15 marzo 2017 |
Nuovo giudizio di legittimità costituzionale sulla sospensione del procedimento con messa alla prova: la Consulta respinge tre questioni sollevate dal Tribunale di Prato
Nota a C. Cost., ord. 11 gennaio 2017 (dep. 10 marzo 2017), n. 54, Pres. Grossi, Est. Lattanzi
Contributo pubblicato nel Fascicolo 3/2017
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1. Con la decisione in commento, la Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità della disciplina sostanziale e processuale della sospensione del procedimento con messa alla prova: il giudice delle leggi, in particolare, ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni sollevate in relazione agli artt. 464-bis e segg. c.p.p. e la manifesta infondatezza delle stesse relativamente all’art. 168-bis c.p.
2. Il giudice a quo – dopo aver specificato di essere investito di un giudizio relativo ad una fattispecie contravvenzionale in materia di ambiente (attività di gestione di rifiuti non autorizzata) – aveva contestato la legittimità costituzionale “degli artt. 168-bis c.p. e 464-bis e segg. c.p.p.” formulando le seguenti censure:
- in primo luogo, l’art. 168-bis c.p. violerebbe l’art. 3 Cost. poiché, concedendo la possibilità di sospensione del giudizio con messa alla prova in relazione ad un numero cospicuo di reati del tutto eterogenei fra loro, consentirebbe di applicare un identico trattamento a casi evidentemente diversi;
- secondariamente, l’art. 168-bis c.p. violerebbe l’art. 24 Cost., posto che «l’omessa indicazione [nella norma censurata] della durata massima del lavoro di pubblica utilità, dei parametri per determinarla e del soggetto competente alla determinazione» impedirebbe all’imputato di conoscere le sanzioni in cui può incorrere: tale vuoto, peraltro, non potrebbe essere colmato né dalle disposizioni dell’art. 464-quater, comma 5, c.p.p. né da quelle dall’art. 54 del D. Lgs. 274/2000[1];
- infine, l’art. 168-bis c.p. violerebbe anche l’art. 27 Cost., in quanto – dato che la messa alla prova possiederebbe le caratteristiche sostanziali di una pena, pur non essendo formalmente tale – le evidenziate carenze nella previsione di un limite massimo di durata del lavoro di pubblica utilità e nei criteri della sua determinazione svilirebbero il finalismo rieducativo della sanzione penale.
3. La Corte Costituzionale, in primo luogo, evidenzia come le questioni relative “agli artt. 464-bis e segg. c.p.p.” siano manifestamente inammissibili: infatti, da una parte le censure del giudice a quo – pur essendo genericamente riferite sia all’art. 168-bis c.p. che alle norme processuali in tema di messa alla prova – risultano specificamente motivate solo in rapporto all’art. 168-bis c.p. e, d’altra parte, l’utilizzo della formula “art. 464-bis c.p.p. e seguenti” non permette di determinare con precisione quali siano le norme effettivamente contestate.
Con riferimento alla disciplina sostanziale, la Corte ripudia tutte le tesi proposte dal giudice rimettente; in particolare:
- è manifestamente infondata la contestata violazione del principio di eguaglianza, poiché la messa alla prova costituisce un nuovo procedimento speciale che – al pari del giudizio abbreviato o del patteggiamento – è destinato a trovare applicazione ad un esteso insieme di reati, all’interno del quale spetta al giudice la differenziazione nel trattamento dei singoli casi[2]; infatti, l’istituto della messa alla prova «comporta una diversificazione dei contenuti del programma di trattamento, con l’affidamento al giudice di “un giudizio sull’idoneità del programma e quindi sui contenuti dello stesso, comprensivi sia della parte afflittiva sia di quella rieducativa”[3]; […] questo giudizio deve svolgersi in base ai parametri di cui all’art. 133 c.p., [di talché] il trattamento dell’imputato nei diversi casi oggetto del procedimento speciale in questione risulta perciò necessariamente diverso»;
- è parimenti manifestamente infondata la censura di violazione dell’art. 24 Cost., posto che la durata massima dei lavori di pubblica utilità, pur se non indicata esplicitamente nell’art. 168-bis c.p., «risulta indirettamente dall’art. 464-quater, comma 5, c.p.p. perché, in mancanza di diversa determinazione, corrisponde necessariamente alla durata di sospensione del procedimento»; infatti, «al termine del periodo di sospensione, il giudice deve valutare l’esito della messa alla prova» tenendo conto anche del rispetto delle prescrizioni stabilite relativamente al lavoro di pubblica utilità, il quale – con tutta evidenza, per consentire al giudice di verificarne i risultati – «alla cessazione della sospensione deve essere terminato»; allo stesso modo, pare evidente l’infondatezza delle censure relative all’inconoscibilità per l’imputato dei parametri per determinare la misura dei lavori di pubblica utilità e del soggetto competente ad assumere questa determinazione: sarà infatti sempre il giudice a prendere tale decisione, applicando i criteri di cui all’art. 133 c.p.;
- è manifestamente infondata, da ultima, anche l’ipotizzata violazione dell’art. 27 Cost.: sulla base delle considerazioni già espresse, infatti, «sono ben determinati sia la durata massima della sospensione del procedimento (e correlativamente del trattamento di messa alla prova) sia i criteri da seguire per stabilirla»; non appare dunque ipotizzabile alcuna violazione del principio del finalismo rieducativo.
[1] In particolare, l’art. 464-quater, comma 5, c.p.p. prevede i limiti massimi di sospensione del procedimento in caso di messa alla prova, mentre l’art. 54 del D. Lgs. 274/2000 racchiude la disciplina del lavoro di pubblica utilità nei procedimenti di competenza del Giudice di Pace.
[2] La Corte, nel riaffermare la natura di nuovo procedimento speciale della sospensione del procedimento con messa alla prova, richiama esplicitamente la propria precedente sentenza n. 240/2015; per le implicazioni processuali di questa affermazione, con particolare riferimento alle ipotesi di incompatibilità del giudice ex art. 34 c.p.p., si consenta il rinvio a E. Andolfatto, Profili di incompatibilità del giudice al vaglio della Consulta: questioni in tema di udienza preliminare e di messa alla prova, in questa Rivista, 8 marzo 2017.
[3] Così Cass., SSUU, sent. 31 marzo 2016 (dep. 29 luglio 2016), n. 33216.