19 aprile 2018 |
Confisca di prevenzione: smussato il requisito della ‘correlazione temporale’
Cass., Sez. II, sent. 13 marzo 2018 (dep. 27 marzo 2018), n. 14165, Pres. Diotallevi, Est. Ariolli, ricc. Alma e Brulicchio
Contributo pubblicato nel Fascicolo 4/2018
Per leggere il testo della sentenza, clicca in alto su "visualizza allegato".
1. Con la nota sentenza ‘Spinelli’, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, nell’accogliere e definire il requisito della ‘correlazione temporale’ (v. infra § 2 e § 6), ne avevano rimarcato con fermezza l’irrinunciabilità: senza tale accorgimento, si era detto, la confisca di prevenzione avrebbe acquistato «i connotati di una vera e propria sanzione»[1].
La sentenza in esame appone una precisazione a tale regola, che può essere così sintetizzata: sono confiscabili non soltanto i beni acquistati nel periodo in cui si è manifestata la pericolosità del soggetto, ma anche quelli entrati nel suo patrimonio in un momento successivo, purché risulti che tali acquisti siano stati effettuati con la ‘provvista’ accumulata grazie all’attività delittuosa.
2. Ripercorriamo, anzitutto, la vicenda oggetto della pronuncia.
A.S., soggetto ‘proposto’ per l’applicazione di misure di prevenzione nel procedimento conclusosi con il provvedimento in esame, nel 2005 era stato sottoposto a misura cautelare nel corso di un procedimento per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., all’esito del quale era stato condannato in via definitiva.
Ritenendolo – sulla scorta di tale condanna – soggetto ‘pericoloso per la sicurezza pubblica’, nel 2012 il Tribunale di Catania aveva applicato nei suoi confronti la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale (art. 6 d.lgs. 159/2011), obbligandolo altresì al versamento di una somma a titolo di cauzione (art. 31 d.lgs. 159/2011). Oltre a ciò, con lo stesso decreto era stata disposta la confisca di diversi beni, mobili e immobili, di cui A.S. era risultato avere la titolarità diretta e indiretta in misura sproporzionata al reddito dichiarato (art. 24 d.lgs. 159/2011).
Nell’ottobre 2017, tale provvedimento veniva però riformato dalla Corte di appello della stessa città. Affermando che la pericolosità del soggetto si fosse ‘arrestata’ al luglio 2005, i giudici di secondo grado avevano revocato la misura di prevenzione personale e disposto la restituzione della somma versata a titolo di cauzione. Veniva invece confermata la confisca disposta sui beni mobili e immobili, misura che, come noto, prescinde dalla pericolosità attuale del soggetto destinatario del provvedimento (art. 18 d.lgs. 159/2011).
Contro il secondo decreto veniva proposto ricorso per cassazione da parte dello stesso A.S. e di un terzo interessato. I ricorrenti lamentavano, fra le altre cose, la violazione di quella regola – fissata a chiare lettere dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione[2] e ribadita dalla successiva giurisprudenza di legittimità[3] – secondo cui la pericolosità del soggetto segna la ‘misura temporale’ dell’ambito applicativo della confisca di prevenzione, secondo cui, cioè, non possono essere oggetto di ablazione i beni acquisiti in momenti non rientranti nel ‘perimetro cronologico’ in cui la stessa pericolosità si è manifestata. La Corte di appello, infatti, da un lato aveva accertato che la qualità di partecipe all’associazione di stampo mafioso fosse venuta meno nel mese di luglio del 2005[4]; dall’altra, però, aveva confermato la confisca di beni acquistati negli anni 2006, 2007 e 2010.
3. Gli snodi motivazionali attraverso cui la Cassazione giunge a rigettare i ricorsi, ritenendoli infondati, possono essere brevemente ripercorsi.
Anzitutto, dopo una rapida ricostruzione della profonda evoluzione che ha interessato le misure di prevenzione patrimoniali, nonché dei presupposti in presenza dei quali è possibile disporre la confisca di prevenzione[5], i giudici si soffermano sulle marcate «analogie strutturali» che intercorrono tra la c.d. confisca allargata (oggi disciplinata dal nuovo art. 240-bis c.p.[6]) e la confisca di prevenzione[7]. Osservazione, questa, particolarmente calzante a fronte delle peculiarità del caso concreto: A.S. era stato infatti condannato in via definitiva per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., e ciò avrebbe consentito di disporre – ai sensi del ‘vecchio’ art. 12-sexies d.l. 306/1992 – la confisca dei beni sproporzionati rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta dallo stesso.
Si sottolinea, in particolare, che tanto la ‘confisca allargata’, quanto la confisca di prevenzione, prescindono dall’accertamento di un nesso di ‘pertinenzialità’ tra i beni oggetto di ablazione ed una determinata ipotesi di reato, e che in entrambi i casi la confisca dell’«ingiustificato accumulo patrimoniale» è piuttosto ricollegata «ad una qualità soggettiva (condanna per determinati delitti o qualità di indiziato di appartenenza ad un sodalizio mafioso)»[8], che si caratterizza per la sua capacità di generare illeciti arricchimenti. Qualità soggettiva che, nel caso di specie, poteva dirsi senz’altro ricorrente, stante il definitivo accertamento circa la partecipazione del soggetto ‘proposto’ ad una associazione di stampo mafioso[9].
4. Tanto premesso, i giudici di legittimità giungono ad affrontare il nodo problematico del ricorso, che punta i riflettori sul requisito – di matrice giurisprudenziale – della necessaria ‘correlazione temporale’ tra acquisizione dei beni oggetto di confisca, da un lato, e periodo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, dall’altro.
Come si è già detto, stando all’autorevole insegnamento delle Sezioni Unite ‘Spinelli’, sia nel caso di pericolosità ‘generica’, sia nel caso di pericolosità ‘qualificata’, oggetto di confisca possono essere i soli beni acquistati nel periodo in cui – secondo gli accertamenti del giudice di merito – si è manifestata la ‘pericolosità’ del soggetto[10].
Ad avviso della Corte, però, tale regula juris necessita di precisazioni, onde evitare che un’applicazione eccessivamente rigida elevi il dato temporale a «parametro ‘scriminante’»[11], conducendo a risultati inopinati ed irragionevoli.
In particolare, la confisca di prevenzione deve ritenersi applicabile anche rispetto a beni acquistati in un periodo «immediatamente successivo a quello per cui è stata asseverata la pericolosità qualificata»[12], purché dagli accertamenti del procedimento di prevenzione risulti che tali acquisizioni patrimoniali siano state effettuate attraverso la «provvista formatasi nel periodo di illecita attività»[13].
Del resto, si aggiunge, può dirsi dato di comune esperienza quello secondo cui l’autore di reati destinati a generare illeciti arricchimenti patrimoniali di regola eviti di ostentare[14] uno status economico incompatibile con il reddito dichiarato o l’attività economica svolta. Sicché può ben verificarsi che la ‘provvista’ illecitamente accumulata venga utilizzata per acquisizioni patrimoniali in una fase temporale successiva alla perdita della «condizione soggettiva di pericolosità»[15]. Ove ciò risulti accertato, la confisca di prevenzione potrà essere legittimamente disposta, in virtù del «collegamento di tipo logico tra il fatto presupposto, la pericolosità del proposto e l’incremento patrimoniale ‘ingiustificato’ che ha generato i beni oggetto di confisca»[16].
A modulare diversamente il requisito della ‘correlazione temporale’, si perverrebbe ad una sorta di «condono»[17] in relazione a tali acquisizioni, che però traggono pur sempre origine da incrementi patrimoniali illecitamente ottenuti. E ciò si porrebbe in contrasto sia con la «lettera», sia con la «ratio del sistema»[18].
5. Alla luce di queste coordinate, a parere della Seconda sezione della Corte di cassazione, il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Catania non può che ritenersi legittimo. I giudici di merito, infatti, avevano escluso, da un lato, che gli acquisti avvenuti tra il 2005 ed il 2010 fossero stati effettuati attraverso «proventi» esistenti già prima del coinvolgimento di A.S. nell’associazione di stampo mafioso, e, dall’altro, che essi potessero dirsi frutto della sua attività lavorativa o di altri redditi leciti[19]. Conseguentemente, data l’«evidente sproporzione», risultava logico ricondurre quelle acquisizioni patrimoniali proprio ai «proventi percepiti dal proposto quale partecipe del sodalizio mafioso»[20].
***
6. Numerosi ci sembrano gli spunti di riflessione offerti dalla pronuncia in commento.
Anzitutto, si impone all’attenzione del lettore la possibile sovrapposizione – e per certi versi la ‘fungibilità’ – tra gli istituti della confisca di prevenzione e della c.d. confisca ‘allargata’, di cui sempre più, in dottrina e in giurisprudenza, si tende a mettere in risalto le somiglianze, di struttura e di finalità. Ed infatti, la prima, pur potendosi fondare su ‘meri indizi’ circa la commissione di taluni delitti (art. 4, d.lgs. 159/2011), spesso viene disposta – come nel caso di specie – nei confronti di chi ha già riportato una sentenza di condanna, cioè in una situazione in cui potrebbe trovare applicazione anche la seconda, oggi disciplinata nel nuovo art. 240-bis c.p. quale particolare misura di sicurezza patrimoniale.
Volendo ripercorrere, seppur con estrema approssimazione, i tratti che accomunano le due misure ablatorie, li si potrebbe sintetizzare come di seguito.
In primo luogo, entrambe muovono dall’accertamento (pieno o indiziario) circa la commissione di gravi (ma sempre più numerosi) delitti. Secondariamente, oggetto di confisca sono i beni di cui il soggetto (condannato o ‘proposto’) risulti disporre in misura sproporzionata rispetto al reddito dichiarato o all’attività economica svolta. Ancora, la presunzione di provenienza ‘illecita’ di tali beni è solo relativa, potendo il soggetto interessato allegare l’esistenza di elementi che rendano credibile la provenienza lecita degli stessi. Infine, l’operatività di tale presunzione è ‘circoscritta’ da quelle regole di matrice giurisprudenziale che impongono di tenere in considerazione il ‘dato temporale’.
A tal proposito giova ricordare come, da un lato, in sede di prevenzione, opera il criterio della ‘correlazione’ temporale, di cui si è già detto; dall’altro, in relazione alla confisca allargata, una parte della giurisprudenza – di recente sposata dalla Corte costituzionale[21] – ha forgiato il criterio della ‘ragionevolezza’ temporale, in virtù del quale si esclude la confiscabilità di beni acquistati in un momento molto distante dal reato oggetto di accertamento.
Definizioni simili – ma comunque diverse – usate per indicare concetti che, come è stato attentamente messo in luce in dottrina, sembrano prestarsi ad essere tenuti distinti[22]. Si osservi, infatti, che in sede di prevenzione il giudice procede all’accertamento indiziario di un’attività delittuosa più o meno duratura, e la collocazione temporale di tali indizi delinea la ‘finestra’ cronologica cui gli acquisti patrimoniali confiscabili devono risultare correlati. In sede di confisca allargata, invece, si ha il pieno accertamento – con il quantum probatorio del processo penale – di un determinato delitto (e non del periodo in cui si è manifestata la pericolosità di un soggetto, che al più resta sullo sfondo), commesso in un determinato momento, rispetto al quale gli acquisti dei beni confiscabili devono risultare ragionevolmente prossimi, in quanto, diversamente, sarebbe scorretto presumerne l’illecita provenienza.
Nonostante le differenze terminologiche rintracciabili in giurisprudenza, nella sentenza in commento si evoca il criterio della ragionevolezza temporale, pur trattandosi di un procedimento di prevenzione[23]. Un simile approccio è peraltro propiziato proprio dalle peculiarità del caso di specie: come si è già detto, il soggetto proposto era stato condannato in via definitiva per il delitto di cui all’art. 416-bis c.p., e l’accertamento della sua pericolosità sociale ruotava attorno proprio a tale provvedimento, sul quale si sarebbe potuta fondare, in altra sede, la confisca ‘allargata’ dei beni sproporzionati.
7. Il risultato dell’impostazione seguita dai giudici di legittimità è una nitida rivelazione di quello che è il significato dell’accertamento della pericolosità nel sistema della prevenzione.
È infatti alla luce del sole che non si confiscano i beni acquistati nel periodo in cui si è manifestata la pericolosità del soggetto perché questa si è in essi oggettivizzata, imprimendo loro, in via permanente, la medesima pericolosità[24]. Se si accogliesse tale «artificio retorico»[25], si dovrebbe negare la confiscabilità di beni acquistati in un momento in cui il soggetto non era più pericoloso, come quelli confiscati nel caso di specie.
L’accertamento retrospettivo della pericolosità (rectius: dello svolgimento di una indiziata attività illecita) è allora necessario perché tale elemento, unito a quello della ‘sproporzione’, lascia presumere che determinati beni costituiscano i proventi di attività illecite, proventi che, proprio per la loro origine, si vuole ‘azzerare’. E si ricorre al requisito della ‘correlazione temporale’ non perché in grado di declinare istanze ‘preventive’[26], bensì, come è stato osservato in dottrina[27] e come si ricava da alcuni passaggi della stessa sentenza ‘Spinelli’[28], per ‘temperare’ il meccanismo presuntivo di cui si avvale la confisca di prevenzione e rendere più agevole il diritto di difesa.
‘Smussare’ questo requisito vuol dire rischiare di alterare un equilibrio già da più parti ritenuto precario. E ciò in quanto più si mette in ombra il dato della ‘pericolosità’, più quello della sproporzione sbiadisce nella ‘neutralità’[29], così rendendosi inadeguato a fondare la presunzione dell’origine illecita di determinati beni.
Non è un caso, allora, che le Sezioni Unite Spinelli avessero esaltato con fermezza la necessità della ‘correlazione temporale’, affermando che «ove fosse possibile aggredire, indiscriminatamente, i beni del proposto, indipendentemente da ogni relazione ‘pertinenziale’ e temporale con la pericolosità, lo strumento ablatorio finirebbe, inevitabilmente, con l’assumere connotati di vera e propria sanzione» (corsivo aggiunto).
E, per vero, non pare altrettanto casuale che, nella sentenza in oggetto, i giudici di legittimità, pur ‘superando’, nei termini anzidetti, il criterio della ‘correlazione temporale’, sembrino – con alcune espressioni – invitare alla prudenza. Si afferma, infatti, che la confisca di beni acquistati in epoca successiva a quella in cui si è manifestata la pericolosità del soggetto si rende possibile solo allorché il giudice di merito dia conto dell’esistenza di una «pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi»[30] (o, con una variazione terminologica, di «elementi di univoco spessore indiziante»[31]) del fatto che tali acquisizioni siano state effettuate con la ‘provvista’ accumulata grazie all’attività illecita. Una decisione, insomma, che sembra dettata più dalle peculiarità del caso di specie, che non dall’esigenza di ripensare il ruolo da attribuire al dato ‘temporale’.
8. Ma che la confisca di prevenzione possa avere ad oggetto beni acquistati anche in epoca diversa da quella in cui si è manifestata la pericolosità del soggetto non è, peraltro, una novità assoluta.
Si tratta, al contrario, di un dato già impresso nel tessuto normativo. L’art. 25 del c.d. codice antimafia, infatti, disciplinando la ‘confisca per equivalente’, consente l’ablazione anche di beni di legittima provenienza di valore corrispondente ai proventi illeciti (per qualsiasi ragione) non più confiscabili. In questo caso, venendo aggrediti beni di sicura legittima provenienza, sarebbe del tutto irragionevole, ed inutile, richiedere la ‘correlazione temporale’ tra l’acquisto degli stessi e il periodo in cui si è manifestata la pericolosità sociale; a dover ricadere in quel perimetro cronologico sono piuttosto gli acquisti dei beni non più confiscabili, ma che lo sarebbero stati in quanto sproporzionati o di indiziata provenienza illecita.
Se così è, se dunque già la confisca di prevenzione per equivalente consente di aggredire beni che nulla hanno a che fare con il periodo in cui si è manifestata la pericolosità sociale (rectius: in cui si è svolta l’attività illecita oggetto di accertamento indiziario), vale allora la pena tentare di ricostruire le differenze tra tale modello di confisca e quello di cui all’art. 24 d.lgs. 159/2011 avente ad oggetto beni acquistati una volta ‘cessata’ la pericolosità sociale (modello delineato dalla pronuncia in esame).
Quest’ultimo, come si è visto, prende di mira beni che – in virtù della loro sproporzione, nonché dell’assenza di una giustificazione da parte del soggetto ‘proposto’ circa la loro legittima provenienza – si desume rappresentino il ‘reimpiego’ di una provvista illecita. Vale a dire che si aggredisce una ricchezza sproporzionata entrata nel patrimonio del soggetto quando era pericoloso, ma ‘materializzatasi’ – sotto forma di ‘reinvestimento’ – in epoca successiva.
La confisca per equivalente, invece, presuppone che sia previamente accertato il valore dei proventi dell’attività delittuosa conseguiti quando il soggetto era pericoloso, e a tale condizione consente di aggredire beni di legittima provenienza che con essi non sono in alcun modo ‘concatenati’, cioè che non ne costituiscono neppure il reimpiego.
Il confine tra le due misure ablatorie, se si presta ad essere teorizzato, potrebbe forse rivelarsi labile nella sua applicazione pratica. In questo senso, la possibilità di confiscare ex art. 24 d.lgs. 159/2011 anche beni acquistati in un tempo distante dall’attività delittuosa, ci sembra sottrarre terreno alla confisca per equivalente di cui all’art. 25 d.lgs. 159/2011, disposizione che – pur avendo recentemente visto ampliato il suo ambito applicativo[32] – appare già condannata ad una scarsa applicazione nella prassi, per via dello ‘sforzo’ dimostrativo da essa richiesto, consistente nella necessità di individuare il ‘valore’ di beni – sproporzionati o di indiziata origine illecita – non più confiscabili.
E così, saranno probabilmente poche le occasioni per richiamare l’attenzione sull’istituto della confisca di prevenzione per equivalente, che ci sembra delineare un’aperta contraddizione nella materia delle ‘confische’, soprattutto al netto della tendenza ad assimilare la confisca di prevenzione e quella ‘allargata’. Siamo infatti di fronte ad una confisca che – definita ‘di prevenzione’ – viene applicata in assenza di una condanna formale e all’interno di un procedimento le cui forme sono molto distanti dalle garanzie del processo penale. E ciò nonostante sia opinione consolidata che le confische di ‘di valore’ abbiano natura punitiva[33].
[1] Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2014 (dep. 2 febbraio 2015), n. 4880, ric. Spinelli, pubblicata in Dir. pen. cont. – Riv. Trim., 4/2015, con nota di Fr. Mazzacuva, Le Sezioni Unite sulla natura della confisca di prevenzione: un’altra occasione persa per un chiarimento sulle reali finalità della misura. Cfr., in particolare, il § 10 della sentenza.
[2] Al § 10 della sentenza ‘Spinelli’, le Sezioni Unite, con riferimento alla c.d. pericolosità generica (categorie soggettive di cui all’art. 1 d.lgs. 159/2011), avevano affermato il principio di diritto secondo cui «sono suscettibili di ablazione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale, indipendentemente dalla persistente pericolosità del soggetto al momento della proposta di prevenzione». Il medesimo principio veniva riproposto, nel successivo § 12, anche in relazione alla pericolosità ‘qualificata’ (categorie soggettive di cui all’art. 4 d.lgs. 159/2011): salvo sottolineare le maggiori difficoltà di una puntuale determinazione dell’arco temporale di esplicazione della pericolosità, le Sezioni Unite avevano ribadito che laddove il giudice riesca a determinare il momento iniziale ed il termine finale della pericolosità sociale (come avvenuto nel caso di specie), «saranno suscettibili di apprensione coattiva soltanto i beni ricadenti nell’anzidetto perimetro temporale».
[3] Cfr. Cass., Sez. VI, 17 maggio 2017, n. 313364, richiamata al § 3.1.4 della sentenza in esame, secondo cui «in tema di misure di prevenzione, ove la fattispecie concreta consenta al giudice di determinare il momento iniziale ed il termine finale della pericolosità sociale qualificata, sono suscettibili di confisca solo i beni acquistati in detto periodo temporale, salva restando la possibilità per il proposto di dimostrare l’acquisto dei beni con risorse preesistenti all’inizio dell’attività illecita».
[4] Cfr. § 3.1.4, p. 7 della sentenza: «Del pari, come pure focalizzato dal ricorrente, è ben vero che risulta nel caso di specie processualmente accertato il periodo di permanenza della qualità di associato, con conseguente elisione dei profili di pericolosità sociale a far tempo dal venir meno di tale condizione».
[5] Cfr. § 3.1.1 della sentenza.
[6] Per uno sguardo d’insieme sul recente d.lgs. 21/2018, che, attuando il principio della ‘riserva di codice’, ha, fra le altre cose, quasi integralmente abrogato l’art. 12-sexies d.l. 306/1992, riproponendone il contenuto nel nuovo art. 240-bis c.p., cfr. S. Bernardi, Il nuovo principio della ‘riserva di codice’ e le modifiche al codice penale: scheda illustrativa, in questa Rivista, 9 aprile 2018.
[7] Cfr. § 3.1.2 e § 3.1.3 della sentenza.
[8] Cfr. § 3.1.3 della sentenza.
[9] Cfr. § 3.1.4 della sentenza.
[10] V. nota 1.
[11] Cfr. § 3.1.4, p. 9 della sentenza.
[12] Cfr. § 3.1.4, p. 8 della sentenza.
[13] Cfr. § 3.1.4, p. 8 della sentenza.
[14] Cfr. § 3.1.4, p. 8 della sentenza.
[15] Cfr. § 3.1.4, p. 7 della sentenza.
[16] Cfr. § 3.1.4, p. 8 della sentenza.
[17] Cfr. § 3.1.4, p. 7 della sentenza.
[18] Cfr. § 3.1.4, p. 9 della sentenza.
[19] Cfr. § 3.1.4, p. 8 della sentenza.
[20] Cfr. § 3.1.4, p. 9 della sentenza.
[21] Ci si riferisce alla recente sentenza della Corte costituzionale del 21 febbraio 2018, n. 33, pubblicata in questa Rivista, , con nota di S. Finocchiaro, La Corte costituzionale sulla ragionevolezza della confisca allargata. Verso una rivalutazione del concetto di sproporzione?, fasc. 2/2018, p. 131 ss.
Al § 11 della sentenza si legge: «La ricordata tesi della ‘ragionevolezza temporale’ risponde, in effetti, all’esigenza di evitare una abnorme dilatazione della sfera di operatività dell’istituto della confisca ‘allargata’, il quale legittimerebbe altrimenti – anche a fronte della condanna per un singolo reato compreso nella lista – un monitoraggio patrimoniale esteso all’intera vita del condannato».
[22] Cfr. S. Finocchiaro, La Corte costituzionale sulla ragionevolezza della confisca allargata, cit., p. 141.
[23] Cfr. § 3.1.4, p. 9, della sentenza: «D’altra parte, il parametro della ‘ragionevolezza temporale’ non esclude affatto la possibilità che siano acquisiti elementi di univoco spessore indiziante atti a ricondurre la genesi di accumulazioni patrimoniali o di singole possidenze, anche se materializzatesi in epoca di gran lunga successiva alla cessazione delle condizioni di pericolosità soggettiva, proprio all’epoca di permanenza di quelle stesse condizioni».
[24] Si tratta di un’idea decisamente poco convincente, e che tuttavia sembra suggerita da alcuni passaggi della sentenza Spinelli, già citata. Ad esempio, al § 9, p. 26, si legge: «La pericolosità sociale del soggetto acquirente si riverbera eo ipso sul bene acquistato […]. L’anzidetto riflesso finisce, poi, con l’oggettivarsi, traducendosi in attributo obiettivo o ‘qualità’ peculiare del bene, capace di incidere sulla sua condizione giuridica». Ancora, sempre al § 9, p. 27: «Siffatta connotazione di pericolosità resta impressa alla res, indipendentemente da qualsiasi vicenda giuridica della sua pericolosità, sino alla perenzione della stessa cosa oppure all’opponibilità giuridica del suo trasferimento».
[25] Così Fr. Mazzacuva, Le Sezioni Unite sulla natura della confisca di prevenzione, cit., p. 235.
[26] È un argomento, questo, che sembra emergere da un passaggio del § 10 della già citata sentenza ‘Spinelli’, ove si afferma che la necessità del requisito della correlazione temporale «discende dall’apprezzamento dello stesso presupposto giustificativo della confisca di prevenzione, ossia della ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita (restando, così, affetto da illiceità per così dire genetica o, come si è detto in dottrina, da ‘patologia ontologica’) ed è, dunque, pienamente coerente con la ribadita natura preventiva della misura in esame».
[27] Cfr. Fr. Mazzacuva, Le Sezioni Unite sulla natura della confisca di prevenzione, cit., p. 237.
[28] Cfr. § 10: «È indubbio, del resto, che l’individuazione di un preciso contesto cronologico, entro il quale può essere esercitato il potere di ablazione rende assai più agevole l’esercizio del diritto di difesa, oltre ad assolvere ad ineludibili esigenze di garanzia generica».
[29] Sul punto cfr. A. M. Maugeri, Una parola definitiva sulla natura della confisca di prevenzione? Dalle Sezioni Unite Spinelli alla sentenza Gogitidze della Corte EDU sul civil forfeiture, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., fasc. II, 2015, p. 942 ss., § 4: «La correlazione temporale consente, insomma, di supportare la presunzione di illecita accumulazione patrimoniale di cui la sproporzione è sintomo; la sproporzione, infatti, assume un disvalore solo in quanto indizio dell’origine illecita dei beni da confiscare e, per essere attendibile, deve essere accertata in relazione ai momenti dei singoli acquisti o comunque del formarsi dei singoli cespiti patrimoniali, con riferimento ad un periodo temporalmente delimitato, che dovrebbe essere contestuale all’indiziata attività illecita (fonte della pericolosità sociale)».
[30] Cfr. § 3.1.4, p. 8 della sentenza.
[31] Cfr. § 3.1.4, p. 9 della sentenza.
[32] Prima che l’art. 25 d.lgs. 159/2011 venisse interamente riscritto dalla l. 161/2017, alla confisca per equivalente erano posti significativi argini: occorreva, infatti, dimostrare che il soggetto proposto si fosse disfatto dei beni di origine illecita al fine di sottrarli alle misure di prevenzione patrimoniali. Sul punto cfr. S. Finocchiaro, La riforma del codice antimafia (e non solo): uno sguardo d’insieme alle modifiche appena introdotte, in questa Rivista, fasc. 10/2017, p. 251 ss., che all’indomani della riforma metteva in luce la «contraddittorietà di un ordinamento che, da un lato, riconoscendo natura punitiva alla confisca di valore, ne esclude l’applicabilità in sede penale laddove difetti una formale condanna e dall’altro ne consente, e ora addirittura ne amplia, l’applicazione ante delictum in virtù di una dichiarata natura preventiva».
[33] Cfr., in particolare, Cass. pen., Sez. Un., 26 giugno 2015 (dep. 21 luglio 2015), n. 31617, Lucci, pubblicata in questa Rivista il 30 luglio 2015.