ISSN 2039-1676


15 settembre 2017 |

Richiesta di messa alla prova in seguito a opposizione a decreto penale: la competenza è del giudice per le indagini preliminari

Nota a Cass. pen., Sez. I, sent. 2 febbraio 2017 (dep. 4 maggio 2017), n. 21324, Pres. Di Tomassi, Rel. Talerico, Ric. Pini

Contributo pubblicato nel Fascicolo 9/2017

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1. Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha stabilito che è del giudice per le indagini preliminari la competenza a decidere sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, presentata contestualmente all’opposizione ad un decreto penale di condanna.

La pronuncia risulta di particolare interesse, poiché si pone in consapevole contrasto con quanto stabilito in una precedente decisione della stessa sezione, secondo cui, al contrario, sarebbe competente il giudice del dibattimento[1].

 

2. Nel caso sottoposto al vaglio dei giudici di legittimità, l'imputata proponeva opposizione al decreto penale di condanna, emesso dal giudice per le indagini preliminari di Milano, presentando contestualmente richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova ai sensi dell'art. 464-bis, comma 2, ultima parte, c.p.p. e, in subordine, di giudizio abbreviato.

Il giudice dichiarava inammissibile l'istanza avanzata dalla suddetta ritenendo che in sede di opposizione non possa essere proposta richiesta di messa alla prova, poiché il suo eventuale fallimento determinerebbe una stasi processuale non rimediabile.

Avverso tale decisione, dunque, proponeva ricorso per Cassazione l'imputata denunciando l'inosservanza di norme processuali, nonché l'abnormità della decisione stessa, atteso che la norma sopra menzionata prevede espressamente che, nel procedimento per decreto, la richiesta di accesso alla messa alla prova deve essere presentata con l'atto di opposizione; di conseguenza, la decisione impugnata, in violazione del dettato normativo, avrebbe comportato una lesione dei diritti dell'imputata nei confronti della quale era stato immotivatamente precluso l'accesso al probation.

La Suprema Corte ritiene fondato il ricorso, individuando nel giudice per le indagini preliminari l'autorità giudiziaria competente a decidere sull'istanza di richiesta della messa alla prova, presentata con l'atto di opposizione a decreto penale di condanna.

A tale conclusione, il Supremo Collegio giunge attraverso un percorso argomentativo che tocca innanzitutto l'ammissibilità del ricorso stesso. Sicché, richiamando la consolidata giurisprudenza di legittimità a Sezioni Unite sussistente sul punto, la Corte rammenta come il rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova non sia immediatamente ricorribile[2]. Tuttavia, pur condividendo l'orientamento sopra richiamato, a parere della Corte stessa, tale principio non s'attaglia alla fattispecie in esame, atteso che la richiesta è stata dichiarata inammissibile con provvedimento che, presentando i caratteri dell'abnormità, deve ritenersi ricorribile in Cassazione.

Com'è noto, la categoria processuale dell'abnormità[3] è stata creata pretoriamente; il provvedimento, per essere abnorme, deve integrare non un semplice vizio dell'atto in sé, da cui scaturiscono determinate patologie dal punto di vista processuale, bensì – sempre e comunque – uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall'ordinamento[4].

Orbene, l'abnormità dell'atto processuale può presentarsi tanto sotto il “profilo strutturale”, allorché l'atto, per la sua singolarità, risulti avulso dall'interno ordinamento processuale, quanto sotto “l'aspetto funzionale”, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l'impossibilità di proseguirlo, nonché una nullità rilevabile nel futuro corso del processo, idonea, perciò, a determinare una “crisi” irreparabile della sua evoluzione.

Nel caso di specie, rileva la Cassazione, appare di tutta evidenza come l'ordinanza impugnata sia stata emessa in violazione di legge, in quanto l'art. 464-bis, comma 2, c.p.p. espressamente prevede che con l'opposizione a decreto penale di condanna possa essere fatta richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.  Ne consegue che l'atto, abnorme sotto il profilo funzionale, determina un decisivo e verosimilmente non rimediabile nocumento al diritto di difesa, posto che il giudice, dichiarando inammissibile la richiesta principale di accesso al probation e fissando l'udienza in ordine alla sola istanza subordinata di rito abbreviato, ha, di fatto, precluso al ricorrente la possibilità di beneficiare della misura della messa alla prova, non più formulabile in limine al giudizio abbreviato.

Per tali motivi, conclude il Supremo Collegio, si deve procedere all'annullamento senza rinvio del provvedimento con la conseguente restituzione degli atti al giudice che lo ha emesso, per quanto di competenza in ordine all'ulteriore corso.

 

3. Fatta questa premessa, i giudici di legittimità passano all'analisi del punto focale del ricorso, chiarendo quale avrebbe dovuto essere il corretto sviluppo della domanda di sospensione del procedimento con messa alla prova, ineccepibilmente formulata dalla ricorrente in via principale con l'opposizione a decreto penale di condanna ex art. 464-bis, comma 2, ultimo periodo, c.p.p.

Per far ciò, la Corte procede in primo luogo ad un breve riepilogo delle peculiarità che caratterizzano l'intera disciplina che regola la messa alla prova per gli adulti, istituita con l. 28 aprile 2014, n. 67[5].

A tal proposito, giova ricordare che la misura in esame costituisce un probation giudiziale che si caratterizza per la realizzazione della rinuncia statale alla potestà punitiva[6] condizionata al buon esito di un periodo di prova controllata ed assistita dall'autorità giudiziaria. Invero, l'istituto de quo è espressione di un modello di diversion[7], all'interno del quale le tecniche di giustizia riparativa (c.d. restorative justice)[8] consentono la piena responsabilizzazione dell'autore del reato e la conseguente ricomposizione tra il suddetto e la vittima del reato stesso.

La misura così introdotta risulta caratterizzata da un doppio profilo, sostanziale e processuale: da un lato, la collocazione sistematica degli artt. 168-bis, ter e quater c.p., inseriti nel capo I del Titolo VI del codice penale subito dopo la disciplina della sospensione condizionale della pena, consente di ritenere l'istituto come una causa di estinzione del reato; dall'altro, l'inserimento degli artt. 464-bis, ter, quater, quinquies, sexies, septies, octies e novies c.p.p. nell'apposito titolo V-bis del Libro VI del codice di rito, ne conferma la natura di procedimento speciale.

La novità più interessante, però, è sancita nell'art. 464-ter c.p.p. e riguarda la possibilità che la richiesta venga formulata anche durante le indagini preliminari, in perfetta assonanza con quanto previsto per l'oblazione e per l'applicazione della pena su richiesta delle parti.

L'art. 464-quater c.p.p., individua, invece, i criteri della decisione giudiziale sull'ammissione del probation; la norma dispone che il giudice, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129 c.p.p., decide con ordinanza la sospensione del procedimento con messa alla prova allorquando, alla luce dei parametri indicati all'art. 133 c.p., reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l'imputato si asterrà dalla commissione di ulteriori reati, sulla base di un giudizio prognostico simile a quello previsto per l'applicazione della sospensione condizionale della pena o del perdono giudiziale previsto per i minorenni.

I successivi articoli del codice di rito disciplinano l'esecuzione dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, l'acquisizione di prove («non rinviabili» o di quelle che «possono condurre al proscioglimento dell'imputato») durante la sospensione del procedimento («con le modalità stabilite per il dibattimento»), gli esiti della messa alla prova (l'estinzione del reato, che ne costituisce l'epilogo naturale; la ripresa del processo, in caso di esito negativo della prova) e la revoca dell'ordinanza di sospensione.

Ora, la ripresa del processo viene determinata dal momento in cui lo stesso è stato interrotto, ossia: gli incombenti conclusivi delle indagini preliminari, nel caso previsto dall'art. 464-ter c.p.p.; l'udienza preliminare, allorquando la richiesta sia stata presentata in detta fase del procedimento ordinario; la dichiarazione di apertura del dibattimento, nell'ipotesi di richiesta presentata nel giudizio direttissimo e nel procedimento per citazione diretta, o nel caso di sospensione “recuperata” a seguito di primitivo rigetto o del dissenso del Pubblico Ministero, ai sensi degli artt. 464-ter, comma 4, e 464-quater, comma 9, c.p.p.; la costituzione delle parti nel dibattimento nel caso di richiesta presentata dopo l'emissione del decreto di giudizio immediato.

Ebbene, da siffatto excursus risulta di palmare evidenza che ai fini dell'accesso alla misura della messa alla prova il sistema individua sedi, limiti temporali e scansioni del tutto analoghi a quanto previsto per il giudizio abbreviato e per l'applicazione della pena su richiesta delle parti. Ben si comprende, pertanto, che a decidere sulla richiesta formulata dall'imputata debba essere l'autorità giudiziaria che in ciascuna delle sedi individuate, “procede”. Di conseguenza, prosegue la Suprema Corte, nel caso in cui detta richiesta provenga con l'atto di opposizione a decreto penale di condanna, tale autorità giudiziaria va individuata nel giudice per le indagini preliminari, il quale avendo la disponibilità del fascicolo è da considerare il giudice che (ancora) procede.

 

4. Da tale percorso argomentativo si evince come la Suprema Corte si schieri apertamente contro l'asistematica soluzione precedentemente prospettata dalla stessa sezione, secondo cui spetterebbe invece al giudice del dibattimento, e non al giudice per le indagini preliminari, la competenza a decidere sulla questione in esame[9]. Non convince, in particolar modo, l'affermazione secondo cui militerebbe in favore della soluzione dibattimentale l'obiettiva diversità della richiesta di messa alla prova rispetto a quella di ammissione ad un rito alternativo, atteso che, com'è noto, la disciplina del probation, invece, è proprio collocata all'interno del Titolo V-bis del Libro VI del codice di rito che regola, appunto, i procedimenti speciali.

A fortiori, sottolineano i giudici di legittimità, non appare convincente neppure l'affermazione – contenuta sempre nella citata precedente pronuncia – secondo cui, se dovesse essere ritenuto competente il giudice per le indagini preliminari, quest'ultimo, del tutto incongruamente, dovrebbe acquisire delle prove relativamente al giudizio che, in caso di revoca dell'ordinanza di messa alla prova, verrebbe poi celebrato, per la restante parte, dal giudice del dibattimento, con la conseguenza che, in tal modo, il legislatore avrebbe introdotto una nuova ipotesi di incidente probatorio, con ulteriore deroga rispetto al principio di oralità della prova.

A riprova di ciò, vale la pena rammentare quanto disposto all'art. 464-sexies c.p.p., il quale stabilisce che durante la sospensione del procedimento con messa alla prova il giudice, con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al proscioglimento dell'imputato.

Cosicché, conclude la Suprema Corte, è proprio l'uso dell'espressione “con le modalità stabilite per il dibattimento”, utilizzata nel suddetto articolo e citata nella sentenza richiamata, che vale a dimostrare, invece, l'esatto opposto della soluzione adottata in quella sede: se la competenza fosse – sempre – riservata al giudice del dibattimento, non vi sarebbe ragione alcuna per tale precisione, riservata alle forme da adottare. Del resto, l'intenzione del legislatore è proprio quella di consentire che le prove “non rinviabili” raccolte ai sensi dell'art. 464-sexies c.p., possano essere utilizzate “anche” dal giudice del dibattimento, in perfetta assonanza con quanto accade per quelle raccolte nell'incidente probatorio ex art. 392 c.p.p., sia nel corso delle indagini preliminari, sia nella fase dell'udienza preliminare.

 

5. Alla luce di quanto sopra esposto, non si può che condividere il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte, in forza del quale sulla richiesta di sospensione del procedimento e di messa alla prova ex art. 464-bis c.p.p., avanzata in sede di opposizione a decreto penale di condanna, è competente a decidere il giudice per le indagini preliminari e non il giudice del dibattimento.

A parere di chi scrive, tale conclusione risulta di notevole interesse, poiché foriera di importanti conseguenze applicative in materia di messa alla prova per gli adulti. D'altronde, come ampiamente suggerito dagli stessi giudici di legittimità, non si può ritenere che il dibattimento sia la sede “naturale” per la decisione sulla richiesta di probation; se così fosse, si andrebbe a ledere il diritto di difesa dell'imputato, privandolo della possibilità di eventualmente richiedere, in via subordinata – come accaduto nel caso in esame ovvero in caso di rigetto –, la definizione mediante altri riti alternativi la cui richiesta non risulti ancora preclusa.

 


[1] Cfr. Cass. pen., Sez. I, 3 febbraio 2016, n. 25867, in CED, Rv. 267062, ove si precisa che l'art. 461, comma 3, c.p.p., ossia la norma che individua nel giudice che ha emesso il decreto penale di condanna l'autorità giudiziaria destinataria della richiesta dell'imputato di ammissione al giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena a norma dell'art. 444 c.p.p., non è applicabile, in via analogica, alla diversa ipotesi in cui con l'opposizione al decreto penale sia stata invece formulata una richiesta di messa alla prova ex art. 464-bis c.p.p.. In favore di tale soluzione militano sia l'obiettiva diversità della richiesta di messa alla prova rispetto a quella di ammissione ad un rito alternativo, resa evidente anche dal dato testuale della mancanza di una espressa previsione in tal senso, da ritenersi indicativa di una volontà del legislatore di attribuire, in tal caso, la competenza al giudice chiamato a definire il giudizio conseguente all'opposizione, sia anche la previsione dell'art. 464-sexies c.p.p., secondo cui “durante la sospensione del procedimento con messa alla prova il giudice con le modalità stabilite per il dibattimento, acquisisce, a richiesta di parte, le prove non rinviabili e quelle che possono condurre al proscioglimento dell'imputato. Per tali motivi, aggiunge la Suprema Corte, se dovesse essere ritenuto competente il giudice delle indagini preliminari, quest'ultimo, del tutto incongruamente, dovrebbe acquisire delle prove relativamente al giudizio che, in caso di revoca dell'ordinanza di sospensione con messa alla prova, verrebbe poi ad essere celebrato, per la restante parte, dal giudice del dibattimento, con la diretta conseguenza che, in tal modo, il legislatore avrebbe introdotto una nuova ipotesi di “incidente probatorio”, ulteriormente derogando in maniera tra l'altro non espressa al principio di oralità della prova.

[2] V. Cass. pen., SS. UU., 31 marzo 2016, n. 33216, in CED, Rv. 267234.

[3] Per ulteriori approfondimenti riguardanti la categoria dell'abnormità, cfr.: BELLOCCHI, L'atto abnorme nel processo penale, Utet, Torino, 2012; NEVOLI, voce Abnormità, in Dig. disc. pen., Agg. VI, Utet, Torino, 2011; SANTALUCIA, L'abnormità dell'atto processuale penale, Cedam, Padova, 2003.

[4] V. Cass. pen., SS. UU., 26 marzo 2009, n. 25957, in CED, Rv. 243590.

[5] Per un'ampia disamina dell'istituto in questione, cfr.: BARTOLI, La sospensione del procedimento con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del sovraffollamento?, in Dir. pen. proc., 2014; BOVE, Messa alla prova per gli adulti: una prima lettura della L. 67/14, Atti del convegno della Scuola Superiore della Magistratura (Scandicci, 9-11 giugno 2014), in questa Rivista, 25 giugno 2014; FIORENTIN, Rivoluzione copernicana per la giustizia riparativa, in Guida dir., 2014, 21, 67; MARANDOLA, La messa alla prova dell'imputato adulto: ombre e luci di un nuovo rito speciale per una diversa politica criminale, in Dir. pen. proc., 2014; MUZZICA, La sospensione del processo con messa alla prova per gli adulti: un primo passo verso un modello di giustizia riparativa?, in Proc. pen. giust., vol. III, 2015; PICCIRILLO, Prime riflessioni sulle nuove disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili, Relazione nr. III/7/2014 del 5 maggio 2014 a cura dell'Ufficio del Massimario, in www.cortedicassazione.it; PULITO, Messa alla prova per adulti: anatomia di un nuovo modello processuale, in Proc. pen. giust., vol. I, 2015; TABASCO, La sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati adulti, in Arch. Pen., I, 2015; TRIGGIANI (a cura di), La deflazione giudiziaria. Messa alla prova degli adulti e proscioglimento per tenuità del fatto, Giappichelli, Torino, 2014; ZACCARO, La messa alla prova per adulti. Prime considerazioni, in Questione Giustizia, 29 aprile 2014.

[6] In argomento cfr.: BARTOLI, op. cit., p. 676; TABASCO, op. cit., p. 1 s..

[7] Per un'analisi più approfondita della diversion cfr., in particolare: BURGSTALLER, Perspektiven der Diversion in Österreich aus der Sicht der Strafreschtwissenschaft, in Perspektiven der Diversion in Österreich, Interdisziplinare Tagung vom 27 bis 29 April 1994 in Innsbruck, Schriftreihe des Bundesministeriums fůr Justiz, 1995, p. 126; CERETTI-MERZAGORA, Alcune soluzioni straniere di politica penale minorile: tra «espansionismo» e «minimalismo», in Giovani responsabilità e giustizia, Ponti (a cura di), Giuffrè, Milano, 1985, p. 109 ss.; NICOLI, L'alternativa tra azione penale e diversion nei sistemi di giustizia minorile, in Crit. pen., vol. I-II, p. 1997, p. 83 ss.; RUGGIERI, Diversion: dall'utopia sociologica al pragmatismo processuale, in Cass. pen., 1985, p. 538 ss..

[8] Per un inquadramento generale della giustizia riparativa cfr.: HERRERA, Rehabilitación y restablecimiento social. Valoración del potencial rehabilitador de la justicia restauradora desde planteamientos de teoría jurídica terapéutica, in Cuadernos de derecho judicial, 2006; ZEHR, Changing lenses. A new focus on crime and justice, Herald Press, Scottsdale, 1990, p. 181. Tra le opere principali italiane, cfr.: BOUCHARD-MIEROLO, Offesa e riparazione. Per una nuova giustizia attraverso la riparazione, Milano, Mondadori, 2005; CASTELLI, La mediazione. Teorie e tecniche, Cortina, Milano, 1996; CIAVOLA, Il contributo della giustizia penale consensuale e riparativa alla giustizia dei modelli di giurisdizione, Giappichelli, Torino, 2009; FIANDACA-VISCONTI, Punire, mediare, riconciliare, Giappichelli, Torino, 2009; MANNOZZI, La giustizia senza spada, Giuffrè, Milano, 2003; MESTITZ, Mediazione penale: chi, dove, come e quando, Carocci, Roma, 2004; SCARPARIO, Il coraggio di mediare, Guerini e Associati, Milano, 2001; TIGANO, Giustizia riparativa e mediazione penale, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2006.

[9] V. Cass. pen., Sez. I, 3 febbraio 2016, n. 25867, in CED, Rv. 267062