27 gennaio 2016 |
Diffamazione aggravata da finalità di discriminazione etnica e diritto di satira. Ovvero: l'on. Mario Borghezio e il Dolce Stil Novo 2.0
Tribunale Milano, sez. X, 24 settembre 2015, n. 7624, Pres. est. Busacca
1. Nel corso della trasmissione radiofonica "la Zanzara" (Radio 24), in occasione della Giornata Internazionale del Popolo Rom veniva intervistato l'on. Borghezio, il quale, con riferimento al previsto incontro presso la Camera dei Deputati tra appartenenti alle Comunità Rom e Sinti italiane e la Presidente della Camera, definiva le persone che l'on. Boldrini si accingeva a ricevere come "facce di cazzo" dotate di una "certa cultura tecnologica nello scassinare gli alloggi della gente onesta". Nel corso della trasmissione, l'intervistato qualificava poi l'avvenimento come la giornata "della demagogia e del fancazzismo, con contorno di festival dei ladri" e invitava a fare "un esamino con l'elenco di tutto quello che c'era prima della visita [alla Camera] e quello che è rimasto dopo", affermando "penso quello che pensano tutti ... mano alla tasca del portafoglio per evitare che te lo portino via..". L'intervista, qui sommariamente riassunta, si concludeva con un saluto al popolo rom nel corso del quale l'on. Borghezio esprimeva "preoccupazione" motivata dal fatto di non essere in casa, lasciando intuire il timore di incursioni Rom, salvo concludere che non avrebbero trovato molto da rubare a casa sua in quanto "noi razzisti siamo tutti poveri".
2. Per le frasi pronunciate, l'on. Borghezio veniva tratto a giudizio con l'imputazione di diffamazione aggravata - sia ai sensi dell'art. 595 co. 3 c.p. in quanto "recata con altro mezzo di pubblicità", sia dell'art. 3 co. 1 l. 205/1993, c.d. legge Mancino, in quanto commessa "per finalità di discriminazione o odio etnico" - in continuazione con il reato di diffusione di idee fondate sull'odio razziale ed etnico (art. 3, co. 1 lett. a], l. 654/1975, c.d. legge Reale).
Si anticipa da subito che il Tribunale di Milano, con la sentenza in esame, riconosciuto il fatto di diffamazione, escludeva la sussistenza dell'invocato diritto di critica (nella particolare forma della satira) per il mancato rispetto del parametro di "continenza" delle espressioni utilizzate e condannava l'imputato per diffamazione aggravata alla pena di 1.000,00 euro di multa, ritenendo, correttamente, il reato di cui alla legge Reale assorbito nella diffamazione per finalità di discriminazione o odio etnico (sulla divergenza di orientamenti giurisprudenziali in tema di 'discriminazione' penalmente rilevante ai sensi dell' art. 3 legge Reale, v. diffusamente Ubiali, Un volantino elettorale associa comportamenti criminosi agli 'stranieri' (neri, cinesi, Rom, islamici): è propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico?, in questa Rivista, 21 gennaio 2016).
3. La sentenza in esame si segnala principalmente per il valore riconosciuto al diritto di satira e per la scrupolosa verifica relativa alla sua sussistenza alla luce dei noti parametri giurisprudenziali coniati per il diritto di cronaca della verità del fatto, dell'interesse pubblico della notizia e della correttezza formale delle espressioni utilizzate ("continenza"): parametri che il Tribunale modula tenendo conto delle peculiarità proprie del diritto di satira rispetto a quello di cronaca.
Ripercorreremo la sentenza del Tribunale con specifico riferimento all'imputazione di diffamazione e al mancato riconoscimento del diritto di critica. Per quanto riguarda la ritenuta sussistenza della circostanza aggravante della finalità di discriminazione o odio etnico, ci limitiamo ad evidenziare che il Tribunale ravvisa l'aggravante, nel caso di specie, in ragione delle modalità della condotta che esteriorizzano un sentimento di avversione fondato sull'origine etnica o sulla razza (per la necessaria esteriorizzazione della finalità discriminatoria, cfr. Cass. 17 novembre 2005, n. 4495 in DeJure, nonché, Cass. 23 settembre 2008, n. 38591, in DeJure).
4. Tornando ai profili che attengono ai rapporti tra diffamazione e satira, preliminarmente, il Tribunale appura la sussistenza di un fatto di diffamazione, evidenziando la pacifica portata lesiva della reputazione delle frasi profferite dall'on. Borghezio, ritenute offensive della stessa "dignità sociale" delle vittime che vengono apostrofate, tra l'altro, come "facce di cazzo". Sempre in fatto, il Tribunale affronta, poi, incidentalmente, la questione relativa al soggetto passivo del reato di cui all'art. 595 c.p. e, in linea con consolidati orientamenti giurisprudenziali, ammette, tra i soggetti passivi, anche "collettività personificate e non", fondazioni, associazioni o comunità (ad es., sulla possibilità che le Comunità Israelitiche rivestano la qualifica di vittime della diffamazione, cfr. Cass. 16 gennaio 1986, n. 2817, in DeJure; per la Congregazione dei Testimoni di Geova, v. Cass. 7 ottobre 1998, n. 12744, in DeJure).
Accertata la sussistenza di un fatto di diffamazione, il Tribunale si interroga poi circa la sussistenza della causa di giustificazione invocata dalla difesa, segnatamente l'esercizio di un diritto - il diritto di critica -, sotto il particolare profilo della satira. Prima di entrare nel vivo del problema, il Tribunale pone l'accento sul rilievo costituzionale del diritto di satira quale particolare espressione del diritto di critica, che, come tale, trova riconoscimento anche a livello sovranazionale nell'art. 10 Cedu, in tema di libertà di espressione (tra i più recenti interventi della Corte Edu a tutela del diritto di satira, v. Ricci c. Italia, 8 ottobre 2013, che, trattando di altra questione, afferma incidentalmente la rilevanza convenzionale del diritto di satira; per un commento alla sentenza della Corte Edu, cfr. Rossetti, La Corte Edu sul bilanciamento tra riservatezza delle comunicazioni e libertà di espressione del giornalista, 5 novembre 2013, in questa Rivista).
Ebbene. Soffermandosi sul diritto di satira, invocato nel caso di specie dalla difesa dell'imputato anche in ragione dell'impronta ironica e satirica della trasmissione radiofonica in cui interveniva l'on. Borghezio, il Tribunale sottolinea la natura della satira, quale critica corrosiva e spesso impietosa, ancorata ad una rappresentazione che "enfatizza e deforma la realtà per provocare il riso, smitizzando i potenti" (espressione che evoca il celebre motto "castigat ridendo mores", attribuito al poeta francese De Santeuil). Ebbene, dalla motivazione del Tribunale emerge come sia proprio la smitizzazione di personaggi pubblici una delle peculiarità della satira che le consente, implicitamente, di svolgere una funzione di controllo sull'operato dei "potenti" (nell'ottica cara alla Corte Edu di "cane da guardia" della democrazia). A tal proposito, il Tribunale evidenzia il messaggio sociale che caratterizza la satira, capace di "sottolineare icasticamente un'interpretazione, spesso esasperata per renderla meglio comprensibile" e fruibile da parte della collettività. E qui emerge, implicitamente, un'ulteriore peculiarità della satira (rispetto alla cronaca): la sua finalità, che "non è l'informazione o la ricostruzione di eventi", bensì è quella di "sottolineare icasticamente un'interpretazione, spesso esasperata per renderla meglio comprensibile". Nel caso in oggetto, il Tribunale escluderà la sussistenza del diritto di satira anche in ragione della totale assenza di un messaggio sociale nelle frasi pronunciate da Borghezio.
Da ultimo, ma non meno importante: un'ulteriore peculiarità del diritto di satira, che la differenzia da quello di cronaca, è l' "incompatibilità con il parametro della verità": un'incompatibilità che è logica conseguenza dell'enfatizzazione della realtà che connota la satira (sull'affievolimento del parametro di verità nel diritto di critica cfr. Cass. civ. 10 marzo 2014, n. 5499, Codacons c. Soc. Romana ed., in DeJure).
Muovendo da tali considerazioni, e dall'inevitabile indebolimento del requisito di verità, il Tribunale mette in luce un'ulteriore peculiarità del diritto di satira rispetto al diritto di cronaca: la valorizzazione del rispetto della correttezza formale delle espressioni utilizzate (la c.d. "continenza"). La correttezza formale delle espressioni utilizzate assume, qui, maggior rilievo, proprio per controbilanciare l'irrilevanza della verità. Sul punto della correttezza formale, il Tribunale evidenzia che le parole profferite dall'on. Borghezio costituiscono un'aggressione gratuita alla persona, per la quale non è assolutamente mai invocabile il diritto di libera manifestazione del pensiero (conformi, tra le più recenti, Cass. 5 novembre 2014, n. 5695, in DeJure; nonché Cass. civ. 24.3.2015, n. 5851, MTC c. E. Del Roma, in DeJure).
5. Un aspetto ulteriormente degno di nota è l'esclusione del diritto di satira (da parte del Tribunale) non solo con riferimento agli epiteti di per sè infamanti utilizzati dall'imputato, soluzione ampiamente percorsa in giurisprudenza, ma anche con riguardo a tutte le espressioni che attribuiscono alle persone offese condotte illecite (nel caso di specie, di furto). A tal proposito, infatti, il Tribunale si dimostra attento ed in linea anche con quanto si ricava dalla giurisprudenza di legittimità civile, più di frequente, a quanto ci consta, investita di questioni relative al rapporto tra lesione della reputazione e diritto di satira (cfr. tra le più recenti Cass. civ. 17 settembre 2013, n. 21235, Grillo c. Galvagno, in DeJure; nonché, tra le altre, Cass. civ., 28 novembre 2008, n. 28411, Studio P. c. Aloi, in DeJure). Ebbene, nel solco delle decisioni della Corte di cassazione civile, che pur tutela ampiamente il diritto di satira, anche il Tribunale nega l'invocabilità di tale diritto laddove ci si spinga sino all'attribuzione di condotte illecite alle vittime, bersaglio della presunta satira. In tale eventualità, verosimilmente, a fare da contrappeso (sul piatto della bilancia) al diritto alla libera manifestazione del pensiero, oltre all'onore e alla reputazione, sarebbe anche la presunzione di non colpevolezza, che, come è noto, trova tutela nell'art 27 Cost. e costituisce limite invalicabile anche in tema di cronaca giudiziaria (cfr. tra le altre, Cass. 16 novembre 2010, n. 43382, in CED 248950).