ISSN 2039-1676


01 aprile 2014

Dalla Cassazione un piccolo vademecum per il giudice di fronte al rompicapo creato dal d.l. 146/2013 e dalla sent. n. 32/2014 in materia di stupefacenti

Cass., sez. IV pen., sent. 28 febbraio 2014 (dep. 14 marzo 2014), n. 13903, Pres. Zecca, Est. Dovere, Ric. Spampinato

1. In questa sentenza, assai ampiamente motivata, la quarta sezione della Cassazione prende posizione su una quantità di problemi sollevati dalle note vicende che hanno interessato la disciplina degli stupefacenti tra il dicembre scorso e il marzo di quest'anno: vicende sulle quali non possiamo qui che rinviare ai numerosi contributi già pubblicati nella nostra Rivista ed elencati nella colonna a destra a fianco.

Più in particolare, la Corte:

- ribadisce che il vigente comma 5 dell'art. 73 t.u., nel testo sostituito dal d.l. 146/2013 (nel frattempo converito in l. n. 10/2014), configura una fattispecie autonoma di reato, e non più (come in precedenza) una mera circostanza attenuante, in ragione di una pluralità di indici testuali e della inequivoca volontà del legislatore storico (§ 6 della motivazione);

- ribadisce, altresì, che tale norma deve considerarsi ancora vigente, nonostante l'intervento ablatorio compiuto sul testo dell'art. 73 dalla sent. n. 32/2014 della Corte costituzionale (della quale, osserva il Collegio, il giudice deve tener conto d'ufficio anche ove la sentenza medesima non sia ancora stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale, ma soltanto preannunciata da un comunicato stampa o comunque pubblicata mediante il mero deposito in cancelleria: § 7): e ciò in quanto il richiamo ai commi precedenti dell'art. 73 compiuto dalla nuova norma deve intendersi come rinvio "formale-dinamico", o "mobile", in grado come tale di raccordarsi con qualsiasi contenuto che venga ad assumere l'art. 73, e dunque anche al contenuto che i primi quattro commi hanno assunto dopo la sentenza della Corte, che ha fatto come è noto 'rivivere' le disposizioni originarie del t.u., eliminando invece le modifiche apportate dalla legge c.d. "Fini Giovanardi" (l. 49/2006) (§ 8);

- ribadisce, ancora, che la nuova norma - pur prevedendo un trattamento sanzionatorio indifferenziato per i fatti di lieve entità concernenti droghe 'pesanti' e 'leggere' - non può considerarsi irragionevole al metro dell'art. 3 Cost. (§ 8, ultima parte);

- afferma - in via di obiter - che i fatti di lieve entità commessi prima dell'entrata in vigore della legge "Fini-Giovanardi", e dunque sino al 28 febbraio 2006, dovranno essere giudicati sulla base della legge più favorevole tra quella in vigore al momento del fatto e quella di cui al d.l. 146/2013, senza tener conto della lex intermedia che - quand'anche fosse stata più favorevole - non avrebbe comunque potuto essere applicata in quanto rimossa dall'ordinamento con effetti ex tunc in seguito alla sentenza della Corte costituzionale che ne ha dichiarato l'illegittimità. Ciò in quanto il principio di retroattività della norma penale più favorevole (di rango costituzionale e convenzionale) trova un limite nell'ipotesi in cui la legge più favorevole sopravvenuta sia stata, appunto, dichiarata illegittima, come stabilito dalla sent. 394/2006 della Corte costituzionale (§ 9-10);

- afferma, per contro, che rispetto ai fatti di lieve entità commessi dopo il 28 febbraio 2006 e prima del 24 dicembre 2013 (data di entrata in vigore del d.l. n. 146), e dunque sotto il vigore della legge dichiarata illegittima, sarà necessario determinare in concreto quale sia la norma più favorevole tra quella incostituzionale e quella successiva, in ragione del carattere inderogabile del principio della irretroattività della norma penale (rectius, della tutela dell'affidamento del singolo sulla norma penale apparentemente vigente al momento del fatto, principio a sua volta deducibile da quello di prevedibilità della sanzione penale che si deduce dall'art. 25 co. 2 Cost., interpretato alla luce dell'art. 7 CEDU e dalla pertinente giurisprudenza di Strasburgo) (§ 10 ultima parte);

- ricostruisce, infine - ed è forse la parte di maggiore interesse pratico della sentenza, pure densa di spunti di grande rilievo teorico - il quadro complessivo che si spalanca al giudice nella determinazione della norma penale più favorevole nelle varie ipotesi che si possono oggi presentare alla sua attenzione: fatti concernenti droghe 'pesanti' ovvero 'leggere', punibili ai sensi dei primi commi ovvero ai sensi del quinto comma, commessi prima del febbraio 2006 ovvero tra il febbraio 2006 e il 24 dicembre 2013 (§ 11).

 

2. Nel caso di specie, la soluzione era peraltro abbastanza agevole. L'imputato aveva commesso, nel gennaio 2011, un fatto di lieve entità concernente una droga 'pesante'; l'attenuante di cui al quinto comma nella versione allora vigente (che prevedeva la pena della reclusione da uno a sei anni) era stata tuttavia elisa, nel giudizio di bilanciamento, dalla ritenuta aggravante della recidiva. Il giudice aveva assunto pertanto a base del calcolo la pena di sei anni di reclusione, sulla quale aveva applicato la diminuzione per il rito. Tale base di calcolo deve oggi ritenersi illegittima, dal momento che - a tacer d'altro - la lex mitior sopravvenuta (il nuovo quinto comma dell'art. 73, così come modificato dal d.l. 146/2013) prevede oggi una pena massima di cinque anni di reclusione. Di qui l'annullamento della sentenza con rinvio alla corte territoriale competente, con espressa indicazione della necessità di procedere a una nuova commisurazione che tenga conto della attuale natura di fattispecie autonoma del quinto comma: con conseguente necessità di applicare l'aumento relativo alla ritenuta recidiva sulla pena base rideterminata tra il minimo di un anno e il massimo di cinque anni di reclusione ai sensi del nuovo quinto comma. (F.V.)