ISSN 2039-1676


05 ottobre 2015 |

La Corte di giustizia UE dichiara il delitto di illecito reingresso dello straniero espulso (art. 13 co. 13 TU imm.) conforme alla direttiva rimpatri (2008/115/CE)

Nota a Corte di giustizia UE, IV sez., sent. 1 ottobre 2015, Celaj, causa n. C-290/14

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1. La questione oggetto della sentenza è ben nota ai lettori di questa rivista, e riguarda la compatibilità del delitto di illecito reingresso dello straniero nel territorio dello Stato (art. 13 co. 13 TU imm.) con quanto previsto dalla direttiva rimpatri (2008/115/CE), così come interpretata dalla Corte UE negli ormai numerosi precedenti in materia di diritto penale dell'immigrazione. I lavori indicati nella colonna di destra permettono al lettore interessato di ripercorrere l'ampio dibattito che sul tema si era sviluppato in dottrina ed in giurisprudenza, prima che il Tribunale di Firenze decidesse opportunamente di rinviare la decisione alla Corte di Lussemburgo. Di seguito ci limiteremo esclusivamente ad una sintesi e ad una prima analisi della decisione appena depositata.

 

2. Il giudice del rinvio chiedeva alla Corte di valutare "se le disposizioni della direttiva 2008/115 ostino all'esistenza di norme nazionali degli Stati membri che prevedano la pena della reclusione sino a quattro anni per un cittadino di un paese terzo che, dopo essere stato rimpatriato non a titolo di sanzione penale né in conseguenza di una sanzione penale, abbia fatto nuovamente ingresso nel territorio dello Stato, in violazione di un legittimo divieto di reingresso, senza che tale cittadino sia stato previamente sottoposto alle misure coercitive previste dall'art. 8 della direttiva 2008/115 ai fini del suo pronto ed efficace allontanamento".

 

3. La Corte prende le mosse dai principi già enunciati nella propria giurisprudenza riguardo al rapporto tra la direttiva rimpatri ed il diritto penale dei singoli paesi membri. Tale direttiva, non prefiggendosi "l'obiettivo di armonizzare integralmente le norme degli Stati Membri sul soggiorno degli stranieri , non vieta, in linea di principio, che il diritto di uno Stato membro qualifichi come reato il reingresso illegale di un cittadino di un paese terzo in violazione di un divieto di ingresso" (§ 20, in cui vengono "per analogia" richiamati i precedenti Achughbabian e Sagor"). Tuttavia, "secondo costante giurisprudenza, uno Stato membro non può applicare una disciplina penale idonea a compromettere il conseguimento delle finalità perseguite dalla suddetta direttiva, privando così quest'ultima del suo effetto utile" (§ 21, in cui viene ancora citata Sagor); ed "è ben vero che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, le norme e le procedure comuni sancite dalla direttiva 2008/115 sarebbero compromesse se lo Stato membro interessato, dopo aver accertato il soggiorno irregolare del cittadini di un paese terzo, anteponesse all'esecuzione della decisione di rimpatrio, o addirittura alla sua stessa adozione, un procedimento penale idoneo a condurre alla reclusione nel corso della procedura di rimpatrio in quanto tale modo di procedere rischierebbe di ritardare l'allontanamento (§ 26, dove, oltre ai precedenti già citati, si rinvia alla sentenza El Dridi)".

 

4. Il passaggio centrale nella motivazione è immediatamente successivo a quello appena citato. Dopo aver infatti ricordato come nei precedenti in materia fosse stata dichiarata illegittima la disciplina penale che anteponesse alle procedure di rimpatrio la detenzione in sede penale dello straniero irregolare, la Corte afferma che "ciononostante, il procedimento penale dinanzi al giudice del rinvio riguarda la situazione di un cittadino di un paese terzo, il cui soggiorno è irregolare, nei confronti del quale, per mettere fine al suo primo soggiorno irregolare nel territorio di uno Stato membro, sono state applicate le norme e le procedure comuni previste dalla direttiva e che entra nuovamente in tale territorio trasgredendo un divieto di reingresso (§ 27). Pertanto, le circostanze di cui al procedimento principale si distinguono nettamente da quelle oggetto delle cause conclusesi con le sentenze El Dridi ed Achughbabian, nelle quali i detti cittadini di paesi terzi, il cui soggiorno era irregolare, erano oggetto di un primo procedimento di rimpatrio nello Stato membro interessato (§ 28)".

 

5. La Corte ricorda poi come nella sentenza Achughbabian fosse già stato precisato che la direttiva non ostava all'applicazione di misure penali nei confronti degli stranieri nei cui confronti fossero state esperite infruttuosamente le procedure amministrative di rimpatrio, e che continuassero a permanere illegalmente nel territorio dello Stato: "si deve dunque considerare, a fortiori, che la direttiva non preclude la facoltà per gli Stati membri di prevedere sanzioni penali a carico dei cittadini di paesi terzi, il cui soggiorno sia irregolare, per i quali l'applicazione della procedura istituita da tale direttiva ha condotto al rimpatrio e che entrano nuovamente nel territorio di uno Stato membro trasgredendo un divieto di ingresso" (§ 30).

 

6. La Corte precisa infine come l'applicazione della sanzione penale sia ammissibile solo a condizione che il divieto di reingresso violato dallo straniero "sia conforme all'articolo 11 di tale direttiva, circostanza che compete al giudice del rinvio accertare" (§ 31); e conclude con la considerazione che "l'irrogazione di una sanzione penale siffatta è soggetta al pieno rispetto tanto dei diritti fondamentali, in particolare di quelli garantiti dalla Convenzione EDU, quanto, eventualmente, della Convenzione di Ginevra, e in particolare del suo articolo 31 paragrafo 1" (§ 32).

 

7. La sintesi della peraltro brevissima sentenza in commento (la parte motivazionale - i paragrafi rubricati "sulla questione pregiudiziale" - è lunga solo due pagine) testimonia la povertà dell'argomentazione sviluppata dai giudici del Lussemburgo. La Corte UE, nei due paragrafi in cui in buona sostanza si concentra la ratio decidendi, si limita a notare che la situazione oggetto di valutazione è diversa da quella cui si riferivano El Dridi, Sagor ed Achughbabian, in quanto si tratta di uno straniero che fa per la seconda volta ingresso illegalmente nel territorio dello Stato, dopo essere stato una prima volta rimpatriato. Tutto qui. Tale constatazione basta alla Corte per operare un frettoloso distinguishing rispetto al cospicuo corpus giurisprudenziale ove si affermava, in relazione a casi di stranieri sottoposti ad una prima procedura di rimpatrio, che l'uso della sanzione detentiva era conforme alla direttiva, a condizione che non ostacolasse il più celere rimpatrio dello straniero irregolare: il caso è diverso dai precedenti, e quindi i precedenti non rilevano. Esattamente il medesimo, apodittico argomento utilizzato dalla nostra Corte di cassazione per negare l'applicabilità dei principi di El Dridi, e per ritenere di conseguenza legittimo il reato.

 

8. La decisione della Corte europea non può tuttavia soddisfare il lettore, perché sia il Tribunale di Firenze nell'ordinanza di rinvio pregiudiziale (clicca qui per scaricarla), che l'Avvocato generale Szpunar nelle sue conclusioni (clicca qui per scaricarle), avevano addotto una serie di argomenti per sostenere come i principi affermati dalla Corte nelle sentenze El Dridi ed Achughbabian in relazione ai reati di ingresso e soggiorno irregolare dovessero valere anche nel diverso caso in cui lo straniero avesse fatto reingresso nel territorio dello Stato dopo un primo rimpatrio. In entrambi i testi non si negava affatto che i casi decisi in precedenza e quello oggetto di scrutinio fossero diversi, perché ora si trattava di valutare la situazione di uno straniero che per la seconda volta aveva fatto ingresso irregolarmente in Italia. Si riteneva però che il principio dell'effetto utile, che nel caso di primo ingresso irregolare aveva condotto la Corte a ritenere contraria alla direttiva l'applicazione di una pena detentiva che potesse ostacolare la celerità del rimpatrio, dovesse anche nel caso di secondo ingresso irregolare condurre al medesimo risultato di ritenere illegittima la pena detentiva applicata prima che in via amministrativa si fosse provato ad eseguire immediatamente il rimpatrio dello straniero. Né il giudice del rinvio né l'Avvocato generale sostenevano che fosse di per sé in contrasto con la direttiva la scelta degli Stati nazionali di punire con la sanzione penale lo straniero rimpatriato che facesse ritorno nello Stato; ma ritenevano che , come nel caso di primo ingresso irregolare, così anche nel caso di secondo ingresso le esigenze di celere esecuzione del rimpatrio veicolate dalla direttiva dovessero prevalere sull'applicazione della pena detentiva, che tornava ad essere applicabile una volta che fosse emersa l'impossibilità di un effettivo rimpatrio dello straniero.

 

9. Tali argomenti sono semplicemente ignorati dalla sentenza in commento. La constatazione che i casi sono diversi basta alla Corte, come abbiamo visto, per negare ogni contrasto tra la pena detentiva per il secondo ingresso e la direttiva, ignorando del tutto le esigenze di celerità nell'esecuzione del rimpatrio dell'irregolare che avevano invece ispirato la Corte in relazione alla pena detentiva emanata in occasione della prima procedura di rimpatrio. Sembrerebbe, leggendo la laconica motivazione, che l'applicabilità della direttiva sia limitata solo al primo procedimento amministrativo di espulsione e di rimpatrio, e che allo straniero cui sia già stata applicata una volta tale procedimento e sia tornato illegalmente in Italia, le prescrizioni della direttiva non si applichino più: la Corte non si esprime in modo chiaro sul punto, ma il senso del ragionamento sembra più o meno questo.

 

10. Si tratterebbe, se effettivamente fosse stata questa l'intenzione della Corte, di una affermazione molto discutibile, che certo sarebbe dovuta essere meglio motivata. Dal tenore della direttiva non emerge alcun elemento da cui possa ricavarsi la limitazione del suo ambito di applicabilità solo agli stranieri che per la prima volta sono sottoposti ad un rimpatrio, e non dunque a coloro che tornano nello Stato dopo il primo rimpatrio; anzi, le finalità di armonizzazione e di efficienza (oltre che di tutela dei diritti fondamentali) che stanno alla base della direttiva spingono esattamente nel senso opposto, di ritenere la direttiva applicabile ogniqualvolta si tratti di eseguire il rimpatrio uno straniero irregolarmente soggiornante.

 

11. A nostro giudizio, tuttavia, la Corte non aveva alcuna intenzione di fare una affermazione così impegnativa come la non applicabilità della direttiva ai casi di secondo ingresso irregolare. La sensazione che traspare dalla motivazione è che la Corte cercasse un argomento per non applicare i principi della propria giurisprudenza nel caso oggetto di giudizio, ed una volta trovato l'elemento per il distinguishing, non abbia voluto confrontarsi con gli argomenti (molto solidi, a nostro avviso)che spingevano nella direzione dell'applicazione di tali principi anche alla vicenda in esame.

 

12. Con tale sentenza ci pare possa dirsi concluso quel processo di progressivo ridimensionamento della portata dei principi di El Dridi, cui la Corte ha proceduto in tutte le sentenze successive. Prima con Achughbabian si era precisato che le pena detentiva, illegittima se applicata prima della procedura di rimpatrio, era invece conforme alla direttiva se applicata dopo l'infruttuoso esperimento dei tentativi di allontanamento; con Sagor si era stabilito che era l'applicazione della pena detentiva, e non l'apertura di un procedimento penale, ad ostacolare il rimpatrio, e dunque l'applicazione della sanzione penale prima del rimpatrio era legittima, se la sanzione era solo pecuniaria; con la sentenza in commento si stabilisce, in sostanza senza alcuna vera motivazione, che i limiti fissati all'uso della pena detentiva nelle decisioni precedenti non valgono nel caso di secondo ingresso irregolare dello straniero. Non era mai accaduto, prima di El Dridi, che una sentenza della Corte UE, pur motivata in larga parte con argomenti efficientistici, conducesse alla liberazione di migliaia di persone perché il reato per cui erano in carcere era contrario ad una normativa europea, e non era mai successo che una sentenza della Corte UE ponesse vincoli così rigorosi al potere punitivo degli Stati in una materia politicamente così sensibile come l'immigrazione. Gli sviluppi della giurisprudenza successiva mostrano che tale sentenza è stata avvertita come una fuga in avanti, una decisione eterodossa che non si mai è voluto espressamente smentire, ma di cui si è fatto il possibile per ridurre gli effetti (nei casi Achughbabian e Sagor), o per operare un distinguishing (nella sentenza in commento).

 

13. Per quanto riguarda il diritto penale dell'immigrazione italiano, questa decisione segna poi la definitiva conferma dell'applicabilità del delitto di illecito reingresso, già peraltro affermata a più riprese dai nostri giudici di legittimità. Il giudice penale dovrà verificare, come anche la sentenza in esame ha modo di rammentare, che il divieto di reingresso sia conforme a quanto prescrive la direttiva all'art. 11; e tuttavia, dopo la riforma del 2011 del TU imm. con cui è stata trasposta la direttiva, l'attuale normativa italiana sul divieto di reingresso non presenta evidenti profili di contrasto con il diritto europeo, e dunque il divieto, se emanato in conformità alla normativa interna, non dovrebbe di regola presentare profili di illegittimità comunitaria. La pena detentiva per lo straniero irregolare, che la sentenza El Dridi aveva dichiarato inapplicabile allo straniero inottemperante all'ordine di allontanamento, può essere invece applicata allo straniero che rientri la seconda volta nel nostro Paese: per le ragioni che in altre occasioni abbiamo avuto modo di esporre,  a noi non pare davvero una soluzione convincente. Ma, almeno sotto il profilo del diritto dell'Unione, la sentenza in commento ha pronunciato l'ultima parola.