ISSN 2039-1676


19 maggio 2014 |

Sul sequestro Abu Omar cala il "nero sipario" del segreto di Stato

Cass. pen., sez. I, 24 febbraio 2014 (dep. 16 maggio 2014), n. 20447, Pres. Siotto, Est. Zampetti, ric. Di Gregori e altri

 

1. Venerdì 16 maggio 2014 sono state depositate le motivazioni della sentenza che mette la parola "fine" alla nota vicenda del sequestro Abu Omar, o quanto meno al filone processuale riguardante la responsabilitá di cinque ufficiali del SISMI accusati di concorso nella extraordinary rendition dell'imam: la Prima Sezione della Cassazione ha infatti annullato senza rinvio le condanne pronunciate dalla Corte d'Appello di Milano il 12 febbraio 2013 (clicca in fondo alla pagina su download documento per scaricare le motivazioni della Cassazione).

 

2. La vicenda, peraltro, lascia in eredità una palpabile tensione tra la Cassazione la Corte Costituzionale. Il proscioglimento degli imputati da parte dei giudici di legittimità rappresenta infatti uno sbocco sostanzialmente obbligato, posto che la Consulta, decidendo sul conflitto di attribuzione proposto il 3 luglio 2013 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, aveva ritenuto che le prove del coinvolgimento del SISMI nella extraordinary rendition fossero coperte dal segreto di Stato, provvedendo essa stessa ad annullare le condanne emesse dalla Corte d'Appello di Milano (cfr. Corte Cost. 13 febbraio 2014, n. 24).

Pur trovandosi, di conseguenza, con le mani legate - dovendo in sostanza decidere un ricorso avente ad oggetto una sentenza già annullata -, la Cassazione non rinuncia a far emergere il proprio convinto dissenso rispetto al dictum della Consulta, prendendo le distanze da un ormai ineluttabile esito decisionale in numerosi passaggi della motivazione, a partire dall'eloquente incipit del considerato in diritto: «la decisione che questa Corte di legittimità è chiamata oggi a pronunciare non può non essere profondamente incisa e radicalmente contrassegnata da quella sopra riportata n. 24/2014 della Corte Costituzionale - di cui occorre istituzionalmente prendere atto - fino a porsi quale effetto consequenziale, diretto e costituzionalmente ineludibile della stessa. I ricorsi degli imputati diventano pertanto oggi, e solo oggi, fondati sulla forza dirompente - in quanto dilacerante ogni diverso tessuto decisorio sinora assunto - del sopravvenuto ultimo dictum del Giudice del conflitto tra poteri» (p. 14).

 

3. Ma andiamo con ordine. Per meglio comprendere l'epilogo appena descritto è infatti necessario ricapitolare sinteticamente, in sequenza cronologica, gli snodi fondamentali della complessa vicenda.

Il 17 febbraio del 2003, a Milano, veniva sequestrato un imam ritenuto vicino al terrorismo di matrice islamica, Abu Omar. Le indagini chiarivano che si era trattato di una operazione extralegale, realizzata dalla CIA con il supporto di alcuni collaboratori italiani, volta alla cattura dell'imam ed al suo trasferimento in un paese dove avrebbe potuto essere interrogato brutalmente e indisturbatamente. Insomma, una extraordinary rendition in piena regola. Nel processo penale successivamente instaurato nel capoluogo lombardo venivano condannati per sequestro di persona pluriaggravato oltre venti persone tra agenti americani e ufficiali italiani (per ulteriori dettagli si rinvia alle pronunce del Tribunale di Milano, 4 novembre 2009, della Corte d'Appello di Milano, 15 dicembre 2010, già pubblicate in questa Rivista). Al contempo, tuttavia, sia in primo che in secondo grado venivano prosciolti cinque membri italiani del SISMI (il direttore Pollari e quattro dirigenti territoriali: Mancini, Di Gregori, Di Troia e Ciorra).

 

4. Il diverso esito processuale a favore di questi ultimi era da ricondursi alla circostanza che, sulle prove a loro carico ­- rappresentate dai documenti sequestrati presso la sede romana del SISMI durante le indagini, nonché da prove dichiarative ed intercettazioni -, era stato apposto il segreto di Stato nel corso del dibattimento di primo grado (e non già nel corso delle indagini preliminari: profilo che, come si vedrà nel prosieguo, non è privo di significato agli occhi della Cassazione). Ne erano scaturiti una serie di conflitti di attribuzione tra l'Autorità Giudiziaria milanese e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, riuniti e decisi dalla Corte Costituzionale con la sent. n. 106 del 2009. I giudici della Consulta, in particolare, avevano ritenuto che il segreto di Stato, pur non abbracciando il fatto storico del rapimento di Abu Omar, investisse i rapporti tra i servizi segreti italiani e stranieri, nonché gli assetti organizzativi e le decisioni operative adottate istituzionalmente dal SISMI (i cd. interna corporis). Da tali premesse avevano tratto la conclusione che non spettasse all'Autorità giudiziaria procedente fondare sui documenti sequestrati presso il SISMI e sul successivo incidente probatorio la richiesta di rinvio a giudizio ed il decreto che dispone il giudizio, e per l'effetto avevano annullato i corrispondenti atti processuali. In applicazione di tali principi, i giudici milanesi di primo e secondo grado avevano ritenuto inutilizzabili i documenti a carico di Pollari e colleghi, ed avevano pertanto dichiarato - con le già richiamate sentenze del 2009 e del 2010 - non doversi procedere nei loro confronti ex art. 202 co. 3 c.p.p.

 

5. La Corte di Cassazione, con la sent. n. 46340 del 19 settembre 2012, da un lato respingeva i ricorsi degli imputati condannati (rispetto ai quali, dunque, l'accertamento della responsabilità e le conseguenti pene diventavano definitive); dall'altro lato - accogliendo i ricorsi del P.G. e delle parti civili - annullava con rinvio il proscioglimento dei cinque ufficiali del SISMI, assegnando il caso ad altra sezione della Corte d'Appello di Milano per un nuovo giudizio. È dunque con specifico riguardo alla posizione di questi  imputati che si svilupperanno le tappe successive del procedimento - e del parallelo dibattito dottrinale -, recentemente culminate nella sentenza qui in esame.

 

6. Prima di proseguire, tuttavia, giova soffermare più da vicino lo sguardo sulla fondamentale sentenza n. 46340/2012. Rinviando per ogni dettaglio alle motivazioni  e alla relativa scheda di presentazione già pubblicata da questa Rivista, in questa sede basterà richiamare i tre capisaldi sui quali si reggeva il dictum della Cassazione.

Primo, il principio costituzionale, ribadito dalla citata sent. 106/2009 (v. n. 3 del considerato in diritto), secondo cui l'equilibrato bilanciamento tra sicurezza nazionale e esercizio della funzione giurisdizionale «comporta che "l'opposizione del segreto di Stato da parte del Presidente del Consiglio dei ministri" non può avere "l'effetto di impedire che il pubblico ministero indaghi sui fatti di reato cui si riferisce la notitia criminis in suo possesso, ed eserciti se del caso l'azione penale", ma solo quello "di inibire all'Autorità giudiziaria di acquisire e conseguentemente di utilizzare gli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto" (sentenza n. 110 del 1998)» (cfr. p. 115 della motivazione della Cassazione).

Secondo, l'enfasi posta sul fatto che il Presidente del Consiglio aveva ufficialmente proclamato «l'assoluta estraneità sotto ogni profilo del Governo e del SISMI a qualsivoglia risvolto riconducibile al sequestro» - operazione che del resto era da considerarsi, in quanto criminosa,  «del tutto estranea alle finalità istituzionali del SISMI» - sicché «l'eventuale partecipazione di agenti del SISMI al rapimento di Abu Omar avvenne a titolo personale», con la diretta conseguenza che «sulle fonti di prova afferenti ad eventuali singole e specifiche condotte criminose...non è stato apposto alcun segreto» (pp. 122-123).

Terzo, la già evidenziata circostanza relativa all'apposizione tardiva del segreto di Stato, avvenuta nel dibattimento anziché durante le indagini preliminari. A questo proposito, osservava la Cassazione, «la Corte Costituzionale nella sentenza più volte citata [si parla sempre della n. 106/2009, par. 8.4 del considerato in diritto] ha chiarito "che il meccanismo della opposizione del segreto di Stato presuppone, per sua stessa natura, che esso, di regola, preceda e non segua sia l'acquisizione che l'utilizzazione dell'atto, del documento o della notizia da cautelare" ed ha altresì precisato che la tardiva comunicazione della apposizione del segreto "non può comportare retroattiva demolizione dell'attività di indagine già compiuta sulla base della precedente e legittima acquisizione degli stessi"». Si tratta, aggiungeva la Cassazione, di un'interpretazione che trova giustificazione nella circostanza secondo cui «l'accertamento che le notizie sono divenute di pubblico dominio toglie ogni offensività alla ulteriore divulgazione» e che appare in linea sia con la lettera della legge (art. 202 c.p.p.), sia «con la giurisprudenza della CEDU formatasi sugli a artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti del l'Uomo» (pp. 124-131). In conclusione, ad avviso della Suprema Corte, i giudici del merito si erano indebitamente limitati ad affermare l'improcedibilità tout court, quando invece avrebbero dovuto procedere ad una attenta separazione del materiale probatorio utilizzabile da quello inutilizzabile, e ad una successiva valutazione, alla luce soltanto del primo, della responsabilità degli imputati.

 

7. Il 12 febbraio 2013, in sede di rinvio, la Corte d'Appello di Milano condannava tutti e cinque gli imputati (rispettivamente: 10 anni di reclusione per Pollari, 9 anni per Mancini e 6 anni per gli altri tre) ritenendo che le fonti di prova utilizzabili, selezionate alla luce dei principi dettati dalla Cassazione, convergessero univocamente nel dimostrarne la consapevole e volontaria partecipazione a titolo di concorso nelle  operazioni di rapimento di Abu Omar.

Questa pronuncia veniva impugnata dagli imputati dinanzi alla Corte di Cassazione, ed al contempo era posta dalla Presidenza del Consiglio alla base di un nuovo conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 24 del 13 febbraio 2014, già citata in apertura di questa scheda, risolveva anche questo conflitto a favore del Presidente del Consiglio dei Ministri. Pochi giorni dopo, il 24 febbraio 2014, la Corte di Cassazione annullava senza rinvio le condanne degli imputati, con la pronuncia n. 20447 di cui oggi pubblichiamo le motivazioni, depositate il 16 maggio. Queste ultime si sostanziano, come ci si accinge ad illustrare, da un lato nel richiamo ai principi affermati dalla Consulta nella sent. n. 24/2014, e dall'altro lato nella individuazione delle conseguenze da trarne sul piano processuale.

 

8. Quanto ai primi, conviene per maggiore chiarezza espositiva passarli in rassegna seguendo lo stesso ordine con il quale sono stati evidenziati supra i capisaldi della sentenza della Cassazione n. 46340/2012 (la quale, come si ricorderà, aveva annullato l'originario proscioglimento degli imputati).

Piena consonanza tra i giudici di legittimità e quelli costituzionali si riscontra, anzitutto, rispetto al primo caposaldo: la Consulta ribadisce infatti che l'apposizione del segreto di Stato può inibire all'autorità giudiziaria di acquisire ed utilizzare gli elementi di conoscenza coperti da segreto, fermo restando che non può invece impedire al pubblico ministero di indagare altrimenti sul fatto di reato, ossia avvalendosi di prove sulle quale il segreto non è stato apposto (considerato in diritto, par. 5).

Un frontale contrasto tra le posizioni espresse dalle due Corti emerge, viceversa, rispetto al secondo caposaldo. La Corte Costituzionale, premesso che il potere del PM di perseguire le notitiae criminis non può tradursi in comportamenti «che incidano - rimuovendolo - sul perimetro tracciato dal Presidente del Consiglio dei ministri, nell'atto o negli atti con i quali ha indicato l' "oggetto" del segreto», né tantomeno in «comportamenti nella sostanza elusivi dei vincoli che dal segreto devono - in relazione a quello specifico "oggetto" - scaturire», osserva: «la affermazione della Corte di cassazione, secondo la quale il segreto non coprirebbe le condotte "extrafunzionali" che sarebbero state poste in essere dagli agenti del SISMI, in quanto l'operazione Abu Omar non sarebbe riconducibile né al Governo né al SISMI medesimo..., equivale ad una sostanziale modifica (di contenuto e di portata) di quello che, al contrario, era stato il perspicuo "oggetto" del segreto» (considerato in diritto, par. 6).

Soggiunge poi la Corte, chiarendo ulteriormente la propria posizione: «la tesi secondo la quale il segreto non opererebbe, in quanto gli imputati avrebbero agito "a titolo personale", e non nell'àmbito di un collegamento funzionale con il Servizio, risulta contraddetta dal fatto che nei confronti degli stessi è stata contestata e ritenuta l'aggravante di cui all'art. 605, secondo comma, n. 2), del codice penale (sequestro di persona aggravato se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, con abuso di poteri inerenti alle sue funzioni)». D'altra parte, conclude sul punto la Corte, «la ribadita e confermata sussistenza del segreto - da parte della Presidenza del Consiglio - ed il correlativo promovimento dei vari conflitti, attestano, di per sé, la implausibilità della tesi che vorrebbe ricondurre i fatti nel quadro di una iniziativa adottata "a titolo personale" dai vari imputati» (considerato in diritto, par. 6).

Quanto infine al terzo caposaldo sul quale si reggeva la sentenza della Cassazione n. 46340/2012 - quello secondo cui non sarebbe opponibile il segreto in relazione a fatti ormai divenuti di pubblico dominio - la Corte Costituzionale si mostra sostanzialmente indifferente, omettendo di prenderlo in considerazione nelle motivazioni a sostegno del proprio arresto.

Coerentemente con le illustrate premesse, il Giudice Costituzionale risolve il conflitto di attribuzione a favore del Presidente del Consiglio (affermando che non spettava alla Cassazione annullare il proscioglimento dei cinque imputati, né alla Corte d'Appello di Milano accertare la responsabilità degli stessi sulla base di risultanze probatorie coperte dal segreto di Stato), e per l'effetto annulla le sentenze della Cassazione (n. 46340/2012) e della Corte d'Appello di Milano (12 febbraio 2013), che avevano indebitamente oltrepassato il perimetro del potere giudiziario, demandando altresì alla Autorità giudiziaria procedente - cioè di nuovo alla Cassazione, dinanzi alla quale pendeva il ricorso avverso la condanna della Corte d'Appello di Milano - il compito di «valutare le conseguenze che, sul piano processuale, scaturiscono dalla pronuncia di annullamento».

 

9. Giungiamo così, finalmente, alla sentenza di cui oggi pubblichiamo le motivazioni, chiamata dunque a decidere un ricorso avente ad oggetto una sentenza già annullata dalla Consulta. Ristrettissimo, evidentemente, era il margine di manovra lasciato ai giudici di legittimità, ai quali conviene in conclusione lasciare la parola: «non resta a questa Corte che prendere atto da un lato che non residuano e non possono residuare, prove esterne a quell'ampio perimetro [del segreto di Stato] così inaspettatamente tracciato dalla sentenza ultima delle Corte Costituzionale, dall'altro lato che i pronunciati annullamenti da parte della stessa Consulta, pur formalmente aperti ad ulteriori conclusioni in capo all'Autorità giudiziaria competente, cui è rimesso l'esito finale, in sostanza chiudono ex se l'esito decisorio». Infine, sul piano squisitamente processuale, la Cassazione si interroga in merito a «quale possa essere la formula che l'Autorità giudiziaria competente...debba adottare, posto che essa si trova comunque a dover decidere...su ricorsi proposti contro sentenza già oggetto di esplicito annullamento da parte della Corte Costituzionale». Un questione che i giudici definiscono «tanto interessante sul piano teorico, quanto oziosa sul piano pratico», e, in coerenza con tale premessa, liquidano in pochissime righe: «viene in proposito di necessità leggere ed applicare il comma 3 dell'art. 202 c.p.p. che regola la specifica materia e che, imponendo esito di improcedibilità, come tale soverchia ogni altro possibile epilogo».