27 novembre 2015
La Corte costituzionale esclude l'applicazione della messa alla prova nei dibattimenti già aperti all'epoca della sua introduzione (e nega l'illegittimità della relativa disciplina intertemporale)
Corte cost., 26 novembre 2015, n. 240, Pres. Criscuolo, Rel. Lattanzi
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Segnaliamo immediatamente, con riserva di approfondire il tema, l'intervenuta pubblicazione dell'attesa decisione della Consulta sulla disciplina intertemporale della messa alla prova (sentenza n. 240 del 2015).
Il Tribunale di Torino aveva sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 464-bis, comma 2, del codice di procedura penale, «nella parte in cui, in assenza di una disciplina transitoria, analoga a quella di cui all'art. 15-bis, co. 1 della legge 11 agosto 2014, n. 118, preclude l'ammissione all'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati di processi pendenti in primo grado, nei quali la dichiarazione di apertura del dibattimento sia stata effettuata prima dell'entrata in vigore della legge 67/2014». Era stata prospettata - in particolare - la violazione degli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 7 della Cedu. In sostanza, si era denunciato il fatto che rimanessero esclusi dalla possibilità di accesso al nuovo istituto le persone soggette, alla data di entrata in vigore della disciplina sulla messa alla prova, ad un procedimento penale nel quale fosse già intervenuta la dichiarazione di apertura del dibattimento. Le censure si fondavano essenzialmente sulla considerazione degli effetti sostanziali della procedura (suscettibile com'è noto di condurre all'estinzione del reato, ex art. 464-septies cod. proc. pen.), tali da escludere la compatibilità di una scansione cronologica semplicemente regolata dal principio tempus regit actum. Una soluzione "estensiva" sarebbe stata imposta dal principio di uguaglianza, dal diritti alla difesa ed al giusto processo, dalla pretesa "illegittimità convenzionale" di limiti all'efficacia retroattiva della lex mitior superveniens.
La Corte costituzionale ha di fatto convalidato il presupposto interpretativo della questione, escludendo dunque che la sospensione potesse e possa essere disposta nei procedimenti già pervenuti, all'epoca di entrata in vigore della legge n. 67 del 2014, oltre la soglia indicata nella norma censurata. Nel contempo, come già accennato, ha negato l'illegittimità della scelta legislativa, essenzialmente in base ad una considerazione della regola denunciata quale norma di diritto processuale, sia pur pertinente all'applicazione di una disciplina a carattere sostanziale. In particolare (nella prospettiva dell'uguaglianza e della ragionevolezza) è parsa evidente l'incompatibilità logica tra l'ipotesi dell'avvio di un procedimento del tutto alternativo al giudizio ordinario (del quale non a caso è disposta la sospensione) e l'innesto dello stesso procedimento in una situazione già segnata dallo sviluppo dell'istruttoria dibattimentale, se non addirittura dalla pronuncia d'una sentenza concernente il merito dell'imputazione.
Anche di qui la dichiarazione di non fondatezza delle questioni sollevate (G.L.)