ISSN 2039-1676


20 maggio 2015 |

La Cassazione nega l'ammissibilità  della messa alla prova 'parziale' in nome della rieducazione 'totale' del richiedente

Cass. pen., Sez. II, 12 marzo 2015 (dep. 8 aprile 2015), n. 14112

 

1. La Suprema Corte, con la sentenza qui pubblicata, affronta uno tra i profili più discussi del nuovo istituto della messa alla prova per adulti[1], rispondendo, in senso negativo, al quesito se sia ammissibile una richiesta di messa alla prova parziale[2], presentata da un soggetto nei cui confronti siano contestati cumulativamente sia reati rientranti nell'elenco dell'art. 168 bis, sia fattispecie non ricomprese in tale disposizione[3].

 

2. Nel caso in esame, il Giudice dell'Udienza Preliminare presso il Tribunale di Palermo ammetteva con ordinanza al giudizio abbreviato due imputati, respingendo l'istanza di ammissione alla messa alla prova che gli stessi avevano presentato in relazione a solo alcuni dei reati a loro ascritti.

A parere del giudice di merito, infatti, pur essendo astrattamente ammissibile dal punto di vista ordinamentale la possibilità di presentare una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova solo per alcuni dei reati contestati, per concedere effettivamente il beneficio sarebbe necessario valutare, in concreto, se la singola richiesta sia o meno compatibile con la disposizione di cui all'art. 18, comma 1, prima parte, c.p.p., secondo cui «la separazione di processi è disposta, salvo che il giudice ritenga la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti».

In sostanza, secondo tale opinione, posto che l'ammissione alla messa alla prova parziale necessariamente comporterebbe la separazione del processo per cui sia disposta la sospensione da quello per le altre imputazioni, non sarebbe possibile accedere al nuovo rito speciale quando il giudice rilevi l'esigenza di procedere per forza in modo cumulativo in relazione a tutti i reati, in attuazione dell'art. 18, comma 1, prima parte, c.p.p.

Dal canto suo il giudice, fatta concreta applicazione di tale tesi nel caso di specie, riteneva non concedibile la messa alla prova parziale, in quanto la riunione dei procedimenti veniva considerata assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti, posto che la prova del reato associativo si basava su una serie di condotte autonomamente integranti reato, che si riteneva non consentissero tra loro una valutazione separata.

Avverso tale provvedimento veniva proposto ricorso per cassazione, lamentandosi, tra l'altro, la violazione degli artt. 464 bis e ss., c.p.p., 168 bis e ss. c.p., 81 c.p., 18 c.p.p.

 

3. La Cassazione, investita del ricorso, inizia ad affrontare la questione dall'esame del quadro normativo di riferimento (art. 464 bis e ss. c.p.p. e 168 bis e ss. c.p.), che nulla dispone in modo espresso[4] per i casi in cui siano contestati, nei confronti di uno stesso soggetto, sia reati per cui risulti astrattamente ammissibile la messa alla prova, sia fattispecie per cui il rito speciale non può essere concesso.

Nel silenzio del legislatore, la Corte afferma che, in tali ipotesi, non potendosi sospendere l'intero procedimento, l'unica soluzione processuale potenzialmente percorribile sarebbe quella sostenuta dal giudice di merito, ovvero fare applicazione dell'art. 18 c.p.p.

Sotto questo profilo la Corte considera l'ordinanza impugnata congruamente motivata, «in relazione all'espressione di un potere valutativo di carattere discrezionale nell'applicazione dell'art. 18 c.p.p. che certamente gli competeva».

 

4. Peraltro, dopo essersi soffermata sulle varie eccezioni difensive e averle rigettate, nella seconda parte della motivazione la Corte sembra negare da un punto di vista generale l'ammissibilità della messa alla prova parziale, ponendo l'accento sulla ratio fortemente improntata alla risocializzazione e rieducazione (art. 27, comma 3 Cost.) che caratterizza l'istituto.

In particolare, i giudici rilevano che, nel caso in cui l'imputato sia chiamato a rispondere nello stesso procedimento non solo di reati per cui sia astrattamente ammissibile la nuova probation processuale, ma anche di crimini per cui non sia possibile accedere al beneficio, «appare stridente con la struttura del sistema e [...] con gli stessi presupposti dell'istituto che possa avvenire una "parziale" risocializzazione del soggetto interessato».

A conferma di ciò i giudici individuano anche un argomento letterale: il legislatore, nel formulare l'art. 168 bis, non facendo riferimento ai reati ma ai «procedimenti per reati», avrebbe lasciato intendere «una visione unitaria e complessiva della prospettiva di risocializzazione del soggetto che potrà realizzarsi attraverso la messa alla prova previa sospensione dell'intero "procedimento" ma solo quando ciò sia possibile in relazione a tutti i reati in contestazione».

Né, continuano i giudici, la messa alla prova parziale sarebbe inammissibile per un problema di mancato effetto deflativo del procedimento, come nel caso del patteggiamento parziale[5], quanto piuttosto per il fatto che, pur avendo l'imputato un diritto di accesso all'istituto, non «appare pensabile che taluno possa essere "risocializzato" solo per alcuno dei fatti in contestazione e nel contempo continui a rispondere di ben più gravi [...] fatti-reato [connessi] per i quali l'accesso all'istituto [...] non è consentito».

Del resto, rileva ancora la Corte, non bisogna dimenticare che il sistema non prevede un diritto assoluto in capo all'imputato di accedere all'istituto, ma richiede sempre l'esercizio di un potere valutativo da parte del giudice, che deve inquadrarsi non solo nel più ampio quadro della situazione personale dell'imputato, ma anche del contesto processuale nel quale verrebbe a operare la sospensione del procedimento.

Difatti, l'ammissibilità della richiesta di messa alla prova presuppone necessariamente una valutazione prognostica positiva sulle possibilità rieducative dell'interessato, per la cui formulazione «non può prescindersi dal tipo di reato commesso, dalle modalità di attuazione dello stesso e dai motivi del delinquere, al fine di valutare se il fatto contestato debba considerarsi [o meno] un episodio del tutto occasionale».

Di conseguenza, a parere della Corte, nei casi in cui siano contestati all'imputato anche reati per cui non sia astrattamente concedibile la messa alla prova, non sarebbe possibile effettuare proprio quel vaglio positivo sulla possibilità di risocializzazione del richiedente, «che rappresenta il vero ed unico motivo fondante dell'istituto».

Ciò perché, conclude il Collegio, l'essenza rieducativa della messa alla prova non può ricollegarsi al solo fatto di consentire all'imputato di ottenere l'estinzione del reato, ma ha basi più profonde, «che tendono all'eradicazione completa delle tendenze di condotta antigiuridica del soggetto e che contrastano con l'idea di un individuo semi-risocializzato».

 

5. A prima lettura, pare interessante rilevare come le argomentazioni su cui si basa la decisione della Suprema Corte si pongono in aperto contrasto con quanto sostenuto dal Tribunale di Torino in uno dei primi provvedimenti della giurisprudenza di merito in tema di messa alla prova parziale[6]. In tale occasione, infatti, il Tribunale aveva ritenuto ammissibile un'istanza di probation parziale valorizzando - tra l'altro - proprio quegli aspetti rieducativi e risocializzanti della messa alla prova, su cui la Cassazione fa invece leva per negare la possibilità di accedere parzialmente al nuovo rito.

In ogni caso, la decisione del Supremo Collegio desta qualche perplessità nella parte in cui sembra desumere dalla ratio rieducativa e risocializzante dell'istituto una presunzione assoluta di non concedibilità della messa alla prova parziale, ove siano contestati nei confronti del medesimo soggetto anche reati per cui il rito non può essere concesso. Né sembrano del tutto convincenti le argomentazioni della Cassazione secondo cui l'istituto sarebbe ammissibile solo ove fosse possibile una simultanea e totale risocializzazione dell'imputato.

Infatti, se è senz'altro vero che il legislatore, nello stabilire i criteri cui il giudice deve fare riferimento per decidere se concedere la messa alla prova, ha previsto un giudizio prognostico, basato sui parametri dell'art. 133 c.p., sull'idoneità del programma di trattamento presentato e sul fatto che l'imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati (art. 464 quater, comma 3, c.p.p.), è altrettanto vero che la lettera della legge non fa riferimento a criteri stringenti dai quali si possa trarre in maniera inequivocabile la conclusione per cui non sarebbe possibile accedere all'istituto quando siano contestati anche reati non ricompresi nell'art. 168 bis c.p.[7].

Di conseguenza, impedire l'accesso al beneficio a un richiedente, solo perché sia contestata nei suoi confronti anche un'imputazione per cui non sia concedibile la messa alla prova, significherebbe costruire in via esegetica una preclusione assoluta non prevista dalla littera legis, che, al contrario, all'art. 18, comma 1, lettera b) c.p.p., prevede espressamente la possibilità di separare i processi se «[...] per una o più imputazioni, è stata disposta la sospensione del procedimento»[8].

Con l'effetto che, ad esempio, ove si accogliesse l'esegesi proposta dalla Suprema Corte, il rito non sarebbe ammissibile neppure in un caso in cui un giudice di merito ritenga di poter compiere una prognosi positiva sulla risocializzazione di un imputato, nei cui confronti si proceda, oltre che per il reato per cui si richiede l'ammissione alla prova, solo per un ulteriore delitto punito con una pena appena superiore ai limiti edittali di cui all'art. 168 bis c.p.

Pertanto, pur essendo indubbio che il giudice di merito, nella valutazione sulla concedibilità della messa alla prova, debba tener conto anche del fatto che sia contestato nei confronti del richiedente un reato non rientrante tra quelli ricompresi nel catalogo di cui all'art. 168 bis c.p., pare si possa ipotizzare un'alternativa all'approccio astratto e "assolutista" proposto dalla Cassazione: sembra che il dato normativo consenta di effettuare una valutazione concreta, che permetterebbe al giudice di ammettere parzialmente il richiedente al rito, ove ritenga possibile effettuare, in base agli elementi effettivamente disponibili, una prognosi positiva sulla rieducazione dell'interessato.

Senza contare che, seguendo una visione maggiormente improntata alla singola vicenda processuale, si riuscirebbe a tener conto delle diverse caratteristiche delle imputazioni per cui non sia concedibile la messa alla prova, quali, ad esempio, la differente pena edittale per esse astrattamente irrogabile[9], oppure la possibilità di emanare nei confronti delle stesse una pronuncia ex art. 129 c.p.p.

In tal modo, quindi, ritenendosi astrattamente ammissibile la possibilità di disporre la messa alla prova parziale, bisognerebbe fare applicazione dell'art. 18 c.p.p., con la conseguenza che il giudice potrebbe negare il beneficio non solo per ragioni legate all'impossibilità concreta di operare una positiva prognosi rieducativa del richiedente, ma anche quando la riunione dei processi sia assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti.

 

 


[1] Per uno sguardo d'insieme sull'istituto introdotto dal capo II della legge 28 aprile 2014, n. 67 si vedano, tra i tanti, R. Bartoli, La sospensione del procedimento con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del sovraffollamento?, in Dir. pen. proc., 2014, pp. 661 ss.; V. Bove, Messa alla prova per gli adulti: una prima lettura della L. 67/2014, in questa Rivista, 25 giugno 2014; M. Chiavario, Diritto processuale penale, 6a ed., Torino, 2015, pp. 626 ss.; C. Conti-A. Marandola-G. Varraso (a cura di), Le nuove norme sulla giustizia penale, Padova, 2014; G. L. Fanuli, L'istituto della messa alla prova ex lege 28 aprile, n. 67. Inquadramento teorico e problematiche applicative, in Arch. n. proc. pen., 2014, pp. 427 ss.; M. L. Galati-L. Randazzo, La messa alla prova nel processo penale. Le applicazioni pratiche della legge n. 67/2014, Milano, 2015; F. Giunchedi, Probation italian style: verso una giustizia riparativa, in www.archiviopenale.it; A. Marandola, La messa alla prova dell'imputato adulto: ombre e luci di un nuovo rito speciale per una diversa politica criminale, in Dir. pen. proc., 2014, pp. 674 ss.; M. Miedico, Sospensione del processo e messa alla prova anche per i maggiorenni, in questa Rivista, 14 aprile 2014; L. Pulito, Messa alla prova per adulti: anatomia di un nuovo modello processuale, in Proc. pen. giust., 2015, pp. 97 ss.; A. Sanna, L'istituto della messa alla prova: alternativa al processo o processo senza garanzie?, in Cass. pen., 2015, pp. 1262 ss.; G. Tabasco, La sospensione del procedimento con messa alla prova degli imputati adulti, in www.archiviopenale.it; N. Triggiani (a cura di), La deflazione giudiziaria. Messa alla prova degli adulti e proscioglimento per tenuità del fatto, Torino, 2014. Si ricordino anche i vari commenti di F. Fiorentin contenuti in Guida dir., 21, 2014, pp. 63-86.

[2] Sulla specifica questione della messa alla prova parziale si vedano, tra i tanti: V. Bove, Messa alla prova per gli adulti, cit., p. 18 s.; G. L. Fanuli, L'istituto della messa alla prova, cit., p. 430 s.; M. L. Galati - L. Randazzo, La messa alla prova nel processo penale, cit., pp. 84 s.

[3] La pronuncia, invece, non si occupa di un'ulteriore ipotesi di messa alla prova parziale che si potrebbe verificare, ovvero del caso in cui si proceda, in modo cumulativo, nei confronti di un soggetto per più reati contenuti nell'elenco dell'art. 168 bis c.p. e questi richieda di accedere al rito solo per una di tali fattispecie. Ritiene ammissibile anche tale ipotesi di accesso parziale al rito G. L. Fanuli, L'istituto della messa alla prova, cit., p. 430.

[4] Cfr. sul punto, V. Bove, Messa alla prova per gli adulti, cit., p. 18; G. L. Fanuli, L'istituto della messa alla prova, cit., p. 430; M. L. Galati - L. Randazzo, La messa alla prova nel processo penale, cit., p. 86.

[5] Com'è noto, infatti, una folta corrente giurisprudenziale utilizza l'argomento del mancato effetto deflativo per negare l'ammissibilità del patteggiamento o del giudizio abbreviato "parziale". Cfr. per le dovute indicazioni dottrinali e giurisprudenziali sul punto, tra i più recenti, L. Cercola, Patteggiamento parziale: ancora resistenze dai giudici di legittimità, in Cass. pen., 2014, pp. 2581 ss.; A. Remelli, Deflazione dibattimentale e parcellizzazione dei riti speciali: un mosaico di difficile composizione, in Dir. pen. proc., 2012, pp. 963 ss.

[6] Cfr. Trib. Torino, ord. 21 maggio 2014, in questa Rivista, 25 giugno 2014, con nota di M. Miedico, Sospensione del processo e messa alla prova per imputati maggiorenni: un primo provvedimento del Tribunale di Torino.

[7] Al contrario, in dottrina si è invece valorizzata l'assenza di uno specifico divieto normativo desumibile dal testo normativo, per ritenere pienamente ammissibile la messa alla prova parziale, cfr., ad esempio, G. L. Fanuli, L'istituto della messa alla prova, cit., p. 430.

[8] Valorizza tale elemento G. L. Fanuli, L'istituto della messa alla prova, cit., p. 430.

[9] Si pensi, ad esempio, alla diversa incidenza sulla prognosi rieducativa del giudice di merito che potrebbe avere un'imputazione punita con una pena di poco superiore al limite di cui all'art. 168 bis c.p., rispetto a un reato punito con una pena assai più severa.