ISSN 2039-1676


24 marzo 2014 |

Droga: il governo corre ai ripari con un d.l. sulle tabelle, ma la frittata è fatta (e nuovi guai si profilano all'orizzonte...)

Decreto legge 20 marzo 2014, n. 36 (Disposizioni urgenti in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché di impiego di medicinalimeno onerosi da parte del Servizio sanitario nazionale)

1. Con il decreto legge in epigrafe - pubblicato in G.U. venerdì 21 marzo e contestualmente entrato in vigore (clicca sotto su downoload documento per scaricare il testo) - il Governo interviene in particolare a colmare il vuoto normativo creatosi dopo la pubblicazione della sent. n. 32/2014 della Corte costituzionale (sulla quale cfr. si vedano gli ormai numerosi contributi pubblicati dalla nostra Rivista, elencati nella colonna a destra della pagina), a seguito della quale erano stati tra l'altro caducati gli artt. 13 e 14 del t.u. così come modificati dall'art. 4 vicies ter del d.l. n. 272/2005, conv. con modificazioni dalla l. 49/2006 (la c.d. legge Fini-Giovanardi), con ulteriore caducazione consequenziale delle tabelle allegate a tali disposizioni e dei successivi decreti ministeriali di aggiornamento delle medesime.

Chiariamo subito, a scanso di equivoci, che - contrariamente ad alcuni rumors circolati a margine del Consiglio dei Ministri di venerdì 14 marzo scorso - il decreto legge non interviene sulla disposizione sanzionatoria di cui all'art. 73 del t.u., e dunque lascia inalterata la situazione creatasi a seguito della sentenza della Corte che, come è noto, ha dichiarato illegittimo l'art. 4 bis del d.l. 272/2005, conv. con modif. dalla l. 49/2006, con il quale l'art. 73 era stato modificato nel senso dell'equiparazione sanzionatoria tra droghe 'pesanti' e 'leggere'. Conseguentemente, come la Corte stessa ha chiarito, deve ritenersi che la versione previgente alla legge 49/2006 - che si fondava sulla distinzione tra i due quadri sanzionatori per le droghe 'pesanti' e 'leggere' - non sia mai stata validamente abrogata, e sia pertanto a tutt'oggi in vigore (per scaricare un nostro documento riassuntivo che ci conclude con la versione dell'art. 73 che deve considerarsi oggi vigente, clicca qui).

A primissima lettura, e salvo ogni approfondimento successivo, questo decreto legge ripristina in larga misura le modifiche al testo unico introdotte dall'altra disposizione dichiarata incostituzionale, l'art. 4 vicies ter della "Fini-Giovanardi". Come chiarisce il preambolo del decreto legge, tale disposizione è stata in effetti dichiarata illegittima dalla Corte costituzionale in ragione della violazione dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione, e dunque per motivi esclusivamente procedurali, che non toccano la sostanza della disciplina, che non è stata oggetto di censura da parte della Corte.

L'unica rilevante eccezione concerne il numero e la composizione delle tabelle che elencano le sostanze stupefacenti e medicinali cui si riferisce il t.u.: mentre l'art. 4 vicies ter della "Fini-Giovanardi" aveva previsto due sole tabelle - una per tutte quante le sostanze stupefacenti e una per le sostanze medicinali -, il nuovo testo degli artt. 13 e 14 t.u. così come modificati dal presente decreto legge prevede cinque tabelle, allegate al t.u. nella versione - appunto - modificata dal decreto legge: una tabella I, relativa alle c.d. "droghe pesanti"; una tabella II, realtiva alle c.d. "droghe leggere"; una tabella III e una tabella IV, realtive alle sostanze medicinali equiparate ai fini sanzionatori rispettivamente alle "droghe pesanti" e a quelle "leggere"; e, infine, una tabella c.d. "dei medicinali", non richiamata dall'art. 73.

Le prime quattro tabelle trovano dunque ora piena corrispondenza con le previsioni di cui all'art. 73, nel testo previgente alla Fini-Giovanardi ripristinato dalla sentenza n. 32/2014: le condotte aventi ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle I e III sono sanzionate con la reclusione da otto a vent'anni ai sensi del primo comma, mentre quelle aventi ad oggetto le sostanze di cui alle tabelle II e IV soggiacciono al più favorevole quadro edittale della reclusione da due a sei anni ai sensi del quarto comma.

 

2. La reintroduzione, con il presente decreto legge, delle tabelle caducate dalla sentenza della Corte risponde all'esigenza, evidenziata nel preambolo del provvedimento, di "assicurare la continuità della sottoposizione al controllo del Ministero della salute delle sostanze" sottoposte a controllo in attuazione di convenzioni internazionali e di nuove acquisizioni scientifiche dall'entrata in vigore della legge 21 febbraio 2006, n. 49 ad oggi. Coerentemente con tale finalità, l'art. 2 del provvedimento dispone che "a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto continuano a produrre effetti gli atti amministrativi adottati sino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 12 febbraio 2014" ai sensi del testo unico.

La disposizione intende ripristinare la sottoposizione ai controlli previsti dal t.u. non solo delle sostanze originariamente contenute nelle tabelle allegate al t.u. per effetto dell'art. 4 vicies ter della legge "Fini-Giovanardi", ma anche delle sostanze sottoposte a controllo in forza dei decreti successivamente emanati dal Ministero della Salute ai sensi dell'art. 13 del t.u., e assicurare così la "continuità" della loro rilevanza - parrebbe - dal 2006 ad oggi.

Ma una simile impresa è, all'evidenza, impossibile. La sentenza della Corte costituzionale, dichiarando illegittimo l'art. 4 vicies ter della "Fini-Giovanardi", ha spazzato via contestualmente le modifiche agli articoli 13 e 14 del t.u. introdotte da quella disposizione, e pertanto l'intero sistema tabellare da esse previsto, incisivamente modificato rispetto al regime previgente (anche sotto il profilo procedurale: mentre in precedenza le tabelle trovavano la fonte esclusivamente in decreti del Ministro della Sanità, e dunque in atti normativi di carattere secondario, con la "Fini-Giovanardi" le tabelle furono allegate allo stesso t.u., ed acquistarono pertanto rango di diritto primario). Per effetto della sentenza della Corte, dunque, dovranno considerarsi come non validamente abrogate dalla "Fini-Giovanardi" le tabelle ministeriali precedenti al 2006, alle quali dovrà pertanto continuare a farsi riferimento per l'intero periodo dal 2006 al 21 marzo 2014, data di entrata in vigore del presente decreto legge. Né potranno considerarsi validi i successivi decreti ministeriali di aggiornamento delle tabelle emanati sulla base dell'art. 13 t.u., nella formulazione modificata dalla "Fini-Giovanardi": il travolgimento della base normativa primaria non può, infatti, che comportare il travolgimento dei regolamenti che su quella base si fondavano.

L'avvenuto reinserimento nelle tabelle, per effetto del presente decreto legge, delle nuove sostanze già (invalidamente) introdotte nelle tabelle della "Fini-Giovanardi" ad opera della stessa legge 49/2006 o dai decreti ministeriali successivi varrà allora ad assicurare per il futuro la rilevanza penale delle condotte aventi ad oggetto tali sostanze; ma certo non potrà produrre effetto retroattivo rispetto alle condotte compiute sino al 21 marzo 2014, a ciò ostando il principio costituzionale di irretroattività della legge penale di cui all'art. 25 co. 2 Cost. Decisivo è, infatti, che tali condotte siano state compiute in un'epoca nella quale le sostanze cui si riferivano non erano ancora state validamente inserite nelle tabelle previste dal t.u.: e tanto basta per escluderne in radice la rilevanza penale.

La disposizione di cui all'art. 2 del decreto legge non può, allora, che avere il significato di una sorta di novazione, o se vogliamo di convalida, di atti normativi precedenti riconosciuti come invalidi: ma con effetti, appunto, "dalla data di entrata in vigore" del decreto, e dunque soltanto per il futuro, senza poter in alcun modo recuperare la "continuità" con una disciplina che è stata bensì vigente in passato, ma che è stata ora dichiarata ora invalida (e con effetti ex tunc) dalla Corte costituzionale.

Dal punto di vista del penalista, la frittata è fatta, insomma: la sentenza della Corte ha prodotto, irrimediabilmente, una serie di abolitiones criminis rispetto a tutti i fatti concernenti sostanze introdotte per le prima volta nelle tabelle dal 2006 ad oggi. Con tutti i conseguenti effetti sui processi in corso, nonché sulle sentenze già passate in giudicato, che andranno revocate in forza - in questo caso almeno - di una piana applicazione dell'art. 673 c.p.p.

 

3. Ma i guai non finiscono qui. Alla generalità dei primi commentatori della sentenza della Corte (sottoscritto compreso), e a quanto pare allo stesso Governo in sede di emanazione del decreto legge, è sfuggito un piccolo particolare: che nel testo da considerarsi oggi vigente del d.lgs. 309/1990 è del tutto scomparso ogni riferimento alla non punibilità dell'uso personale di sostanze stupefacenti.

Nel regime anteriore alla "Fini-Giovanardi", la relativa non punibilità si desumeva in via sistematica dall'art. 75, che contemplava un sistema di sanzioni amministrative a carico di chi realizzasse talune delle condotte previste dall'art. 73 allo scopo di fare "uso personale" delle sostanze. Correlativamente, la norma penale di cui all'art. 73 delimitava espressamente il proprio ambito applicazione attraverso la clausola "fuori dalle ipotesi previste dagli articoli 75 e 76".

A partire dal 2006, il legislatore decise di seguire una tecnica differente: alla conclusione della non punibilità si doveva ora pervenire a contrario dal co. 1-bis dell'art. 73, introdotto ex novo dalla "Fini-Giovanardi", che come è noto prevedeva la punibilità delle condotte di importazione, esportazione, acquisto, ricezione e detenzione di quantitativi di sostanze a) superiori a una dose individuata mediante decreti del Ministro della Salute, ovvero b) che "per modalità di presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero per altre circostanze dell'azione, appaiono destinate ad un uso non esclusivamente personale". Parallelamente, anche l'art. 75 fu modificato, sopprimendosi l'esplicita menzione della finalità di uso personale delle sostanze e stabilendosi semplicemente l'applicazione delle sanzioni amministrative ivi previste "fuori dalle ipotesi di cui all'art. 73, comma 1-bis".

Ebbene, a seguito della sentenza della Corte, è scomparso il co. 1-bis dell'art. 73 - introdotto dall'art. 4 bis della "Fini-Giovanardi" -, con conseguente venir meno della limitazione della punibilità alle condotte concernenti quantitativi di sostanze superiori alla dose media giornaliera o che appaiano comunque destinati ad uso non esclusivamente personale; ma, per altro verso, resta fermo il testo dell'art. 75 così come modificato dall'art. 4 ter della "Fini-Giovanardi" (non interessato dalla pronuncia della Corte!), che parimenti tace sulla finalità di uso personale, limitandosi a definire il proprio ambito di ambito di applicazione con la clausola "fuori dalle ipotesi di cui all'art. 73, comma 1-bis": e cioè... fuori dalle ipotesi di una norma ora scomparsa!

Risultato: l'intero apparato di sanzioni amministrative previste nei confronti del consumatore dall'art. 75 (e dal successivo art. 75-bis) sembra oggi sprovvisto di presupposti applicativi (al punto che taluni autorevoli commentatori parrebbero inclini a ritenere l'implicito travolgimento delle due norme: cfr. in questo senso il contributo di V. Manes, L. Romano, L’illegittimità costituzionale della legge c.d. “Fini-Giovanardi”: gli orizzonti attuali della democrazia penale, pubblicato oggi stesso sulla nostra Rivista, p. 26 s.). Ma soprattutto - e si tratta del profilo di gran lunga più inquietante - le incriminazioni di cui all'art. 73, venute meno le limitazioni di cui al co. 1-bis, sembrebbero ormai abbracciare anche le condotte finalizzate ad uso meramente personale delle sostanze.

Per evitare una simile, paradossale conclusione si dovrebbe ritenere, come sembra suggerire il contributo appena citato, l'implicita caducazione 'a cascata' dell'art. 75 nella versione introdotta dalla "Fini-Giovanardi", in ragione dell'impossibilità di ricostruire oggi la sua fattispecie, definita per relationem rispetto ad una norma oggi dichiarata incostituzionale; e al contempo considerare - ma si tratta di un passaggio ulteriore non scontato, come ben rilevano gli stessi Manes e Romano - come mai abrogata la versione previgente dell'art. 75, che conteneva appunto un esplicito riferimento alla finalità di uso personale della sostanza. La prospettiva qui schizzata non è però indolore, aggiungendo un ulteriore alone di incertezza sul diritto vigente rispetto a quello già creato dalla sentenza della Corte, che come è noto - nell'inciso conclusivo della motivazione - ha demandato al giudice ordinario l'individuazione delle norme successive a quelle impugnate che oggi non siano più applicabili in quanto "divenute prive del loro oggetto", presupponendo la vigenza di quelle caducate. Rispetto invece a una norma coeva a quelle caducate, come quella qui in discussione (l'art. 4 ter della "Fini-Giovanardi"), nulla ha detto la Corte, che peraltro ben avrebbe potuto estendere ad essa la dichiarazione di illegittimità costituzionale ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87/1953, risolvendo così con ben altra autorità ogni possibile dubbio in proposito.

La possibile alternativa sarebbe quella di sostenere la perdurante vigenza dell'art. 75 nella formulazione introdotta della "Fini-Giovanardi", intendendosi il rinvio ivi contenuto all'art. 73 co. 1-bis come rinvio recettizio. Per effetto di un simile rinvio la disciplina ora dichiarata incostituzionale sarebbe stata incorporata come parte integrante dello stesso art. 75, divenendo così insensibile alle modificazioni successive che abbiano interessato la norma richiamata (come, appunto, la sua dichiarazione di illegittimità costituzionale); con conseguente possibilità di invocare ancora il principio di specialità dell'illecito amministrativo - applicabile alle condotte finalizzate ad uso esclusivamente personale - rispetto all'illecito penale. Ma, anche in questo caso, si tratterebbe di un percorso argomentativo non certo agevole: la disciplina di cui all'art. 73 co. 1-bis fa riferimento a decreti ministeriali ora certamente caducati a seguito della sentenza della Corte; e per altro verso, lo stesso art. 75 richiama, per definire il proprio ambito di applicazione, un sistema tabellare oggi del tutto modificato, anche per effetto del decreto legge qui in commento.

Certo è che il decreto legge appena emanato avrebbe potuto costituire l'occasione ideale per risolvere questo delicato problema, attraverso una idonea riformulazione dell'art. 75 che ne ridefinisse l'ambito di applicazione in relazione alle vicende normative nel frattempo intervenute, con una esplicita reintroduzione della finalità di uso personale come caratterizzante appunto l'illecito amministrativo rispetto ai delitti di cui all'art. 73. Spetterà a questo punto al Parlamento, in sede di conversione, intervenire per porre un rimedio ragionevole a questa ulteriore, e non prevista difficoltà.