ISSN 2039-1676


04 maggio 2015 |

Le conclusioni dell'Avvocato generale presso la Corte di giustizia UE nella causa relativa al delitto di illecito reingresso dello straniero espulso (art. 13 co. 13 TU imm.)

Conclusioni dell'Avvocato generale Maciej Spuznar presentate il 28 aprile 2015 nella causa C-290/14, Celaj.

 

1. Segnaliamo ai lettori che il  28 aprile l'Avvocato generale Maciej Szpunar ha presentato alla Corte di giustizia UE le proprie conclusioni nell'ambito della Causa Celaj (C-290/14), relativa alla compatibilità con la direttiva rimpatri della pena detentiva prevista nel nostro ordinamento per lo straniero che, dopo essere stato rimpatriato in esecuzione di un provvedimento di espulsione, faccia illegalmente ritorno in Italia prima della scadenza del divieto di reingresso (oggi di norma nel nostro ordinamento di durata compresa tra i tre ed i cinque anni).

 

2. La vicenda è nota ai lettori di questa Rivista, che ha pubblicato l'ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Firenze cui si riferiscono le conclusioni dell'Avvocato generale (clicca qui per accedere alla scheda da noi all'epoca redatta su tale ordinanza).

Il Tribunale chiedeva in sostanza se fosse legittimo continuare a punire con la pena della reclusione le condotte di illecito reingresso nel territorio dello Stato, anche dopo che la Corte UE, con le sentenze El Dridi e Achughbabian, aveva affermato l'incompatibilità con il principio dell'effetto utile della direttiva rimpatri della previsione da parte di una legge nazionale della pena detentiva per la condizione di irregolarità. Nell'ordinanza di rinvio, il Tribunale mostrava di non condividere l'orientamento della Cassazione, tuttora prevalente, secondo cui i principi affermati dalla Corte UE nella sentenza El Dridi (ove, lo si ricorderà, la Corte aveva dichiarato inapplicabile in quanto in contrasto con la direttiva rimpatri il delitto di inottemperanza all'ordine di allontanamento di cui all'art. 14 co. 5 ter e 5 quater t.u., all'epoca punito con la pena della reclusione) non si applicherebbero alla diversa fattispecie di illecito reingresso. Condividendo le obiezioni da noi sviluppate dalle pagine di questa Rivista (Masera, Il delitto di illecito reingresso dello straniero nel territorio dello Stato e la direttiva rimpatri, in Dir. pen. cont. - Riv. trim., 3/2013, p. 241 ss.), il giudice fiorentino riteneva invece che l'affermazione della Corte UE, secondo cui una sanzione penale detentiva applicata prima del tentativo di eseguire la procedura amministrativa di rimpatrio ostacola il primario obiettivo della direttiva di procedere il più celermente possibile all'allontanamento dello straniero irregolare, imponesse di considerare in contrasto con la direttiva anche la reclusione comminata allo straniero che fa illecito reingresso in Italia, rispetto al quale dovrebbe essere applicata in via prioritaria la procedura amministrativa di allontanament o anziché la sanzione penale.

 

3. L'Avvocato generale mostra di condividere la tesi formulata nell'ordinanza di rinvio, ed invita la Corte a dichiarare che gli art. 15 e 16 della dir. 2008/115/CE devono essere interpretati nel senso che la direttiva "osta alla normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale, che prevede l'irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, dopo essere stato rimpatriato nel suo paese d'origine, nell'ambito di una precedente procedura di rimpatrio, sia rientrato nel territorio dello Stato membro" (§ 63).

 

4. Il testo, come sovente accade per questa tipologia di atti processuali, è ricco di riflessioni e di citazioni, anche dottrinali (è da notare come, in relazione ad una questione avente ad oggetto la compatibilità europea di una norma italiana, dei 10 autori citati solo due siano in lingua italiana: vengono citati due lavori di Spitaleri e Piccichè, alle note 33 e 44).

L'inizio è lapidario: "E' un reato essere stranieri? Non siamo di questo avviso". L'Avvocato generale, con una scelta inconsueta, apre le sue conclusioni con le parole di un "parere congiunto parzialmente dissenziente" espresso da sei giudici della Corte EDU nella sentenza Saadi c. Regno Unito; parole che si pongono peraltro in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia che ha in più occasioni ribadito come gli Stati siano liberi di punire con la sanzione penale lo straniero irregolare, a condizione che ciò non ostacoli l'esecuzione del rimpatrio.

Lo sviluppo del ragionamento è in realtà molto meno originale di quanto l'incipit potesse far presagire: la principale linea argomentativa si fonda sulla necessità di applicare con coerenza i principi espressi dalla Corte nelle precedenti occasioni in cui si è occupata della compatibilità di norme penali interne con la direttiva rimpatri (le sentenze El Dridi, Achughbabian, Sagor).

L'Avvocato generale ricorda innanzitutto, prima di ripercorrere brevemente i passaggi salienti di questa giurisprudenza, come "finora non vi è stata una causa in cui la Corte, in base ai fatti del procedimento principale, abbia ritenuto che il trattenimento o la reclusione quale sanzione penale fosse compatibile con la direttiva 2008/115" (§ 31), in quanto la Corte ha ritenuto (tanto nella sentenza El Dridi che nella successiva Achughbabian) che "la reclusione rischiava di compromettere il conseguimento dell'obiettivo perseguito dalla direttiva e poteva ostacolare l'applicazione delle misure di cui all'art. 8 § 1 dir. e ritardare l'esecuzione della decisione di rimpatrio".

Lo snodo centrale dell'argomentazione riguarda la possibilità di applicare tali principi anche alle ipotesi di illecito reingresso. Secondo i governi intervenuti (oltre a quello italiano, hanno presentato osservazioni i governi ceco, tedesco, greco, norvegese e svizzero) e secondo la Commissione, si deve "operare una distinzione tra l'ingresso di un cittadino di un paese terzo nel territorio di uno Stato membro per la prima volta ed il reingresso di tale cittadino in un momento successivo", in quanto "nella seconda fattispecie lo Stato membro potrebbe aver cercato di infliggere una pena detentiva in modo da dissuadere il cittadino di un paese terzo dal fare nuovamente ingresso nel suo territorio in modo irregolare" (§ 46); mentre secondo il giudice del rinvio "è del tutto inconferente il giudizio di valore sulla diversità concettuale e strutturale delle situazioni in cui può venirsi a trovare il cittadino straniero a seconda che la sua presenza irregolare derivi da un primo ingresso irregolare o da un reingresso irregolare" (§ 47).

L'Avvocato Szpunar condivide l'approccio adottato dal giudice del rinvio, in quanto "la direttiva non opera distinzioni quanto al numero di volte in cui il cittadino di un paese terzo tenta di entrare nel territorio di uno Stato membro (...): una volta che il cittadino di un paese terzo si trovi nel territorio dello Stato membro e sia stato dimostrato che il medesimo vi soggiorni irregolarmente, deve essere rimpatriato" (§ 50). L'esito del ragionamento è molto chiaro: "il principale obiettivo della direttiva non è di impedire, ma di porre fine a un soggiorno irregolare. Data la natura accessoria del divieto d'ingresso, le misure che sanzionano la sua inosservanza non possono compromettere questo fondamentale obiettivo. In altri termini, il trattenimento o la reclusione finalizzati all'esecuzione di un divieto d'ingresso non devono compromettere la futura procedura di rimpatrio"(§ 57). Quanto poi all'effetto deterrente che i Governi intervenuti ritenevano di assegnare alla sanzione penale detentiva, l'Avvocato generale reputa che sia "la direttiva stessa a fornire agli Stati membri gli strumenti per dissuadere i cittadini di paesi terzi dal fare nuovamente ingresso nel loro territorio irregolarmente" (§ 58).

 

5. La sintesi dell'argomentazione è molto efficace: "Da qualunque prospettiva la si esamini, la reclusione di una persona ne ritarda, in definitiva, il futuro rimpatrio. (..) La semplice affermazione che la direttiva 2008/115 non vieta che il diritto di uno Stato membro qualifichi il soggiorno irregolare come reato e preveda sanzioni penali per scoraggiare e reprimere la commissione di tale infrazione delle norme nazionali in materia di soggiorno deve essere letta in questo contesto. Pertanto, il trattenimento o la reclusione dovrebbero essere limitati alla detenzione per reati non connessi all'irregolarità del soggiorno, alla detenzione nelle situazioni amministrative disciplinate dal capo IV della direttiva, e alla detenzione finalizzata ad appurare se un soggiorno sia irregolare o meno" (§ 60). Tale conclusione potrebbe apparire in contrasto con la seconda parte del dispositivo della sentenza Achughbabian, dove la Corte aveva affermato che "la direttiva non osta ad una normativa che consente la reclusione di un cittadino di un paese terzo cui sia stata applicata la procedura di rimpatrio stabilita dalla direttiva e che soggiorni in modo irregolare in detto territorio senza che sussista un giustificato motivo che preclude il rimpatrio": di tale passaggio secondo l'Avvocato generale va fornita un'interpretazione restrittiva, "nel senso che esso si riferisce soltanto a situazioni in cui la procedura sia rimasta senza esito e la persona in questione continui a soggiornare irregolarmente nel territorio dello Stato membro senza che sussista un giustificato motivo che precluda il rimpatrio".

 

Le conclusioni dell'Avvocato generale, di cui si è appena fornita una sintesi, non aggiungono elementi di particolare novità rispetto agli argomenti già sviluppati nel dibattito interno e nell'ordinanza di rinvio pregiudiziale. Il problema sta nel valutare se l'indiscutibile diversità del delitto di illecito reingresso rispetto alle fattispecie penali in passato prese in esame dalla Corte giustifichi o meno lo scostamento dal principio per cui  la sanzione penale detentiva, se applicata allo straniero irregolare prima dell'esecuzione della procedura di rimpatrio, costituisce un ostacolo al suo allontanamento, ed è dunque in contrasto con il principio dell'effetto utile. Se la Corte condividerà la tesi dell'Avvocato generale, non troverà più applicazione l'ultima disposizione che a tutt'oggi nel nostro ordinamento sanziona con la pena detentiva lo straniero in ragione della sua condizione di irregolarità: un risultato che ci sentiamo di auspicare, e che consegnerebbe definitivamente al passato quel massiccio ricorso alle pene privative della libertà per lo straniero irregolare, che ha caratterizzato l'ultimo decennio della nostra politica criminale.