ISSN 2039-1676


07 aprile 2013

Il caso Abu Omar: le motivazioni della sentenza di rinvio della Corte d'Appello che condanna vertici e funzionari del SISMI

C. Appello Milano, sez. IV pen., 12 febbraio 2013 (dep. 3 aprile 2013), Pres. Martino, Est. Gazzaniga, Imp. Di Gregori e a.

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Pubblichiamo qui la sentenza con cui la Corte d'Appello di Milano, statuendo in sede di rinvio dopo il parziale annullamento ad opera della Corte di cassazione (cfr. Cass., sez. V, 19 settembre 2012 (dep. 29 novembre 2012), n. 46340, in questa Rivista;: clicca qui per accedere alla pronuncia e alla relativa scheda) della sentenza pronunciata da altra sezione della medesima Corte il 15 dicembre 2010 (clicca qui per accedere alla sentenza e alla scheda pubblicata a suo tempo in questa Rivista) ha condannato i cinque imputati appartenenti al SISMI (Pollari, Mancini, Di Gregori, Di Troia e Ciorra) per il sequestro di persona realizzato principalmente da agenti della CIA in Italia a danno del cittadino egiziano Nasr Osama Mostafa (l'imam "Abu Omar"), con la complicità di una serie di soggetti tra cui - secondo quando statuito ora dalla Corte milanese - i cinque imputati cui si riferisce la sentenza.

Come si rammenterà, sulla vicenda del rapimento di Abu Omar (o della sua extraordinary rendition, nella terminologia utilizzata nell'ambito della strategia antiterrorimo seguita dall'amministrazione USA dopo l'11 settembre 2001) è recentemente intervenuta la sentenza poc'anzi citata della Cassazione, che ha reso definitive 23 condanne già pronunciate dal Tribunale e della Corte d'Appello milanese a carico di 21 imputati statunitensi, oltre che di Pio Pompa e di Luciano Sena, condannati per favoreggiamento.Tra gli imputati condannati in via ormai definitiva a sette anni di reclusione si annovera anche il colonnello USA Joseph Romano, destinatario proprio in questi giorni di un provvedimento di grazia da parte del Presidente della Repubblica (si veda in proposito la relativa notizia su repubblica.it - clicca qui per scaricarla - nonché l'articolo di L. Ferrarella pubblicato sul Corriere della Sera dello scorso sabato 6 aprile, Napolitano concede la grazia a un colonnello del caso abu Omar: clicca qui per scaricare l'articolo). Altri tre funzionari diplomatici statunitensi, la cui posizione era stata stralciata nel processo d'appello per problemi di notifica, sono stati recentemente condannati dalla Corte d'appello milanese, che ha ribaltato il verdetto assolutorio del giudice di primo grado, il quale aveva invece ritenuto che essi fossero coperti dall'immunità diplomatica (clicca qui per accedere alla relativa sentenza, ancora non definitiva).

Nei confronti dei cinque imputati cui si riferisce la sentenza qui pubblicata era stata invece pronunciata, in primo e in secondo grado, sentenza di non doversi procedere per l'esistenza del segreto di Stato. La Cassazione aveva tuttavia annullato in parte qua la statuizione dei giudici di merito, affidando a una diversa sezione della Corte d'Appello il compito di depurare il materiale probatorio di tutti gli elementi di prova effettivamente non utilizzabili perché coperti da segreto, e compiere quindi una attenta valutazione delle fonti di prova residue, al fine di stabilire se esse fossero sufficienti per affermare la responsabilità degli imputati per il reato loro ascritto; ciò che i giudici di merito non avevano fatto, secondo la Cassazione, come se per effetto del segreto di Stato fosse calato sulle condotte degli imputati una sorta di "sipario nero" che avrebbe creato una "zona di indecidibilità"  su un fatto di reato che, pure, mai potrebbe essere considerato scriminato in relazione ad un preteso adempimento del dovere funzionale.

Questa nuova sentenza della Corte d'Appello dunque, premesso che il segreto di Stato opposto dalla Presidenza del Consiglio non copre né può coprire il fatto contestato agli imputati - relativo a un'attività "pacificamente estranea alla finalità istutizionale del servizio" e rispetto al quale, peraltro, tutti i Presidenti del Consiglio succedutisi avevano sempre escluso ogni coinvoglimento ufficiale del SISMI -, bensì soltanto (in ossequio a quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 106/2009) i rapporti tra servizi segreti italiani e gli assetti organizzativi ed operativi del SISMI, passa in rassegna tutte le fonti di prova utilizzabili e, sulla base di esse, ritiene accalarata una responsabilità a titolo di concorso materiale e morale degli imputati (p. 118-123) nel sequestro di persona, materialmente eseguito dagli agenti della CIA; escludendo, altresì, recisamente per gli imputati non di vertice l'operatività della scriminante di cui all'art. 51 c.p., in relazione alla manifesta criminosità dell'ordine.

Durissime le pene inflitte, in considerazione della particolare gravità di questo sequestro di persona, eseguito ad avviso della Corte con la consapevolezza da parte di tutti i concorrenti che la vittima sarebbe stata trasferita in Egitto ed ivi sarebbe stata sottoposta a torture, e dunque alla violazione di uno dei più fondamentali tra i suoi diritti umani. Riconosciute sussistenti nei confronti di tutti gli imputati le circostanze aggravanti di cui all'art. 605 co. 2 n. 2 c.p. (per essere stato il fatto commesso da pubblici ufficiali con abuso dei poteri inerenti alle loro funzioni) e 112 co. 1 n. 1 c.p. (per essere stato il fatto commesso da più di cinque persone), e riconosciuta nei confronti del solo gen. Pollari l'ulteriore aggravante di cui all'art. 112 co. 1 n. 2 c.p. (per avere egli diretto l'attività degli altri concorrenti), quest'ultimo - all'epoca direttore del SISMI - è stato condannato alla pena di dieci anni di reclusione, mentre Mancini - all'epoca alto dirigente del medesimo servizio - a quella di nove anni di reclusione, a fronte dei sei anni inflitti ai restanti tre imputati.

Vale la pena, tuttavia, rammentare che la sentenza della Cassazione che è all'origine di questo giudizio di rinvio è attualmente oggetto di un conflitto di attribuzione promosso lo scorso 11 febbraio 2013 dal Presidente del Consiglio dei Ministri; conflitto esteso - come risulta dalla stessa sentenza qui pubblicata (p. 16) - anche a due ordinanze istruttorie pronunciate dalla stessa Corte d'Appello il 28 gennaio e il 2 febbraio 2013, prima della pronuncia del dispositivo.

E vale anche la pena di rammentare che sulla vicenda del rapimento di Abu Omar pende, altresì, un procedimento contro l'Italia avanti la Corte europea dei diritti dell'uomo (si vedano gli estremi del ricorso nell'utilissimo "Factsheet Terrorism" scaricabile dal sito ufficiale della Corte), la quale si è già recentemente pronunciata per la prima volta in un caso concernente le extraordinary renditions 'figlie' dell'11 settembre 2001, condannando lo Stato resistente per la sua complicità in un'analoga operazione gestita dai servizi segreti statunitensi (C. eur. dir. uomo, El Masri c. Macedonia, 13 dicembre 2012: clicca qui per accedere alla relativa scheda sulla nostra Rivista). (F.V.)