11 luglio 2016 |
La Grande Sezione della Corte di giustizia UE ritiene contraria alla direttiva rimpatri la previsione di una pena detentiva per i casi di ingresso irregolare nel territorio di uno Stato membro attraverso una frontiera interna
Corte di giustizia, Grande Sezione, sent. 7 giugno 2016, Affum, C-47/15
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1. La Corte di Giustizia torna ancora una volta ad occuparsi, nella sua composizione più autorevole, della compatibilità con la direttiva rimpatri di sanzioni penali detentive applicate allo straniero extra-comunitario in ragione della propria condizione di irregolarità. Le note sentenze El Dridi ed Achughbabian (dell'aprile e del dicembre 2011) avevano ravvisato un contrasto tra il principio dell'effetto utile nell'applicazione della direttiva rimpatri e la previsione di pene detentive per lo straniero irregolarmente soggiornante, in quanto la detenzione dello straniero prima che lo Stato avesse provato ad eseguire il rimpatrio non faceva che rallentare l'esecuzione del rimpatrio stesso, quando lo scopo della direttiva era al contrario quello di delineare un sistema che, nel rispetto dei diritti fondamentali, fosse in grado di eseguire i rimpatri il più celermente possibile (per il testo dei tali decisioni, cfr. i link sopra indicati). Il tema ora all'attenzione della Corte riguarda l'applicabilità di tale principio di diritto anche ai casi non già di soggiorno irregolare, ma di ingresso irregolare nel territorio dello Stato in seguito all'attraversamento di una frontiera interna.
2. La questione è sollevata dalla Corte di Cassazione francese, chiamata a valutare il caso di una cittadina ghanese, la sig.ra Affum, che era stata sottoposta a identificazione da parte degli agenti di polizia francesi durante un controllo al punto di ingresso del tunnel sotto la Manica, mentre si trovava a bordo di un autobus proveniente dal Belgio e diretto verso l'Inghilterra. Risultata sprovvista di validi documenti di identità, la donna era stata sottoposta a fermo di polizia per il reato di ingresso irregolare nel territorio francese previsto dall'art. 621-2 n. 2 del Ceseda (Code de l'entrée et du séjour des étrangers et du droit d'asil), e punito con la pena detentiva di un anno e l'ammenda di EUR 3750 (proprio in seguito alla sentenza Achughbabian, il legislatore francese, con una legge del 31 dicembre 2012, aveva provveduto a eliminare la comminazione della pena detentiva per le ipotesi di soggiorno irregolare, ma aveva continuato a prevederla per le ipotesi di ingresso irregolare). Successivamente, in attesa del suo allontanamento dal territorio francese e della sua riammissione in Belgio (in base ad un accordo del 1964 tra Francia e Paesi del Benelux relativo alla presa in carico di persone alle frontiere comuni), il Prefetto competente aveva disposto un primo periodo di trattenimento amministrativo della durata di 5 giorni, e aveva chiesto poi al Tribunale la proroga di tale trattenimento in attesa della risposta delle autorità belghe. Nel giudizio davanti al Tribunale, la difesa aveva chiesto il rigetto della domanda del Prefetto, sostenendo che il fermo sarebbe stato illegittimo, in quanto in contrasto in particolare con la sentenza Achughbabian, e tale illegittimità originaria avrebbe viziato l'intero procedimento. Sia il Tribunale, che la Corte d'appello adita in sede di gravame, non avevano accolto le istanze della difesa, ritenendo che il fermo fosse stato legittimamente disposto. La difesa aveva allora proposto ricorso alla Corte di Cassazione, che decide di sottoporre alla Corte di Giustizia tre questioni pregiudiziali relative all'interpretazione della direttiva rimpatri.
3. Con la prima questione la Cassazione francese chiede ai giudici del Lussemburgo se la direttiva, che ai sensi dell'art. 2 § 1 "si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare", debba ritenersi applicabile anche al soggetto che transiti in autobus proveniente da un altro Stato membro e diretto in un terzo Stato membro.
La risposta della Corte è positiva. La sentenza ricorda come la nozione di soggiorno irregolare sia fornita dall'art. 3 punto 2 della direttiva, per cui si definisce tale la "presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d'ingresso di cui all'art. 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d'ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro". Alla luce di tale definizione, e considerato altresì come, tra i motivi per cui l'art. 2 § 2 della direttiva consente agli Stati di sottrarsi all'applicazione della direttiva, non vi sia alcun riferimento al carattere temporaneo o transitorio della permanenza, la Corte conclude che "poiché il cittadino di un paese terzo che viaggia a bordo di un autobus attraverso il territorio di uno Stato membro in violazione delle condizioni d'ingresso, di soggiorno o di residenza si trova comunque sul territorio di quest'ultimo, egli vi soggiorna in modo irregolare, ai sensi dell'art. 3 § 2 della direttiva 2008/115, e ricade quindi nell'ambito di applicazione di tale direttiva, conformemente all'art. 2 della stessa" (§ 49).
4. Con la seconda e terza questione pregiudiziale, che la Corte decide di esaminare congiuntamente, la Cassazione francese chiede rispettivamente alla Corte se la direttiva osti ad una normativa nazionale che reprime con la sanzione detentiva l'ingresso irregolare dello straniero, qualora lo stesso possa essere ripreso da un altro Stato membro, ai sensi di un accordo concluso prima dell'entrata in vigore della direttiva, e se i principi fissati dalla sentenza Achughbabian in relazione alle ipotesi di soggiorno irregolare siano applicabili anche nelle ipotesi di ingresso irregolare.
5. La Corte, richiamati i principi affermati nelle sentenze El Dridi ed Achughbabian, rileva innanzitutto come "nel contesto della direttiva 2008/115, le nozioni di 'soggiorno irregolare' e di 'ingresso irregolare' sono strettamente connesse, dal momento che un tale ingresso costituisce una delle circostanze di fatto che possono determinare il soggiorno irregolare" (§ 60): non vi è dunque ragione per non ritenere applicabili anche ai casi di ingresso irregolare, che determini un soggiorno irregolare, i principi già enunciati a proposito del soggiorno irregolare, con la conseguenza che anche nei casi di ingresso irregolare la reclusione per reati legati alla condizione di irregolarità non è ammessa prima che sia stata esperita la procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva.
6. Vengono poi puntualmente confutati i diversi argomenti addotti dal Governo francese per escludere l'applicazione dei principi di El Dridi ed Achughbabian nel caso di specie.
7. Il Governo francese riteneva che fosse invocabile la clausola di cui all'art. 2 § 2 lett. a della direttiva, secondo cui gli Stati membri possono decidere di non applicare la direttiva agli stranieri "sottoposti a respingimento alla frontiera conformemente all'art. 13 del codice frontiere Schengen ovvero fermati o scoperti dalle competenti autorità in occasione dell'attraversamento irregolare via terra, mare o aria della frontiera esterna di uno Stato membro e che non hanno successivamente ottenuto un'autorizzazione o un diritto di soggiorno in tale Stato membro". Diversi sono gli argomenti addotti dalla sentenza per escludere la rilevanza di tale disposizione nel caso di specie. La Corte fa innanzitutto notare che la norma si riferisce a casi di attraversamento di una frontiera esterna di uno Stato membro, e non di una frontiera comune a Stati membri facenti parte dello spazio Schengen (§ 69). Quanto poi alla circostanza che la sig.ra Affum sia stata scoperta mentre tentava di lasciare lo spazio Schengen attraverso il tunnel sotto la Manica, la Corte ricorda come l'art. 2 faccia riferimento alle ipotesi di ingresso e non di allontanamento da tale area, posto che l'allontanamento "corrisponde all'obiettivo della direttiva, consistente nel privilegiare la partenza volontaria degli cittadini di paesi terzi" (§ 71). Infine, la deroga di cui all'art. 2 è limitata ai casi in cui il fermo dello straniero avvenga "in occasione dell'attraversamento" della frontiera, e dunque richiede uno stretto legame spazio-temporale con l'attraversamento, che non sussiste nel caso di specie, visto che l'attraversamento della frontiera tra Belgio e Francia risaliva a diverse ore prima dell'individuazione dello straniero da parte delle forze di polizia alla frontiera con la Gran Bretagna (§ 72).
8. Il Governo francese aveva inoltre invocato l'art. 6 § 3 della direttiva ("Gli Stati membri possono astenersi dall'emettere una decisione di rimpatrio nei confronti di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio è irregolare qualora il cittadino in questione sia ripreso da un altro Stato membro in virtù di accordi o intese bilaterali vigenti alla data di entrata in vigore della presente direttiva"), ritenendo che tale disposizione introducesse una deroga all'applicabilità della direttiva, quando, come nel caso di specie, lo straniero irregolare era destinato ad essere ripreso da un altro Stato membro (il Belgio) in virtù del già citato accordo del 1964. La Corte replica che, come si desume dallo stesso tenore letterale della norma, essa non introduce affatto una deroga all'applicabilità della direttiva, ma solo all'obbligo per gli Stati di emettere una decisione di rimpatrio, che risulta inutile quando lo straniero debba essere ripreso in altro Stato membro in virtù di un accordo internazionale. Anche in tali ipotesi, dunque, gli Stati sono vincolati al rispetto di tutti gli altri obblighi derivanti dalla direttiva, tra cui quello, rilevante nel caso di specie, di non applicare una sanzione penale detentiva prima di aver sottoposto lo straniero alla procedura di allontanamento.
9. Il Governo francese riteneva, infine, che il divieto di applicare sanzioni detentive allo straniero irregolare fosse in contrasto con l'art. 4 § 3 del codice frontiere Schengen ("gli Stati membri impongono sanzioni, a norma della legislazione nazionale, in caso di attraversamento non autorizzato delle frontiere esterne al di fuori dei valichi di frontiera e degli orari di apertura stabiliti. Tali sanzioni sono effettive, proporzionate e dissuasive"). La sentenza replica in primo luogo che tale articolo non impone di istituire pene detentive, sicché per gli Stati è possibile ottemperare a tale obbligo pur rispettando gli obblighi derivanti dalla direttiva (§ 90), e segnala inoltre che la norma invocata riguarda i casi di attraversamento delle frontiere esterne, e non, come nel caso di specie, di frontiere interne allo spazio Schengen (§ 91).
10. In relazione dunque al secondo e terzo quesito sottopostole, la Corte afferma che "la direttiva 2008/115 dev'essere interpretata nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro che consenta, in conseguenza del mero irregolare ingresso attraverso una frontiera interna, il quale determina il soggiorno irregolare, la reclusione di un cittadino di un Paese terzo, nei confronti del quale non sia stata ancora conclusa la procedura di rimpatrio prevista dalla direttiva stessa. Tale interpretazione vale anche nel caso in cui il cittadino in questione possa essere ripreso da un altro Stato membro, in applicazione di un accordo o di un'intesa ai sensi dell'art. 6 § 3 della direttiva medesima" (§ 94).
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11. La decisione appena sintetizzata ci pare sintomatica delle resistenze che i principi affermati dalla Corte di giustizia nelle sentenze El Dridi ed Achughbabian continuano ad incontrare nella loro applicazione in sede interna.
In effetti, i quesiti formulati dalla Cassazione francese, ed in grado ancora maggiore gli argomenti proposti dal Governo francese nel giudizio davanti alla Corte di giustizia, ci paiono talmente fragili, da apparire ai limiti del pretestuoso. C'era davvero bisogno dell'intervento della Corte di giustizia per decidere, ad esempio, che rientra nella nozione di soggiorno irregolare anche chi si trovi in transito sul territorio di uno Stato membro, quando nessun elemento della direttiva 115/2008 fa neppure implicitamente riferimento alla durata o alla stabilità del soggiorno? O ancora, è ragionevole sostenere che si applichi la deroga prevista all'art. 2 per i casi di respingimento alla frontiera, in un caso in cui lo straniero è scoperto non al momento dell'ingresso, ma dell'uscita dall'area Schengen, quando - come ricorda giustamente la sentenza - lo scopo della direttiva è proprio quello di favorire l'allontanamento dell'irregolare da tale area?
L'impressione è che tanto la Cassazione, quanto il Governo francese, abbiano difficoltà ad accettare i principi della giurisprudenza della Corte di giustizia in relazione all'interpretazione dei rapporti tra sanzione penale detentiva e direttiva rimpatri, e, pur essendo chiara l'applicabilità di tali principi anche ad ipotesi come quelle oggetto del caso a quo, abbiano in sostanza sollecitato la Corte, se non a rivedere tali principi, almeno a confinarli entro i limiti strettamente delineati dalla pronuncia Achughbabian, anche a costo di seguire percorsi ermeneutici decisamente discutibili.
Nella sentenza Celaj dell'ottobre scorso, a dire il vero, la Corte aveva a nostro avviso effettuato proprio un'operazione del genere. Richiesta di verificare se i principi di El Dridi e di Achughbabian si applicassero anche nelle ipotesi di reingresso irregolare dopo un primo rimpatrio, la Corte, con una motivazione molto povera, aveva escluso tale possibilità, mostrando la volontà di operare un frettoloso distinguishing che lasciasse liberi nei casi di reingresso gli Stati di ricorrere alla sanzione detentiva anche prima dell'applicazione della procedura di rimpatrio (nella sentenza qui in commento, al § 64 viene citata la pronuncia di ottobre, semplicemente per segnalare che la fattispecie ora in esame è diversa da quella di reingresso irregolare; per il testo della sentenza Celaj e per una sua breve analisi, sia consentito il rinvio a Masera, La Corte di giustizia UE dichiara il delitto di illecito reingresso dello straniero espulso (art. 13 co. 13 TU imm.) conforme alla direttiva rimpatri (2008/115/CE), in questa Rivista, 5 ottobre 2015).
Nella sentenza ora in commento, la Corte non prosegue tale opera di ridimensionamento della portata della propria giurisprudenza, e, ritenendo che l'ingresso ed il soggiorno irregolare siano nozioni inscindibilmente connesse (visto che dall'ingresso irregolare deriva necessariamente, salvo i casi di respingimento, un soggiorno irregolare), reputa applicabili i principi affermati in El Dridi ed Achughbabian nelle ipotesi di soggiorno irregolare, anche nei casi di ingresso irregolare. Una risposta diversa alla questione posta dalla Cassazione francese, considerato proprio lo strettissimo legame logico-giuridico tra ingresso e soggiorno irregolare, avrebbe in effetti comportato un sostanziale azzeramento della portata applicativa dei principi affermati nel 2011: la Corte di giustizia ha invece tenuto fermi tali principi, confermando la propria giurisprudenza di fronte alla surrettizia richiesta di revirement proveniente da Parigi.
12. Nonostante la chiarezza argomentativa della decisione, non è tuttavia da escludere che, proprio in relazione alla disciplina penale francese, si pongano in futuro nuovi problemi relativi all'applicabilità della sanzione penale detentiva prevista per i casi di ingresso irregolare.
La norma francese che punisce con la pena detentiva di un anno e con un'ammenda di EUR 3750 l'ingresso irregolare (art. 621-2 Ceseda), è strutturata in due diverse sotto-fattispecie: la prima (art. 621-2 n. 1) applicabile ai casi di ingresso irregolare attraverso una frontiera esterna dello spazio Schengen, la seconda (art. 621-2 n. 2) attraverso una frontiera interna. Il procedimento nel cui ambito è stata proposta la questione pregiudiziale aveva ad oggetto un caso di ingresso irregolare attraverso una frontiera interna (la fattispecie sulla cui base la polizia aveva proceduto al fermo era appunto l'art. 621-2 n. 2). E' vero che la questione pregiudiziale posta dalla Cassazione francese faceva riferimento all'ingresso irregolare in generale, senza distinguere tra attraversamento di una frontiera interna o esterna, ma la Corte di giustizia ha voluto attenersi ad un criterio rigoroso di rilevanza, statuendo solo sulla vicenda concreta oggetto del giudizio a quo: non solo nella motivazione si precisa che, proprio in ragione della fattispecie oggetto del procedimento principale, non è necessario stabilire se è compatibile con la direttiva la diversa fattispecie di cui all'art. 621-2 n. 1 (§ 76), ma nel dispositivo si fa espressamente riferimento all'ingresso irregolare "attraverso una frontiera interna".
Non è allora da escludere che, in un prossimo futuro, la questione della legittimità della pena detentiva nei casi di ingresso irregolare giunga nuovamente all'attenzione della Corte di giustizia, in relazione questa volta alle ipotesi di attraversamento irregolare delle frontiere esterne. In realtà, molti degli argomenti utilizzati dalla sentenza per giustificare l'applicabilità dei principi di El Dridi ed Achughbabian anche ai casi di ingresso irregolare (ed in primis l'argomento, a nostro avviso dirimente, dell'inscindibile connessione tra ingresso e soggiorno irregolare) sono perfettamente applicabili anche ai casi di attraversamento irregolare delle frontiere esterne, e non solo di quelle interne. Tuttavia, considerata la pervicace resistenza dei giudici francesi all'applicazione dei principi in questione, non è improbabile che venga in futuro sollevata una nuova questione pregiudiziale, relativa questa volta alla compatibilità con la direttiva rimpatri dell'art. 621-2 n. 1 Ceseda.
13. Venendo infine a valutare le ricadute della decisione in commento sul nostro ordinamento, non ci pare vi siano conseguenze di alcun tipo per il giudice italiano.
Dopo la sentenza El Dridi, infatti, il nostro legislatore ha rinunciato alla pena detentiva per le diverse ipotesi di ingresso e soggiorno irregolare, con l'unica eccezione del reingresso irregolare, punito ancora oggi con la pena della reclusione da uno a quattro anni (art. 13 co. 13 TUI: la compatibilità di tale disposizione con la direttiva rimpatri è stata oggetto di scrutinio nella già citata sentenza Celaj della Corte di giustizia UE). L'ingresso ed il soggiorno irregolare sono puniti, come noto, dall'art. 10bis TUI con la sola sanzione dell'ammenda, che al ricorrere di determinati presupposti può essere sostituita dal giudice di pace con l'espulsione. La Corte di giustizia, nella sentenza Sagor del 2012, ha già chiarito la compatibilità di tale incriminazione con la direttiva rimpatri, posto che la pena pecuniaria non è d'ostacolo all'esecuzione dell'espulsione, ed a condizione che l'espulsione come sanzione sostitutiva venga applicata solo al ricorrere dei requisiti di cui all'art. 7 § 4 della direttiva, ove sono indicate le situazioni in cui gli Stati possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria (per il testo della sentenza e per una sua analisi, cfr. Viganò, La Corte di giustizia UE su articolo 10 bis t.u. immigrazione e direttiva rimpatri, in questa Rivista, 7 dicembre 2012).
La pressoché integrale rinuncia del nostro sistema penale alla sanzione detentiva per lo straniero irregolare esclude, dunque, possibili profili di contrasto con la giurisprudenza El Dridi ed Achughbabian, che, secondo l'interpretazione fornitane dalla Corte stessa nella sentenza Sagor, non limita in alcun modo la potestà degli Stati di ricorrere alla sanzione penale pecuniaria. Per quanto concerne il nostro tanto discusso art. 10bis, la questione è allora tutta di politica-criminale nazionale (per una ricostruzione delle vicende relative alla prevista depenalizzazione di tale fattispecie nella legge delega n. 67/2014, ed al suo mancato inserimento da parte del Governo tra i reati oggetto di depenalizzazione ad opera dei decreti delegati n. 7 e 8/2016, cfr. tra gli altri Sotis, Punire per un fatto che la legge ha stabilito non essere più reato?, in questa Rivista, 3 novembre 2015, e Losappio, Riflessioni critiche sul preteso effetto abrogativo della delega di depenalizzazione specifica, ibidem, 24 febbraio 2016). Ma sotto il profilo europeo, tale norma incriminatrice (come le altre presenti nel nostro attuale sistema di incriminazione delle condotte di ingresso e soggiorno irregolare) non ci pare presentare, rispetto alla direttiva rimpatri, elementi di particolare criticità, nemmeno alla luce dei nuovi approdi giurisprudenziali raggiunti con la sentenza in commento.