ISSN 2039-1676


03 marzo 2016 |

La Cassazione di nuovo alle prese con Taricco: una sentenza cauta, in attesa della pronuncia della Corte costituzionale

Nota a Cassazione, sez. IV, sent. 25 gennaio 2016, n. 7914, Pres. Ciampi, Est. Pavich, imp. Tormenti e a.

 

1. La pronuncia in commento si inserisce nel solco della controversa vicenda relativa alle ricadute interne dell'ormai celebre sentenza Taricco della Corte di Giustizia UE. Come tutti ricorderanno, la vicenda in questione è stata oggetto - oltre che di una nutrita serie di contributi pubblicati da questa Rivista, che possono agevolmente reperirsi nella colonna a destra - di una questione di legittimità costituzionale, sollevata dalla Corte d'appello di Milano e tuttora pendente (in questa Rivista con nota di F. Viganò, Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell'UE: La Corte d'appello di Milano sollecita la Corte costituzionale ad azionare i 'controlimiti'), oltre che di una controversa decisione della terza sezione della Corte di Cassazione (su cui vedi ancora, in questa Rivista, F. Viganò, La prima sentenza della Cassazione post Taricco: depositate le motivazioni della sentenza della Terza Sezione che disapplica una prescrizione già maturata in materia di frodi IVA ).

 

2. La concreta questione ora sottoposta al giudizio della Suprema corte è così riassumibile: agli imputati veniva contestato il reato di cui all'art. 2 d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione alle dichiarazioni IVA da loro presentate per gli anni 2004 e 2005. All'esito di una lunga e complessa vicenda processuale, essi ricorrevano in Cassazione lamentando - per quel che qui interessa -  violazione di legge relativa agli artt. 157-161 c.p., per avere la Corte d'appello errato nel calcolo dei periodi di sospensione del termine prescrizionale relativo al reato loro ascritto, reato che si sarebbe prescritto anche relativamente alla dichiarazione presentata nel 2005 e non solo - come dichiarato dalla corte di merito - relativamente a quella presentata nel 2004.

 

3. La Corte di cassazione accoglie tale motivo di ricorso, statuendo che - in applicazione del combinato disposto degli artt. 157 e 160-161 c.p. - il termine di prescrizione per il reato ascritto ai ricorrenti, relativamente all'anno di imposta 2005, deve considerarsi spirato in data 1 ottobre 2014.

 

4. Il Collegio, a questo punto, si trova ad affrontare la spinosa questione relativa all'obbligo di disapplicazione - affermato dalla Corte di giustizia in Taricco - degli artt. 160 e 161 c.p. quando la loro applicazione sia suscettibile di ledere gli interessi finanziari dell'Unione europea, impedendo di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di frodi di particolare gravità.

Proprio in relazione a tale possibilità si sono infatti scatenate opposte reazioni da parte dei giudici italiani: la terza sezione della Cassazione ha ritenuto di potervi e dovervi procedere; mentre la Corte d'appello di Milano ha sollevato questione di legittimità costituzionale, invocando l'opposizione da parte della Consulta dei controlimiti al diritto dell'Unione europea, così come declinato da una pronuncia che minerebbe le fondamenta del principio di legalità in materia penale.

 

5. Si tratta, tuttavia, di un tema che la quarta sezione della Cassazione dichiara di affrontare soltanto «per amor di compiutezza»: le complesse questioni trattate negli arresti appena ricordati, infatti, non necessitano - a parere del Collegio - di essere affrontate per la risoluzione del caso di specie.

La Corte ritiene, infatti, di dovere valorizzare «due fondamentali aspetti, che inducono a ritenere non applicabili, nel caso di specie, i principi indicati dalla sentenza Taricco»: a) la determinazione della soglia minima di gravità delle frodi in relazioni alle quali il giudice nazionale dovrebbe provvedere alla disapplicazione della disciplina relativa ai termini prescrizionali; b) la possibilità che l'obbligo di disapplicare la disciplina in questione si atteggi diversamente a seconda che - al momento della pubblicazione della sentenza Taricco - la prescrizione sia già maturata, ovvero che il termine prescrizionale sia ancora pendente.

 

6. Sotto il primo profilo - quello relativo alla gravità della frode - il Collegio sottolinea l'indeterminatezza del parametro fornito dalla Corte di Giustizia: l'unico criterio per determinare la gravità della frode sembrerebbe, infatti, essere rappresentato dalla potenzialità offensiva del reato in relazione agli interessi finanziari dell'Unione. Uno scrutinio tutt'altro che agevole per il giudice, il quale deve oltretutto operare una valutazione dell'impatto sugli interessi europei non del singolo fatto di reato sottoposto al suo giudizio, ma di un numero considerevole di casi dello stesso tipo.

Ciò nondimeno, la Corte ritiene di avere gli elementi sufficienti per escludere - nel caso di specie - la sussistenza di tale requisito. I giudici osservano, innanzi tutto, come nel concreto caso sottoposto al loro giudizio già la Corte d'appello avesse escluso la configurabilità dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 7 c.p., e come tale elemento decisorio sia da considerarsi ormai intangibile. Il Collegio rileva, inoltre, come debba tenersi conto - al fine della determinazione della gravità della frode - del fatto che anche in relazione alla porzione di illecito tributario relativa all'anno 2004 vi è una declaratoria di prescrizione ormai divenuta intangibile: ciò comporta che le somme da prendere in considerazione per la valutazione siano solamente quelle relative all'anno 2015. Viene osservato, infine, che a paragone del caso Taricco - nel quale le frodi si erano protratte per diversi anni e l'accusa concerneva importi di vari milioni di euro - il caso oggetto di giudizio, avuto riguardo al ridimensionamento relativo all'annata ormai prescritta e alla non ancora definita entità dell'imposta evasa, sia caratterizzato da una gravità ben minore.

Insomma, la Cassazione ritiene che - nel caso di specie - non possa parlarsi di gravità nel senso indicato dalla Corte di Lussemburgo

 

7. Sotto il secondo profilo - quello relativo alla pendenza o meno del termine prescrizionale al momento della pubblicazione della sentenza Taricco - la Corte esplicitamente aderisce ad una tesi dottrinale (il riferimento è ancora a F. Viganò, Prescrizione e reati lesivi degli interessi finanziari dell'UE, cit.), proposta all'indomani della sentenza della Corte di Giustizia, che distingue le due ipotesi valorizzando le conclusioni dell'Avvocato Generale presso la Corte.

Come si ricorderà, l'Avvocato generale aveva in effetti sostenuto che il principio di legalità in materia penale - nel suo corollario rappresentato in particolare dal divieto di applicazione retroattiva della legge penale - non osta, secondo la costante interpretazione della stessa Corte europea dei diritti dell'uomo, a che "l'intervallo di tempo all'interno del quale può essere perseguito un reato [possa] mutare anche successivamente alla commissione di quest'ultimo, fintantoché non sia intervenuta la prescrizione". In una tale soluzione, osservava l'Avvocato generale, la situazione è del tutto analoga a quella in cui si discute "dell'applicazione di norme processuali nuove a situazioni che, pur createsi nel passato, non si sono ancora concluse" (§ 120). Dal che la conclusione, tratta dalla stessa Avvocato generale: "ciò apre, in tutti i casi in cui non è ancora intervenuta la prescrizione, un margine discrezionale ai fini della considerazione di valutazioni di diritto dell'Unione che i giudici degli Stati membri devono sfruttare completamente in sede di applicazione del rispettivo diritto nazionale, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività", senza che si possa temere alcuna violazione del principio di legalità.

A contrario, afferma ora la Suprema Corte, non può non ravvisarsi una sorta di diritto quesito dell'imputato all'estinzione della pena nei casi in cui la prescrizione sia maturata prima dell'arresto della Corte di Giustizia. Tale diritto quesito - sostiene ancora la Cassazione - non appare pregiudicabile ad opera di una forma atipica di ius superveniens, qual è quella introdotta dalla Corte di Giustizia con la sentenza Taricco; sicché la disapplicazione degli artt. 160 e 161 c.p. potrebbe essere oggetto della valutazione del giudice nazionale - fondata essenzialmente sul parametro della gravità della frode - solo nei casi in cui il termine prescrizionale fosse ancora pendente alla data del 3 settembre 2015, quando la sentenza della Corte di Lussemburgo fu resa pubblica.

 

8. Per i motivi appena esposti, congiuntamente considerati, la Suprema corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, dichiarando estinto per prescrizione il reato anche in relazione all'anno di imposta 2005, essendo la prescrizione per il reato in questione maturata prima della pubblicazione della sentenza Taricco; e ciò senza sollevare questione di legittimità costituzionale - come pure, in via subordinata, le difese avevano richiesto -, avendo i giudici ritenuto una eventuale questione fondata sull'art. 25 c. 2 Cost. irrilevante ai fini della concreta vicenda sottoposta al loro giudizio.

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9. Qualche brevissima considerazione, in attesa di ospitare commenti più meditati ed autorevoli.

Appare evidente come la sentenza in oggetto non sposi alcuna delle due vie prescelte sinora sul punto dalla giurisprudenza italiana: né quella dell'applicabilità (pressoché) indiscriminata dei principi enunciati dalla sentenza Taricco, né quella della sua pretesa incompatibilità con l'ordinamento costituzionale italiano. La posizione adottata dalla Suprema corte risulta, in questa pronuncia, più sfumata e compromissoria: ben consapevole appare il Collegio tanto dell'esigenza di dare applicazione al diritto europeo, quanto della necessità di contemperare gli approdi della Corte di Lussemburgo con i principi fondamentali dell'ordinamento in materia penale.

 

10. Risultato di tale sforzo ermeneutico è una sentenza che sembrerebbe subordinare la possibilità di disapplicare la normativa in materia di prescrizione al superamento un test bifasico, che potrebbe essere ricostruito - modificando un pochino l'ordine dell'argomentazione seguito dalla sentenza - nei termini seguenti.

Da un lato, il giudice dovrà verificare la sussistenza di un requisito di tipo cronologico, chiedendosi - come abbiamo visto -  se il termine prescrizionale fosse effettivamente pendente o fosse già spirato alla data del 3 settembre 2015.

Nel caso in cui la prescrizione fosse già maturata alla data di pubblicazione della sentenza Taricco, ci si fermerà qui: privare l'imputato del diritto quesito alla prescrizione significherebbe pregiudicare irrimediabilmente i fondamenti del nostro sistema costituzionale, senza peraltro che ciò sia necessario alla luce di quanto indicato dallo stesso Avvocato generale presso la Corte di Giustizia, le cui conclusioni sono state di fatto integralmente sposate dalla sentenza Taricco.

Nel caso in cui il termine prescrizionale fosse ancora pendente al momento della pubblicazione della sentenza Taricco, l'incompatibilità frontale con l'art. 25 co. 2 Cost. sembrerebbe scongiurata, e il giudice potrebbe procedere alla seconda verifica, nella quale dovrà occuparsi di un requisito che potremmo definire dimensionale: quello cioè della gravità della frode, avendo altresì riguardo alla lesione degli interessi finanziari dell'Unione in un numero considerevole di casi analoghi a quello affrontato.

La tenuta di una simile soluzione dovrà, a questo punto, essere verificata sulla base dell'attesa pronuncia della Corte costituzionale sulla questione sollevata dalla Corte d'appello di Milano, alla quale spetterà finalmente il compito di porre un punto fermo su questa complessa vicenda.