1 marzo 2013 |
Monitoraggio Corte EDU dicembre 2012
Rassegna di sentenze e decisioni della Corte EDU rilevanti in materia penale
Prosegue il monitoraggio mensile delle sentenze e delle più importanti decisioni della Corte EDU che interferiscono con il diritto penale sostanziale. La scheda mensile è, come di consueto, preceduta da una breve introduzione contenente una presentazione ragionata dei casi decisi dalla Corte, nella quale vengono segnalate al lettore le pronunce di maggiore interesse.
Tutti i provvedimenti citati sono agevolmente reperibili sul database ufficiale della Corte EDU.
SOMMARIO
1. Introduzione
2. Articolo 2 Cedu
3. Articolo 3 Cedu
4. Articolo 5 Cedu
5. Articolo 8 Cedu
6. Articolo 10 Cedu
* * *
1. Introduzione
a) In tema di art. 2 Cedu segnaliamo in primo luogo, tra le sentenze pronunciate dalla Corte nel mese di dicembre, l'importante sentenza Aslakhanova e altri c. Russia. In tale sentenza, la Corte individua una violazione sistematica del diritto alla vita e del divieto di trattamenti inumani in relazione alle numerosissime sparizioni forzate di cittadini di origine cecena da parte di appartenenti alle forze militari russe, "pratica sistematica incompatibile con i diritti sanciti dalla Convenzione". In motivazione i giudici sollecitano la Russia, ex art. 46 Cedu, a porre termine a tale situazione adottando misure strutturali volte da un lato ad alleviare le sofferenze dei familiari degli scomparsi (per le quali la Russia viene sistematicamente condannata per violazione dell'art. 3 Cedu), derivanti dalla mancanza di ogni notizia e di risposte da parte delle autorità, e dall'altro a dare effettività alle indagini relative a tali crimini (riguardanti dunque il profilo procedurale dell'art. 2). Per un approfondimento su questa pronuncia, cfr. la scheda di E. Tiani pubblicata su questa Rivista.
Rilevante è, inoltre, la sentenza R.R. ed altri c. Ungheria; in essa la Corte europea riscontra una violazione degli obblighi positivi di tutela nascenti dall'art. 2 Cedu per la mancata tutela dei familiari di un collaboratore di giustizia, la cui vita era stata esposta a rischio perchè esclusi dal programma di protezione in cui erano stati precedentemente inseriti. In tema segnaliamo una recente pronuncia della Corte (C. eur. dir. uomo, IV sezione, sent. 13 novembre 2012, Van Colle c. Regno Unito) che ha invece escluso, sulla base di un diverso accertamento delle circostanze di fatto, la violazione dell'art. 2 Cedu da parte delle autorità in un caso analogo, in cui il testimone di un reato - non inserito in alcun programma di protezione - fu ucciso dall'imputato contro il quale avrebbe dovuto testimoniare.
Obblighi positivi di tutela derivanti dall'art. 2 Cedu vengono in rilievo anche nella sentenza Halil Yueksel ed altri c. Turchia, in cui la Corte condanna la Turchia per non aver adottato misure volte a prevenire il suicidio di un militare di leva, suicidio prevedibile data la situazione di grave depressione di quest'ultimo, direttamente legata, tra l'altro, alle condizioni di vita in caserma.
Nel mese di dicembre la Corte ha affrontato altresì il tema della responsabilità medica in due sentenze di condanna: una di esse (Kudra c. Croazia) ha ad oggetto gli obblighi procedurali discendenti dall'art. 2 Cedu per la mancanza di indagini effettive per accertare la colpa medica in relazione alla morte di un bambino avvenuta nel corso di un'operazione chirurgica (l'altra sentenza in argomento, G.B. e R.B. c. Repubblica di Moldova, rientra invece nel campo di applicazione dell'art. 8 Cedu e sarà illustrata nel relativo paragrafo).
Da ultimo, nella sentenza Filipovi c. Bulgaria la Corte ha riscontrato una violazione del profilo procedurale dell'art. 2 Cedu con riferimento all'uccisione di un soggetto da parte di un agente di polizia, nel corso di un tentativo di arresto: nella sentenza in parola i giudici europei hanno ribadito la fondamentale importanza dell'obbligo per gli Stati membri di svolgere indagini diligenti sulla condotta degli agenti in casi del genere. In questo caso il processo (che aveva portato all'assoluzione del poliziotto per legittima difesa) era stato celebrato, ma presentava ritardi e carenze d'indagine tali da inficiarne l'effettività.
b) Di grandissima rilevanza, in tema di art. 3 Cedu, la sentenza El-Masri c. ex Repubblica jugoslava di Macedonia (su cui cfr. più ampiamente la scheda di F. Viganò già pubblicata in questa Rivista) sul fenomeno delle extraordinary renditions (operazioni poste in essere da agenti statali, al di fuori di qualsiasi procedura e garanzia legale, per consegnare alla CIA soggetti da questa ricercati nell'ambito della politica antiterrorismo successiva all'11 settembre 2001). In questa sentenza la Corte condanna la Macedonia per violazione degli artt. 3, 5, 8 e 13 Cedu in relazione all'illegale consegna del ricorrente ad agenti statunitensi, ed al successivo trasferimento di questi in Afghanistan, dove fu sottoposto a trattamenti contrari all'art. 3 (per una precedente presa di posizione della Corte sulle extraordinary renditions, relativa alla consegna illegale di un soggetto dalle autorità russe a quelle del Tajikistan, cfr. C. eur. dir. uomo, sez. I, 23 settembre 2010, Iskandarov c. Russia, pubblicata in questa Rivista con nota di A. Colella).
Data l'attualità del problema in Italia (cfr. la recente "sentenza pilota" della Corte europea che ha condannato il nostro Paese per le sistematiche violazioni della Convenzione dovute al sovraffollamento carcerario, pubblicata in questa Rivista con scheda di F. Viganò), deve guardarsi con attenzione alla (consueta) presenza di varie sentenze di condanna ex art. 3 Cedu nei confronti di diversi Stati europei per le condizioni di detenzione nelle carceri, con particolare riferimento a sovraffollamento, pessime condizioni igieniche ed assistenza sanitaria (sentenze Leontiuc c. Romania, Tzamalis ed altri c. Grecia, Nieciecki c. Grecia, ÄŒuprakovs c. Lettonia, Jeladze c. Georgia).
Applica poi principi che possono ormai dirsi consolidati la sentenza F.N. e altri c. Svezia, in tema di espulsione di un soggetto verso Paesi in cui corre il serio rischio di essere sottoposto a trattamenti contrari all'art. 3 Cedu. La Corte, in questa pronuncia, accoglie le doglianze dei ricorrenti - richiedenti asilo in Svezia - dichiarando che il loro rimpatrio verso il Paese d'origine, l'Uzbekistan, costituirebbe violazione della Convenzione, dato l'alto rischio per gli stessi, per la loro storia personale, di essere ivi sottoposti a tortura o a trattamenti inumani o degradanti.
Da ultimo segnaliamo alcune pronunce aventi ad oggetto casi di violenze poste in essere dalle forze dell'ordine: in particolare le sentenze Lenev c. Bulgaria, Dvalishvili c. Georgia e Gasanov c. Repubblica di Moldova condannano gli Stati, tra l'altro, per aver sottoposto i ricorrenti, indagati in procedimenti penali, a tortura e violenze al fine di ottenere da loro delle confessioni.
Violazioni dell'art. 3 Cedu in relazione a violenze commesse da agenti appartenenti alle forze dell'ordine (o presunti tali) sono ravvisate anche nelle pronunce Mityaginy c. Russia e TaÅŸarsu c. Turchia, esclusivamente però sotto il profilo procedurale, in relazione alla mancanza di indagini sui fatti denunciati dai ricorrenti.
c) Sul fronte dell'art. 5 Cedu, segnaliamo in primo luogo la sentenza Athary c. Turchia, in cui la Corte riconosce l'incompatibilità con la Convenzione della detenzione presso un centro di espulsione del ricorrente - dissidente politico iraniano - in attesa di visto per recarsi in Olanda, presso cui aveva ottenuto asilo politico.
Nella sentenza Venskutè c. Lituania i giudici accertano l'illegittimità di una detenzione durata circa un giorno, avvenuta in questura, nei confronti di una donna indagata per frode, che denunciava l'irregolarità del suo arresto; nella sentenza Baisuev e Anzorov c. Georgia invece la Corte ha dichiarato l'illegittimità del fermo, durato tre ore, di due cittadini russi di origine cecena residenti in Georgia come rifugiati, fermo ritenuto arbitrario ed avvenuto, tra l'altro, senza alcuna comunicazione ai fermati circa i motivi fondanti tale privazione di libertà.
d) Sul fonte dell'art. 8 Cedu si deve segnalare in primo luogo una sentenza in tema di responsabilità medica, affrontato dalla Corte sotto il profilo della violazione del "diritto alla vita privata e familiare" (sentenza G.B. e R.B. c. Repubblica di Moldavia). Si tratta di un intervento di rimozione delle ovaie, non strettamente necessario, effettuato dal medico di un ospedale pubblico senza il consenso della donna durante un parto cesareo. La violazione della Convenzione riguarda, essenzialmente, l'ammontare del risarcimento riconosciuto alla donna dalle Corti nazionali, insufficiente a "compensare" una violazione particolarmente grave dell'art. 8. Impossibile, sottolinea la Corte, giustificare il magro compenso riconosciuto alla donna sulla base dell'insostenibilità economica, per l'ospedale, di un risarcimento maggiore: lo Stato, proprietario dell'ospedale, è chiamato a coprire tutte le spese da esso generate.
Vi sono, inoltre, alcune sentenze che dichiarano l'incompatibilità con la Convenzione - sotto il profilo dell'art. 8 Cedu - dell'espulsione verso il Paese di origine di soggetti irregolarmente soggiornanti in Stati membri (Hamidovic c. Italia, Butt c. Norvegia, De Souza Ribeiro c. Francia). Si tratta di casi in cui le espulsioni oggetto di valutazione non hanno natura sostanzialmente "penale", non essendo state disposte dalle autorità in diretta conseguenza della commissione di un reato; i criteri per valutarne la legittimità vengono dunque applicati, in linea con il consolidato orientamento della Corte sul punto, con maggior rigore rispetto ai casi in cui, invece, l'espulsione segua la commissione di reati di una certa gravità.
Segnaliamo altresì la sentenza Lenev c. Bulgaria - già citata al par. b) di questa introduzione, in tema di art. 3 Cedu - ove si riscontra una violazione dell'art. 8 in relazione al quadro normativo all'epoca esistente in Bulgaria, che legittimava la sottoposizione a "sorveglianza segreta" di persone sospettate di pianificare la commissione, o di avere commesso, dei reati (la Corte si richiama, in questo senso, alla precedente sentenza Association for European Integration and Human Rights ed Ekimdzhiev c. Bulgaria, del 28 giugno 2007, ric. n. 62540/00, in cui il medesimo quadro normativo è stato estesamente analizzato).
Da ultimo, nella sentenza Vuldzhev c. Bulgaria la Corte, applicando principi consolidati, riconosce l'illegittimità del sistematico controllo della corrispondenza tra detenuto ed avvocato da parte delle autorità penitenziarie, derivante dal quadro normativo esistente in Bulgaria all'epoca dei fatti.
e) Infine, diamo conto di due sentenze rese dalla Corte nel mese di dicembre in tema di art. 10 Cedu.
Il caso Yildirim c. Turchia vede la condanna dello Stato turco per aver oscurato il sito internet gestito dal ricorrente. Il sito era stato oscurato in seguito ad un provvedimento giurisdizionale che aveva disposto il blocco di tutte le pagine web ospitate, come quella del ricorrente, sulla piattaforma "Google sites", al fine di oscurare il sito di un soggetto (diverso dal ricorrente) accusato di aver insultato la memoria di Ataturk. La Corte ritiene sussistente la violazione perché il sito "ingiurioso" avrebbe potuto essere oscurato con modalità meno invasive della libertà di espressione altrui, che hanno invece portato al blocco del sito del ricorrente in assenza di indizi di reato a suo carico.
La sentenza Ileana Constantinescu c. Romania, invece, riguarda un caso di diffamazione, realizzatasi attraverso la pubblicazione di un libro: la Corte, senza discostarsi dai principi elaborati dalla giurisprudenza di Strasburgo in proposito, ha riconosciuto sproporzionata la condanna della ricorrente ad una pena pecuniaria ed al risarcimento dei danni (per una cifra ammontante complessivamente a 35.750.000 Rol, corrispondenti a circa 820 euro) rispetto al fine, pur legittimo, di "proteggere la reputazione o i diritti altrui". La sentenza si segnala anche in relazione al dibattito, sviluppatosi a margine del noto "caso Sallusti", sulla legittimità della sanzione detentiva in caso di diffamazione a mezzo stampa, su cui si v. la sentenza della Corte di cassazione, annotata da F. Viganò in questa Rivista. (Introduzione a cura di Marta Pelazza)
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2. Articolo 2 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 4 dicembre 2012, ric. n. 19400/11, R.R. ed altri c. Ungheria (importance level 2)
Ricorre alla Corte un'intera famiglia ungherese, composta da padre (sig. R.R., di origine serba), madre e tre figli minori, che lamenta l'ingiustificata esclusione dei suoi componenti dal programma di protezione previsto a favore dei testimoni in procedimenti penali e dei loro familiari. Il padre, infatti, dopo aver patteggiato la pena prevista per il concorso in associazione a delinquere dedita al traffico di stupefacenti, è divenuto un collaboratore di giustizia. Tuttavia, il sig. R.R. si vedeva estromesso, dopo breve tempo, dal suddetto programma di protezione, in seguito all'accertamento, da parte dell'autorità giudiziaria, della violazione di alcune regole di comportamento, nonché sulla base del sospetto ch'egli mantenesse attivi i contatti con l'organizzazione criminale. Del pari, anche l'intera famiglia veniva esclusa dal programma, e così esposta - secondo la tesi dei ricorrenti - al concreto pericolo di subire la vendetta da parte dell'associazione a delinquere, in violazione dell'art. 2 Cedu.
La Corte, considerata la particolare situazione della moglie e dei figli minori del sig. R.R., riconosce la violazione dell'art. 2 Cedu nei loro confronti sulla base del concreto pericolo per la vita a cui sono stati esposti, non accogliendo di contro la tesi sostenuta dal Governo ungherese secondo cui la donna ed i figli non avrebbero corso alcun rischio, ovvero che sarebbero comunque state assunte idonee misure atte a garantire la loro incolumità. Di conseguenza, la Corte impone all'esecutivo ungherese, oltre al risarcimento del danno, l'obbligo di adottare proprio le necessarie misure dirette alla tutela della sicurezza dei soggetti in pericolo.
C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 4 dicembre 2012, ric. n. 24867/04, Filipovi c. Bulgaria (importance level 3)
I ricorrenti sono figlio e vedova del sig. Nikolay Filipov, cittadino bulgaro ferito a morte durante un'operazione di polizia riguardante alcuni casi di rapina a mano armata. In particolare, secondo il governo bulgaro, uno degli agenti impegnati nelle indagini avrebbe colpito il familiare dei ricorrenti in un atto di autodifesa, poiché il sospettato si sarebbe dapprima dato alla fuga, ed avrebbe quindi estratto un'arma da fuoco brandendola contro i poliziotti. Al contrario, i ricorrenti sostengono che il sig. Filipov sia stato colpito alla schiena, in un atto di violenza ingiustificato, e che le susseguenti indagini in merito siano state superficiali e volutamente inconcludenti.
La Corte, nel ricordare di non essere deputata a valutare e prendere posizione in merito alle posizioni sostanziali espresse dai tribunali nazionali nei diversi gradi di giudizio, riconosce però che l'investigazione - nonostante una partenza tempestiva - sia stata sostanzialmente abbandonata per circa cinque anni (tra il 2000 e il 2005). Ciò, da un lato, non risulta aver comportato particolari conseguenze sul piano interno, in quanto i diversi gradi di giudizio si sono comunque svolti e l'assoluzione finale dell'ufficiale di polizia autore dell'omicidio è stata emessa sulla base del riconoscimento di una situazione di legittima difesa. D'altro canto, la complessiva vicenda è ritenuta violare l'art. 2 Cedu, in relazione alla mancata analisi del comportamento di tutti gli agenti di polizia coinvolti nel fatto, con particolare enfasi sul fatto che lo Stato è sempre tenuto a garantire, ai sensi della Convenzione, che l'investigazione risulti ampia ed esaustiva in relazione alla condotta tenuta da tutti i propri agenti.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 11 dicembre 2012, ric. n. 39125/04, Halil Yueksel ed altri c. Turchia (importance level 3)
I sei ricorrenti sono padre, madre e fratelli del sig. Lutfi Volkan, morto durante il servizio militare obbligatorio: il 6 giugno 2002, infatti, il ragazzo fu trovato solo in una stanza, con profonde e gravissime ferite, morendo poi lo stesso giorno in ospedale. Il ricorso verte sul fatto che le autorità militari turche non avrebbero preso tutte le misure idonee e necessarie a tutelare il diritto alla vita del militare, financo dispensandolo dal servizio obbligatorio in ragione delle sue precarie condizioni di salute mentale. Parallelamente, i ricorrenti lamentano anche la scarsa tempestività ed incisività delle indagini svolte dalle autorità incaricate in seguito alla morte del congiunto.
La Corte rileva la violazione sostanziale dell'art. 2 Cedu in quanto, nonostante non vi siano ragioni per porre in discussione la ricostruzione proposta dal governo turco (il quale ha sostenuto la tesi del suicidio), le autorità militari avrebbero dovuto attivarsi sulla scorta dell'effettiva conoscenza di una instabilità ansioso-depressiva, in capo al defunto, legata proprio alla contingente costrizione derivante dalla vita di caserma, come già certificato - prima dell'episodio - da uno psicologo militare. Sono invece respinti i motivi di ricorso relativi agli aspetti procedurali, in quanto l'indagine amministrativa svolta dalle autorità turche, in seguito ai fatti, è ritenuta tempestiva, adeguatamente approfondita ed esaustiva.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 18 dicembre 2012, ric. n. 13904/07, Kudra c. Croazia (importance level 3)
I quattro ricorrenti sono i genitori e i fratelli di Ivan Kudra, cittadino croato di otto anni che nell'ottobre del 1993, giocando in prossimità di un cantiere aperto nella città di Vinkova (Croazia), cadeva su una lamiera di metallo, riportando una grave trauma cranico. Trasportato in ospedale veniva sottoposto ad un'operazione chirurgica senza il consenso dei genitori, entrava in coma e moriva il 21 ottobre 1993.
I ricorrenti lamentano l'incapacità delle autorità nazionali di accertare le responsabilità della morte di Ivan, sostenendo che sia avvenuta per negligenza medica nell'ospedale, e di svolgere in tempi ragionevoli il processo civile contro la società di costruzioni.
La Corte riconosce una violazione procedurale dell'art. 2 Cedu, ritenendo che il procedimento non sia stato sufficientemente rapido ed idoneo ad accertare la responsabilità per la morte del bambino, sottolineando in particolar modo come le attività investigative non siano state efficienti nel richiedere e pretendere cartelle e riscontri clinici da parte dell'ospedale. Nel fare ciò la Corte sottolinea che, sebbene la Convenzione in Croazia sia entrata in vigore nel 1997, in epoca quindi successiva alla morte di Ivan Kundra, le modalità tramite le quali lo Stato contraente ha condotto le indagini ricadono egualmente entro la sua competenza, posto che, sebbene il procedimento sia stato instaurato nel 1994, la maggior parte delle attività investigative sono state compiute dopo il 1997 ed il procedimento si è concluso ben tredici anni dopo l'entrata in vigore, per lo Stato, della Convenzione.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 18 dicembre 2012, ric. n. 2944/06 and 8300/07, 50184/07, 332/08, 42509/10, Aslakhanova e altri c. Russia (importance level 2)
I ricorrenti sono cittadini russi di origine cecena. Tra il 2002 e il 2004, nel distretto di Grozny, sono stati rapiti 8 loro parenti, tutti uomini: questi, con modalità simili ad operazioni militari, sono stati prelevati nelle proprie case o per strada da uomini mascherati e armati, giunti sul posto con veicoli militari.
Ad oggi qualunque indagine sulla loro scomparsa è stata inutile, confermando - affermano i ricorrenti - una sistematica violazione del diritto CEDU all'atto delle indagini dell'autorità russe.
La Corte respinge in primo luogo la tesi del governo di inammissibilità del ricorso per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, e lo accoglie sostenendo che le indagini siano state inefficaci e inidonee, e condannando quindi la Russia per la violazione dell'art. 2 Cedu dal punto di vista procedurale.
In secondo luogo la Corte, ricordando che il contesto di conflitto in cui sono avvenuti i fatti fa presumere, in assenza di differenti notizie per un periodo superiore a cinque anni, che i soggetti siano morti, e che, viste le circostanze del caso concreto, l'unica spiegazione plausibile è che l'arresto sia stato eseguito da uomini dello Stato, ritiene integrata la violazione del diritto alla vita sancito dall'art. 2 Cedu anche sotto il profilo sostanziale.
Inoltre la Corte accoglie il ricorso anche per quanto concerne la violazione dell'art. 3 Cedu: i familiari delle vittime hanno subito e continuano a subire infatti un notevole stress psicologico in merito alla scomparsa e all'assenza di notizie dei loro affetti.
Per i trattamenti disumani e le torture subite da Akhmed Shidayev, liberato pochi giorni dall'arresto, la Corte riconosce inoltre una violazione degli artt. 3 e 5 Cedu.
Infine la Corte ritiene integrata una violazione dell'art. 13 Cedu poiché, sebbene la legislazione interna preveda la possibilità di ricorrere contro una decisione di archiviazione o sospensione del procedimento penale, i giudici di Strasburgo hanno escluso che nel caso concreto questo abbia costituito un efficace rimedio contro l'esercizio arbitrario del potere da parte delle autorità inquirenti, posto che le indagine erano state sospese e riaperte in diverse occasioni.
Nel dichiarare queste violazioni la Corte, ex art. 46 Cedu, sollecita la Russia a individuare senza ritardo un strategia per fronteggiare tale situazione, che costituisce una "pratica sistematica incompatibile con i diritti sanciti dalla Convenzione", operando su due fronti: secondo le indicazioni dettagliate fornite dalla Corte dovranno essere individuati strumenti atti ad alleviare le sofferenze dei familiari delle vittime e sarà necessario sopperire al problema sistematico di indagini carenti e inesistenti verso tali tipi di crimini (verso i quali a livello nazionale non esiste alcun rimedio).
* * *
3. Articolo 3 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 4 dicembre 2012, ric. n. 44302/10, Leontiuc c. Romania (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino rumeno, è stato arrestato nell'agosto 2008 in quanto indagato sulla base di numerosi capi d'accusa, tra cui frode, falso in atto e associazione a delinquere. A tal proposito, sulla base della rilevanza delle contestazioni, il sig. Leontiuc veniva mantenuto in regime di carcerazione preventiva sino a tutto il maggio 2012, momento in cui la Corte d'Appello annullava le precedenti condanne inflitte a suo carico in primo grado. La principale motivazione di ricorso concerne l'art. 3 Cedu, in riferimento alle condizioni della detenzione, nonché all'art. 5, par. 3, Cedu, con riferimento alla lunghezza sproporzionata della detenzione preventiva subita.
La Corte, dismettendo le altre richieste avanzate, condanna lo Stato rumeno per violazione dell'art. 3, con riferimento alle condizioni inumane a degradanti riconosciute sussistenti nel carcere di Gherla, e dell'art. 5 par. 3 Cedu, per la durata irragionevole della detenzione cautelare, avvenuta senza valide giustificazioni.
C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 4 dicembre 2012, ric. n. 41452/07, Lenev c. Bulgaria (importance level 2)
Yuriy Lenev, cittadino bulgaro, ricorre alla Corte sostenendo di essere stato sottoposto a torture dopo l'arresto, nel 1999, motivato dal sospetto ch'egli avesse preso parte all'assassinio dell'ex primo ministro Lukanov. In particolare, il ricorrente sarebbe stato prelevato dalla propria abitazione, legato e portato in una località segreta ove avrebbe subito un interrogatorio accompagnato da torture. I giudici nazionali, dopo aver assolto il sig. Lenev per aver, tra l'altro, constatato che la sua confessione fu carpita con violenza, hanno però altresì sostenuto che quanto commesso dagli ufficiali di polizia rientrava nell'uso della forza consentito dalla legge.
La Corte di Strasburgo condanna lo Stato convenuto sulla base dell'art. 3 Cedu sotto il profilo sia sostanziale che procedurale (trattamento inumano e degradante, nonché mancanza di effettive indagini sul punto), ritenendo fondati i motivi di ricorso da parte del sig. Lenev quanto, in particolare, alla circostanza che quest'ultimo, prelevato dalla polizia locale in buono stato di salute, abbia poi subito numerose lesioni non riconducibili, stando anche agli accertamenti medici svolti, al solo uso della forza strettamente necessario all'arresto. Giova sottolineare che la Corte (par. 115-116) ritiene altamente inumano e degradante l'aver proceduto ad incappucciare il sig. Lenev durante il suo prelievo dall'abitazione, nonché la susseguente tortura subìta e caratterizzata, in particolare, dalla volontaria lesione delle unghie e delle dita del ricorrente. I giudici di Strasburgo ritengono altresì violati, in relazione alla vicenda, gli artt. 8 e 13 Cedu, in relazione alla potenziale sottoposizione del ricorrente ad un regime di sorveglianza segreta, ed alla mancanza di alcun effettivo rimedio esperibile.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 4 dicembre 2012, ric. n. 15894/09, Tzamalis ed altri c. Grecia (importance level 2)
I quattordici ricorrenti, di cui undici greci, un iracheno, un albanese e un cittadino del Bangladesh, lamentano la violazione dell'art. 3 Cedu in relazione alle condizioni inumane e degradanti del carcere di Ioannina, in Grecia. In particolare, si lamentano insostenibili condizioni di sovraffollamento delle celle, nonché l'assenza di assistenza medica e di condizioni igieniche accettabili.
La Corte, richiamando recentissime pronunce sul medesimo tema concernenti lo stesso penitenziario greco (sentenze Nisiotis, Taggatidis e Samaras c. Grecia), condanna lo Stato ellenico a risarcire tutti i ricorrenti, in diversa misura in ragione della durata della personale detenzione, per evidente e palese violazione dell'art. 3 Cedu concernente le condizioni inumane e degradanti a cui i detenuti sono stati variamente sottoposti.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 4 dicembre 2012, ric. n. 11677/11, Nieciecki c. Grecia (importance level 2)
Anche nel presente ricorso, il sig. Nieciecki lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu in relazione alle condizioni carcerarie di un altro penitenziario greco, situato in Korydallos.
La Corte, in particolare sulla base del dato che in una cella di meno di 10 metri quadri di superficie risultano "alloggiate" tre, quattro o addirittura cinque persone, ritiene ampiamente provata la violazione dell'art. 3 Cedu quanto al trattamento inumano e degradante perpetrato dal governo greco nei confronti della popolazione carceraria nel penitenziario in oggetto.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 4 dicembre 2012, ric. n. 20325/06, Mityaginy c. Russia (importance level 2)
I ricorrenti sono madre e figlio, e lamentano la violazione dell'art. 3 Cedu in relazione ad un episodio, avvenuto molti anni prima, legato alle violente discussioni avute dalla madre (e rispettivamente nonna) degli stessi con una vicina di casa. In particolare, i ricorrenti sostengono di essere stati violentemente percossi e minacciati di morte, nel maggio del 1998, da uomini a volto coperto. Inoltre, a quanto sostengono i signori Mityaginy, dopo oltre 14 anni non è stato svolto alcun accertamento sull'episodio, così provocando l'intervento dei termini prescrizionali relativi alle indagini per il crimine denunciato.
La Corte, dismettendo l'eccezione del governo russo in merito al non esaurimento dei possibili rimedi giurisdizionali interni, ritiene violati i parametri definiti dall'art. 3 Cedu sotto il profilo procedurale in relazione alla mancanza di effettività delle investigazioni, più volte sospese e ritardate, e riconosce un risarcimento per danno non pecuniario ai ricorrenti.
C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 13 dicembre 2012, ric. n. 39630/09, El-Masri c. ex Repubblica jugoslava di Macedonia (importance level 1)
Il ricorrente, tedesco di origini libanesi, afferma di aver subito un vero e proprio sequestro di persona ad opera di personale CIA presente nella ex Repubblica Iugoslava di Macedonia, a far data dal 31 dicembre 2003 e per circa quattro mesi. Durante la sua "prigionia", il sig. El Masri riferisce di aver subito percosse, minacce di morte, deprivazioni ed interrogatori violenti e ripetuti. Dopo quasi un mese di detenzione in un hotel di Skopje, il ricorrente riferisce di essere stato poi condotto all'aeroporto della capitale macedone, violentemente percosso e quindi trasferito in Afghanistan ed ivi detenuto in una cella in condizioni disumane, subendo ogni genere di interrogatorio e la totale negazione di qualsivoglia diritto di colloquio con un diplomatico tedesco. Nel periodo di prigionia, protrattosi sino a tutto il maggio 2004, il sig. El Masri assume di aver perso circa 18 chili di peso, nonché di aver subito diversi danni fisici dovuti anche ai metodi di alimentazione forzata utilizzati nei suoi confronti, durante due scioperi della fame intrapresi per protesta nei confronti delle sue condizioni. Di fronte alla dismissione dei procedimenti legali avviati sia negli Stati Uniti d'America che in Macedonia, il sig. El Masri decide quindi, esauriti senza successo i rimedi giudiziali esperiti in Germania, nonostante l'impegno della magistratura ed una commissione d'inchiesta parlamentare, di adire la Corte di Strasburgo. In tale sede, la Sezione deputata deferisce il giudizio alla Grande Camera, data la natura di caso di rilevanza ormai internazionale.
In primo luogo, i Giudici stabiliscono l'assoluta rilevanza, consistenza e credibilità della ricostruzione svolta dal ricorrente, supportata da un ampio numero di elementi probatori, a totale discredito della versione fornita dal governo macedone, secondo il quale il cittadino tedesco avrebbe regolarmente (e liberamente) attraversato il proprio territorio, entrando a bordo di un bus di linea e quindi proseguendo in direzione del Kosovo.
Quindi, in riferimento all'art. 3 Cedu, il trattamento subito dal sig. El Masri durante la sua prigionia in un hotel a Skopje, nonostante in tale fase non si siano consumate violenze fisiche nei suoi confronti, è giudicato inumano e degradante, in particolar modo rispetto alla minaccia, continua e concreta, di essere ferito a morte con un'arma da fuoco qualora non avesse fornito le informazioni richieste.
Ulteriore violazione dell'art. 3 Cedu, in riferimento al divieto di tortura, è poi riscontrata dalla Corte con riferimento al trattamento subito dal ricorrente presso l'aeroporto di Skopje, ad opera di un team della CIA con il sostanziale beneplacito del governo macedone.
In terzo luogo, le autorità macedoni sono ritenute responsabili di quanto subito dal sig. El Masri anche per aver autorizzato la consegna, illegale e non conforme ad alcuna norma internazionale in materia di estradizione, del ricorrente ad emissari del governo statunitense. In riferimento a tale aspetto della vicenda, la Corte rileva l'ulteriore violazione dell'art. 3 Cedu sotto il profilo procedurale, per mancanza di indagini in ordine alle allegazioni proposte dal sig. El Masri. Infatti, il pubblico ministero macedone risulta non aver svolto, sostanzialmente, alcuna indagine in merito ai fatti prospettati, limitandosi ad accogliere senza alcun vaglio di merito la relazione depositata dal Ministro dell'Interno del governo, nemmeno disponendo l'audizione del sig. El Masri
Si segnala, da ultimo, che la Grande Camera ha ritenuto violati altresì gli artt. 5, 8 e 13 Cedu, in relazione alla mancanza di alcun procedimento legale di autorizzazione alla detenzione del ricorrente ed alla totale assenza di qualsivoglia indagine in merito a quanto accaduto.
C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 18 dicembre 2012, ric. N. 8543/04, ÄŒuprakovs c. Lettonia (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino lettone, lamenta la violazione dell'art. 3 Cedu in riferimento alle condizioni della detenzione scontata presso l'ospedale carcerario di Riga fra il marzo e l'ottobre del 2005, presso il quale era stato trasferito dalla prigione di Jelgava in seguito ad una diagnosi di tubercolosi polmonare bilaterale. La Corte accoglie il ricorso sia per quanto concerne le condizioni di detenzione, ponendo rilievo alle condizioni di sovraffollamento, di scarsa illuminazione e di inadeguato riscaldamento delle celle, sia per quanto riguarda l'inadeguatezza delle cure mediche.
La Corte inoltre dichiara inammissibile il ricorso per quanto concerne l'art. 8 Cedu sostenendo che non siano state esaurite le vie di ricorso interne: analizzando la prassi giudiziaria interna infatti i giudici di Strasburgo considerano il tribunale amministrativo un efficace rimedio per ciò che concerne le denunce di controllo della corrispondenza di un detenuto da parte del personale penitenziario.
La Corte infine non ritiene integrata una violazione dell'art. 34 Cedu: senza escludere che l'evento del 20 gennaio 2006 abbia causato preoccupazioni al ricorrente, i giudici, posto che l'apertura della corrispondenza da parte del personale penitenziario è severamente vietata in virtù del diritto nazionale e che tale episodio è stato isolato e non può essere inserito in una pratica costante e sistematica, rigetta il ricorso.
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 18 dicembre 2012, ric. n. 19634/07, Dvalishvili c. Georgia (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino della Georgia, arrestato e condotto nel dipartimento di polizia di Tskaltubo, viene condannato per violazione dell'ordine pubblico in relazione all'aggressione ad un tassista.
Egli lamenta l'estorsione di una confessione da parte di tre poliziotti presso la stazione di polizia e l'inefficacia delle indagini.
La Corte accoglie il ricorso rinvenendo una duplice violazione dell'art. 3 Cedu: in primo luogo, vista l'incontrovertibilità della lesioni riportate dal ricorrente nel dipartimento di polizia (trauma cranico interno e commozione celebrale), l'onere della prova circa l'estraneità ai fatti degli agenti ricade sul Governo, che non ha presentato alla Corte sufficienti argomentazioni. In secondo luogo la Corte dichiara inadeguate le attività investigative svolte dalle autorità nazionali, ricordando in primo luogo che, in caso di sospetto di maltrattamenti ad opera di agenti di polizia, gli esami medici dovrebbero essere svolti senza la presenza degli stessi, e in secondo luogo che ogni qualvolta venga sostenuta la tesi contraria della caduta accidentale, questa andrebbe verificata ispezionando la scena del presunto incidente: adempimenti non posti in essere in questo caso.
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 18 dicembre 2012, ric. n 28774/09, F.N. e altri c. Svezia (importance level 3)
I ricorrenti sono il sig. F.N., sua moglie e i loro due figli, tutti cittadini dell'Uzbekistan: dopo essere stati torturati in seguito alla loro partecipazione ad una manifestazione pubblica del maggio del 2005 nel distretto di Andijan, avevano richiesto asilo alla Svezia, evidenziando come un loro eventuale ritorno in Uzbekistan li avrebbe esposti a nuove torture, maltrattamenti e probabilmente anche alla morte e sostenendo inoltre che uno dei figli, gravemente malato, non avrebbe potuto godere delle adeguate cure mediche.
In seguito al rigetto della loro domanda di asilo i ricorrenti si sono rivolti alla Corte denunciando il rischio, in caso di espulsione, di essere sottoposti ad atti contrari all'art. 3 Cedu e alla pena di morte.
Accertata in primo luogo l'identità dei ricorrenti e la loro credibilità, alla luce anche di referti medici che certificano l'esistenza di disturbi psichici causati dalle pressioni a cui erano sottoposti nel loro Stato di origine, la Corte accoglie il ricorso: il pericolo per i ricorrenti di essere arrestati e interrogati, e conseguentemente di essere sottoposti dalle autorità Uzbeke a trattamenti contrari all'art. 3 Cedu, , se rimpatriati, è concreto. Le autorità uzbeke, come da fonti internazionali, hanno ancora un particolare interesse per coloro che sospettano avere avuto qualche collegamento con i fatti di Andijan, e, nel caso concreto, sono a conoscenza del trasferimento dei ricorrenti in Svezia, del rigetto della domanda di asilo e dei loro spostamenti: non è indi inverosimile credere che siano interessate a perseguire i ricorrenti. Inoltre, sottolinea la Corte, è dimostrato che in Ubzekistan la tortura posta in essere da agenti dello Stato è una pratica diffusa.
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 18 dicembre 2012, ric. n. 39441/09, Gasanov c. Repubblica di Moldova (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino della Georgia e residente a Taraclia in Moldavia, è condannato per frode e violazione di proprietà privata a sei anni e quattro mesi di detenzione: lamenta di essere stato sottoposto, durante le indagini, a violenze da parte degli agenti al fine di estorcergli una confessione, e indagini al riguardo inefficaci.
La Corte accoglie il ricorso e, sulla base degli elementi in suo possesso (fra i quali vi sono i referti medici) e in assenza di alcuna ragionevole spiegazione da parte del Governo sul quale grava l'onere della prova, ritiene sussistente una violazione del divieto di tortura e trattamenti disumani di cui all'art. 3 Cedu.
In secondo luogo i giudici di Strasburgo ritengono le indagini effettuate inefficaci ed eccessivamente tardive, incompatibili quindi con gli obblighi procedurali di cui all'art. 3 Cedu.
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 18 dicembre 2012, ric. n. 1871/08, Jeladze c. Georgia (importance level 3)
Il ricorrente, cittadino della Georgia, dal giugno 2006 è detenuto per omicidio presso la prigione n. 6 di Rustavi; nel luglio del 2007, costretto a ricorrere a visite private, visto il rifiuto delle autorità carcerarie di sottoporlo a controlli medici, gli viene diagnosticata una forma cronica di epatite C virale e nell'ottobre del 2008 viene visitato su indicazione delle autorità carcerarie.
La Corte, ricordando la gravità del problema della trasmissione di HCV nelle prigioni georgiane, stabilisce che la mancata sottoposizione del ricorrente ad un test di screening per l'HCV nel corso dei primi anni della sua detenzione e il successivo rigetto, in seguito alla comparsa dei primi sintomi, della richiesta del ricorrente di essere sottoposto ad un esame medico, costituiscono gravi negligenze da parte delle autorità carcerarie incompatibili con l'obbligo generale dello Stato convenuto di adottare misure efficaci volte a prevenire la trasmissione di malattie contagiose. I giudici di Strasburgo ritengono quindi sussistente una violazione dell'art. 3 Cedu nel periodo antecedente al 30 ottobre 2008, rigettando invece il ricorso per quanto concerne il periodo immediatamente successivo. Con riferimento a tale periodo, infatti, la Corte ritiene che il ricorrente non abbia fornito prova sufficiente dell'inadeguatezza delle cure offertegli dal Governo..
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 18 dicembre 2012, ric. n. 14958/07, TaÅŸarsu c. Turchia (importance level 3)
La ricorrente, cittadina turca, il 19 febbraio 2006 ha preso parte ad una manifestazione legata al DTP, un partito di sinistra del movimento pro-curdo, per protestare contro l'arresto di Abdullah Ocalan, leader del PKK, partito inserito nella lista di organizzazioni terroristiche adottata dall'UE: in seguito ad uno scontro violento con le forze di polizia, i manifestanti sono stati condotti nel quartier generale della polizia di Adana dove il ricorrente lamenta di aver subito maltrattamenti da parte degli agenti.
La Corte respinge il ricorso ai sensi dell'art. 3 Cedu per quanto concerne i maltrattamenti: posto che le autorità inquirenti non hanno condotto indagini approfondite al fine di stabilire le sequenza degli eventi e le circostanze esatte in cui il ricorrente è stato colpito, i giudici di Strasburgo non sono in grado di verificare sulla sola base degli elementi di prova addotti se le lesioni subite dal ricorrente siano conseguenza della sua resistenza opposta alla polizia.
Le indagini condotte non consentono di asserire che la forza usata dalla polizia sia stata sproporzionata al comportamento del ricorrente e non sono indi sufficienti per concludere una violazione della normativa che consente alle forze di polizia di opporsi alle manifestazioni illegali usando una forza proporzionata alla resistenza opposta.
I giudici di Strasburgo ritengono quindi sussistente una violazione degli obblighi procedurali risultanti dall'art. 3 Cedu: le indagini condotte dalle autorità nazionali infatti non sono state idonee a verificare se l'uso della forza nei confronti del ricorrente sia stato necessario.
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4. Articolo 5 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 11 dicembre 2012, ric. n. 10645/08, Venskutè c. Lituania (importance level 2)
Ricorre alla Corte una giovane cittadina lituana che, nel maggio 2005, veniva avvicinata sul proprio luogo di lavoro da investigatori di polizia (SBGS), i quali, dopo averle comunicato di indagare in merito ad un caso di frode in assicurazione, la conducevano con sé presso il loro quartier generale per interrogarla. Dopo il rilascio, avvenuto il giorno seguente, e la dismissione di ogni accusa nei suoi confronti, la sig.ra Venskuté contestava quanto accaduto in riferimento al fatto che la sua detenzione, non registrata né autorizzata formalmente, aveva avuto quale unico scopo quello di intimidirla al fine di ottenere informazioni rilevanti per il caso.
La Corte rileva la violazione del diritto alla libertà ("right to liberty") sancito dal primo paragrafo dell'art. 5, par. 1 Cedu, in particolare dismettendo la versione fornita dalla polizia lituana di una presenza "consensuale" della ricorrente presso i quartieri generali della SBGS, in relazione al fatto che le procedure previste per la redazione ed il deposito degli atti formali previsti dalla legislazione risultano essere state volontariamente disattese, nel caso di specie, da parte degli investigatori.
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 11 dicembre 2012, ric. n. 50372/09, Athary c. Turchia (importance level 3)
Il ricorrente è cittadino iraniano, residente in Olanda, giunto in Turchia quale dissidente politico nei confronti del regime. Egli contesta l'essere stato detenuto, a seguito di una condanna per questioni di stupefacenti, senza apparente motivazione, in un campo di espulsione dal dicembre 2008 all'aprile 2010, data in cui lasciò il centro per recarsi in Olanda ove aveva nel frattempo ottenuto asilo politico.
La Corte, con particolare riferimento all'art. 5, par. 1 Cedu, richiama il precedente Abdolkhani and Karimnia c. Turchia in relazione alla valutazione del campo di espulsione istituto dalle autorità turche, ove la detenzione in attesa dell'espatrio - sulla sola motivazione, appunto, dell'attesa di un visto per trasferirsi in altro paese - è considerata una reale deprivazione della libertà personale, con conseguente violazione della Convenzione. Oltretutto, il governo turco non risulta, a parere della Corte, aver presentato alcun documento comprovante la comunicazione al ricorrente dei suoi diritti, delle motivazioni per le quali gli si infliggeva tale limitazione della libertà o della durata di tale misura coercitiva personale.
C. eur. dir. Uomo, sez. III, sent. 18 dicembre 2012, ric. n. 39804/04, Baisuev e Anzorov c. Georgia (importance level 3)
I ricorrenti sono Adam Baisuev e Rustam Anzorov, cittadini russi di origine cecena, che risiedevano in Georgia come rifugiati. In quanto ceceni, durante una vasta operazione di polizia, sono stati detenuti per 3 ore, senza nessuna comunicazione circa i motivi. Lamentano una detenzione illegittima e l'assenza di uno strumento interno per contestare la legittimità di quella detenzione.
La Corte ritiene sussistente una violazione dell'art. 5 § 1 Cedu, poichè la detenzione dei ricorrenti, sebbene il periodo di tempo sia stato relativamente breve, è stata illegittima e arbitraria, e dell'art. 5 § 2 Cedu, poiché i ricorrenti non stati informati circa i motivi dell'arresto.
I giudici di Strasburgo escludono invece che vi sia stata una violazione dell'art. 5 § 4, poiché tale disposizione non si applica nei casi in cui lo stato detentivo sia già cessato, e degli articoli 6 § 1 e 13 Cedu.
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5. Articolo 8 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 4 dicembre 2012, ric. n. 31956/05, Hamidovic c. Italia (importance level 3)
La ricorrente è cittadina bosniaca e aveva dimora, insieme al proprio marito e a cinque figli, in un campo rom vicino Roma: ella ha visto negarsi, a far data dal 1999, il rinnovo del permesso di soggiorno sulla base della commissione del reato di accattonaggio tramite sfruttamento dei figli minori, poi depenalizzato e trasformato in sanzione pecuniaria. A seguito di un controllo, nel corso dell'anno 2005, la sig.ra Hamidovic veniva prima confinata nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Roma Ponte Galeria, e quindi, nel settembre dello stesso anno, espulsa e condotta in Bosnia, lasciando in Italia il marito ed i cinque figli.
La Corte, ribadito il principio che la Convenzione non garantisce, di per sé, il diritto di accesso al territorio di uno Stato di cui non si è cittadini, e che tuttavia sia obbligo di ogni Governo rispettare il prevalente legame di un soggetto con un determinato territorio. Nel caso di specie, la ricorrente aveva soggiornato sul territorio italiano dall'età di dieci anni, si è qui sposata ed ha avuto cinque figli, così acquistando il diritto a veder rispettata la propria vita privata e familiare. Pertanto, la Corte riconosce l'avvenuta violazione dell'art. 8 Cedu per aver lo Stato italiano separato la ricorrente dalla propria famiglia per circa un anno e due mesi, anche in violazione dell'art. 39 del Regolamento della Corte Edu che prevede la possibilità di una sospensione d'urgenza della misura di espulsione, nel caso di specie concessa ma non rispettata dalle autorità procedenti.
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 4 dicembre 2012, ric. n. 47017/09, Butt c. Norvegia (importance level 2)
I ricorrenti sono fratello e sorella, pakistani cresciuti a Oslo ed arrivati in Norvegia nel lontano 1989 ancora in fasce con la madre, sulla base di un permesso umanitario. Nel 1999 i due hanno visto il permesso venire cancellato e ritirato sulla base del fatto che la loro madre, ora scomparsa, aveva affermato il falso alle autorità norvegesi sui propri spostamenti, ed in particolare sui forti legami ancora esistenti con il paese d'origine. Dopo il decesso della madre, i ricorrenti venivano fatti oggetto di un provvedimento di espulsione e trasferimento in Pakistan, senza che fosse tenuta in considerazione la loro minore età e dei legami instaurati con la realtà norvegese.
La Corte, a fronte della potenziale esecuzione dell'ordine di espulsione dei ricorrenti, afferma che in tale eventualità si configurerebbe una concreta violazione dell'art. 8 Cedu. Pertanto viene stabilito l'onere, a carico del governo norvegese, di risarcire i danni morali subiti dai ricorrenti nel recente periodo in cui erano potenzialmente destinatari di un ordine di espulsione, altresì riconoscendo la presenza di circostanze realmente eccezionali, come l'incapacità di parlare fluentemente la propria lingua d'origine (contrariamente al novergese) tali da rendere un rimpatrio forzoso incompatibile con il già citato art. 8 Cedu.
C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 13 dicembre 2012, ric. n. 22689/07, De Souza Ribeiro c. Francia (importance level 1)
Il sig. De Souza Ribeiro, di origini brasiliane ma dimorante nella Guiana Francese sin dall'età di sette anni, nel gennaio 2007 veniva fatto oggetto di un controllo stradale durante il quale non aveva modo di dimostrare la legittimità della propria condizione in territorio straniero. Di conseguenza, le autorità francesi emettevano nei suoi confronti sia un ordine di detenzione che un contestuale ordine di rimpatrio verso il Brasile, da eseguirsi in tempi brevissimi. Nonostante avesse immediatamente provveduto al deposito di un ricorso urgente avverso tali provvedimenti, il mattino del giorno successivo all'emissione degli stessi, il sig. De Souza Ribeiro veniva accompagnato in Brasile dalle autorità, contemporaneamente vedendo dismesso il proprio ricorso per sopravvenuta irrilevanza.
Dopo il rientro illegale in territorio francese, il ricorrente portava comunque avanti il giudizio di merito relativo alla revisione dell'ordine di espulsione, ottenendo di poter dimostrare la sussistenza di requisiti idonei a garantirne il diritto di rimanere in Guiana Francese (in particolare, in conformità al CESEDA, codice francese di regolamentazione dell'immigrazione e delle richieste d'asilo) e così ottenendo un permesso di soggiorno rinnovabile annualmente.
Nel giugno 2011 la Corte di Strasburgo, in prima battuta, respinse le istanze di tutela ex art. 8 Cedu, avanzate dal ricorrente sulla base del fatto che, in ogni caso, la procedura di espulsione non aveva impedito al sig. De Souza Ribeiro di ottenere, da ultimo, un regolare permesso di soggiorno. Invero, sosteneva la Corte, la sua espulsione non ne aveva irrimediabilmente compromesso il diritto alla vita familiare, alla luce del fatto ch'egli aveva comunque potuto agilmente fare ritorno in Guiana Francese, seppur in maniera illegale.
Tuttavia il sig. De Souza Ribeiro chiedeva, ai sensi dell'art. 43 Cedu, di trasferire il giudizio alla Grande Camera e, dopo l'avallo di quest'ultima, si teneva una udienza pubblica nel marzo 2012. All'esito dell'esame, la Corte si concentra sul requisito temporale per stabilire che, se da un lato il ricorrente era stato messo in grado di depositare un ricorso urgente volto alla sospensione dell'esecuzione del procedimento, il sistema francese - definito "estremamente rapido, anzi superficiale" - aveva fatto sì che il sig. De Souza Ribeiro fosse spogliato di qualsivoglia chance di vedere esaminata la propria contestazione da un'autorità pubblica a ciò demandata.
Pertanto, la Grande Camera ha ritenuto sussistere la violazione dell'art. 13 Cedu, in combinato con l'art. 8, per la mancanza di concreto accesso, nel caso di specie, ad un rimedio effettivo contro il provvedimento di espulsione che si assume illegittimo, non ritenendo sufficiente il rilascio di un valido permesso di soggiorno a compensare la deprivazione subita.
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 18 dicembre 2012, ric. n. 16761/09, G.B. e R.B. c. Repubblica di Moldova (importance level 3)
Il caso ha origine nella Repubblica Moldava, dove nel maggio del 2000, durante un parto cesareo, un ostetrico ha asportato ovaie e tube di Falloppio della paziente senza il suo consenso. In seguito a tale operazione la paziente ha riscontrato diverse patologie, fra le quali depressione, osteoporosi, e menopausa precoce. La paziente e il marito agiscono in giudizio di fronte a tribunali nazionali contro il medico: i tribunali nazionali riconoscono la negligenza medica dell'ostetrico ma dichiarano il reato estinto per prescrizione; nel procedimento civile viene invece fissato risarcimento di 600 euro.
Adita la Corte di Strasburgo, i ricorrenti lamentano una violazione dell'art. 8 Cedu, per la sterilizzazione illegittima subita e per l'inadeguato risarcimento riconosciuto loro.
La Corte, considerate l'entità dei danni subiti e l'esiguità del risarcimento ricevuto, considera violata l'integrità fisica e psicologica della ricorrente, tutelata dall'art. 8 Cedu, e determina un risarcimento di 14.000 euro.
C. eur, dir. uomo, sez. V, sent. 18 dicembre 2012, ric. n. 6113/08, Vuldzhev c. Bulgaria (importance level 3)
Il ricorrente, condannato nel 2006 per furto e detenuto presso il carcere di Plovdiv, lamenta una violazione dell'art. 3 per quanto concerne le condizioni della sua detenzione e dell'art. 8 Cedu, poiché le autorità penitenziarie avevano sistematicamente monitorato la corrispondenza con il suo avvocato, in applicazione della legge allora vigente
La Corte accoglie il ricorso nella parte concernente il diritto alla corrispondenza e lo rigetta, per mancanza di prove, per quanto riguarda le condizioni di detenzione del ricorrente.
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6. Articolo 10 Cedu
C. eur. dir. uomo, sez. III, sent. 11 dicembre 2012, ric. n. 32563/04, Ileana Constantinescu c. Romania (importance level 3)
Il ricorso concerne la condanna ad una pena pecuniaria irrogata alla sig.ra Ileana Constantinescu, insegnante e figlia dell'economista N.N., professore universitario, per la pubblicazione di un libro sulla vita del padre, uscito dopo la scomparsa di quest'ultimo. I.E., ex collega del padre, aveva denunciato l'autrice per diffamazione, in relazione ad alcuni passaggi del libro riguardanti asserite inadempienze del querelante nella gestione economica di un ente, nonché contenenti l'accusa di aver sfruttato la malattia del prof. Constantinescu a suo vantaggio.
La Corte, ritenendo nelle sue competenze il giudizio riguardante l'effettivo bilanciamento, da parte delle autorità nazionali, dei contrapposti diritti di libertà d'espressione e di tutela della reputazione delle persone, ritiene violato l'art. 10 Cedu per l'interferenza, da parte dello Stato romeno, nell'esposizione del pensiero da parte della ricorrente all'interno del proprio libro. Invero, perno della decisione pare essere la ritenuta sproporzione tra le azioni dell'odierna ricorrente, alcune delle quali in buona fede, e la durezza della condanna subita (che ne ha altresì minato la carriera accademica).
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 18 dicembre 2012, ric. n. 3111/10, Yildirim c. Turchia (importance level 2)
Il ricorrente, cittadino turco, gestisce un sito internet, sul quale pubblica il suo lavoro accademico, creato con la funzione "Google Site"(un modulo di Google di gestione e hosting di siti web).
Il 23 giugno 2009 la Corte distrettuale di Denizli ha emesso un provvedimento cautelare tramite il quale ha bloccato l'accesso ad un sito, creato con la stessa funzione, gestito da un soggetto accusato di aver insultato la memoria di Atatürk. Il 24 giugno 2009 la stessa autorità ha poi esteso l'ordine di blocco a tutti i siti web creati con tale funzione, asserendo che questo fosse l'unico modo per bloccare totalmente il sito controverso.
Il ricorrente adisce la Corte lamentando una violazione dell'art. 10 Cedu: il blocco totale dei siti creati con la funzione di Google Site, provvedimento privo di collegamento con la sua persona e il suo sito, ha leso la sua libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza da parte delle autorità.
I giudici di Strasburgo ritengono sussistente una violazione dell'art. 10 Cedu: considerato che internet è uno dei principali mezzi di esercizio del diritto alla libertà di espressione, che per bloccare un sito è necessario che vi siano indizi di reato a carico del gestore, e che il sito controverso avrebbe potuto essere bloccato efficacemente senza ordinare un blocco totale, la Corte stabilisce che il provvedimento del 24 giugno 2009 costituisce un'illegittima interferenza nella sfera del ricorrente.