inoltre, essi riscontrano una violazione della norma in parola anche con riferimento ai trasferimenti del ricorrente dall'istituto penitenziario nel quale era detenuto al tribunale per assistere alle udienze perché questi veniva costretto a viaggiare in piedi, per diverse ore, all'interno di furgoni di 11 metri quadrati, insieme ad altre 25-36 persone, senza ricevere cibo o acqua.

La Corte ravvisa altresì una violazione degli artt. 5 §§ 3 e 4 Cedu (in relazione alla durata della custodia cautelare e del procedimento di riesame) e 8  Cedu (perché i controlli della corrispondenza del ricorrente indirizzata alle autorità di Strasburgo non erano previsti dalla legge). Essa esclude invece una violazione dell'art. 6 Cedu ritenendo ragionevole la durata del processo nei confronti del ricorrente (protrattosi per quasi cinque anni) in ragione della difficoltà della ricostruzione e della qualificazione giuridica dei fatti contestati

C. eur. dir. uomo, sez. I, dec. 29 maggio 2012, ric. n. 61835/11, Abdulgadir e Mohamednur c. Svezia (importance level 3)

Le ricorrenti, cittadine eritree, sono entrambe affette da disturbi psichici e fisici: la prima soffre di Alzheimer e la seconda di una grave patologia alla pelle. Invocando l'art. 3 Cedu, lamentano il rischio di non essere sottoposte a trattamenti medici adeguati connesso alla loro possibile espulsione verso il paese di origine. La Corte, tuttavia, dichiara inammissibile il ricorso ritenendo che le ricorrenti avrebbero potuto essere sottoposte a cure adeguate anche in Eritrea.

C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 29 maggio 2012, ric. n. 37862/02, Epners-Gefners c. Lituania (importance level 3)

Il ricorrente, detenuto, lamenta la violazione degli artt. 3 (perché le autorità carcerarie si erano rifiutate di fornirgli le protesi dentarie di cui questi necessitava ma che non poteva permettersi di acquistare) e 8 Cedu, in relazione alle restrizioni imposte ai suoi contatti con i familiari.

La Corte rigetta entrambi i motivi di gravame. In particolare, con riferimento all'asserita violazione dell'art. 3 Cedu, la Corte opera una distinzione rispetto alla sua precedente decisione nel caso V.D. c. Romania (del 16 febbraio 2010), escludendo che nel caso di specie il ricorrente necessitasse di un impianto di protesi dentarie. Per quel che concerne, invece, l'art. 8 Cedu, i giudici europei, invece, ritengono che il ricorrente non abbia subito alcune restrizione al suo diritto di visite da parte dei familiari (il medesimo infatti riceveva mensilmente visite da parte della moglie e dei figli).

C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 29 maggio 2012, ric. n. 16563/08, Julin c. Estonia (importance level 2)

Il ricorrente-detenuto, a seguito di un alterco con le guardie penitenziarie, veniva ammanettato al letto per un periodo di nove ore. La Corte europea riconosce una violazione dell'art. 3 Cedu, rilevando come tale misura - pur dovendo ritenersi inizialmente giustificata in ragione della pericolosità del ricorrente - era stata eseguita per un periodo di nove ore in assenza di un pericolo attuale per la salute del ricorrente o di terzi in quanto il ricorrente era detenuto in isolamento in una cella singola e inoltre, dopo essere stato immobilizzato dalle autorità penitenziarie, aveva mantenuto un atteggiamento tranquillo. 

C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 29 maggio 2012, ric. n. 18364/06, Grzywaczewski c. Polinia (importance level 3)

Il ricorrente, un detenuto diabetico, lamenta una violazione dell'art. 3 Cedu in relazione all'inadeguatezza delle condizioni della detenzione sotto il profilo del sovraffollamento, delle condizioni igieniche e dell'inadeguatezza delle cure mediche apprestate dalle autorità carcerarie. La Corte accoglie il ricorso rilevando come il ricorrente avesse a disposizione solo 2,1 mq di spazio personale e che la conseguente mancanza di intimità, nonché il sovraccarico dei servizi igienici e la continua tensione e violenza tra detenuti integrano un trattamento inumano e degradante  in considerazione delle sue particolari condizioni di salute.

 

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4. Articolo 8 Cedu

 

C. eur. dir. uomo, sez. IV, 10 maggio 2012, ric. n. 20116/08, Rahmani e Dineva c. Bulgaria (importance level 2)

I ricorrenti sono due coniugi, un cittadino algerino, residente in Bulgaria senza permesso di soggiorno, e la moglie bulgara, che lamentano una violazione degli artt. 5 e 8 Cedu in relazione alla detenzione cui è stato sottoposto il primo in vista del suo riaccompagnamento alla frontiera. In particolare, essi ritengono la prima misura disposta per una durata eccessiva ed in assenza di ricorsi effettivi per contestarne la legalità e la seconda contraria al diritto al rispetto della vita privata e familiare, avendo come effetto la separazione dei due coniugi.

La Corte rileva una violazione dell'art. 5, § 4, vista l'assenza di ricorsi effettivi per contestare la legalità della privazione della libertà personale, mentre dichiara inammissibile la doglianza relativa al § 1, lett. f), per mancato esaurimento dei rimedi nazionali. Quanto alla compatibilità dell'eventuale riaccompagnamento alla frontiera con l'art. 8 Cedu, la Corte ritiene il motivo di ricorso manifestamente infondato poiché non vi è alcun elemento tale da far ritenere che anche dopo l'esecuzione di tale misura il ricorrente algerino non possa chiedere un nuovo visto ed un permesso di soggiorno giustificato dall'esigenza di ricongiungersi alla moglie.

C. eur. dir. uomo, sez. IV, 10 maggio 2012, ric. n. 45237/08, Madah e a. c. Bulgaria (importance level 3)

I ricorrenti sono due coniugi, un cittadino iraniano e una cittadina bulgara, e il rispettivo figlio (anch'egli di nazionalità bulgara) che lamentano la contrarietà agli artt. 3 e 8 della Convenzione dell'ordine di espulsione emesso a carico del primo ricorrente per motivi di sicurezza nazionale in relazione ai sospetti di concorso in traffico di stupefacenti finalizzato a finanziare gruppi separatisti curdi.

La Corte, in considerazione della mancata allegazione di elementi in grado di mostrare un reale rischio di sottoposizione ad atti contrari all'art. 3 Cedu, dichiara inammissibile tale motivo di ricorso in quanto manifestamente infondato. Tuttavia, la stessa Corte osserva come l'espulsione si porrebbe in contrasto con l'art. 8 Cedu, provocando una operazione del nucleo familiare, vista l'assenza di una chiara enunciazione dei motivi dell'adozione della misura in un qualsiasi atto pubblico, il che risulta contrario alle esigenze di legalità fatte proprie dalla disposizione.

C. eur. dir. uomo, sez. III, 10 maggio 2012, ric. n. 27782/10, R.I.P. e D.L.P. c. Romania (importance level 3)

I ricorrenti sono due fratelli di cittadinanza romena che lamentano la mancanza di un'inchiesta effettiva rispetto alla denuncia di violenza sessuale da parte del nonno ai danni della madre. In particolare, l'indagine risulta essere in una fase di stallo dal momento della proposizione della denuncia (nel 2011), nonostante i diversi elementi a carico del nonno, e caratterizzata da un'assoluta mancanza di comunicazione con le parti offese.

La Corte rileva una violazione del profilo procedurale dell'obbligo di tutela penale promanante dall'art. 8 Cedu in relazione alle condotte integranti una violazione dell'integrità fisica o mentale della persona le quali richiedono un'inchiesta effettiva e celere, soprattutto in caso di coinvolgimento di minori.

 

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5. Articolo 1 Prot. n. 1 Cedu

 

C. eur. dir. uomo, sez. II, 10 maggio 2012, ric. n. 75909/01, Sud Fondi e a. c. Italia (importance level 3)

La decisione è l'ultima tappa della lunga vicenda relativa alla confisca urbanistica dei terreni siti a Bari in località Punta Perotti subita dalle società Sud Fondi, Mabar e Iema, successivamente ritenuta dalla stessa Corte europea avente natura penale (nella prima decisione di ammissibilità del ricorso del 30 agosto 2007) e contraria agli artt. 7 Cedu e 1 Prot. n. 1, in quanto disposta in assenza della formulazione di un giudizio di colpevolezza degli imputati per il reato loro ascritto (sentenza sul merito del 20 gennaio 2009).

Dopo un lungo lasso di tempo in cui è stato modo allo Stato italiano di riparare alle conseguenze patrimoniali delle violazioni riscontrate, la Corte decide di accordare un'equa soddisfazione economica (49 milioni di euro in totale) nonostante la revoca della confisca dei terreni disposta dal Tribunale di Bari. Tale provvedimento, infatti, non ha potuto che riparare parzialmente il pregiudizio subito dai ricorrenti, atteso che devono essere considerati anche elementi quali: 1) i costi di costruzione degli edifici successivamente demoliti; 2) il fatto che la restituzione dei terreni non è stata integrale rispetto alla parte acquisita nel 1993, dato che si attende ancora una delibera specifica del Comune di Bari in tal senso; 3) il pregiudizio subito nel periodo intercorrente tra l'esecuzione della confisca e la sua revoca.

 

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6. Articolo 3 Prot. n. 1

 

C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 22 maggio 2012, ric. n. 126/05, Scoppola c. Italia (n. 3)

La Grande Camera - chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con l'art. 3 Prot. 1 della disciplina italiana sull'interdizione dei pubblici uffici da cui discende, ai sensi dell'art. 28 comma 1 n. 1 c.p. - la privazione dell'elettorato attivo e passivo - ha escluso (con sedici voti a favore e un solo dissenso) una violazione della norma in parola ribaltando la pronuncia resa dalla seconda sezione nel gennaio 2011. In particolare, richiamato il leading case in materia Hirst c. Regno Unito, essa ha ritenuto che il contrasto con l'art. 3 Prot. 1 si verifica esclusivamente quando la privazione del diritto di elettorato attivo costituisce una misura generale, automatica e indiscriminata e si fonda esclusivamente sulla pronuncia di una sentenza di condanna. Ciò posto, essa ha escluso il carattere generale, automatico e indiscriminato della disciplina italiana della privazione dell'elettorato attivo e passivo dei detenuti, affermando che il legislatore italiano - nello stabilire che la stessa consegua a una condanna ad almeno tre anni di reclusione, o alla condanna realizzata con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione o a un pubblico uffici - ha preso in considerazione la gravità e la natura dei reati che determinano la privazione del diritto di voto; mentre non è necessario che tali elementi siano concretamente valutati dal giudice di merito.