18 settembre 2012 |
Monitoraggio Corte EDU giugno 2012
Rassegna di sentenze e decisioni della Corte EDU rilevanti in materia penale
Prosegue il monitoraggio mensile delle sentenze e delle più importanti decisioni della Corte EDU che interferiscono con il diritto penale sostanziale. La scheda mensile è, come di consueto, preceduta da una breve introduzione contenente una presentazione ragionata dei casi decisi dalla Corte, nella quale vengono segnalate al lettore le pronunce di maggiore interesse.
Tutti i provvedimenti citati sono agevolmente reperibili sul database ufficiale della Corte EDU.
SOMMARIO
1. Introduzione
2. Articolo 2 Cedu
3. Articolo 3 Cedu
4. Articolo 5 Cedu
5. Articolo 7 Cedu
7. Articolo 8 Cedu
8. Articolo 9 Cedu
9. Articolo 10 Cedu
10. Articolo 13 Cedu
* * *
1. Introduzione
a) Tra le sentenze in tema di art. 2 Cedu merita senz'altro menzione quella resa dalla Corte EDU nel caso Ülüfer c. Turchia, in cui i giudici di Strasburgo hanno rilevato la radicale incompatibilità della norma dell'ordinamento turco che disciplina l'uso della forza e delle armi in caso di evasione, la quale non contempla il requisito della stretta necessità, e - accertata l'assenza della necessità nel caso di specie - hanno pertanto dichiarato la violazione sostanziale dell'art. 2 Cedu. Dal momento che i giudici interni non avevano vagliato la sussistenza di tale requisito, la Corte rileva, altresì, una violazione procedurale dell'art. 2 Cedu.
La sentenza presenta rilevanti profili di interesse anche per le ricadute che la stessa ha sull'ordinamento italiano, dove pure la normativa in tema di prevenzione delle evasioni non appare autenticamente rispettosa dei vincoli convenzionali [cfr. in proposito F. Viganò, Diritto penale sostanziale e Convenzione europea dei diritti dell'uomo, in RIDPP, 2007, p. 67]. Essa conferma, inoltre, l'importanza dell'interpretazione convenzionalmente conforme, dal momento che, qualora i giudici interni avessero provveduto ad accertare nel caso di specie la sussistenza del requisito della necessità, ancorché lo stesso non fosse previsto dalla norma, la Turchia non sarebbe verosimilmente incorsa in alcuna condanna a Strasburgo in relazione a questo profilo.
Nella sentenza Düzova, sempre contro la Turchia, i giudici europei hanno invece censurato le modalità con cui era stata condotta un'operazione di polizia all'interno di un istituto penitenziario, che aveva visto tra l'altro l'impiego di ingenti quantità di gas lacrimogeni e l'esplosione di moltissimi colpi d'arma da fuoco.
Si registrano, poi, due tipici "casi ceceni" (Umayevy c. Turchia; Umarovy c. Russia), rispetto ai quali la Corte si è assestata sugli orientamenti ormai consolidati.
b) In tema di art. 3 Cedu va segnalata, anzitutto, la sentenza N.B. c. Slovacchia, in cui i giudici di Strasburgo hanno condannato la Slovacchia per la seconda volta in relazione ad un'ipotesi di sterilizzazione forzata, sulla falsariga di quanto aveva già fatto con la pronuncia V.C. c. Repubblica Slovacca dell'8 novembre 2011 (sulla quale era stata pubblicata su questa Rivista una dettagliata sintesi a cura di Verena Pusateri).
Nella pronuncia Savda c. Turchiasulla quale cfr. la dettaglia scheda di P. F. Poli, La Corte EDU definisce ulteriormente i contorni della "neonata" tutela convenzionale dell'obiezione di coscienza: la disciplina sull'obbligo del servizio militare esistente in Turchia viola gli artt. 9 e 3 della convenzione, in questa Rivista), poi, la Corte EDU ha qualificato come trattamenti inumani e degradanti le ripetute condanne inflitte al ricorrente, obiettore di coscienza, per essersi sottratto al servizio militare (che in quel Paese mantiene il carattere dell'obbligatorietà).
Con la sentenza Eski c. Turchia la Corte EDU ha invece ribadito i principi in tema di sentencing e di effettività della sanzione penale per fatti di tortura compiuti di agenti della forza pubblica che fin dal 2008 aveva affermato prima in relazione all'art. 2 e poi all'art. 3 Cedu.
Presenta profili di interesse anche la sentenza Piruzyan c. Armenia, in cui la Corte ha ravvisato la violazione sostanziale dell'art. 3 Cedu perché il ricorrente era stato costretto ad assistere alle udienze del procedimento penale che lo vedeva indagato dentro una gabbia di poco più di 4 metri quadri.
Si segnala, ancora, la sentenza Koky e a. c. Slovacchia, in cui i giudici di Strasburgo hanno ravvisato una violazione procedurale dell'art. 3 Cedu perché non erano state condotte indagini approfondite in relazione all'assalto all'insediamento Rom dove i ricorrenti vivevano, apparentemente a seguito di un diverbio tra uno di essi e una barista del paese.
Nelle sentenze Kozhayev c. Russia e Shakurov c. Russia, la Corte ha invecerigettato il ricorso sulla violazione potenziale dell'art. 3 Cedu in relazione a due distinti episodi di estradizione, rilevando come non vi fossero, nel caso di specie, motivi per ritenere che il ricorrente sarebbe andato incontro a trattamenti contrari a detta norma.
A conclusioni grossomodo analoghe la Corte è pervenuta nel caso A. A. e a. c. Svezia, in cui una donna yemenita, le sue tre figlie e i suoi due figli lamentavano la violazione degli artt. 2 e 3 Cedu in relazione ai trattamenti inumani e degradanti che avrebbero rischiato di subire qualora fossero stati espulsi in Yemen (in particolare, tutti i ricorrenti prospettavano il rischio di subire violenze fisiche e/o morali dal marito/padre, mentre le ricorrenti donne anche di incorrere in un matrimonio forzato con persone anziane ad esse sconosciute). Si segnala, tuttavia, l'interessante opinione dissenziente del giudice Power Forde.
Quanto al resto, si registrano ben sei casi di police brutality (Åžercău c. Romania; Buntov c. Russia; Hajnal c. Serbia; Kulish c. Ucraina; Borbala Kiss c. Ungheria; Mustafa TaÅŸtan c. Turchia), nei quali la Corte ha per lo meno riconosciuto la violazione procedurale dell'art. 3 Cedu, e numerose ipotesi di violazione dell'art. 3 Cedu in relazione alle condizioni della detenzione (Ciucă c. Romania; Mazâlu c. Romania; Răducanu c. Romania; Petrea Chisălău c. Romania; Praznik c. Slovenia).
c) Numerose le sentenze, rese dalla Corte nel mese di giugno in tema di art. 5 Cedu, che presentano interesse sotto il profilo del diritto penale sostanziale.
Tra queste si segnala per importanza la sentenza S. c. Germania relativa all'applicazione della custodia di sicurezza postuma (nachtragliche Sicherungsverwahrung) prevista dalla legislazione tedesca per i detenuti dei quali sia emersa la pericolosità solo in fase esecutiva: in questa occasione la Corte, confermando le statuizioni rese nelle sentenze Haidn e M. entrambe rese contro la Germania, ha concluso per una violazione dell'art. 5 § 1 lett. a Cedu poiché tale misura era stata applicata senza che vi fosse un concreto legame causale con una sentenza di condanna ("after a conviction") nonché in forza di una legge entrata in vigore successivamente alla sentenza di condanna (su quest'ultimo punto non ha invece potuto valutare la possibile violazione dell'art. 7 Cedu a causa del mancato esaurimento delle vie di ricorso interno). Sempre in tema di custodia di sicurezza postuma, applicata cioè in fase esecutiva, giova altresì ricordare fin da subito le sentenze K. c. Germania e G. c. Germania, nelle quali peraltro la Corte ha deciso di esaminare le doglianze del ricorrente sotto il profilo dell'art. 7 Cedu e per la cui trattazione, dunque, si rinvia alla citata norma convenzionale.
Giova inoltre ricordare le sentenze Soliyev c. Russia e Khodzhamerigiyev c. Russia, nelle quali la Corte ha reso alcune importanti precisazioni in merito alla compatibilità con l'art. 5 § 1 lett. f Cedu della detenzione di stranieri nel corso del procedimento di estradizione: in particolare, nel caso Soliyev essa ha precisato che mere irregolarità procedurali non possono comportare una violazione di detta norma convenzionale; mentre nel caso Khodzhamerigiyev essa ha respinto le doglianze del ricorrente in quanto nel suo ricorso questi non aveva indicato specifici periodi di inattività delle autorità interne.
Sempre in tema di detenzione dello straniero nel procedimento di estradizione, meritano un cenno le sentenze AdemoviÄ c. Turchia (nella quale i giudici europei hanno ritenuto che la detenzione del ricorrente si fosse protratta per un periodo eccessivo, 40 giorni, senza un ragionevole motivo) e Toniolo c. San Marino e Italia (in cui, invece, essi hanno concluso che la privazione della libertà personale del ricorrente fosse priva di una base legale nel diritto sanmarinese, provvista dei necessari requisiti di accessibilità e prevedibilità).
Per quanto la stessa non presenti ricadute immediate sotto il profilo penalistico (trattandosi di un caso di ricovero coattivo in ospedale psichiatrico), si segnala inoltre la sentenza Cristian Teodorescu c. Romania nella quale la Corte ha ravvisato una violazione dell'art. 5 § 1 lett. e Cedu sottolineando l'assenza di necessità e urgenza del ricovero.
Merita poi un cenno la sentenza TenglimoÄŸlu e altri c. Turchia in cui la Corte - conformemente alla propria giurisprudenza consolidata - ha riscontrato una violazione dell'art. 5 § 1 lett. a Cedu in relazione all'inflizione di sanzioni disciplinari detentive da parte di autorità amministrative, e non dell'autorità giurisidizionale.
Infine, per quel che concerne la custodia cautelare in carcere, si segnalano le sentenze Razhev c. Russia, Kortesis c. Grecia e Malkhasyan c. Armenia.
d) Come poc'anzi accennato, assai significative sotto il profilo dell'art. 7 Cedu sono le già citate sentenze K. c. Germania e G. c. Germania nelle quali la Corte europea, richiamando la nota interpretazione in chiave sostanziale della pena, ha qualificato la custodia di sicurezza postuma, applicata cioè in fase esecutiva sulla base di elementi di pericolosità emersi dopo la sentenza penale di condanna, come pena in senso sostanziale, coperta in quanto tale dalle garanzie dell'art. 7 Cedu (sul punto si veda il leading case M. c. Germania del 2009) e ha, pertanto, concluso per una violazione di detta norma convenzionale, sotto il profilo del principio di irretroattività, in relazione all'applicazione di tale misura sulla base di una legge entrata in vigore successivamente alla sentenza penale di condanna.
e) Sul fronte dell'art. 8 Cedu, si segnala anzitutto la già menzionata sentenza N.B. c. Slovacchia, relativa all'intervento di sterilizzazione coattiva praticato nei confronti di una donna di etnia rom, nella quale i giudici europei, dando seguito a quanto recentemente affermato nella sentenza V.C. c. Repubblica Slovacca del 2011 (della quale, come si è detto, si era già dato conto in questa Rivista), hanno ravvisato una violazione, non solo dell'art. 3 Cedu, ma anche degli obblighi positivi di tutela discendenti dall'art. 8 Cedu, ritenendo che le autorità slovacche non avessero garantito una tutela effettiva della capacità riproduttiva della ricorrente.
Sempre in tema di obblighi positivi di tutela discendenti dall'art. 8 Cedu, presenta rilevanti profili di interesse la sentenza E.S. c. Svezia nella quale i giudici europei hanno ritenuto che l'assoluzione del patrigno della ricorrente - il quale aveva tentato di riprendere la stessa, appena quattordicenne, mentre si accingeva a fare la doccia - non fosse addebitabile alle autorità statali, bensì al difetto di contestazione da parte della medesima del reato di pedopornografia, previsto dalla legislazione svedese vigente all'epoca dei fatti.
Si segnala inoltre una decisione, la Colon c. Olanda, con la quale la Corte ha ritenuto manifestamente inammissibile il ricorso di un cittadino olandese concernente una perquisizione subita sulla base di un'ordinanza del sindaco della città di Amsterdam la quale autorizzava l'individuazione di limitati periodi di tempo nei quali fosse ammissibile la perquisizione casuale di chiunque transitasse in aree predeterminate del centro cittadino al fine di ricercare armi illegalmente detenute; i giudici europei hanno ritenuto che la limitazione del diritto del ricorrente, considerata nel suo contesto e nei suoi effetti, fosse necessaria in una società democratica.
Infine occorre ricordare anche la già citata sentenza Bajsultanov c. Austria, nella quale la Corte ha ritenuto ammissibile l'espulsione del ricorrente, un cittadino russo di etnia cecena condannato per alcuni reati di natura violenta, anche sotto il profilo dell'art. 8 Cedu (oltre che sotto quello dell'art. 3 Cedu) ritenendo prevalente l'interesse pubblico alla prevenzione dei reati rispetto a quello della tutela della vita familiare del medesimo, il quale viveva dal 2003 in Austria con la moglie e due figli di nazionalità russa e in stato di asilo in Austria.
g) Per quel che concerne l'art. 9 Cedu, va ricordata la già citata sentenza Savda c. Turchia in cui la Corte, oltre a riconoscere una violazione dell'art. 3 Cedu per i motivi sopra esaminati, ha ritenuto - conformemente a quanto affermato dalla Grande Camera nella sentenza Bayatyan c. Armenia del 2011 (per la quale si rinvia alla sintesi di Pier Francesco Poli già pubblicata in questa Rivista) - che il mancato riconoscimento da parte della Turchia del diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare violasse detta norma convenzionale.
h) Tra le sentenze in tema di art. 10 Cedu va menzionata anzitutto la sentenza Tatár e Fáber c. Ungeria in cui la Corte ha concluso per una violazione della citata norma convenzionale, non ritenendo sussistenti le ragioni di ordine pubblico poste alla base dell'obbligo di comunicazione dello svolgimento di assemblee in luogo pubblico previsto dalla legislazione ungherese poiché la manifestazione in questione si era svolta con la sola partecipazione dei due ricorrenti e di alcuni giornalisti per un periodo di soli tredici minuti.
In tema di diffamazione, invece, si segnala anzitutto la sentenza Tănăsoica c. Romania, in cui la Corte ha ravvisato una violazione dell'art. 10 Cedu in relazione alla condanna di un giornalista per aver pubblicato un rapporto ufficiale sull'inquinamento del fiume Olt, accusando il direttore generale di una delle società con il più alto superamento delle soglie di inquinanti riconosciuto di aver avvelenato le acque del fiume.
E ancora riveste profili di interesse la sentenza Ciesielczyk c. Polonia, in cui la Corte ha invece escluso una violazione dell'art. 10 Cedu in relazione alla condanna subita da un ex consigliere comunale in relazione alle ripetute dichiarazioni dal medesimo rilasciate in televisione e sul proprio sito internet in relazione alla presunta parzialità di un canale televisivo locale e di due giornalisti da esso dipendenti, osservando come tali dichiarazioni manifestassero una sorta di accanimento nei confronti dei singoli giornalisti.
Appare altresì significativa la sentenza Schweizerische Radio und Fernsehgesellsschaft srg c. Svizzera in cui la Corte ha ravvisato una violazione dell'art. 10 Cedu in relazione al divieto opposto al ricorrente, una emittente radio televisiva svizzera, di effettata un'intervista ad una persona detenuta in un carcere svizzero per un grave reato ancora dibattuto nell'opinione pubblica svizzera.
Si ricordano poi le sentenze Kurier Zeitungsverlag e Druckerei Gmbh c. Austria e Krone Verlag Gmbh c. Austria in cui la Corte ha ravvisato una violazione dell'art. 10 Cedu con riferimento alla pubblicazione di dati e fotografie relativi a minori coinvolti in due difficili casi di affidamento.
i) Infine, deve essere menzionata la sentenza Poghosyan e Baghdasaryan c. Armenia nella quale la Corte ha concluso per una violazione dell'art. 13 Cedu in relazione al mancato ottenimento del risarcimento del danno non patrimoniale subito dal ricorrente per essere stato condannato ingiustamente e incarcerato per cinque anni per il delitto di stupro sulla base di una confessione estortagli tramite tortura, precisando che per l'applicazione di detta norma convenzionale non è necessario il previo riconoscimento della violazione sostanziale di alcuna norma convenzionale (nel caso di specie infatti l'esame delle doglianze relative all'art. 3 Cedu era precluso ratione temporis). Sulla base delle medesime ragioni la Corte ha poi riconosciuto anche una violazione dell'art. 3 prot. 7 Cedu che riconosce il diritto al risarcimento del danno in caso di errore giudiziario. (Introduzione a cura di Lodovica Beduschi e Angela Colella).
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2. Articolo 2 Cedu
La ricorrente, cittadina turca, lamenta la violazione dell'art. 2 Cedu con riferimento alla morte del proprio figlio, ucciso da un agente di polizia mentre fuggiva disarmato e ammanettato dopo un'udienza che lo aveva visto imputato di furto. Le giurisdizioni interne avevano ritenuto legittimo l'uso delle armi da parte dell'agente sulla base dell'art. 16, L. 2559/1934, che facoltizza gli agenti di polizia all'uso della forza per prevenire un'evasione quando non vi sia altro mezzo per impedirla.
La Corte si sofferma sulla norma citata, osservandone con preoccupazione la letterale incompatibilità con l'art. 2, § 2, Cedu, in quanto del tutto sprovvista del requisito dell'assoluta necessità. Agevolmente accertata l'assenza di necessità nel caso di specie, la Corte accoglie il ricorso relativamente al profilo sostanziale dell'art. 2 Cedu. Rilevato poi come l'inchiesta condotta non avesse, per avere le autorità interne fatto stretta applicazione della norma sopracitata, approfondito gli elementi di fatto idonei a dimostrare la non necessità dell'uso della forza, la Corte accoglie il ricorso anche del punto di vista procedurale dell'art. 2 Cedu.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 5 giugno 2012, ric. n. 40310/06, Düzova c. Turchia (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino turco, lamenta la violazione dell'art. 2 Cedu, per aver rischiato di morire in seguito alle ferite da arma da fuoco inflittegli da commandos durante l'operazione militare condotta dalle autorità turche per porre fine a uno sciopero della fame intrapreso da molti detenuti del carcere ove il ricorrente era ristretto. Lamenta inoltre la violazione dell'art. 6 Cedu per non aver potuto aver accesso a un'equa riparazione per i danni subiti, a causa dell'incapacità legale conseguente al suo status di detenuto e alla mancata nomina di un tutore.
La Corte afferma preliminarmente che il requisito dell'assoluta necessità previsto all'art. 2, § 2, Cedu, deve essere interpretato in senso restrittivo, e che il fatto che il ricorrente non sia morto o non abbia subito ferite potenzialmente mortali non vale a sottrarre la fattispecie da quelle riconducibili all'art. 2 in quanto deve tenersi altresì conto del contesto complessivo dell'azione. Rilevato che nel corso dell'operazione erano state usate grandi quantità di gas lacrimogeni ed era stato esploso un numero altissimo di colpi di arma da fuoco (con la morte di numerosi detenuti), nonché rammentato che il ricorrente non aveva opposto alcuna resistenza all'operazione, la Corte accoglie il ricorso dichiarando la violazione dell'art. 2 Cedu.
Quanto alla violazione dell'art. 6 Cedu, la Corte accoglie il ricorso affermando l'irragionevolezza della limitazione all'accesso alla giustizia che sia fondata su un meccanismo automatico di incapacità derivante dal mero fatto della detenzione.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 12 giugno 2012, ric. n. 47354/07, Umayevy c. Turchia (importance level 3)
I ricorrenti, parenti di Vidzha Umayev e di Timur Mezhidov, lamentano la violazione dell'art. 2 Cedu per la scomparsa e probabile morte dei loro cari a seguito del loro arresto condotto il 14 luglio 2006 da tre uomini armati e in uniforme militare russa. Lamentano inoltre la violazione dell'art. 3 Cedu relativamente alle sofferenze patite, dell'art. 5 Cedu per l'illegalità dell'arresto dei loro cari e dell'art. 13 Cedu per l'ineffettività dei rimedi processuali messi a loro disposizione dell'ordinamento russo.
La Corte rileva innanzitutto che il Governo si è rifiutato di produrre la documentazione inerente le indagini effettuate dalle autorità interne e che la sua difesa si limita in sostanza ad affermare che l'arresto fosse in realtà un rapimento perpetrato per motivi personali. Osservato che il Governo non contesta la ricostruzione dei fatti allegata dai ricorrenti - e in particolare che i rapitori fossero soldati in servizio e che i rapiti siano stati condotti in un primo momento in una struttura militare - e che a causa della mancata produzione di documentazione il Governo non ha assolto l'onere probatorio su di esso incombente, la Corte accoglie il ricorso sotto il profilo sostanziale dell'art. 2 Cedu, definendo non persuasiva la tesi del Governo relativamente alle motivazioni personali del rapimento.
Rilevate diverse carenze nelle investigazioni intercorse (mancate risposte, immotivato diniego di accesso agli atti, irragionevoli ritardi procedurali, mancato compimento di atti necessari), la Corte afferma poi la violazione dell'art. 2 Cedu anche sotto il profilo procedurale.
Quanto alle altre doglianze la Corte accoglie integralmente il ricorso, muovendo dalle conclusioni elaborate riguardo alla censura principale: quanto all'art. 3 Cedu, la Corte richiama la propria giurisprudenza per la quale le sofferenze derivanti dalla violazione del profilo procedurale dell'art. 2 Cedu sono di per sé qualificabili come inumane ai sensi della norma in parole; quanto all'art. 5 Cedu, la Corte afferma che l'accertamento della totale assenza di traccia formale dell'arresto vale di per sé a renderlo gravemente illegale e pertanto contrastante con la norma convenzionale citata; quanto all'art. 13 Cedu, la Corte nota come l'ineffettività dell'indagine inerente la violazione dell'art. 2 Cedu costituisce di per sé assenza di rimedio adeguato per i ricorrenti.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 12 giugno 2012, ric. n. 2546/08, Umarovy c. Russia (importance level 3)
I ricorrenti, parenti di Ramazan Umarov, lamentano la violazione dell'art. 2 Cedu per la scomparsa e probabile morte del loro caro a seguito dell'arresto condotto il 28 aprile 2007 da non meglio identificati agenti di polizia. Lamentano inoltre la violazione dell'art. 3 Cedu relativamente alle sofferenze patite, dell'art. 5 Cedu per l'illegalità dell'arresto del loro caro e dell'art. 13 Cedu per l'ineffettività dei rimedi processuali messi a loro disposizione dell'ordinamento russo.
La Corte rileva innanzitutto che il Governo si è rifiutato di produrre la documentazione inerente le indagini effettuate dalle autorità interne e che la sua difesa si limita in sostanza ad affermare che non vi è notizia ufficiale dell'arresto e che in realtà il Sig. Umarov potrebbe essersi allontanato in connessione con la sua appartenenza a un gruppo terroristico. Osservato che il Governo non contesta la ricostruzione dei fatti allegata dai ricorrenti, che l'effettuazione di un vero e proprio arresto è provata da numerose testimonianze e che a causa della mancata produzione di documentazione il Governo non ha assolto l'onere probatorio su di esso incombente, la Corte accoglie il ricorso sotto il profilo sostanziale dell'art. 2 Cedu.
Rilevate diverse carenze nelle investigazioni intercorse (mancate risposte, immotivato diniego di accesso agli atti, irragionevoli ritardi procedurali, mancato compimento di atti necessari), la Corte afferma poi la violazione dell'art. 2 Cedu anche sotto il profilo procedurale.
Quanto alle altre doglianze la Corte accoglie integralmente il ricorso, muovendo dalle conclusioni elaborate riguardo alla censura principale: quanto all'art. 3 Cedu, la Corte richiama la propria giurisprudenza per la quale le sofferenze derivanti dalla violazione del profilo procedurale dell'art. 2 Cedu sono di per sé qualificabili come inumane ai sensi della norma in parole; quanto all'art. 5 Cedu, la Corte afferma che l'accertamento della totale assenza di traccia formale dell'arresto vale di per sé a renderlo gravemente illegale e pertanto contrastante con la norma convenzionale citata; quanto all'art. 13 Cedu, la Corte nota come l'ineffettività dell'indagine inerente la violazione dell'art. 2 Cedu costituisce di per sé assenza di rimedio adeguato per i ricorrenti.
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3. Articolo 3 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 5 giugno 2012, ric. n. 41775/06, Şercău c. Romania (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino rumeno, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu per essere stato colpito più volte alla testa da un agente di polizia durante un interrogatorio seguito ad un incidente automobilistico, fino a perdere conoscenza per una commozione cerebrale.
La Corte si sofferma sulla divergenza tra le diverse testimonianze raccolte nelle inchieste e tra i diversi rapporti medici susseguitisi con riguardo al ricorrente. Da tale premessa fa discendere il rigetto del ricorso per quanto riguarda il profilo sostanziale dell'art. 3 Cedu, non ritenendo la Corte raggiunto il grado di certezza oltre ogni ragionevole dubbio in ordine alla prova della causazione delle lesioni da parte dell'agente di polizia. Dalla medesima premessa la Corte fa discendere l'accertamento della violazione del profilo procedurale dell'art. 3 Cedu, per non avere le giurisdizioni interne cercato di risolvere i contrasti evidenziati.
La Corte accoglie pertanto il ricorso limitatamente al profilo procedurale dell'art. 3 Cedu.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 5 giugno 2012, ric. n. 27026/10, Buntov c. Russia (importance level 2)
Il ricorrente, cittadino russo, condannato per diversi gravi reati, lamenta la violazione dell'art. 3 e dell'art. 13 Cedu per essere stato sottoposto a torture (consistenti in violenze fisiche e nell'estrazione violenta di tutte le unghie) nella cella di sicurezza del carcere FBU IK-1 tra il 27 e il 29 febbraio 2010 da parte di agenti di polizia penitenziaria e di altri detenuti.
La Corte, constatata la radicale divergenza tra le versioni dei fatti del ricorrente e del Governo, analizza preliminarmente le tre investigazioni condotte dalle autorità russe, rilevandone l'ineffettività per carenza di tempestività, di serietà nella ricerca della prova, di indipendenza nonché tenuto conto del livello di partecipazione della vittima. Dopo aver constatato la violazione del profilo procedurale dell'art. 3 Cedu, la Corte afferma che da ciò consegue lo spostamento dal ricorrente allo Stato dell'onere della prova in ordine alla violazione sostanziale: la Corte accerta pertanto anche la violazione del profilo sostanziale dell'art. 3 Cedu, dichiarando insufficiente e contraddittoria la spiegazione dei fatti offerta dal Governo.
La Corte accoglie pertanto il ricorso sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello procedurale dell'art. 3 Cedu.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 5 giugno 2012, ric. n. 55822/10, Shakurov c. Russia (importance level 2)
Il ricorrente, cittadino uzbeco irregolarmente residente in Russia, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu per essere stata disposta la sua estradizione in Utzbekistan per le accuse di diserzione ivi rivoltegli e la violazione dell'art. 5 Cedu per l'irragionevole durata dei procedimenti di appello intentati avverso le relative decisioni di restrizione della libertà personale.
La Corte, citati numerosi rapporti delle Nazioni Unite e di organizzazioni internazionali concernenti l'uso della tortura in Uzbekistan, rileva che il ricorrente non ha mai allegato di trovarsi in una delle situazioni di rischio ivi considerate, e rammentato che il generale livello di rispetto dei diritti umani in un Paese non implica di per sé il divieto di estradizione verso quel Paese senza che vi siano concreti collegamenti di tipo sociale, religioso, ideologico, razziale, personale con il ricorrente, rigetta il ricorso con riferimento all'asserita violazione dell'art. 3 Cedu.
Per quanto concerne l'eccessiva durata dei procedimenti di appello avverso le misure di restrizione conseguenti al procedimento di estradizione, la Corte afferma irragionevoli tempi di tredici e di trentaquattro giorni per l'esame dell'appello. La Corte accoglie pertanto il ricorso limitatamente alla previsione dell'art. 5, § 4, Cedu.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 5 giugno 2012, ric. n. 60045/10, Kozhayev c. Russia (importance level 2)
Il ricorrente, cittadino bielorusso irregolarmente residente in Russia, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu per essere stata disposta la sua estradizione in Bielorussia per le accuse di estorsione, evasione e tentato omicidio ivi rivoltegli e la violazione dell'art. 5 Cedu per la mancanza di autorizzazione giudiziale relativamente ad una fase della sua detenzione.
La Corte, citati numerosi rapporti delle Nazioni Unite e di organizzazioni internazionali concernenti il rispetto dei diritti umani in Bielorussia, rileva che il ricorrente non ha mai allegato di trovarsi in una specifica situazione di rischio, e rammentato che il generale livello di rispetto dei diritti umani in un Paese non implica di per sé il divieto di estradizione verso quel Paese senza che vi siano concreti collegamenti di tipo sociale, religioso, ideologico, razziale, personale con il ricorrente, rigetta il ricorso con riferimento all'asserita violazione dell'art. 3 Cedu.
Per quanto concerne la carenza di autorizzazione giudiziale delle misure di restrizione conseguenti al procedimento di estradizione, la Corte afferma che la carenza di autorizzazione della detenzione del ricorrente tra la mezzanotte del 23 maggio 2010 e il provvedimento del 24 maggio 2010, benché brevissima, configura violazione dell'art. 5 Cedu. La Corte accoglie pertanto il ricorso limitatamente alla previsione dell'art. 5, § 1, Cedu.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 5 giugno 2012, ric. n. 8354/04, Eski c. Turchia (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino turco, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu per essere stato sottoposto a violenze da parte di alcuni agenti di polizia a seguito della sua reazione, ubriaco, all'ordine di riconsegnare un telefono cellulare asseritamente rubato e perché gli aggressori sono stati condannati, dopo sei anni e diversi giudizi di rinvio dalla Cassazione turca, alla pena di tre mesi di carcere, ridotti a 25 giorni per l'operare dell'attenuante della provocazione e a pena sospesa.
La corte accoglie il ricorso sotto il profilo sostanziale dell'art. 3 Cedu per essere stati accertati i trattamenti inumani e degradanti perpetrati dalle autorità turche in danno al ricorrente, e sotto il profilo procedurale per essere stata irrogata una pena priva di efficacia deterrente e dopo ben sei anni dai fatti. La Corte si sofferma in particolare sulla radicale incompatibilità dell'operare dell'attenuante della provocazione e dell'istituto della sospensione della pena rispetto alle garanzie protette dall'art. 3 Cedu, che richiedono una reazione seria, effettiva e non condizionata.
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 5 giugno 2012, ric. n. 34485/09, Ciucă c. Romania (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino romeno, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu per essere stato detenuto nel carcere di Bucarest-Jilava, dove lo spazio vitale per detenuto, le condizioni di areazione delle celle, le frequenti infestazioni di insetti, vermi e ratti nonché la mancanza di acqua potabile e di spazi e tempi per le attività individuali rendono la detenzione inumana e degradante.
La Corte supera preliminarmente l'eccezione del Governo romeno, il quale sottolineava come alla data di presentazione del ricorso il ricorrente fosse stato detenuto per soli 18 giorni nel carcere in questione, evidenziando come comunque egli sapesse che sarebbe stato di lì a poco nuovamente trasferito a Bucarest-Jilava. Accertate poi le condizioni di sovraffollamento (sotto il tralatizio limite dei 3mt2 per detenuto) nonché gli altri profili lamentati dal ricorrente, la Corte accoglie il ricorso.
C. eur. dir. uomo, Former Section IV, sent. 12 giugno 2012, ric. n. 13624/03, Koky e a. c. Slovacchia (importance level 2)
I ricorrenti, dieci cittadini slovacchi di etnia Rom, lamentano la violazione dell'art. 3 Cedu per non avere le autorità interne condotto appropriate indagini relativamente a un assalto all'insediamento Rom dove vivevano, condotto da un imprecisato gruppo di persone armate e mascherate la notte del 28 febbraio 2002 apparentemente a seguito di un diverbio tra uno dei ricorrenti e una barista del paese.
La Corte tratta lungamente l'eccezione governativa di non esaurimento dei rimedi interni, richiamando schematicamente e approfonditamente i propri principi in materia, e accentuando in particolare la necessità che tali rimedi siano effettivi tanto in teoria quanto in pratica: per tali ragioni, e rilevando come i rimedi indicati dal Governo non abbiano il diretto scopo di tutelare i diritti sostanziali dei ricorrenti e come i rimedi impiegati da questi ultimi fossero stati rigettati per carenza di legittimazione e senza l'indicazione di ulteriori rimedi, la Corte rigetta l'eccezione governativa.
Nel merito, rilevate talune carenze nell'attività investigativa (mancato uso dei tabulati telefonici e di alcune delle tracce biologiche rinvenute; mancata effettuazione di confronti) e accentuata la complessiva situazione dei Rom in Slovacchia, la Corte accoglie il ricorso per quanto riguarda il profilo procedurale dell'art. 3 Cedu.
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 12 giugno 2012, ric. n. 24009/03, Mazâlu c. Romania (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino romeno, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu per essere stato detenuto nelle celle di sicurezza della stazione di polizia di IaÅŸi e successivamente in quelle del carcere di massima sicurezza di IaÅŸi in condizioni di grave sovraffollamento (rispettivamente: 14,2 mt2 e 8 letti per 10 detenuti; 32,3 mt2 per 45 detenuti) nonché carenza di luce naturale e ventilazione, allegando inoltre che tali condizioni di illuminazione gli abbiano causato danni alla vista (diminuendogli le diottrie in entrambi gli occhi).
La Corte, sulla base di rapporti di organizzazioni internazionali nonché rammentando che ogniqualvolta il ricorrente lamenti di aver subito danni durante la sua sottoposizione al controllo diretto dello Stato l'onere della prova incombe su quest'ultimo, accoglie il ricorso quanto alle condizioni di detenzione. Rispetto ai danni alla vista la Corte rigetta il ricorso affermando che il ricorrente non ha provato il nesso causale tra la diminuzione delle diottrie e le condizioni di detenzione.
C. eur. dir. uomo, Former Section IV, sent. 12 giugno 2012, ric. n. 29518/10, N.B. c. Slovacchia (importance level 2)
La ricorrente, cittadina slovacca di etnia Rom, lamenta la violazione di diversi diritti convenzionali per essere stata sottoposta a sterilizzazione in occasione del proprio secondo parto, attuato con taglio cesareo all'età di diciassette anni, essendo stato il suo consenso ottenuto senza preventiva informazione, senza la presenza dei genitori e a seguito della prospettazione di conseguenze mortali in caso di diniego. Le corti interne avevano riconosciuto la natura non vitale dell'intervento e l'irregolarità dell'ottenimento del consenso, statuendo però un risarcimento danni di soli € 1.593,00 e senza alcuna condanna in sede penale.
La Corte accoglie il ricorso sotto la prospettiva degli artt. 3 e 8 Cedu, affermando che la pratica della sterilizzazione, specialmente frequente in Slovacchia verso donne appartenenti a etnie di minoranza e senza che sia ottenuto un loro consenso informato e ponderato, costituisce un trattamento di gravità tale da essere qualificabile come inumano e degradante ai sensi dell'art. 3 Cedu e costituisce inoltre una grave violazione del diritto alla vita privata e familiare, specialmente per una donna di etnia e cultura Rom.
La Corte, in considerazione dei procedimenti giudiziari avviati e della loro serietà e speditezza, non riconosce la violazione dell'art. 3 Cedu dal punto di vista procedurale, né dell'art. 13 Cedu, ritenendo inoltre indimostrata la lamentata violazione dell'art. 12 Cedu e già esaminata sub art. 8 Cedu la lamentata violazione dell'art. 14 Cedu.
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 12 giugno 2012, ric. n. 17187/05, Răducanu c. Romania (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino romeno, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu per essere stato detenuto nel carcere di PloieÅŸti tra il 19 marzo 1997 e il 2 dicembre 2008 in condizioni di grave sovraffollamento (1,5 mt2 per detenuto) nonché carenza di luce naturale e ventilazione, e nutrizione ed esercizio insufficienti, allegando inoltre che tali condizioni gli abbiano causato un aggravamento della trombosi venosa di cui era affetto.
La Corte, sulla base di rapporti di organizzazioni internazionali nonché rammentando che ogniqualvolta il ricorrente lamenti di aver subito danni durante la sua sottoposizione al controllo diretto dello Stato l'onere della prova incombe su quest'ultimo, accoglie il ricorso quanto alle condizioni di detenzione.
Quanto alla lamentata carenza di cure mediche, la Corte distingue tra il periodo antecedente all'entrata in vigore dello strumento introdotto dal d.l. 56/2003 (ove non appare provata la carenza di cure lamentata dal ricorrente) e il periodo successivo (nel quale il ricorrente non ha impiegato tale strumento come avrebbe potuto e dovuto fare), rigettando quindi il ricorso rispettivamente per infondatezza e per non esaurimento dei rimedi interni.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 12 giugno 2012, ric. n. 42730/05, Savda c. Turchia (importance level 1)
Il ricorrente, cittadino turco, è personaggio simbolo della lotta per l'antimilitarismo e l'obiezione di coscienza in Turchia e lamenta la violazione di diverse norme della Cedu per essere stato ripetutamente privato della libertà personale (in via penale e disciplinare) per essersi rifiutato di espletare il servizio militare obbligatorio.
La Corte, ricondotte le doglianze del ricorrente agli artt. 3 e 9 Cedu, accoglie il ricorso, riferendosi ai propri precedenti Ergin e Bayatyan e affermando 1) che l'obiezione di coscienza rientra nell'ambito dei diritti protetti dall'art. 9 Cedu anche quando non è supportato da convinzioni religiose ma laiche, 2) che se ogni accertamento sulla fondatezza della richiesta di esenzione dal servizio militare spetta alle autorità interne esse devono garantire un esame della richiesta stessa, come non è avvenuto nel caso di specie, e 3) che le ripetute condanne inflitte al ricorrente abbiano assunto carattere inumano e degradante per la loro serietà e ripetitività.
La Corte ravvisa inoltre la violazione dell'art. 6 Cedu per essere stato il ricorrente giudicato da un tribunale militare, difettando a giudizio della Corte i necessari requisiti di indipendenza e imparzialità del giudice militare ogniqualvolta sia chiamato a giudicare i comportamenti di un civile, come nella sostanza doveva essere qualificato il ricorrente a dispetto di quanto previsto dalla legge turca.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 19 giugno 2012, ric. n. 36937/06, Hajnal c. Serbia (importance level 2)
Il ricorrente, cittadino serbo, lamenta diverse violazioni della Convenzione rispetto alla propria condanna a un anno e mezzo di reclusione per furto aggravato pronunciata sulla base di una confessione rilasciata alla polizia senza l'assistenza di un legale e a seguito di tortura, nonché sulla base di "precedenti" non passati in giudicato.
La Corte riconosce la violazione del profilo sostanziale dell'art. 3 Cedu pur in assenza di certificazione medica, richiamando la propria giurisprudenza per la quale lo stato di custodia del ricorrente inverte l'onere probatorio e legittima la valorizzazione di meri indizi quali la testimonianza del difensore del ricorrente e di altri coimputati; la Corte riconosce la violazione del profilo procedurale dell'art. 3 Cedu pur in assenza di specifica denuncia alle autorità interne, rilevando come il ricorrente avesse comunque più volte segnalato ai giudici e agli investigatori gli avvenuti maltrattamenti.
La Corte riconosce altresì la violazione dell'art. 6, § 1. Cedu, in quanto, pur non essendosi la condanna del ricorrente basata solo sull'invalida confessione, tale confessione ha avuto comunque ingresso nel processo, rendendolo per ciò stesso automaticamente iniquo (senza pertanto dover esaminare le ulteriori censure sul punto); la Corte riconosce la violazione dell'art. 6, § 2, Cedu, affermando che solo precedenti condanne già divenute definitive possono fondare l'aggravamento di un'ulteriore condanna.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 21 giugno 2012, ric. n. 33376/07, Kulish c. Ucraina (importance level 2)
Il ricorrente, cittadino ucraino, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu relativamente alle gravi violenze subite ad opera di alcuni agenti di polizia durante il suo arresto il 6 dicembre 2004, motivato da presunti fatti di frode successivamente archiviati. Al pestaggio, avvenuto senza che egli opponesse resistenza, mentre era già ammanettato, avevano assistito la moglie e altri testimoni. L'indagine che ne era seguita, condotta da investigatori gerarchicamente sottoposti agli agenti sospettati, è durata oltre cinque anni nonostante il ricorrente avesse prodotto fin dall'inizio idonea documentazione medica, e il procedimento è tuttora pendente avanti il giudice di primo grado.
La Corte, richiamati i propri principi in materia e sottolineato come trattamenti inumani e degradanti che attingano un minimo livello di serietà e che siano perpetrati intenzionalmente possono essere ricondotti alla fattispecie di tortura secondo la definizione riconosciuta dalla relativa Convenzione ONU, accoglie il ricorso sia sotto il profilo sostanziale - rilevando come il ricorrente avesse presentato gravi e inequivocabili indizi a proprio favore e come il Governo non avesse neppure ipotizzato una ricostruzione alternativa - sia sotto quello procedurale - per le gravi carenze di imparzialità e per l'inaccettabile ritardo nella conduzione delle indagini.
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 26 giugno 2012, ric. n. 33376/07, Piruzyan c. Armenia (importance level 2)
Il ricorrente, cittadino armeno, lamenta la violazione degli artt. 3 e 5 Cedu in relazione alla sua detenzione cautelare connessa a un procedimento per rapina poi conclusosi con l'assoluzione.
Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu per essere stato costretto ad assistere alle udienze chiuso in una gabbia di 4,5 m2: la Corte accoglie il ricorso rilevando come non fosse emersa una particolare pericolosità del soggetto e come tale forma di detenzione comunicasse al pubblico l'impressione di una particolare pericolosità del ricorrente e gravità delle accuse rivoltegli.
Il ricorrente lamenta altresì diverse violazioni dell'art. 5 Cedu. La Corte le accoglie, e in particolare rileva: la violazione del par. 1 riguardo alla detenzione cautelare subita tra il 19.02.2007 e il 12.03.2007, priva di autorizzazione giurisdizionale; la violazione del par. 3 per l'inconsistenza delle ragioni cautelari addotte a giustificazione di una detenzione di oltre dieci mesi, nonché per l'illegittimità di un meccanismo di negazione automatica di misure alternative alla detenzione cautelare.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 26 giugno 2012, ric. n. 59214/11, Borbala Kiss c. Ungheria (importance level 3)
La ricorrente, cittadina ungherese di etnia rom, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu in relazione a un diverbio avuto con alcuni poliziotti ad una festa, a seguito del quale le era stato spruzzato negli occhi dello spray al peperoncino, era stata trascinata a terra da sei o sette poliziotti e sbattuta contro un'auto, ed era stata parzialmente denudata in pubblico; nessuna inchiesta né disciplinare né penale era seguita, essendo al contrario stata condannata la ricorrente per resistenza a pubblico ufficiale.
La Corte, per quanto riguarda l'aspetto sostanziale dell'art. 3 Cedu, riconosce la violazione convenzionale rilevando come il governo non abbia spiegato le ragioni del grado di uso della forza utilizzata dai poliziotti e come il trattamento subito dalla ricorrente abbia avuto una serietà tale da essere definibile inumano e degradante. Dal punto di vista procedurale dell'art. 3 Cedu la Corte ritiene insufficiente l'unica inchiesta effettuata, subito chiusa sulla sola base di testimonianze raccolte a diversi fini in altro procedimento e senza tenere conto di pari numero di altre testimonianze coerenti con la ricostruzione dei fatti offerta dalla ricorrente.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 26 giugno 2012, ric. n. 41824/05, Mustafa TaÅŸtan c. Turchia (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino turco, lamenta di aver subito trattamenti inumani e degradanti per essere stato in un primo tempo arrestato e rimesso in libertà dal giudice della convalida e in un secondo tempo ricondotto con la forza presso il comando della polizia e lì privato dell'assistenza del proprio avvocato e sottoposto a violenze, documentate da apposito referto medico. Le corti interne erano giunte, dopo quattro anni di indagini preliminari, a ritenere non sufficientemente provate le accuse del ricorrente per il fatto che, dopo diverse vicissitudini processuali, si era appurato che il referto medico era stato sottoscritto da medico non dotato di permesso di lavoro in Turchia.
La Corte, rimarcando il fatto che la carenza di autorizzazione al lavoro non inficia la validità sostanziale del referto e richiamando la propria costante giurisprudenza che carica lo Stato dell'onere della prova rispetto ai trattamenti inumani e degradanti subiti da persone in custodia, accoglie il ricorso sotto il profilo sostanziale dell'art. 3 Cedu.
Quanto al profilo processuale, la Corte osserva che l'impiego di quattro anni di indagine per approfondire gli aspetti formali del referto hanno reso ineffettiva la tutela fornita, configurandosi violazione dell'art. 3 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 26 giugno 2012, ric. n. 36680/03, Petrea Chisălău c. Romania (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino romeno, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu con riferimento alle condizioni della detenzione scontata tra il 2002 e il 2009 in diverse carceri romene e in particolare nel carcere di Bacău, Baia Mare e Dej.
La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso (relativi il primo a due episodi di pestaggio e il secondo alla carenza di adeguate cure mediche) per non avere il ricorrente esaurito i mezzi di ricorso interno e in particolare quelli previsti dall'ordinanza 56/2003 in tema di assistenza sanitaria e condizioni di detenzione.
La Corte accoglie invece il terzo motivo di ricorso, inerente le condizioni strutturali della detenzione, constatando da un lato che il ricorrente godeva di uno spazio vitale di 1,22 m2 (inferiore al minimo di 3 m2 costantemente indicato dalla Corte), e dall'altro che nessun mezzo di ricorso interno era in grado di porre rimedio a una tale situazione di patologia, strutturale al sistema carcerario romeno.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 28 giugno 2012, ric. n. 6234/10, Praznik c. Slovenia (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino sloveno, lamenta la violazione degli artt. 3, 8 e 13 con riferimento alla detenzione subita nel carcere di Lubiana tra il 03.04.2009 e il 03.03.2010.
Con motivazione sintetica e richiamando propri specifici precedenti analoghi al caso de quo, la Corte: accoglie il ricorso quanto alla violazione dell'art. 3 Cedu, notando che la superficie vitale di cui disponeva il ricorrente non superava il minimo convenzionale di 3 mt2 e che la generale condizione di detenzione era aggravata dai ristrettissimi periodi trascorsi fuori dalla cella; ritiene che le doglianze connesse con le restrizioni a visite e corrispondenza non sollevino questioni separate sotto l'art. 8 Cedu; accoglie la censura relativa alla mancanza di rimedi interni avverso le condizioni di detenzione, richiamando propria identica giurisprudenza relativa alla Slovenia.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 28 giugno 2012, ric. n. 14499/09, A. A. e a. c. Svezia (importance level 2)
I ricorrenti, una donna yemenita, le sue tre figlie e i suoi due figli, lamentano la violazione degli artt. 2 e 3 Cedu in relazione ai trattamenti inumani e degradanti che rischierebbero di subire qualora espulsi in Yemen. I sei ricorrenti narrano storie personali diverse tra loro ma accomunate dalle violenze fisiche e/o morali subite dal marito/padre e, per le ricorrenti di sesso femminile, dall'essere state o dal rischiare di essere date in moglie ad anziani sconosciuti per volontà autoritaria del padre.
La Corte, pur non trascurando di sollevare preoccupazioni per la generale condizione della donna in Yemen, aderisce alla ricostruzione offerta dalle autorità interne, evidenziando da un lato alcuni profili di contraddizione nei racconti dei ricorrenti e dall'altro i numerosi indici di indipendenza mostrati dai ricorrenti, i quali, in uno con la possibile tutela offerta dal sistema tribale e da alcuni parenti di sesso maschile, conducono a considerare non sufficientemente serie le lamentele avanzate.
La pronuncia si segnala per l'opinione dissenziente del giudice Power-Forde, il quale solleva due obiezioni: da un lato contesta l'assunto per cui una situazione di violazione dei diritti umani determinata da "tradizioni" generalizzate non possa di per sé costituire al tempo stesso violazione della Convezione e pertanto fondare la richiesta di tutela alla Corte; dall'altro lato osserva che i rimedi interni suggeriti dalle autorità svedesi (ricorso alla giustizia yemenita o al clan) siano privi di effettività pratica proprio in relazione alla concreta condizione della donna in Yemen.
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4. Articolo 5 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 5 giugno 2011, ric. n. 62400/10, Soliyev c. Russia (importance level 2)
Il ricorrente, cittadino uzbeco irregolarmente presente sul territorio russo, lamenta la violazione dell'art. 5, §§ 1 e 4, Cedu, per essersi verificate diverse irregolarità procedurali nel procedimento per la sua estradizione in Uzbekistan ("sostituzione" anziché conferma di un provvedimento, con conseguente inappellabilità del provvedimento "sostituito"; mancata comunicazione di un'udienza). La Corte ripercorre la propria giurisprudenza affermando che, se è vero che la revisione giudiziale della privazione della libertà personale assume un'importanza fondamentale e se il concetto di "giudice" di cui all'art. 5, §§ 1 e 4, Cedu, si deve riferire a un soggetto imparziale e in grado di revisionare il merito della detenzione, mere irregolarità procedurali non idonee a intaccare tali garanzie non possono ritenersi violare l'art. 5 Cedu, specialmente quanto non constano seri tentativi di impugnazione da parte del ricorrente.
La Corte rigetta pertanto il ricorso.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 5 giugno 2012, ric. n. 64809/10, Khodzhamberdiyev c. Russia (importance level 2)
Il ricorrente, cittadino uzbeco attivista dell'organizzazione islamica Hizb-ut-Tahrir e irregolarmente presente sul territorio russo, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu, relativamente all'ordine di estradizione verso l'Uzbekistan emesso dalle autorità russe, e dell'art. 5 Cedu, relativamente alla durata, alla legalità e all'impugnabilità della detenzione subita in vista dell'estradizione.
La Corte dichiara preliminarmente l'inammissibilità della censura relativa all'art. 3 Cedu per essere stato nel frattempo riconosciuto in favore del ricorrente lo stato di rifugiato da parte dell'UNHCR e per essere stato annullato l'ordine di estradizione. Quanto alle censure relative all'art. 5 Cedu, la Corte rileva come il ricorrente non abbia indicato specifici periodi di inattività delle autorità interne, né che il procedimento sia stato sottratto al pieno scrutinio di un giudice indipendente e dotato di sufficienti e idonei poteri. La Corte rigetta pertanto il ricorso anche sotto tali profili.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 5 giugno 2012, ric. n. 28523/03, AdemoviÄ c. Turchia (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino serbo, lamenta diverse violazioni connesse con gli artt. 5, 6 e 13 Cedu per essere stato detenuto in vista di un'estradizione verso l'Italia per oltre cinque anni e per l'assenza di rimedi giurisdizionali avverso tale condizione.
La Corte accoglie tutte le censure del ricorrente, per quanto riguarda l'art. 5, § 1, lett. f), Cedu, la Corte rileva il palese superamento del limite di 40 giorni imposto dall'art. 16 Conv. eur. sull'estradizione; per quanto riguarda l'art. 5, § 4, Cedu, la Corte nota che, benché il ricorrente abbia avuto accesso a rimedi giurisdizionali, le diverse pronunce ottenute non hanno mai motivato sulla censura connessa con il superamento del citato termine, configurandosi quindi una privazione de facto del diritto al rimedio giurisdizionale; per quanto riguarda l'art. 5, § 5, Cedu, la Corte osserva che i rimedi risarcitori previsti dalla legge turca sono connessi con l'accertamento dell'illegalità della detenzione e pertanto inaccessibili al ricorrente e quindi radicalmente inidonei; per quanto riguarda gli artt. 6 e 13 Cedu, la Corte ribadisce che la durata di 10 anni e 7 mesi per un procedimento interno è di per sé eccessiva e che il ricorrente non disponeva di idonei rimedi per contrastarla.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 5 giugno 2012, ricc. nn. 26938/08, 41039/09, 66328/09 e 66451/09, TengilimoÄŸlu e a. c. Turchia (importance level 3)
I ricorrenti, cittadini turchi, lamentano di essere stati privati della libertà personale in conseguenza di sanzioni disciplinari inflitte dai superiori gerarchici durante il servizio militare, in violazione dell'art. 5 Cedu per non essere stata la privazione disposta da autorità giurisdizionale.
La Corte rigetta preliminarmente due eccezioni del Governo: con la prima il Governo affermava la non applicabilità della Cedu alle procedure disciplinari in ambito militare, mentre la Corte riafferma la tassatività delle deroghe previste all'operatività delle garanzie promosse dall'art. 5 Cedu e ribadisce la natura privativa della libertà personale propria delle sanzioni disciplinari subite dai ricorrenti; con la seconda il Governo intendeva ricondurre le fattispecie in questione alla lettera b) dell'art. 5, § 1, Cedu, e non alla lettera a), ciò in quanto tali sanzioni sarebbero state rivolte a "garantire l'esecuzione di obblighi previsti dalla legge", mentre la Corte precisa che per ricadere sotto il regime della lettera b), cit., deve trattarsi di obblighi futuri, mentre la pertinenza a obblighi passati resta tipica delle fattispecie autenticamente sanzionatorie come quelle oggetto di ricorso, e pertanto riconducibili alla lettera a) dell'art. 5, § 1, Cedu.
Rilevata la carenza di imparzialità in capo all'autorità irrogante la sanzione, la Corte accoglie i ricorsi.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 12 giugno 2012, ric. n. 29448/05, Razhev c. Russia (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino russo, lamenta l'illegittimità della detenzione cautelare subita tra il 4 e il 17 marzo 2005 in relazione a un procedimento penale per appropriazione indebita. Le corti di merito avevano infatti disposto un primo periodo di detenzione (4 marzo 2004 - 27 dicembre 2004), successivamente esteso al 3 marzo 2005, e - a seguito del trasferimento dell'indagine a diverso giudice - un ulteriore periodo a decorrere dal 17 marzo 2005.
La Corte, richiamata la propria giurisprudenza interente il significato dei concetti di legalità e di conformità a procedura prevista dalla legge come declinati dall'art. 5, § 1, Cedu, osserva come nel periodo lamentato la privazione di libertà del ricorrente non fosse coperta da alcun provvedimento giurisdizionale, determinandosi così una violazione convenzionale. La Corte inoltre, rilevato che la legge russa non prevede chiari mezzi di impugnazione avverso periodi di detenzione non coperti da provvedimenti giudiziali e osservato che i successivi giudizi non avevano mai pronunciato sul periodo contestato, dichiara la violazione dell'art. 5, § 4, Cedu.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 12 giugno 2012, ric. n. 60593/10, Kortesis c. Grecia (importance level 2)
Il ricorrente, cittadino greco sospettato di far parte di un'organizzazione terroristica, lamenta di essere stato arrestato e perquisito la mattina del 10 aprile 2010 e di essere stato informato delle accuse rivoltegli nonché di essere stato tratto davanti a un giudice solo la mattina del 12 aprile 2010, ossia oltre il termine di 24 ore previsto dal diritto interno e in ogni caso in violazione dell'art. 5, §§ 1, 2 e 3, Cedu.
La Corte risolve preliminarmente la questione di fatto sollevata dal Governo, che datava l'arresto alla mattina dell'11 aprile 2010, notando l'incongruenza della tesi governativa ove non in grado di spiegare molte delle concrete circostanze di fatto relative all'arresto del ricorrente.
Rilevato poi che al ricorrente era stato preventivamente sottoposto un modulo informativo nel quale erano indicati solo i numeri degli articoli asseritamente violati e osservato come il ritardo nella presentazione del ricorrente avanti ad un giudice sia documentalmente superiore al massimo previsto dal diritto interno, la Corte accoglie il ricorso quanto ai §§ 1 e 2 dell'art. 5 Cedu.
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 19 giugno 2012, ric. n. 22883/05, Cristian Teodorescu c. Romania (importance level 2)
Il ricorrente, cittadino romeno, lamenta la violazione dell'art. 5 Cedu per essere stato illegittimamente detenuto per circa 24 ore in un ospedale psichiatrico su ordine della polizia cui si era rivolto per ottenere assistenza.
La Corte, qualificata come non credibile la versione del Governo che allegava la natura volontaria del ricovero nonostante vi fosse espressa dichiarazione contraria da parte del ricorrente, rileva in primo luogo che la detenzione del ricorrente non è stata conforme alla legge romena (la quale richiede l'espressa motivazione della richiesta di internamento e un esame tempestivo della stessa da parte di un collegio di tre medici) né alle esigenze sottese all'art. 5 Cedu: particolarmente la Corte rileva l'assenza di qualsiasi necessità e/o urgenza del ricovero. La Corte accoglie pertanto il ricorso, sottolineando altresì le numerose lacune della normativa romena in materia di ricoveri coattivi in ospedali psichiatrici.
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 26 giugno 2012, ric. n. 44853/10, Toniolo c. San Marino e Italia (importance level