26 novembre 2014 |
Le Sezioni Unite negano la retroattività della nuova normativa in materia di stupefacenti ove esaurita la fase cautelare
Cass., Sez. Un. pen., sent. 17 luglio 2014 (dep. 28 ottobre 2014), n. 44895, Pres. Santacroce, Rel. Diotallevi, ric. Pinna
1. La sentenza in esame è diretta conseguenza di una pronuncia costituzionale decisiva per un tema, quale la disciplina in materia di stupefacenti, oggetto di differenti visioni, politiche e giurisprudenziali. In particolare le Sezioni unite della Corte di Cassazione sono chiamate a pronunciarsi sugli effetti che la sentenza costituzionale n. 32 del 2014 produce sulla materia cautelare e, nello specifico, sull'ammissibilità della scarcerazione "ora per allora" in riferimento ai rapporti processuali cautelari per i quali la fase interessata dalla modifica normativa debba considerarsi esaurita prima della pubblicazione della sentenza costituzionale.
2. Per meglio comprendere le ragioni che hanno condotto la Corte verso una decisione in senso negativo risulta necessario ripercorrere i passaggi salienti della vicenda.
Nel caso di specie il ricorrente, a seguito di ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Cagliari[1], veniva ristretto in stato di custodia cautelare in carcere, in relazione a reati continuati di detenzione e cessione illecita di sostanze stupefacenti.
Con successive ordinanze[2] la medesima autorità giudiziaria rigettava le richieste di revoca o sostituzione della misura cautelare in questione nonché di scarcerazione "ora per allora" avanzate dall'istante rispettivamente ai sensi degli articoli 299 e 303, comma 1, lett. a), n. 1, c.p.p. Tale ultima richiesta veniva proposta dal ricorrente subito dopo la pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 che, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale degli articoli 4 bis e 4 vicies ter del d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, stabiliva la reviviscenza del previgente trattamento sanzionatorio per i reati in materia di stupefacenti, determinando la reintroduzione della distinzione tra "droghe leggere" e "droghe pesanti". Secondo la difesa del ricorrente tale pronuncia, retroattivamente applicabile, avrebbe infatti comportato il superamento dei termini di durata massima della custodia cautelare, così come disciplinati dal codice di rito per la fase delle indagini, legittimando la conseguente perdita di efficacia della misura cautelare in questione[3].
Contro tali ordinanze il ricorrente proponeva appello al Tribunale di Cagliari che, nel confermare i provvedimenti di rigetto emessi dal G.i.p., richiamava l'orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui la retroattività delle pronunce della Corte costituzionale troverebbe un sicuro limite nei rapporti cosiddetti "esauriti", in ossequio al principio di autonomia dei termini di custodia cautelare fissati per le singole fasi del procedimento[4].
Avverso la decisione del Tribunale, l'istante proponeva, quindi, ricorso per Cassazione deducendo, come primo motivo, violazione di legge, inosservanza di norme processuali nonché vizio di motivazione in ordine alla ritenuta insussistenza dei presupposti della scarcerazione "ora per allora" dell'imputato per decorrenza dei termini di fase. In particolare la difesa, identificando la dichiarazione di incostituzionalità come la più grave patologia che possa realizzarsi in ambito cautelare, riteneva tale evento giuridico idoneo ai fini dell'applicazione dell'art. 303, comma 1, lett. a), n.1, c.p.p.
La quarta sezione penale, alla luce dell'importanza e della complessità della tematica di cui veniva investita, rimetteva la decisione alle Sezioni Unite, formulando in definitiva la seguente questione di diritto: "Se la sentenza della Corte costituzionale n. 32 del 2014 produca i suoi effetti, incidenti sul calcolo dei termini di fase di durata della misura cautelare, 'ora per allora' sui rapporti processuali cautelari per i quali la fase cui si riferisce il termine ridotto per effetto di tale declaratoria si sia esaurita prima della pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale"[5].
3. La questione posta all'attenzione delle Sezioni Unite presuppone la risoluzione di una discussa e fondamentale tematica, quale quella concernente la retroattività in mitius, come conseguenza di successione di leggi o di declaratoria di incostituzionalità di una norma. La pronuncia n. 32 del 2014 della Corte costituzionale comporta, infatti, la reviviscenza del previgente e più favorevole trattamento sanzionatorio per la detenzione illecita delle cosiddette "droghe leggere". Il Collegio, sul punto, sposa il prevalente e ormai consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce efficacia erga omnes nonché forza invalidante alla sentenza con la quale viene dichiarata l'illegittimità costituzionale di una norma di legge con "conseguenze assimilabili a quelle dell'annullamento, nel senso che incide, in coerenza con gli effetti propri di tale istituto, anche sulle situazioni pregresse verificatesi nel corso del giudizio nel quale è consentito sollevare, in via incidentale, la questione di costituzionalità, e spiega, pertanto, effetti non soltanto per il futuro ma anche retroattivamente in relazione a fatti o a rapporti instauratisi nel periodo in cui la norma incostituzionale era vigente, con esclusione, però, di quelle situazioni giuridiche ormai esaurite, non suscettibili cioè di essere rimosse o modificate [...]"[6].
Richiamando quanto affermato da precedente e fondamentale decisione della Corte costituzionale, il Collegio rapporta l'operatività dell'applicazione retroattiva della lex mitior al principio sancito dall'art. 3 della Carta costituzionale, legittimandone un'eventuale deroga solo a seguito di confronto con principi di pari rango. Come affermato dal Giudice delle leggi, infatti, "Il livello di rilevanza dell'interesse preservato dal principio di retroattività della lex mitior - quale emerge dal grado di protezione accordatogli dal diritto interno, oltre che dal diritto internazionale, convenzionale e dal diritto comunitario - impone di ritenere che il valore da esso tutelato può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo [...]. Con la conseguenza che lo scrutinio di costituzionalità ex art. 3 Cost., sulla scelta di derogare alla retroattività di una norma penale più favorevole al reo deve superare un vaglio positivo di ragionevolezza, non essendo a tal fine sufficiente che la norma derogatoria non sia manifestamente irragionevole"[7].
4. Venendo al tema specifico dei rapporti tra la lex mitior e la custodia cautelare, il Collegio richiama la sussistenza di due orientamenti giurisprudenziali contrapposti. Il primo, maggioritario, consente l'applicazione della legge più favorevole anche in relazione ai termini di fase, qualora la fase interessata della custodia cautelare non sia esaurita e il nuovo termine applicabile sia già decorso[8]. Il secondo, riconducibile a risalenti e sporadiche pronunce, invece, impone che il calcolo del termine di durata massima della custodia cautelare faccia riferimento esclusivamente alla contestazione contenuta nel capo di imputazione, senza riconoscere una qualche rilevanza a tal fine all'eventuale diversa quantificazione della pena conseguente a modifiche normative[9].
Il dibattito sulla possibile applicazione della scarcerazione "ora per allora" rispecchia in egual modo la sussistenza di contrapposti indirizzi interpretativi, creatisi a seguito della pronuncia n. 253 del 2004 della Corte costituzionale[10]. Il primo orientamento, maggioritario, pur riconoscendo l'efficacia retroattiva delle sentenze della Corte costituzionale, ne individua un limite inderogabile nei rapporti cosiddetti "esauriti", quali quelli rappresentativi di un'attività complessa finalizzata alla realizzazione di una decisione irrevocabile. Secondo tale filone giurisprudenziale, infatti, "nel caso in cui la sentenza che dichiara l'illegittimità costituzionale attenga, per la natura della decisione, a un rapporto, quale quello processuale, che si articola in varie fasi che si dipanano nel tempo e che rappresentano segmenti di una attività complessa finalizzata al risultato ultimo di una decisione irrevocabile su una notizia criminis, appare evidente che l'effetto retroattivo non possa riferirsi che alla determinata fase in cui il processo si trova, di modo che la sentenza non può avere effetti su fasi precedenti già superate nel singolo procedimento"[11].
Di parere discordante un'unica pronuncia della Suprema Corte che, nel creare una differente definizione di rapporto "esaurito", ritiene legittima l'applicazione retroattiva della declaratoria di incostituzionalità anche sul rapporto processuale cautelare in corso, con la conseguenza di ammettere la scarcerazione "ora per allora" "fin quando la validità ed efficacia degli atti disciplinati da una norma sono sub iudice"[12].
5. Le Sezioni Unite, nell'aderire all'orientamento giurisprudenziale maggioritario, enunciano, pertanto, il seguente principio di diritto: "In tema di custodia cautelare, la sentenza della Corte cost. n. 32 del 2014, dichiarativa dell'incostituzionalità degli articoli 4-bis e 4-vicies ter d.l. n. 272 del 2005, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 49 del 2006, concernente il trattamento sanzionatorio unificato per le droghe leggere e per le droghe pesanti, con la conseguente reviviscenza del trattamento sanzionatorio differenziato previsto dal D.P.R. n. 309 del 1990 per i reati aventi ad oggetto le droghe leggere e per quelli concernenti le droghe pesanti, non comporta la rideterminazione retroattiva, 'ora per allora' dei termini di durata massima per le precedenti fasi del procedimento, ormai esaurite prima della pubblicazione della sentenza stessa, attesa l'autonomia di ciascuna fase".
In linea, quindi, con gli orientamenti sostenuti dalla prevalente giurisprudenza di legittimità nonché dalla Corte costituzionale, il Collegio argomenta tale esposta decisione ponendo l'attenzione sulla natura processuale delle norme che regolano le misure cautelari personali. I Giudici ritengono, infatti, di aderire a quanto precedentemente affermato dalla Consulta secondo cui "affinché la restrizione della libertà personale nel corso del procedimento sia compatibile con la presunzione di non colpevolezza, è necessario che essa assuma connotazioni nitidamente differenziate da quelle della pena, irrogabile solo dopo l'accertamento definitivo della responsabilità; e ciò ancorché si tratti di misura ad essa corrispondente sul piano del contenuto afflittivo. La custodia cautelare deve soddisfare esigenze proprie del processo, diverse da quelle di anticipazione della pena, tali da giustificare, nel bilanciamento di interessi meritevoli di tutela, il temporaneo sacrificio della libertà personale di chi non è stato ancora giudicato colpevole in via definitiva"[13].
A fronte dell'impossibilità di trasferire nell'ordinamento processuale principi di diritto intertemporale propri della legalità penale, come esplicitamente affermato anche da illustre pronuncia della Corte EDU[14], al Collegio non resta che definire la questione in esame ricostruendo il sistema processuale nell'ottica del principio tempus regit actum. Ad avviso della Corte, nel caso di specie, la declaratoria di incostituzionalità per eccesso nell'esercizio del potere di delega delle norme interessate, non pare doversi considerare lesiva della legittimità dei provvedimenti adottati. Il riconoscimento del vizio in un momento successivo rispetto alla fase cautelare esaurita, infatti, non può in nessun modo incidere sulla intervenuta scadenza del termine della fase precedente, con la conseguenza di doversi escludere l'ammissibilità della scarcerazione "ora per allora". Tale conclusione, che trova conferma nella funzione stessa del cosiddetto "termine di fase", non può ritenersi censurabile sotto il profilo della legittimità costituzionale. A parere del Collegio, i principi stessi fissati per il calcolo della durata massima della custodia cautelare, che ammettono il recupero dell'eventuale eccedente presofferto, palesano la compatibilità del sistema della custodia cautelare con il parametro interno di cui all'art. 3 della Carta costituzionale e con quello esterno di cui all'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
6. La sentenza in esame, in conclusione, dà ulteriore conferma al condiviso pensiero giurisprudenziale dominante in materia di lex mitior e ordinamento processuale. Le problematiche inerenti il diritto intertemporale, particolarmente complesse se riguardanti la materia cautelare[15], trovano, pertanto, soluzione nella regola di cui all'articolo 11 disp. prel. c.c. La necessità che gli istituti processuali vengano disciplinati dalla legge in vigore nel momento di realizzazione dell'atto, riassumibile nel canone tempus regit actum corrisponde, infatti, a fondamentali e imprescindibili "esigenze di certezza, razionalità, logicità che sono alla radice della funzione regolatrice della norma giuridica. Esso, proprio per tale sua connotazione, è particolarmente congeniale alla disciplina del processo penale. L'idea stessa di processo implica l'incedere attraverso il susseguirsi atomistico, puntiforme, di molti atti che compongono, infine, la costruzione. Tale edificazione rischierebbe di crollare dalle radici come un castello di carte se la cornice normativa che ha regolato un atto potesse essere messa in discussione successivamente al suo compimento, per effetto di una nuova norma. Per questo, il principio tempus regit actum significa in primo luogo che, di regola, la norma vigente al momento del compimento di ciascun atto ne segna definitivamente, irrevocabilmente, le condizioni di legittimità, ne costituisce lo statuto regolativo: un atto, una norma"[16]. Come già chiarito, è la stessa Corte EDU, peraltro, che, se da un lato sottolinea la necessità di definire di volta in volta la natura sostanziale o processuale delle norme in discussione al di là del dato formale, nel contempo esclude una possibile applicabilità del principio implicitamente enunciato dall'art. 7 CEDU all'ambito processuale. Appare coerente, in definitiva, con la struttura stessa del sistema processuale, tener fede agli orientamenti espressi dalla giurisprudenza costituzionale e sovrannazionale in ragione, innanzitutto, delle già richiamate esigenze di certezza, razionalità e logicità, in modo che "l'assetto predisposto in considerazione di un certo modus procedendi non debba tendenzialmente essere sconvolto da norme sopravvenute, che rimettano in discussione l'unità e la coerenza dell'intera attività processuale, cioè l'unità e la coerenza dell'attività processuale già svolta, con quella futura"[17].
[1] Cfr. Trib. Cagliari, ordinanza 17 maggio 2013.
[2] Cfr. Trib. Cagliari, ordinanze 18 febbraio 2014 e 10 marzo 2014.
[3] Nel caso di specie l'ordinanza del Gip del Tribunale di Cagliari di applicazione della misura cautelare veniva eseguita il 10 giugno 2013. Essendosi conclusa la fase delle indagini il 20 dicembre 2013, data di emissione del decreto di giudizio immediato, secondo la difesa sarebbero da considerarsi superati i termini di durata massima della custodia cautelare, con la conseguenza di ritenere ammissibile l'emissione di un provvedimento di scarcerazione nella fase successiva "ora per allora". Sul punto: Cass. pen., Sez. Un., 24 aprile 2002, n. 26350.
[4] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 5 febbraio 2008, n. 11059.
[5] Cfr. Cass. pen., Sez. IV, 28 maggio 2014, n. 22351.
[6] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 29 marzo 2007, n. 27614.
[7] Cfr. Corte cost., 23 novembre 2006, n. 393.
[8] Cfr. Cass. pen., Sez. 1, 24 marzo 1995, n. 1783; Cass. pen., Sez. I, 7 aprile 1995, n. 2144; Cass. pen., Sez. I, 11 aprile 1995, n. 2239; Cass. pen., Sez. IV, 18 dicembre 1997, n. 3522. Tali sentenze fanno riferimento alla successione intertemporale delle norme in materia di sostanze stupefacenti relative all'entrata in vigore dell'art. 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
[9] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 30 maggio 1995, n. 2181; Cass. pen., Sez. VI, 29 maggio 1995, n. 2172.
[10] Con tale pronuncia la Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 722 c.p.p. nella parte in cui non prevedeva che la custodia cautelare all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione presentata dallo Stato fosse computata anche agli effetti della durata dei termini di fase previsti dall'art. 303, commi 1, 2, 3, c.p.p.
[11] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 5 febbraio 2008, n. 11059. Sul punto si vedano anche: Cass. pen., sez. VI, 2 febbraio 2005, n. 21019 e Cass. pen., Sez. I, 5 luglio 2005, n. 26036.
[12] Cfr. Cass. pen., Sez. II, 3 maggio 2005, n. 23395.
[13] Cfr. Corte cost., 21 luglio 2010, n. 265.
[14] Cfr. Corte EDU, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia. Con tale pronuncia la Corte, nel riconoscere all'art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo un' implicita affermazione del principio di retroattività della legge penale meno severa, ne limita l'operatività al diritto penale sostanziale, precisando che "tale principio non diviene al contempo, un principio dell'ordinamento processuale, tanto meno nell'ambito delle misure cautelari".
[15] Sul punto si vedano: P. Spagnolo, Inapplicabilità del nuovo regime cautelare alle misure in corso di esecuzione, in Cass. pen., 2011, fasc. 12, pp. 4167 - 4175; G. Canzio - A. Caputo, Commento sub art. 272 c.p.p., in E. Aprile, G. Canzio, A. Caputo, G. De Amicis, P. Spagnolo (a cura di), Codice di procedura penale - Rassegna di giurisprudenza e dottrina, Giuffrè, 2013, pp. 16 - 23.
[16] Cfr. Cass. pen., Sez. Un., 31 marzo 2011, n. 27919.
[17] R. Caponi, Tempus regit processum. Un appunto sull'efficacia delle norme processuali nel tempo, in Riv. dir. proc., 2006, fasc. 2, p. 459.