ISSN 2039-1676


06 settembre 2012 |

Secondo la Corte di Giustizia UE, l'inammissibilità  della costituzione di parte civile contro l'ente imputato ex d.lgs. 231/01 non è in contrasto col diritto dell'Unione

Corte di Giustizia UE, sez. II, sent. 12 luglio 2012, Giovanardi, C-79/11

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1. Con ordinanza del 9.2.2011 il Tribunale di Firenze, dopo aver rilevato che la disciplina descritta dal d.lgs. 231/2001 sulla 'responsabilità amministrativa da reato' degli enti non prevede la possibilità per il danneggiato di costituirsi parte civile contro l'ente imputato, e dopo aver rilevato che, in base a un diffuso orientamento giurisprudenziale, non è possibile colmare tale lacuna attraverso un'estensione in via interpretativa della disciplina della costituzione di parte civile prevista dal codice di rito, aveva sollevato una questione pregiudiziale di interpretazione, con cui chiedeva alla Corte di Giustizia dell'Unione europea di pronunciarsi in ordine alla corretta interpretazione di "tutte le decisioni europee che concernono la posizione della persona offesa", con particolare riguardo alla decisione quadro 2001/220/GAI del 15.3.2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale, e alla direttiva comunitaria 2004/80/CE del Consiglio del 29.4.2004, relativa all'indennizzo delle vittime di reato. Solo la soluzione di tale questione preliminare, infatti, avrebbe consentito al giudice nazionale di valutare se la normativa italiana, laddove non prevede che la persona danneggiata dal reato si possa costituire contro l'ente imputato 'ex 231', sia o meno conforme al diritto dell'Unione europea [cfr. Trib. Firenze, 9.2.2011, (ord.) GIP Monti, in questa Rivista].

 

2. Sulla richiesta del Tribunale di Firenze si era pronunciato l'Avvocato generale Sharpston con un articolato intervento [pubblicato su questa Rivista con ampia nota di Viganò e Valsecchi, Costituzione di parte civile contro l'ente imputato: le conclusioni dell'Avvocato generale presso la Corte di giustizia UE nel caso Giovanardi] in cui veniva individuata nell'art. 9, § 1, della decisione quadro 2001/220/GAI la norma rilevante nel caso di specie. Tale norma prevede che gli Stati membri hanno l'obbligo di garantire alla vittima di un reato il diritto di ottenere, entro un ragionevole lasso di tempo, una decisione relativa al risarcimento da parte dell'autore del reato nell'ambito dello stesso procedimento penale, eccetto i casi in cui il diritto nazionale preveda altre modalità di risarcimento.

Rinviando alla nostra precedente nota per ogni dettaglio, basti qui rammentare che, secondo l'Avvocato generale, tale norma dovrebbe essere interpretata in chiave teleologica, privilegiando la sostanza sulla forma, dovendosi in particolare ritenere irrilevante la qualificazione legislativa espressa in termini di responsabilità "penale" o "amministrativa" adottata nell'ordinamento di ciascuno Stati membri in relazione alla responsabilità da reato delle persone giuridiche. Da tale premessa l'Avvocato generale deduceva che il procedimento per l'accertamento della responsabilità "amministrativa da reato degli enti" disciplinato dal d.lgs. 231/2001 rientra nell'ambito di applicazione del citato articolo 9, § 1  della decisione quadro 2001/220/GAI, trattandosi di procedimento volto a determinare la responsabilità dell'ente (1) per un illecito definito mediante rinvio alle disposizioni del codice penale, (2) fondata sulla commissione di un illecito da parte di una persona fisica, (3) accertata nell'ambito di un procedimento dinanzi al giudice penale, disciplinato dal codice di procedura penale e normalmente riunito col procedimento penale a carico della persona fisica responsabile dell'illecito. Conseguentemente, secondo l'Avvocato generale l'Italia sarebbe di regola tenuta ad assicurare alla vittima del reato, in forza della decisione quadro in parola, la possibilità di ottenere nell'ambito dello stesso procedimento celebrato contro l'ente una decisione relativa al risarcimento dei danni subiti, dovendosi per converso ritenere insufficiente una tutela risarcitoria azionabile esclusivamente con separata azione innanzi al giudice civile.

L'Avvocato generale aveva peraltro sottolineato che lo Stato membro è libero di determinare i mezzi con i quali raggiungere l'obiettivo imposto dalla decisione quadro, lasciando così aperta la questione se lo strumento della citazione dell'ente nel processo penale quale responsabile civile per il fatto commesso dall'imputato persona fisica costituisca strumento idoneo ad assicurare un risarcimento alla vittima nell'ambito dello stesso processo contro l'ente, in alternativa rispetto alla costituzione di parte civile direttamente contro l'ente. Nel nostro precedente intervento, avevamo peraltro sottolineato come una tale soluzione - nell'ottica dell'Avvocato generale - non potesse essere ritenuta idonea a garantire sempre il risarcimento del danno alla vittima del reato: anche a prescindere dai dubbi (espressi dallo stesso giudice del rinvio) circa l'ammissibilità della citazione dell'ente come responsabile civile in relazione al disposto dell'art. 83 co. 1 c.p.p., infatti, la citazione del responsabile civile non può comunque essere ammessa ogniqualvolta non si celebri un processo simultano contro l'ente e contro la persona fisica autrice del reato (come accade, per esempio, quando l'autore del reato non è stato identificato ovvero quando nei suoi confronti il reato si sia estinto per causa diversa dall'amnistia, sicché il processo si instaura solo contro l'ente; o, ancora, quando l'autore del reato sia 'uscito' dal processo prima della decisione definitiva, ad esempio perché deceduto o perché ha 'patteggiato' la pena, e dunque il processo prosegue solo nei confronti dell'ente). Onde l'unico strumento a disposizione del giudice italiano per assicurare il conseguimento dell'obiettivo imposto dalla decisione quadro appariva a questo punto, stanti le premesse dell'Avvocato generale, quello della costituzione di parte civile direttamente contro l'ente, nel quadro di un'interpretazione conforme al diritto UE della disciplina di cui al d.lgs. 231/2001.

 

3. La Corte di giustizia UE, nella sentenza qui annotata, non si è invece allineata alla cruciale premessa dell'Avvocato generale, relativa alla natura di "procedimento penale" - come tale ritentrante nell'ambito di applicazione dell'art. 9 § 1 della decisione quadro 2001/220/GAI - del procedimento per l'accertamento della responsabilità amministrativa da reato dell'ente, di cui al d.lgs. 231/2001. La Corte si preoccupa anzi di sottolineare espressamente che "la decisione quadro, il cui unico oggetto è la posizione delle vittime nell'ambito dei procedimenti penali, non contiene alcuna indicazione in base alla quale il legislatore dell'Unione avrebbe inteso obbligare gli Stati membri a prevedere la responsabilità penale delle persone giuridiche" (§ 45), rilevando poi - con riferimento specifico alla disciplina del d.lgs. 231/2001 - che "un illecito «amministrativo» da reato come quello all'origine delle imputazioni sulla base del decreto legislativo n. 231/2001 è un reato [rectius, un illecito] distinto che non presenta un nesso causale diretto con i pregiudizi cagionati dal reato commesso da una persona fisica e di cui si chiede il risarcimento. Secondo il giudice del rinvio, in un regime come quello istituito da tale decreto legislativo, la responsabilità della persona giuridica è qualificata come «amministrativa», «indiretta» e «sussidiaria», e si distingue dalla responsabilità penale della persona fisica, autrice del reato che ha causato direttamente i danni e a cui, come osservato al punto 40 della presente sentenza, può essere chiesto il risarcimento nell'ambito del processo penale" (§ 47).

Secondo la Corte, dunque, la possibilità (pacifica) per la vittima di costituirsi parte civile contro la persona fisica autrice del reato è sufficiente a garantire il rispetto dell'obbligo di cui all'art. 9 § 1 della decisione quadro, la quale non impone invece allo Stato di assicurare alla vittima medesima la possibilità di ottenere tale risarcimento (anche) dall'ente responsabile ex d.lgs. 231/2001, anche perché l'illecito dell'ente non può considerarsi come il fatto dal quale scaturisce direttamente il danno in capo alla vittima, materialmente cagionato dalla persona fisica autrice del reato.

Inevitabile a questo punto la conclusione: "l'articolo 9, paragrafo 1, della decisione quadro [2001/220/GAI] deve essere interpretato nel senso che non osta a che, nel contesto di un regime di responsabilità delle persone giuridiche come quello in discussione nel procedimento principale, la vittima di un reato non possa chiedere il risarcimento dei danni direttamente causati da tale reato, nell'ambito del processo penale, alla persona giuridica autrice di un illecito amministrativo da reato".

 

4. La decisione della Corte conferma, a questo punto, la sostenibilità anche al metro del diritto UE della soluzione cui è pervenuta la nostra Suprema Corte, nel senso della inammissibilità della costituzione di parte civile contro l'ente (Cass., sez. VI, 5.10.2010, dep. 22.1.2011, in questa Rivista); soluzione in favore della quale si era in precedenza espressa anche parte della dottrina, compreso uno degli autori di queste brevissime note (cfr. A. Valsecchi, Sulla costituzione di parte civile contro l'ente imputato ex d.lgs. 231/2001, in questa Rivista, cui si rinvia per ogni ult. rif. bibl. e giur.).

Dal punto di vista della Corte, certamente poco sensibile alle sottili dispute ermeneutiche che hanno affaticato gli esegeti nostrani del d.lgs. 231/2001, la quesione oggi decisa aveva implicazioni delicate: affermare - sia pure ai limitati effetti della decisione quadro 2001/220/GAI - la natura sostanzialmente penale della responsabilità da reato degli enti, come sostenuto dall'Avvocato generale (non a caso originaria di un Paese di common law, nel quale è pacifica l'esistenza di una vera e propria responsabilità penale delle corporations), avrebbe significato inquietare, in un momento politicamente assai delicato per l'Unione, tutti quegli Stati membri, Germania in testa, che oppongono resistenze di principio - anche di ordine costituzionale - rispetto all'idea di una responsabilità autenticamente penale dell'ente; e avrebbe potuto essere inteso come una sorta di semaforo verde rispetto alla futura imposizione, da parte dell'Unione, di veri e propri obblighi di criminalizzazione dell'ente, mai stabiliti sinora dalla legislazione europea.

Ben si comprende, pertanto, l'atteggiamento di (estrema) prudenza espresso da questa sentenza, che evita accuratamente di prendere posizione sulla natura della responsabilità di cui al d.lgs. 231/2001, limitandosi a riferire (al § 47 poc'anzi letteralmente citato) l'opinione del giudice del rinvio su tale questione, senza alcuna verifica in proprio circa la correttezza di tale esegesi, e rifuggendo - soprattutto - dall'approccio sostanzialistico che pure era stato suggerito dall'Avvocato generale.

La questione della sostanza della responsabilità "amministrativa" degli enti nel diritto italiano resta, con tutto ciò, quanto mai aperta, perché ad essere in gioco non è tanto il problema della tutela risarcitoria della vittima, quanto lo statuto garantistico di tale responsabilità nei riguardi dello stesso ente, al quale è a tutt'oggi dubbio se debbano o meno applicarsi le garanzie che la nostra Costituzione e le carte internazionali dei diritti umani (prime fra tutte, la CEDU e la Carta dei diritti fondamentali dell'UE) stabiliscono in materia di diritto e processo penale: legalità dei reati e delle pene in tutti i suoi corollari, personalità e colpevolezza, funzione rieducativa e proporzione della pena, presunzione di innocenza, giusto processo, doppio grado di giurisdizione, ne bis in idem, obbligatorietà dell'azione penale, etc. Ed è verosimile che una parola più netta, sul punto, possa presto venire dall'altra Corte europea, quella di Strasburgo, la quale è peraltro da tempo stabilmente orientata in favore di quell'approccio "sostanzialista" oggi prudentemente rifiutato dalla cugina Corte di Lussemburgo.