ISSN 2039-1676


01 febbraio 2013

Sentenza di non luogo a procedere e ne bis in idem

Trib. Tivoli, 13 novembre 2011, Est. Pierazzi

NE BIS IN IDEM - Nozione di "sentenza definitiva" ai sensi dell'art. 4 Prot. 7 CEDU e dell'art. 50 della CDFUE - Sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. - Divieto di nuovo giudizio - Procedimento per lo stesso fatto in una diversa sede giudiziaria - Obbligo per il giudice di emettere sentenza di non doversi procedere

La sentenza di non luogo a procedere non più suscettibile di impugnazione rientra, in virtù del grado di stabilità che tendenzialmente la caratterizza, tra le «sentenze definitive» cui si connette un effetto preclusivo della instaurazione di un nuovo giudizio per il medesimo fatto, in applicazione del principio generale del ne bis in idem e secondo quanto previsto dall'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dall'art. 50 della cd. Carta di Nizza e dell'art. 54 della Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen del 14 giugno 1985. Ne deriva che, nel caso di processo instaurato nei confronti di imputato già prosciolto per il medesimo fatto con sentenza resa ex art. 425 c.p.p. dal giudice dell'udienza preliminare di altra sede giudiziaria, in cui l'anomalia derivante dalla duplicazione dell'azione penale non è eliminabile attraverso il conflitto di competenza ex art. 28 c.p.p., dovrà emettersi sentenza di non doversi procedere per violazione del divieto di bis in idem.

 

Riferimenti normativi c.p.p. artt. 425 e 649
  Convenzione edu, Prot. n. 7, art. 4
  Carta dir. fond. U.E., art. 50
  Convenzione Schengen, art. 54

 

NOTA REDAZIONALE. La sentenza, nell'affrontare il delicato tema dell'efficacia preclusiva della sentenza di non luogo a procedere, si segnala per il pregevole tentativo di espandere la caratura garantistica del principio ne bis in idem. Prendendo avvio dall'insegnamento delle Sezioni Unite Donati (n. 34655/05) sui casi di litispendenza de eadem re generatisi nell'alveo della medesima sede giudiziaria, il Tribunale opera una interessante ricostruzione sistematica alla luce delle fonti sovranazionali (sia quelle atte a disciplinare il divieto di doppio processo all'interno del singolo Stato, sia quelle più propriamente dirette a regolamentare il c.d. ne bis in idem internazionale). Va rimarcato, tuttavia, come la soluzione adottata (non doversi procedere "essendo l'azione penale già stata esercitata in altro procedimento") finisca col traslare il meccanismo preclusivo introdotto dalla sentenza Donati (ritagliato sui fenomeni di litispendenza) ad una ipotesi del tutto differente. Nel caso di specie, il tema centrale appare quello del rapporto tra cosa giudicata e accertamenti non definitivi. Secondo la dottrina e buona parte della giurisprudenza, infatti, la pronuncia liberatoria resa in udienza preliminare è suscettibile di generare cosa giudicata, seppure in una accezione attenuata (cfr. S. Ruggeri, Giudicato penale e accertamenti non definitivi, Milano, 2004, p. 438). Una nuova azione penale senza previa revoca della pronuncia ai sensi dell'art. 434 ss. c.p.p. sarebbe dunque viziata da una causa di improcedibilità ricavabile dal sistema (E. M. Mancuso, Il giudicato nel processo penale, Milano, 2012, p. 372). Ed è stato osservato che la sentenza di non luogo a procedere inoppugnabile e non revocata espande "i propri effetti oltre il procedimento cui si riferiva" e anche verso "un diverso ufficio giudiziario" (L. Pecori, Potenzialità preclusive della sentenza di non luogo a procedere, in Cass. pen., 2001, p. 62). Del resto, la struttura cognitiva e lo scopo della fase in cui si inserisce attribuiscono alla sentenza di non luogo a procedere un contenuto d'accertamento sufficiente per generare una efficacia preclusiva sotto forma di condizione di improcedibilità ricavabile dal sistema processuale (E. M. Mancuso, Il giudicato nel processo penale, cit., p. 374). Alcune oscillazioni giurisprudenziali hanno forse condotto il Tribunale verso lo sforzo ermeneutico contenuto in motivazione, apprezzabile nella parte in cui risulta finalizzato alla salvaguardia del fondamentale diritto a non essere processati due volte per gli stessi fatti.