12 aprile 2013 |
Direttiva rimpatri: la Corte di giustizia UE conferma la propria giurisprudenza sull'art. 10 bis T.U.imm.
Corte di giustizia UE, III sezione, ord. 21 marzo 2013, Mbaye (causa C-522/11)
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Con l'ordinanza qui segnalata, resa in relazione ad una questione pregiudiziale di interpretazione proposta dal Giudice di pace di Lecce, la Corte di giustizia dell'UE conferma gli orientamenti già espressi nella propria precedente giurisprudenza (in particolare con la sent. 6 dicembre 2012, causa C-430/11, Sagor: clicca qui per accedere alla sentenza e alla relativa scheda) compatibilità in linea di principio con la direttiva 2008/115/UE (c.d. "direttiva rimpatri") della contravvenzione prevista dall'art. 10bis d.lgs. 286/1998, purché la sua applicazione in concreto da parte del giudice non conduca a risultati incompatibili con la direttiva medesima, in particolare per ciò che concerne la possibilità di applicare al condannato la pena sostitutiva dell'espulsione.
La Corte era stata investita del caso del Sig. Mbaye, cittadino senegalese irregolarmente soggiornante sul territorio italiano, chiamato a rispondere avanti il Giudice di pace di Lecce del reato previsto e punito dall'art. 10bis. Dubitando della compatibilità di tale norma con il diritto comunitario, il Giudice di pace aveva sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l'articolo 2, paragrafo 2, lettera b) della [direttiva 2008/115] osti alla possibilità di applicare la medesima direttiva anche in presenza della normativa interna (art. 10 bis [del decreto legislativo n. 286/98]) che sanziona la condizione di ingresso e soggiorno irregolare con la misura dell'espulsione sostitutiva della pena.
2) Se [la direttiva 2008/115] osti alla possibilità di sanzionare penalmente la mera presenza dello straniero sul territorio nazionale in condizione di irregolarità, indipendentemente dal completamento della procedura amministrativa di rimpatrio prevista dalla legge interna e dalla stessa direttiva»
Quanto alla prima questione, la Corte richiama quanto affermato nella sentenza 6 dicembre 2011, Achughbabian, C-329/11, circa l'interpretazione dell'art. 2 della direttiva, e conferma che il par. 2 lett. b) di tale norma "non può essere interpretato, a meno di privare quest'ultima della sua ratio e del suo effetto vincolante, nel senso che gli Stati membri possano omettere di applicare le norme e le procedure comuni previste dalla suddetta direttiva ai cittadini di paesi terzi che abbiano commesso solo l'infrazione consistente nel soggiorno irregolare": pertanto, la Corte conferma che la qualificazione come reato della condotta di soggiorno irregolare non può valere di per sé a sottrarre gli Stati membri dall'obbligo di applicare le disposizioni della "direttiva rimpatri", che resteranno dunque integralmente applicabili all'imputato della contravvenzione in esame.
Quanto alla seconda questione, la Corte ribadisce che la "direttiva rimpatri" non osta a che un'espulsione immediata (in assenza dunque di un termine per la partenza volontaria, che costituisce la regola nel sistema disegnato dalla direttiva) sia disposta dall'autorità giurisdizionale quale sanzione sostitutiva di natura penale, purché ciò avvenga nei limiti di quanto previsto all'art. 7, par. 4, della direttiva ("Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l'interessato costituisce un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale"), dovendo tale ultima valutazione essere operata dal giudice di pace all'esito della considerazione della situazione individuale dell'interessato.
In conclusione, appare confermata la giurisprudenza Sagor: la direttiva rimpatri non osta né alla sussistenza del reato di clandestinità, né alla celebrazione del relativo giudizio penale, né alla conseguente condanna a pena pecuniaria, né - infine - alla sostituzione di questa con la pena dell'espulsione immediata, purché quest'ultima sia disposta nei limiti di cui all'art. 7, par. 4, direttiva.