ISSN 2039-1676


06 dicembre 2012 |

Monitoraggio Corte EDU luglio 2012

Rassegna di sentenze e decisioni della Corte EDU rilevanti in materia penale

 

Prosegue il monitoraggio mensile delle sentenze e delle più importanti decisioni della Corte EDU che interferiscono con il diritto penale sostanziale. La scheda mensile è, come di consueto, preceduta da una breve introduzione contenente una presentazione ragionata dei casi decisi dalla Corte, nella quale vengono segnalate al lettore le pronunce di maggiore interesse.

Tutti i provvedimenti citati sono agevolmente reperibili sul database ufficiale della Corte EDU.

 

SOMMARIO


1. Introduzione

2. Articolo 2 Cedu

3. Articolo 3 Cedu

4. Articolo 5 Cedu

5. Articolo 7 Cedu

6. Articolo 8 Cedu

7. Articolo 10 Cedu

 

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 1. Introduzione

a) Nel mese di luglio 2012, si registrano diverse pronunce della Corte europea rilevanti in materia di diritto alla vita tutelato dall'art. 2 Cedu. Anzitutto, si segnalano tre sentenze relative all'ipotesi, frequente in determinate zone della Russia e della Turchia, del sequestro di cittadini da parte di agenti pubblici e della loro successiva scomparsa. In particolare, nel caso Er ed altri c. Turchia, la Corte europea si pronuncia su di uno scontro tra membri del partito curdo e autorità di sicurezza turche seguito dalla sparizione di uno degli attivisti. I casi Ilayeva e altri c. Russia e Umarova ed altri c. Russia, invece, riguardano tipiche vicende di sequestro di individui da parte di unità paramilitari presso la privata dimora e di loro successiva scomparsa. Analogamente, la sentenza Vakhayeva c. Russia, trae origine dal fermo di un cittadino ad un posto di blocco e dalla conseguente perdita di notizie sullo stesso. In tutti i casi, tra i diversi motivi di accoglimento dei ricorsi, la Corte rileva una violazione del diritto alla vita ritenendo probabile l'avvenuta uccisione dei soggetti da parte delle autorità governative.

Si segnalano anche due pronunce concernenti la repressione delle proteste dei detenuti nel carcere turco di Ümraniye, seguite da una reazione dell'autorità di sicurezza caratterizzata, ad avviso della Corte, da un uso sproporzionato della forza (sentenze Makbule Akbaba e altri c. Turchia e Åžat c. Turchia, relative all'uccisione ed al ferimento di alcuni soggetti detenuti; per un approfondimento sulla prima, si veda la nota di Pier Francesco Poli, in questa Rivista).

La violazione dell'art. 2 Cedu, e specificamente degli obblighi positivi promananti dalla disposizione e rilevanti anche in ipotesi di aggressioni da parte di privati, è inoltre riscontrata nel caso Kayak c. Turchia, relativo all'accoltellamento di uno studente da parte di un altro ragazzo nei pressi di un istituto scolastico, nonostante che il preside della scuola avesse più volte segnalato alle autorità i pericoli per l'incolumità degli scolari derivanti dalla presenza di bande giovanili nei pressi dell'istituto. Il caso Ketreb c. Francia, invece, concerne il suicidio in carcere di un tossicodipendente durante un periodo di isolamento, ritenuto dalla Corte europea imputabile alle autorità penitenziarie in ragione proprio degli obblighi positivi di tutela della vita incombenti su di esse.

b) Numerose sono le violazioni dell'art. 3 Cedu riscontrate dalla Corte europea nello stesso periodo. Molte di queste, come di consueto, attengono ai maltrattamenti tenuti dalle autorità di pubblica sicurezza ai danni di cittadini nella fasi di perquisizione, arresto o detenzione. Espressione di tale orientamento, in particolare, sono le pronunce Taylan c. Turchia, Ydina c. Russia, Makhashewy c. Russia, Yerme c. Turchia, Ibrahim Ergun c. Turchia, Aleksakhin c. Ucraina, Tarhan c. Turchia (si noti che, nei casi più gravi, la Corte non ha mancato di riscontrare la sussistenza di veri e proprio atti di tortura, come nelle sentenze Taylan e Aleksakhin). Si registra, peraltro, un caso in cui, pur non essendo ritenute le lesioni riconducibili all'operato della pubblica autorità, è stata comunque riscontrata una violazione del profilo "procedurale" degli obblighi di tutela derivanti dalla norma, vista l'inadeguatezza delle indagini svolte (in questo senso, in particolare, si veda la sentenza B.S. c. Spagna).

Appartengono ad altro filone giurisprudenziale piuttosto consolidato, invece, una serie di pronunce inerenti la compatibilità delle condizioni di detenzione con il divieto di trattamenti inumani e degradanti di cui alla disposizione in parola quali Lica c. Grecia, Razvyazkin c. Russia, Vartic c. Romania. Una specifica causa che viene indicata dalla Corte in questi casi, peraltro, attiene alle condizioni di sovraffollamento degli istituti carcerari - come nelle sentenze Iacov Stanciu c. Romania, Ciupercescu c. Romania, Mahmundi e a. c. Grecia - in una valutazione che spesso tocca anche il problema della conseguente inadeguatezza delle condizioni sanitarie apprestate per i condannati sofferenti di talune patologie. In particolare, su quest'ultimo punto, si vedano le sentenze Wenerski c. Polonia n. 2, Fulop c. Romania, Iorgogiu c. Romania, nonché la quarta presa di posizione della Corte europea sulla vicenda del ricorrente Franco Scoppola (pronuncia Scoppola c. Italia n. 4, la seconda in cui viene evidenziato dai giudici di Strasburgo il problema dell'idoneità della struttura carceraria rispetto allo stato di salute del soggetto, dopo la precedente Scoppola c. Italia del 10 giugno 2008, atteso l'ulteriore protrarsi della violazione anche per un lungo periodo successivo alla prima condanna dello Stato).

In continuità con la precedente giurisprudenza della Corte sull'art. 3 Cedu si pone anche la sentenza Rustamov c. Russia, concernente il provvedimento di estradizione verso l'Uzbekistan adottato dal governo russo nonostante il rischio, successivamente riconosciuto dai giudici di Strasburgo, che il ricorrente potesse essere esposto al rischio di trattamenti contrari alla Convenzione da parte dello Stato richiedente l'estradizione.

Merita una considerazione specifica, invece, il caso M. e altri c. Italia e Bulgaria, scaturito dal ricorso dei genitori di una minorenne bulgara sfruttata e ridotta in schiavitù in Italia vista l'incapacità delle autorità italiane di intervenire in modo adeguato alla luce degli obblighi di tutela derivanti dall'art. 3 Cedu. Nel caso di specie, la Corte opera una chiara distinzione tra obblighi sostanziali e procedurali ritenendo sussistente una violazione esclusivamente del secondo profilo (ma solo rispetto agli agenti pubblici italiani). La stessa soluzione è adottata dalla Corte anche nel caso Muta c. Ucraina, vista all'eccessiva lentezza del procedimento penale a carico di un individuo colpevole di aver arrecato una grave lesione fisica al ricorrente.

Una violazione degli obblighi sostanziali, oltre che procedurali, è invece riconosciuta nei casi Dordevic c. Croazia e D.J. c. Croazia, considerata l'inerzia manifestata dalle autorità di polizia di fronte ad episodi di continue vessazioni subite da un bambino disabile e dalla madre e, nel secondo caso, ad una vicenda di stupro.

c) Nel luglio 2012, la Corte EDU si è pronunciata altresì su diversi ricorsi proposti per violazione dell'art. 5 Cedu in relazione a diverse ipotesi di limitazione della libertà personale. Anzitutto, vengono in rilievo casi di periodi di carcerazione preventiva di cui era stata denunciata la durata eccessiva (con esiti diversi, v. le sentenze Öz c. Turchia e Grigoryan c. Armenia) o comunque superiore ai termini massimi stabiliti dalla legge nazionale (sentenza Van der Velden c. Olanda); in un'altra ipotesi, invece, la Corte ha riscontrato una violazione della norma in relazione ad un ritardo ingiustificato nell'esecuzione di un provvedimento di liberazione del ricorrente (sentenza Topaloglu c. Turchia). Ancora, nella pronuncia X c. Finlandia, la violazione della disposizione è stata ricondotta al mancato rispetto di taluni ritenuti di indipendenza dell'organo competente a decidere per il mantenimento del ricorrente in un ospedale psichiatrico, pur riconoscendo la Corte come legittimo il momento genetico della misura.

La Corte europea, inoltre, ha riconosciuto la violazione di diversi paragrafi dell'art. 5 Cedu in relazione all'arresto e alla successiva condanna di Yuriy Lutsenko, importante esponente del partito di opposizione ucraino e già ministro dell'interno del governo di Yulia Tymoshenko. I giudici di Strasburgo hanno riscontrato soprattutto la violazione delle prerogative della difesa in fase di convalida dell'arresto e l'assenza di un successivo controllo giurisdizionale sul rispetto di tali garanzie (sentenza Lutsenko c. Ucraina).

Nessuna violazione, invece, è stata riscontrata nelle sentenze Krasniqi c. Croazia e Liuiza c. Lituania, vista l'adeguatezza del controllo delle autorità giurisdizionali sulla regolarità della privazione della libertà subita dai ricorrenti.

d) Sotto l'angolo dell'art. 7 Cedu, si registra un'importante pronuncia - Del Rio Prada c. Spagna - sulla questione della c.d. "doctrina Parot", particolarmente dibattuta nell'ordinamento spagnolo. Prendendo posizione sul mutamento giurisprudenziale che ha inciso in modo (estremamente) sfavorevole sulle modalità di applicazione di un beneficio penitenziario rispetto a soggetti condannati a diverse pene detentive cumulate (in quanto esponenti del terrorismo separatista), infatti, la Corte è giunta ad affermazioni molto rilevanti sotto il profilo attinente all'estensione del principio di irretroattività alla materia dell'esecuzione penale (pur tentando di porsi in continuità con il consolidato orientamento in materia) così come ad importanti specificazioni in tema di equiparazione tra diritto legislativo e diritto giurisprudenziale sul piano dell'irretroattività come esigenza di "prevedibilità".

e) La Corte ha altresì rilevato talune violazioni dell'art. 8 Cedu che paiono rilevanti dal punto di vista del diritto penale. Tra queste, si segnala anzitutto il caso Robathin c. Austria, in cui i giudici di Strasburgo hanno dichiarato violato il requisito della proporzione dell'ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata e familiare vista l'invasività di un provvedimento di sequestro adottato nell'ambito di una procedura penale. Due ulteriori pronunce, sfociate tuttavia nel rigetto dei ricorsi, concernono invece due tematiche già in precedenza considerate dalla Corte sotto l'angolo dell'art. 8 Cedu, ossia i provvedimenti di espulsione di stranieri residenti da tempo nello Stato espellente (Samsonnikov c. Estonia) e le restrizioni al diritto di visita dei familiare per i soggetti sottoposti a misura privativa della libertà personale (Aleksejeva c. Lettonia).

f) Venendo alle pronunce rilevanti sotto l'angolo dell'art. 10 Cedu, si devono soprattutto registrare le diverse prese di posizione in relazione alla proporzione della repressione di determinate ipotesi di diffamazione. Nello specifico, in due casi di applicazione della pena pecuniaria, la Corte non ha ritenuto sussistente alcuna violazione (si vedano le pronunce Ziembinski c. Polonia e Lupoch c. Polonia) mentre è stata ritenuta sproporzionata, e quindi contraria alla Convenzione, la misura dell'isolamento disposta in relazione alle critiche mosse da un detenuto all'operato dell'amministrazione penitenziaria (sentenza Kostov c. Bulgaria).

Infine, merita segnalazione la pronuncia Berladir e a. c. Russia, con cui la Corte ha ritenuto proporzionata la condanna ad una pena pecuniaria di un gruppo di attivisti che non si erano attenuti alle prescrizioni della pubblica autorità circa le modalità di svolgimento di una manifestazione pubblica, giudicate compatibili con la libertà di espressione (Introduzione a cura di Francesco Mazzacuva).

 

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2. Articolo 2 Cedu

 

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 10 luglio 2012, ric. n. 27368/07, Vakhayeva c. Russia (importance level 3)

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 10 luglio 2012, ric. n. 27504/07, Ilayeva e altri c. Russia (importance level 3)

Il ricorrente nel primo caso, Tamara Vakhayeva, è una cittadina russa residente a Urus-Martan (Russia). I ricorrenti nel secondo caso sono nove cittadini russi, Yakhita Ilayeva, Larisa Ilayeva, Luiza Ilayeva, Dzhokhar Ilayev, Mariyam Ibragimova, Adam Ilayev, Pyatimat Ibragimova, Elizaveta Batayeva e Taus Islamova. I casi in questione riguardano le accuse mosse dai ricorrenti secondo cui alcuni loro parenti erano stati prelevati e arrestati, rispettivamente nell'ottobre del 2006 e nel luglio del 2004, da militari russi. In particolare, il ricorrente nel primo caso ha perso il figlio, che è stato visto l'ultima volta  costretto a salire su un veicolo dell'esercito dopo essere stato coinvolto in una colluttazione con i militari ad un posto di blocco. I ricorrenti, nel secondo caso, non hanno mai più visto i loro quattro parenti dopo il loro rapimento nella propria abitazione. La successiva denuncia dei ricorrenti non era stata seguita da un'indagine appropriata da parte delle autorità russe. La Corte EDU ha riscontrato, con riguardo ai ricorrenti, la violazione dell'articolo 3 e, con riguardo ai parenti dei ricorrenti, la violazione degli articoli 2 e 5, nonché la violazione dell'articolo 13 in combinato disposto con l'articolo 2.

C. eur. dir. uomo, II Sez., sent. 10 luglio 2012, ric. n. 48887/06, Makbule Akbaba ed altri c. Turchia (importance level 2)

I ricorrenti, Makbule Akbaba, Zübeyde Akbaba, Zohre Akbaba, Gazi Akbaba, Hüseyin Akbaba e Mustafa Akbaba, sono cittadini turchi residenti in diverse città della Turchia. Essi sono rispettivamente la madre, le sorelle ed i fratelli di Haydar Akbaba, morto nel carcere di Ümraniye (Istanbul), dove è stato detenuto per lungo tempo. Il 19 dicembre 2000, le forze di sicurezza turche hanno fatto irruzione, contemporaneamente, in 20 prigioni del Paese nelle quali alcuni detenuti avevano iniziato uno sciopero della fame per protestare contro un progetto di costruzione di prigioni di tipo F con unità abitative più piccole. Nella prigione dove Haydar Akbaba era detenuto, le forze di sicurezza avevano usato armi d'assalto e gas lacrimogeni sui prigionieri. Al termine dell'operazione nel dormitorio erano stati trovati due corpi carbonizzati, uno dei quali era quello di Haydar Akbaba. Basandosi sull'articolo 2 della Convenzione (diritto alla vita), i ricorrenti hanno sostenuto che l'operazione era stata condotta con un uso della forza sproporzionato. Esse hanno inoltre richiamato, in particolare, l'articolo 6 Cedu (diritto ad un equo processo) lamentando la durata eccessiva del procedimento. La Corte EDU ha riscontrato la violazione di entrambe le disposizioni convenzionali.

C. eur. dir. uomo, II Sez., sent. 10 luglio 2012, ric. n. 14547/04, Åžat c. Turchia (importance level 3)

Il ricorrente, Cuma Åžat, è un cittadino turco, residente a Basilea (Svizzera). La vicenda è la stessa descritta  trattando della sentenza Makbule Akbaba ed altri c. Turchia (n. 48887/06) di cui sopra. Basandosi in particolare sull'articolo 2 (diritto alla vita), il ricorrente ha denunciato che durante l'operazione delle forze di sicurezza turche nel carcere in cui egli era detenuto è stato ferito da un proiettile vagante. La Corte EDU ha riscontrato la violazione dell'articolo 2 della Convenzione. 

C. eur. dir. uomo, II Sez., sent. 17 luglio 2012, ric. n. 23016/04, Er ed altri c. Turchia (importance level 2)

I ricorrenti sono 9 cittadini turchi che denunciano la sparizione di un loro parente nell'ambito degli scontri tra le forze di sicurezza turche ed il PKK, di cui il soggetto disperso avrebbe fatto parte. Lamentano la violazione sostanziale e procedurale dell'art. 2 (diritto alla vita), dell'art. 3 (trattamento inumano), in relazione alla sofferenza mentale patita per la sparizione del parente, nonché dell'art. 5 (diritto alla libertà e sicurezza), in relazione alla detenzione subita. La Corte ritiene sussistenti tutte le violazioni. 

C. eur. dir. uomo, II Sez., sent. 10 luglio 2012, ric. n. 60444/08, Kayak c. Turchia (importance level 2)

I ricorrenti, Hamsiye Kayak e Vedat Kayak, sono cittadini turchi residenti in Elazig (Turchia). Essi sono rispettivamente la madre e il fratello di Sedat Kayak che è stato accoltellato nel settembre 2002 all'interno del dormitorio di una scuola pubblica primaria. Nel 2000 e nel 2001 il direttore della scuola in questione aveva chiesto al Ministero dell'Istruzione di apporre sbarre alle finestre del dormitorio e di prevedere la presenza della polizia per garantire la sicurezza degli alunni, alcuni dei quali erano stati minacciati e ricattati di fronte alla scuola da parte di bande di giovani. Il 27 settembre 2002, Sedat Kayak era andato a scuola per visitare dei fratelli più giovani. Lì aveva avuto una discussione con E.G., maggiore di anni 18, che li aveva in precedenza molestati, ed è stato da questi accoltellato in prossimità della struttura scolastica. Per tale reato E.G. era stato condannato alla pena dell'ergastolo, in seguito ridotta a sei anni e otto mesi. I ricorrenti, invocando l'articolo 2 (diritto alla vita) della Convenzione, hanno denunciato che il ragazzo era morto a causa della negligenza da parte dell'amministrazione scolastica. Ai sensi dell'articolo 6 (diritto ad un processo equo) i ricorrenti hanno anche lamentato la lunghezza del procedimento. Per la Corte EDU, tenuto conto delle varie segnalazioni da parte del preside della scuola, le autorità turche erano venute meno al loro dovere di garantire un controllo dei locali della scuola e, per questo motivo, ha ritenuto che vi fosse stata una violazione dell'articolo 2. La Corte EDU ha, inoltre, ritenuto che vi fosse stata anche una violazione dell'art. 6 della Convenzione.

C. eur. dir. uomo, V Sez., sent. 19 luglio 2012, ric. n. 38447/09,  Ketreb c. Francia (importance level 3)

Le due ricorrenti, cittadine francesi residenti a Montigny-lès-Cormeilles e Sannois (Francia), sono le sorelle del sig. Kamel Ketreb. Questi è stato recluso nel giugno del 1998 con nel carcere di Santé a Parigi in quanto accusato di aver aggredito la propria partner, cagionandole lesioni gravi. Tossicodipendente per diversi anni aveva ricevuto in carcere anche  terapie psichiatriche. Dopo essere stato posto in cella di isolamento per punizione, veniva ritrovato morto impiccato nel maggio del 1999  all'interno della cella. Le ricorrenti lamentano la violazione del diritto alla vita, tutelato dall'art. 2 della Convenzione, in quanto le autorità non hanno preso tutte le misure necessarie a proteggere la vita del fratello, violando quindi l'obbligo positivo imposto agli stati di proteggere la vita dei detenuti. Lamentano altresì la violazione dell'art. 3, in quanto la sanzione disciplinare inflitta avrebbe allo stesso cagionato patimenti non essendo adatta alla sua condizione psicologica. I giudici di Strasburgo ritengono integrate entrambe le violazioni.

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 31 luglio 2012, ric. n. 25654/08, Umarova e altri c. Russia (importance level 3)

Tipico caso di sparizione di un cittadino ceceno. I ricorrenti sono parenti (moglie e figli) di Khamzat Umarov, perso di vista la mattina del 30 luglio 2001 quando un gruppo di uomini armati in uniforme mimetica hanno fatto irruzione nella loro casa e lo hanno portato via. Sostengono che egli sia stato ucciso dai militari ed inoltre l'inadeguatezza delle indagini effettuati ad accertare la dinamica dei fatti. Lamentano pertanto la violazione sostanziale e procedurale dell'art. 2 sul diritto alla vita, nonché la violazione dell'art. 3 Cedu, con riferimento ai patimenti psicologici subiti per la sparizione del proprio caro e 5, con riguardo alla privazione della libertà subita. I giudici di Strasburgo ritengono integrate tutte le violazioni.

 

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3. Articolo 3 Cedu

 

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 3 luglio 2012, ric. n. 13579/09, Razvyazkin c. Russia (importance level 3)

Il ricorrente, Sergey Razvyazkin, è un cittadino russo che è stato detenuto per rapina e omicidio in una colonia correzionale della regione di Tula (Russia) dal 2001. Spesso sottoposto a provvedimenti disciplinari in carcere per aver ripetutamente infranto le regole interne, ha trascorso quasi tre anni in celle d'isolamento tra il 2007 e il 2010. Invocando gli articoli 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti), 6 (diritto ad un processo equo) e 13 (diritto ad un ricorso effettivo) della Convenzione, il ricorrente ha denunciato il fatto e le modalità con cui era stato rinchiuso nelle celle d'isolamento, il fatto che l'assistenza medica era inadeguata e, infine, che non aveva avuto un rimedio efficace per contestare tali provvedimenti disciplinari. La Corte EDU ha riscontrato la violazione dell'articolo 3, ma non degli articoli 6 e 13 della Convenzione.

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 3 luglio 2012, ric. n. 11209/10, Rustamov c. Russia (importance level 2)

Il ricorrente, Sobir Rustamov, è un cittadino dell'Uzbekistan dove ha vissuto sino al 2005. Successivamente, dal 2007, si è trasferito in Russia con la moglie ed i tre figli minori. Essendo stato inserito in una lista di ricercati in Uzbekistan per aver tentato di rovesciare l'ordine costituzionale, il ricorrente è stato arrestato nel febbraio del 2010 a Mosca. Le Corti russe, in seguito, hanno autorizzato la sua detenzione in carcere e poi la sua estradizione. Nel mese di agosto del 2001, il ricorrente è stato rilasciato in quanto la Corte competente ha preso atto che era pendente una causa dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Basandosi in particolare sugli articoli 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti), 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), §§ 1 e  4, il ricorrente ha denunciato che la sua estradizione in Uzbekistan lo avrebbe esposto ad un reale rischio di maltrattamenti e che la sua detenzione in attesa di estradizione era stata illegale. La Corte EDU ha riscontrato la violazione dell'articolo 3, ma non dell'articolo 5, §§ 1 e  4, della Convenzione.

C. eur. dir. uomo, II Sez., sent. 3 luglio 2012, ric. n. 32051/09, Taylan c. Turchia (importance level 3)

Il ricorrente, Tamer Taylan, è un cittadino turco residente a Bursa (Turchia). Arrestato l'8 marzo 2000 con l'accusa di fare parte di un'organizzazione criminale volta a commettere frodi, estorsioni e atti di corruzione, il ricorrente, invocando l'art. 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione, ha denunciato che la polizia lo aveva maltrattato in carcere il giorno stesso dell'arresto, lasciandolo per ore nudo, picchiandolo, appendendolo dalla braccia, costringendolo a sedere nudo su un terreno gelato e gettandogli addosso acqua. La Corte EDU ha qualificato tali atti, compiuti nei confronti del ricorrente, come tortura e, di conseguenza, ha riscontrato la violazione dell'articolo 3 della Convenzione.

C. eur. dir. uomo, III Sez., sent. 10 luglio 2012, ric. n. 12152/05, Vartic c. Romania (importance level 3)

Il ricorrente, Ghennadii Vartic, è un cittadino moldavo, attualmente detenuto nella prigione di Jilava (Romania). Sino ad oggi il ricorrente ha passato più di 11 anni in stato di detenzione in seguito alla sua condanna nel 1998 per omicidio. Invocando l'articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione, il ricorrente ha denunciato le pessime condizioni in cui era stato tenuto in due diverse prigioni. La Corte EDU ha riscontrato la violazione dell'articolo 3 della Convenzione avendo ritenuto le condizioni di detenzione a cui era stato sottoposto il ricorrente contrarie al divieto di trattamenti inumani o degradanti.

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 10 luglio 2012, ric. n. 52327/08, Yudina c. Russia (importance level 3)

Il ricorrente, Irina Yudina, è una cittadina russa residente a Yegultys, regione del Kemerovo (Russia). Basandosi in particolare sull'articolo 3 (divieto di trattamenti inumani e degradanti) della Convenzione, la ricorrente ha denunciato di essere stata brutalmente picchiata da diversi agenti di polizia dopo una perquisizione in casa sua, effettuata senza un mandato. Inoltre, la successiva indagine durava da oltre 10 anni e si era rivelata del tutto inefficace. La Corte EDU ha riscontrato la violazione dell'articolo 3 della Convenzione, avendo qualificato i trattamenti a cui era stato sottoposto il ricorrente inumani o degradanti.

C. eur. dir. uomo, II Sez., sent. 31 luglio 2012, ric. n. 40020/03, M. e altri c. Italia e Bulgaria (importance level 1)

I ricorrenti, L.M., S.M., I.I. e KL, sono una famiglia rom di nazionalità bulgara. Il 12 maggio 2003 i primi tre di loro, figlia e genitori, si erano recati a Milano in seguito ad una promessa di lavoro nella villa di un uomo rom di origine serba ma qui i genitori, dopo un periodo di lavoro come collaboratori domestici, venivano picchiati e costretti a tornare in Bulgaria in quanto si erano rifiutati di dare la loro figlia in sposa ad un nipote dell'uomo. Quest'ultima, L.M., ancora minorenne, veniva costretta a rubare sotto la minaccia di essere uccisa e veniva ripetutamente violentata. L'11 giugno 2003 le autorità italiane facevano irruzione nella villa liberando L.M. In seguito a tali fatti i ricorrenti inviavano chiedevano alle autorità italiane di aprire un processo penale nei confronti degli autori dei reati. Al contrario il P.M. italiano indagava L.M. e sua madre per calunnia. Entrambe venivano in seguito assolte nel corso del processo. I ricorrenti si sono rivolti alla Corte EDU lamentando la violazione dell'art. 3 (trattamento inumano) da un punto di vista sostanziale e procedurale. Sotto il primo profilo, in ragione del mancato tempestivo intervento delle autorità italiane. Quanto al secondo, per la mancata effettuazione di adeguate indagini volte a verificare quello che era accaduto. I ricorrenti hanno altresì lamentato la violazione dell'art. 4 (divieto di schiavitù) in ragione del fatto che L.M. era stata costretta a prendere parte ad un'attività criminale organizzata, nonché dell'art. 14 (divieto di discriminazione) poiché ritenevano di essere stati discriminati in ragione della propria etnia rom. La Corte EDU ha accertato, in capo alle autorità italiane, solo la violazione procedurale dell'art. 3 per non aver chiarito, con adeguate indagini, la dinamica della vicenda. Non ritiene sussistente la violazione sostanziale dell'art. 3, in ragione dell'esiguità del tempo trascorso prima dell'intervento che era comunque necessario a studiare la situazione, dichiarando inoltre irricevibile il ricorso quanto alle ulteriori violazioni per carenza totale di prove allegate sul punto. La Corte non ritiene sussistente, infine, alcuna violazione  per quanto concerne l'operato delle autorità bulgare in quanto non erano tenute a condurre indagini nel caso di specie. Anzi, avevano più volte sollecitato le autorità italiane a farlo.

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 24 luglio 2012, ric. n. 41526/10, Dordevic c. Croazia (importance level 1)

I ricorrenti sono madre e figlio, quest'ultimo privo della capacità di intendere e di volere. Entrambi erano stati oggetto di continue vessazioni da parte degli alunni di una scuola primaria vicina alla casa di abitazione in ragione della disabilità del figlio e dell'origine serba di entrambi. La polizia, avvisata ogni volta in seguito a questi episodi, era intervenuta più volte senza tuttavia apprestare rimedi efficaci in ragione talvolta della tardività delle proprie azioni, altre volte del fatto che i soggetti che compivano tali reati erano troppo piccoli per essere penalmente perseguiti. Lamentano la violazione degli art. 3 (trattamenti inumani) ed 8 (rispetto della vita privata e familiare). La Corte ritiene integrate entrambe le violazioni. Sotto il primo profilo, in quanto le autorità, nonostante fossero a conoscenza della situazione di profonda vessazione subita, non si erano in alcun modo attivate per evitarne il proseguimento. Quanto all'art. 8, in quanto tale norma impone che gli stati si attivino per tutelare il rispetto della vita privata e familiare, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 31 luglio 2012, ric. n. 20546/07, Makhashewy c. Russia (importance level 2)

I ricorrenti sono tre fratelli ceceni, di cui uno ora è deceduto, che hanno riferito di essere stati detenuti dalla polizia in caserma e brutalmente picchiati in ragione del sospetto coinvolgimento in una rissa di uno di loro. Gli agenti in particolare avevano loro rivolto altresì insulti razziali minacciandoli anche di morte in caso di una loro opposizione. Lamentano la violazione dell'art. 3 sotto l'aspetto sostanziale, per i maltrattamenti subiti, e procedurale, in ragione delle mancate indagini sull'accaduto da parte dell'autorità, nonché la violazione dell'art. 14 Cedu per le ingiurie subite in ragione della loro origine cecena. La Corte ritiene sussistente la violazione dell'articolo 3 in combinato disposto con l'articolo 14 della Convenzione dal momento che vi era prova dei maltrattamenti subiti dai ricorrenti, degli insulti di stampo razziale loro rivolti, nonché del fatto che le autorità competenti non erano state in grado di indagare in modo efficace sui fatti denunciati.

C. eur. dir. uomo, III Sez., sent. 24 luglio 2012, ric. n. 18999/04, Fulop c. Romania (importance level 2)

Il ricorrente è un cittadino ungherese nato nel 1982. Egli, in carcere per omicidio, ha contratto la tubercolosi in ragione del fatto che, nel luogo ove era recluso, i detenuti malati non erano separati dagli altri. Lamenta quindi la violazione dell'art. 3. La Corte ritiene integrata la violazione ritenendo che le modalità con le quali era stato detenuto costituissero trattamento inumano o degradante ai sensi della disposizione convenzionale in quanto la semplice adozione di misure volte a separare i detenuti malati da quelli sani avrebbe evitato che il ricorrente contraesse la malattia di cui sopra.

C. eur. dir. uomo, IV Sez., sent. 24 luglio 2012, ric. n. 38719/09, Wenerski c. Polonia n. 2 (importance level 3)

Il ricorrente è un cittadino polacco che è nato nel 1970 e vive a Kluczbork (Polonia). Ammalato di epilessia e di disturbo di personalità, era stato detenuto in celle sovraffollate per periodi diversi per un totale di quattro anni tra il 2004 e il 2010. Lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu (divieto di pene o trattamenti degradanti). La Corte ritiene sussistente l'infrazione in ragione dei patimenti subiti dal ricorrente.

C. eur. dir. uomo, III Sez., sent. 24 luglio 2012, ric. n. 35972/05, Iacov Stanciu c. Romania (importance level 2)

Il ricorrente è un cittadino romeno che è nato nel 1977 e vive a Bucarest. Condannato a 12 anni e 6 mesi di reclusione nel settembre 2002,  lamenta le condizioni della sua detenzione nelle prigioni da lui frequentate nel periodo intercorso tra il suo arresto, avvenuto nel Gennaio 2002 ed il suo rilascio in libertà vigilata, nel maggio 2011. Si duole della violazione dell'articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) sostenendo, in particolare, che le sue celle erano gravemente sovraffollate, di essere stato esposto a cattive condizioni igieniche e di non aver ricevuto adeguate cure mediche, problemi peraltro comuni all'intero sistema carcerario romeno. Per gli anzidetti motivi, la Corte ritiene sussistente la violazione della norma della Convenzione sopra richiamata, ritenendo che le condizioni di detenzione cui era stato sottoposto costituissero trattamento inumano o degradante ai sensi della disposizione convenzionale.

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 24 luglio 2012, ric. n. 42418/10, D.J. c. Croazia (importance level 2)

La ricorrente è una cittadina croata che sarebbe stata vittima di un episodio di stupro da parte di un altro impiegato sulla nave dove lavorava. Lamenta la violazione procedurale degli art. 3 ed 8 in relazione all'inadeguatezza delle indagini espletate dalle autorità per accertare la violenza subita. La Corte ritiene sussistenti entrambi le violazioni per non avere le autorità competenti svolto adeguate indagini volte ad accertare il compimento del reato di cui è stata vittima la ricorrente.

C. eur. dir. uomo, III Sez., sent. 24 luglio 2012, ric. n. 3434/05, Yerme c. Turchia (importance level 2)

Il ricorrente è un cittadino turco, all'epoca dei fatti detenuto nel carcere di Diyarbakır. Il 24
Settembre 1996, 30 detenuti sono stati chiamati al parlatorio, mentre un secondo gruppo
di trenta detenuti attendevano il loro turno nel corridoio principale. Data la lunga attesa,
scoppiarono alcuni disordini che condussero le forze dell'ordine ad intervenire con barre di acciaio e manganelli utilizzando violenza al fine di sedare i disordini. Lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu in virtù dell'utilizzo della forza ingiustificata ed eccessiva in reazione ad una situazione erroneamente qualificata come sommossa. I giudici di Strasburgo, giudicando effettivamente sproporzionato l'intervento, ritengono integrata la violazione.

C. eur. dir. uomo, III Sez., sent. 24 luglio 2012, ric. n. 47159/08, B.S. c. Spagna (importance level 3)

La ricorrente è una donna di origine nigeriana. Ha vissuto legalmente in Spagna dal 2003 ed è stata per due volte fermata ed interrogata dalla polizia in strada alla periferia di Palma di Maiorca, dove ha lavorava come prostituta. Si lamenta, ai sensi dell'art. 3, dell'abuso verbale e fisico che asserisce di aver subito in quelle due occasioni dolendosi altresì della mancata realizzazione di indagini da parte delle autorità competenti al fine di verificare l'accaduto. Chiede altresì che venga riconosciuta la violazione dell'art. 14 in ragione del trattamento discriminatorio subito. La Corte riconosce la violazione procedurale dell'articolo 3 Cedu, non essendo state condotte dalle autorità competenti indagine adeguate in relazione alla denuncia della ricorrente; non riconosce, invece, integrata la violazione sostanziale dell'art. 3 Cedu in quanto i referenti medici da ella prodotti non erano sufficientemente chiari sulle possibili cause delle lesioni lamentate. La Corte, infine, ritiene integrata la violazione dell'art. 3 in combinato disposto con l'art. 14 in quanto le autorità spagnole non avevano indagato sulla natura discriminatoria dei fatti asseriti dalla ricorrente.


C. eur. dir. uomo, II Sez., sent. 24 luglio 2012, ric. n. 238/06, Ibrahim Ergun c. Turchia (importance level 3)

Il ricorrente è un avvocato residente ad Istanbul. Era stato arrestato nel settembre del 2000 nel tentativo di partecipare ad una manifestazione nel corso di una conferenza stampa organizzata da un'associazione di avvocati in una delle piazze principali di Istanbul. La polizia aveva utilizzato contro di lui un eccessivo uso della forza durante e subito dopo l'arresto prendendolo a calci e a pugni, picchiandolo con un bastone e spruzzandogli del gas lacrimogeno in faccia. La Corte ritiene integrata una duplice violazione dell'art. 3: da un punto di vista sostanziale, per i maltrattamenti subiti, nonché, da un punto di vista procedurale, per la carenza di indagini idonee ad accertare quanto accaduto.

 C. eur. dir. uomo, III Sez., sent. 24 luglio 2012, ric. n. 64930/09, Ciupercescu c. Romania (importance level 3)

Il ricorrente è un cittadino romeno attualmente detenuto nella prigione di Giurgiu (Romania). Stante le condizioni di sovraffollamento e di profondo degrado dell'istituto, lamenta la violazione dell'art. 3 della Convenzione (trattamenti inumani e degradanti). I giudici di Strasburgo ritengono integrata la violazione in considerazione del fatto che le cattive condizioni carcerarie in cui il Ciupecescu era stato detenuto integrassero trattamento inumano o degradante ai sensi della disposizione convenzionale.

 C. eur. dir. uomo, V Sez., sent. 19 luglio 2012, ric. n. 31939/06, Aleksakhin c. Ucraina (importance level 3)

Il ricorrente è un cittadino ucraino residente in Ucraina. Arrestato con l'accusa di rissa e condotto alla stazione di polizia sostiene di essere stato ammanettato ad un anello di metallo fissato nel muro ed in seguito preso a calci e pugni, picchiato su tutte le parti del corpo e spruzzato in volto con gas lacrimogeni. Rilasciato il giorno seguente era stato ricoverato in ospedale per circa un mese con varie lesioni, tra cui la frattura di un osso del collo. Sostiene la violazione dell'art. 3 della convenzione europea dei diritti dell'uomo per essere stato sottoposto ad un ingiustificato uso della forza tale da integrare gli estremi della tortura. Lamenta altresì la violazione del medesimo articolo da un punto di vista procedurale stante il fatto che il processo nei confronti dell'ufficiale della polizia che lo ha picchiato è durato più di sette anni ed è terminato con una sentenza clemente nei suoi confronti ricevendo egli un risarcimento di soli 7.600 euro per quanto subito. La Corte accoglie le doglianze del ricorrente e ritiene integrate entrambe le violazioni dell'art. 3 Cedu ritenendo che i fatti integrassero gli estremi della tortura ed in quanto gli stessi non fossero in seguito stati oggetto di indagini adeguate.

C. eur. dir. uomo, II Sez., sent. 17 luglio 2012, ric. n. 65050/09, Scoppola c. Italia (n. 4) (importance level 3)

Il sig. Scoppola per la quarta volta davanti alla Corte europea contro lo Stato italiano. Egli è un cittadino italiano dell'età di 72 anni con vari problemi di salute tra i quali diabete, indebolimento, depressione, problemi cardiaci e muscolari. Costretto in sedia a rotelle dal 1987 è stato condannato dalla Corte d'Assise per l'uccisione della moglie ed il ferimento di uno dei suoi figli all'ergastolo, pena poi ridotta a trent'anni. Le sue condizioni di detenzione in carcere a Roma, prima di essere trasferito a Parma nel 2007, erano già state oggetto di una sentenza della Corte Edu il 10 giugno 2008. Il presente ricorso riguarda le condizioni della detenzione dal 2007 fino al 9 gennaio 2011 data in cui, non trovando lo Stato italiano una struttura adeguata alle sue condizioni e seguendo le indicazioni date dalla Corte ai sensi dell'art. 39 del regolamento, egli era stato posto in stato di detenzione domiciliare al fine di escludere qualsiasi rischio di trattamenti inumani e degradanti. Con riferimento al periodo di detenzione patito a Parma il ricorrente lamenta l'inadeguatezza della struttura rispetto alle proprie esigenze di salute. Afferma di essere stato costretto a passare le proprie giornate su un letto e di non essere stato collocato in una struttura adeguata a causa della lentezza dell'amministrazione e delle decisioni dei magistrati di sorveglianza che avevano giudicato le sue condizioni compatibili con l'istituto penitenziario. Lamenta la violazione dell'art. 3 sotto forma di trattamento inumano per i patimenti psicologici subiti dallo stato di detenzione. La Corte ritiene integrata la violazione in considerazione delle condizioni di detenzione del ricorrente.

 C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 17 luglio 2012, ric. n. 74279/10, Lica c. Grecia (importance level 3)

Il sig. Lica, cittadino albanese, è stato trovato senza permesso di soggiorno dalle autorità greche che lo hanno trattenuto nella stazione di polizia in attesa della sua espulsione. Lamenta la violazione dell'art. 3 in ragione delle condizioni della detenzione subita, in particolare delle dimensioni della cella e del degrado presente all'interno della stessa. La Corte ritiene integrata la violazione.

C. eur. dir. uomo, III Sez., sent. 17 luglio 2012, ric. n. 74279/10, Iorgogiu c. Romania (importance level 3)

Il ricorrente è un cittadino romeno condannato nel 2001 a 7 anni di carcere per frode. Le condizioni di detenzione erano state caratterizzate da problemi di sovraffollamento, di igiene nonché di assenza di assistenza medica per le sue malattie. Lamenta pertanto la violazione dell'art. 3, in ragione dei patimenti psicologici subiti a causa di questa situazione. I giudici di Strasburgo ritengono integrata la violazione.

C. eur. dir. uomo, II Sez., sent. 17 luglio 2012, ric. n. 9078/06, Tarhan c. Turchia (importance level 3)

Il ricorrente è un cittadino turco residente a Sivas. Essendosi rifiutato di prestare il servizio militare in ragione delle proprie credenze pacifiste era stato tenuto in custodia in un carcere militare dove era stato altresì sottoposto a sanzioni disciplinari per essersi rifiutato di tagliarsi i capelli e la barba, cosa fatta alla fine con forza da sette soldati. Nei suoi confronti era altresì avviato un procedimento penale. Il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu in ragione dei patimenti psicologici subiti, nonché la violazione dell'art. 9 per il mancato riconoscimento del diritto all'obiezione di coscienza e la conseguente apertura nei suoi confronti di un procedimento penale. La Corte ritiene integrate entrambe le violazioni.

C. eur. dir. uomo, V Sez., sent. 31 luglio 2012, ric. n. 37246/06,  Muta c. Ucraina (importance level 3)

La ricorrente, Ivan Muta, è un cittadino ucraino nato nel 1988. Nel 2000, quando aveva 11 anni, egli perse un occhio a causa di una pietra lanciatagli contro nel corso di una lite. Il processo aperto nei confronti del suo aggressore, durato più di 8 anni, non aveva portato risultati. Lamenta quindi la violazione procedurale dell'art. 3 Cedu in ragione dell'inefficacia delle indagini espletate. La Corte accoglie il ricorso.

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 31 luglio 2012, ric. n. 14902/10,  Mahmundi e al. c. Grecia (importance level 3)

I ricorrenti sono cittadini afgani che hanno lasciato la Grecia nel 2010 e sono attualmente in cerca di asilo
in Norvegia. Il caso riguarda la loro detenzione carcere centrale di Pagani avvenuta sull'
isola di Lesbo. Sig. Mahmundi e la sig.ra Zaharo Huseini, una coppia di sposi, sono stati
accompagnati dai loro figli di età compresa tra due e sei anni in Grecia. Una volta salvati dalla polizia marittima dal naufragio della barca su cui navigavano, il marito era stato separato dai figli e dalla moglie. Le condizioni della detenzione della signora Zaharo erano state inoltre pessime, caratterizzandosi il carcere per sovraffollamento, scarsa igiene, letti inadeguati e mancanza di cure mediche durante la gravidanza. Lamentano pertanto la violazione dell'art. 3 Cedu. I giudici ritengono integrata la violazione.

 

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4. Articolo 5 Cedu

C. eur. dir. uomo, II Sez., sent. 3 luglio 2012, ric. n. 6840/08, Öz c. Turchia (importance level 3)

Il ricorrente, Mahmut Öz, è un cittadino turco, residente ad Istanbul. Il 15 gennaio 2007 è stato arrestato per furto aggravato dal ricorso alla violenza per avere rubato un telefono cellulare con la minaccia di un coltello e, quindi, posto in stato di detenzione preventiva. La custodia cautelare è stata estesa in varie occasioni. Invocando l'art. 5 (diritto alla libertà ed alla sicurezza), §§§ 3, 4 e 5, il signor Öz ha denunciato l'eccessiva durata della detenzione preventiva subita e l'assenza di qualsiasi rimedio idoneo a consentirgli di ottenere un risarcimento. Basandosi sugli articoli 6 (diritto ad un processo equo) e 13 (diritto ad un effettivo ricorso) della Convenzione, il ricorrente si è, inoltre, lamentato che il suo caso non era stato esaminato entro un termine ragionevole. La Corte EDU ha riscontrato la violazione di tutte le norme sopra richiamate.

C. eur. dir. uomo, II Sez., sent. 3 luglio 2012, ric. n. 38388/04, Topaloglu c. Turchia (importance level 3)

Il ricorrente, Åžener Topaloglu, è un cittadino turco residente a Rize (Turchia). Accusato di diserzione durante lo svolgimento del servizio militare obbligatorio, un tribunale militare ne ha ordinato lo stato di detenzione preventiva. Basandosi sull'art. 5 (diritto alla libertà ed alla sicurezza), ​​§§ 1 e 5, il sig. Topaloglu ha affermato che, nonostante un ordine di liberarlo in data 8 marzo 2002, era stato effettivamente rilasciato solo l'11 marzo 2002 e che i rimedi per chiedere il risarcimento di tale detenzione illegale si erano rivelati del tutto inefficaci. Inoltre, invocando l'articolo 6 (diritto ad un processo equo), il ricorrente ha sostenuto che il procedimento a suo carico dinanzi al Tribunale supremo militare era stato ingiusto, che la decisione di tale giudice non era stata sufficientemente motivata e che era stato violato il principio di parità delle armi. La Corte EDU ha riscontrato la violazione degli articoli 5, § § 1 e 5 e 6 della Convenzione.

 C. eur. dir. uomo, IV Sez., sent. 3 luglio 2012, ric. n. 34806/04, X. c. Finlandia (importance level 2)

Il ricorrente, X, è un cittadino finlandese residente in Finlandia. Pediatra di professione, ha continuato a lavorare nel suo studio privato dopo aver raggiunto l'età della pensione. Il 18 aprile 2001, X è stato arrestato con l'accusa di aver aiutato una madre a rapire la propria figlia. La bambina era stato presa in cura da parte del ricorrente nel giugno del 2000 a causa dello stato di salute mentale della madre. Nel procedimento penale a suo carico X è stata accusato di avere indirettamente influenzato la madre a rapire la bambina. Nel corso del procedimento, il tribunale ha ordinato la detenzione del ricorrente e da lì il suo trasferimento in un istituto psichiatrico. Al termine del procedimento penale, il giudice ha stabilito che X era stato responsabile di favoreggiamento nel rapimento della figlia nel dicembre 2000, ma è stato giudicato penalmente non responsabile a causa del suo stato di salute mentale. Nel gennaio 2007 gli è stato vietato di occuparsi di casi di sospetti abusi sui minori nel suo studio privato. La Corte EDU ha anzitutto osservato che la decisione di mettere X sotto cure ospedaliere era stato presa da un organismo indipendente con competenze giuridiche e mediche. Tuttavia, non erano state fornite garanzie quanto alla continuazione del trattamento involontario di X. In particolare, non vi era stato un parere psichiatrico indipendente. In considerazione di quanto precede, la Corte EDU ha concluso che vi era stata una violazione dell'art. 5 (diritto alla libertà ed alla sicurezza), § 1 (e). Il ricorrente ha, inoltre, denunciato la somministrazione forzata di farmaci per la quale X non aveva avuto la possibilità di opporsi. La Corte ha concluso che vi era stata anche la violazione dell'articolo 8 della Convenzione.


C. eur. dir. uomo, V Sez., sent. 3 luglio 2012, ric. n. 6492/11, Lutsenko c. Ucraina (importance level 1)

Il ricorrente, Yuriy Vitaliyovych Lutsenko, è un cittadino ucraino, attualmente detenuto a Kiev. Egli è il leader del partito di opposizione Narodna Samooborona ed è stato il ministro degli Interni fino al gennaio del 2010. Nel novembre 2010, la Procura generale ha aperto un procedimento penale a carico di Lutsenko per violazioni di legge connesse all'impiego del suo autista. L'11 dicembre dello stesso anno è stato avviato un altro procedimento penale a carico di Lutsenko per abuso d'ufficio, con l'accusa di avere favorito  l'assegnazione di un monolocale al suo autista. I due procedimenti penali sono stati riassunti. Il 26 dicembre 2010, Lutsenko è stato arrestato nei pressi della sua casa da agenti dei servizi di sicurezza. Secondo Lutsenko, egli non è stato informato dei motivi del suo arresto e non gli è stata consegnata una copia delle accuse nei suoi confronti. Il 27 dicembre 2010 il sig Lutsenko ed il suo avvocato hanno partecipato ad una udienza di cui  avevano avuto notizia solo 20 minuti prima del suo inizio. Nel corso dell'udienza, la Corte ha accolto la richiesta della procura e ha ordinato la detenzione di Lutsenko. Il 27 febbraio 2012 il ricorrente è stato condannato a quattro anni di reclusione e alla confisca dei beni. La sentenza è stata confermata in Cassazione. Invocando l'articolo 5 (diritto alla libertà ed alla sicurezza), §§§ 1 (b) e (c), 2 e 3 della Convenzione, il ricorrente ha denunciato, in particolare, che il suo arresto e detenzione erano stati arbitrari e illegali. Basandosi anche sull'articolo 6 (diritto ad un equo processo), §§§ 1, 2 e 3 (a) e (b), il ricorrente si è lamentato di non essere stato informato in merito all'udienza in cui è stato convalidato  il proprio arresto. Per la Corte EDU, nella fattispecie, vi era stata una violazione dell'articolo 5 § 1. Inoltre, per l'arresto del sig. Lutsenko non esistevano le esigenze cautelari. La Corte ha concluso che la custodia cautelare del ricorrente era stata arbitraria e, quindi, in violazione dell'articolo 5 § 1. Per il fatto che Lutsenko non era stato
informato delle ragioni formali del suo arresto, la Corte EDU ha concluso che le autorità non avevano ottemperato agli obblighi di cui all'articolo 5 § 2. Per il fatto che, nonostante la denuncia del ricorrente di essere stato arrestato illegalmente, il giudice ucraino non aveva esaminato la legittimità della sua detenzione, la Corte EDU ha stabilito che vi era stata una violazione dell'articolo 5 § 3. Per la Corte, inoltre, a Lutsenko non era stato concesso un adeguato controllo giurisdizionale della legittimità della sua detenzione con conseguente violazione dell'articolo 5 § 4.  Nelle sue osservazioni presentate alla Corte, Lutsenko si era lamentato, senza fare riferimento ad particolare articolo della Convenzione, che il procedimento nei suoi confronti ed il suo arresto erano stati utilizzati dalle autorità per escluderlo dalla vita politica e dalla partecipazione alle prossime elezioni parlamentari. La Corte ha ritenuto che la restrizione della libertà del ricorrente era stato decisa per motivi diversi da quelli attinenti all'ordinamento giudiziario. Di conseguenza, vi era stata anche una violazione dell'articolo 18 in combinato disposto con l'articolo 5 della Convenzione.

 C. eur. dir. uomo, III Sez., sent. 10 luglio 2012, ric. n. 3627/06, Grigoryan c. Armenia (importance level 3)

Il ricorrente, Vahe Grigoryan, è un cittadino armeno nato nel 1975 e residente a Yerevan. Invocando l'art. 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), §§ 1 e 3, il ricorrente ha denunciato  di essere stato illegalmente privato della propria libertà per circa sette ore tra il 10 e l'11 ottobre 2005 essendo scaduto il suo regolare stato di arresto, avvenuto in seguito all'accusa di appropriazione indebita di un grossa somma di denaro, e che i tribunali nazionali non avevano dato una giustificazione plausibile di detto ulteriore periodo di detenzione. Basandosi, poi, sull'articolo 6 § 1 (diritto ad un processo equo), il ricorrente ha altresì denunciato che il procedimento penale nei suoi confronti era durato troppo tempo. La Corte EDU ha riscontrato la violazione dell'articolo 6, ma non dell'articolo 5 § 4 in quanto la lamentela del ricorrente secondo cui la Corte di Cassazione si sarebbe rifiutata di prendere in esame il suo appello è stata ritenuta manifestamente infondata.

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 10 luglio 2012, ric. n. 4137/10, Krasniqi c. Croazia (importance level 3)

Il ricorrente, Zenel Krasniqi, è un cittadino croato, residente a Sisak (Croazia). Riconosciuto colpevole di aver commesso quattro omicidi, il ricorrente è stato condannato in contumacia nel marzo 1999 a 20 anni di carcere. In seguito è stato arrestato in Germania nell'aprile del 2006 ed estradato in Croazia dove è stato posto in stato di custodia cautelare nel febbraio del 2007. Basandosi in particolare sull'art. 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza), § 1, della Convenzione, il ricorrente ha denunciato alla Corte che una parte della sua detenzione in seguito alla sua condanna era stata illegale. La Corte EDU non ha riscontrato alcuna violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione in quanto la doglianza del ricorrente secondo cui le autorità croate non avrebbero esaminato la contestazione da questi sollevata per ingiusta detenzione è stata ritenuta manifestamente infondata.

C. eur. dir. uomo, II Sez., sent. 31 luglio 2012, ric. n. 13472/06, Liuiza c. Lituania (importance level 3)

Il ricorrente è un cittadino lituano, nato nel 1981, affetto da schizofrenia. Afferma che il suo arresto per sospetto furto, avvenuto nel giugno 2004, ed il successivo collocamento in istituto psichiatrico siano stati illegittimi. Lamenta pertanto la violazione dell'art. 5 Cedu. La Corte non ritiene integrata la violazione essendo essi stati adottati in conformità alle norme di diritto interno e non essendo queste in contrasto con la violazione lamentata.

C. eur. dir. uomo, III Sez., sent. 31 luglio 2012, ric. n. 21203/10, Van der Velden c. Olanda (importance level 3)

Il ricorrente è un cittadino olandese nato dal 1965 ed affetto da un disturbo schizoide della personalità. Condannato per estorsione e furto nel mese di aprile del 2003 e ristretto da tale data in una clinica, lamenta la violazione dell'art. 5 comma 1 sul presupposto che il suo costante confinamento nell'istituto sarebbe illegittimo stante il fatto che la legge nazionale pone un limite massimo di 4 anni a tale tipologia di restrizione della libertà. La Corte accoglie il ricorso.

 

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5. Articolo 7 Cedu

C. eur. dir. uomo, III Sez., sent. 10 luglio 2012, ric. n. 42750/09, Del Rio Prada c. Spagna (importance level 2)

La ricorrente, Ines Del Rio Prada, è una cittadina spagnola che sta scontando una pena detentiva nella regione di Murcia (Spagna). In diversi procedimenti penali per reati di stampo terroristico, la ricorrente è stata condannata ad oltre 3.000 anni di carcere. La ricorrente ha iniziato a scontare la sua pena nel febbraio 1989. Nel novembre 2000, tenuto conto della stretta connessione giuridica e cronologica tra i reati, la Audiencia Nacional ha riunito i vari procedimenti e stabilito una pena di 30 anni, il limite massimo applicabile ai sensi dell'articolo 70 del codice penale, in vigore all'epoca dei fatti. Il 24 aprile 2008, grazie allo sconto di pena per il lavoro svolto in carcere, le autorità carcerarie hanno disposto il rilascio della sig.ra Del Rio Prada. Il 19 maggio 2008, tuttavia, la Audiencia Nacional ha chiesto alle autorità carcerarie di rivedere il loro calcolo in applicazione della "dottrina Parot", introdotta dal Tribunal Supremocon una sentenza del 28 febbraio 2006, che obbliga dal tale anno a calcolare i benefici di pena dei reclusi rispetto ad ognuna delle condanne imposte e non al cumulo delle stesse. In virtù dell'applicazione di tale dottrina l'Audiencia Nacional ha decretato il 27 giugno 2017 come data del rilascio della ricorrente. Tutti i ricorsi interni hanno avuto esito negativo. Invocando l'articolo 7 (nessuna pena senza legge) della Convenzione, la ricorrente ha denunciato che la giurisprudenza della Corte Suprema era stata applicata retroattivamente. La ricorrente ha inoltre ritenuto che il protrarsi della sua detenzione era in contrasto con l'art. 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) della Convenzione. Infine, ai sensi dell'articolo 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione, la ricorrente ha sostenuto che la nuova giurisprudenza era stata applicata dai giudici spagnoli per ragioni politiche, al fine di ritardare il rilascio dei prigionieri condannati per atti di terrorismo. La Corte EDU, risolvendo per la prima volta in senso affermativo la questione dell'applicabilità dell'art. 7 Cedu alla fase esecutiva, ha ribadito che il principio che solo la legge può definire e sanzionare un crimine (nessuna pena senza legge) sancito dall'articolo 7 della Convenzione vieta che il diritto penale sia interpretato in senso ampio, a scapito degli accusati. Di conseguenza, la Corte ha concluso per la sussistenza di una violazione dell'articolo 7 della Convenzione dato che la sig.ra Del Rio Prada non era stata in grado di prevedere l'applicazione retroattiva al suo caso della nuova giurisprudenza in materia di calcolo dei benefici. Per le stesse ragioni, la detenzione della ricorrente a partire dal 3 luglio 2008 è considerata illegittima e, quindi, disposta in violazione dell'articolo 5 § 1 della Convenzione. La ricorrente ha sostenuto che la nuova giurisprudenza del Tribunal Supremo era stata utilizzata per ritardare la liberazione dei prigionieri dell'ETA. La Corte EDU ha, tuttavia, ritenuto che i principi applicati dalla Audiencia Nacional per il calcolo degli sconti di pena erano di portata generale e, quindi, applicabili anche a persone che non erano membri di ETA. La censura della ricorrente ai sensi dell'articolo 14 della Convenzione è stata quindi respinta in quanto manifestamente infondata.

 

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6. Articolo 8 Cedu

 

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 3 luglio 2012, ric. n. 30457/06, Robathin c. Austria (importance level 2)

Il ricorrente, Heinz Robathin, è un cittadino austriaco residente a Vienna. Il ricorrente, un avvocato, ha denunciato il sequestro, nel suo studio, di documenti e dati elettronici. Il sequestro era stato ordinato dal giudice nell'ambito di un procedimento penale avviato nei confronti del ricorrente con l'accusa di furto, appropriazione indebita e frode nei confronti dei suoi clienti. Il ricorrente, dopo essere stato assolto nel marzo del 2011 da tutte le accuse, si è rivolto alla Corte EDU, invocando l'articolo (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione. La Corte ha riscontrato la violazione di detto articolo in quanto il sequestro dei documenti anzidetti costituiva una misura sproporzionata rispetto agli obiettivi perseguiti dalle autorità inquirenti.

C. eur. dir. uomo, I Sez., sent. 3 luglio 2012, ric. n. 52178/10, Samsonnikov c. Estonia (importance level 2)

Il ricorrente, Dmitry Samsonnikov, è un cittadino russo residente a San Pietroburgo. Dopo aver vissuto in Estonia per tutta la vita - senza ottenerne la cittadinanza - il ricorrente è stato oggetto di un provvedimento di espulsione nel maggio del 2011, in quanto le autorità estoni avevano rifiutato di rinnovargli il permesso di soggiorno in seguito alla condanna per traffico di droga ottenuta in Svezia nel marzo 2008, in aggiunta ad altre condanne per reati già commessi in Estonia tra cui furto, violenza e traffico stupefacenti. Invocando l'articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione, il ricorrente si è lamentato della sua espulsione, tenuto conto in particolare che, facendo parte di  una seconda generazione di immigrati, egli non aveva alcun legame di sorta con la Russia. La Corte EDU non ha riscontrato alcuna violazione dell'art. 8 della Convenzione in quanto ha considerato la durata del periodo in cui non gli era stato consentito l'ingresso in Estonia non tale da rappresentare una interferenza sproporzionata nei diritti riconosciuti al ricorrente.

C. eur. dir. uomo, III Sez., sent. 3 luglio 2012, ri