ISSN 2039-1676


20 novembre 2014 |

Nota di commento alle ordinanze dell'ufficio di sorveglianza di Bologna in ordine alla concessione del rimedio di cui all'art. 35 ter o.p.

Magistrato di Sorveglianza di Bologna, ud. 26 settembre 2014 e 8 ottobre 2014, Est. Napolitano

Clicca qui per leggere l'ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Bologna, 26 settembre 2014.

Clicca qui per leggere l'ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Bologna, 8 ottobre 2014.

 

1. La magistratura di sorveglianza di Bologna prende posizione in ordine alla concessione di riduzione di pena a titolo di risarcimento in favore di detenuti e internati, che siano stati sottoposti a trattamenti inumani o degradanti, in violazione dell'articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo - CEDU[1], precisando in modo autorevole e conforme alla ratio della norma i presupposti di ammissibilità della domanda.

Si rileva infatti come il problema principale riscontrato nelle prime decisioni in materia, consista nella valorizzazione da dare all'art. 35 ter o.p., laddove questa norma richiama l'art. 69 c. 6 lett. b) ord. penit., ossia laddove si fa riferimento ad un "pregiudizio attuale e grave all'esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati".

In particolare con le ordinanze in commento, l'ufficio di sorveglianza felsineo si contrappone all'interpretazione difforme elaborata da altri magistrati di sorveglianza[2] circa la necessità - a pena di inammissibilità della domanda - di un pregiudizio grave afferente ad una condizione detentiva tuttora in corso da parte del reclamante al momento della decisione da parte del magistrato.

 

2. Nelle ordinanze dell'ufficio di sorveglianza di Bologna in commento si precisa come "Il legislatore non ha formulato una fattispecie normativa unica in cui l'art. 35 ter o.p. si pone come un corollario dell'art. 35 bis o.p., ma ha disciplinato articolatamente una diversa tutela a titolo compensativo risarcitorio che non incide sul futuro ma riguarda il passato, ossia le gravi lesioni dei diritti patite nel corso della detenzione relativa al titolo in attuale espiazione".

Osserva, correttamente, il magistrato di sorveglianza di Bologna che la norma di cui all'art. 35 ter o.p. si contraddistingue "nettamente" dalla disciplina del reclamo giurisdizionale introdotto dal d.l. 23 dicembre 2013, convertito nella legge 21 febbraio 2014, che ha inserito l'art. 35 bis nel corpus dell'ordinamento penitenziario.

L'introduzione dell'art. 35 bis dell'ordinamento penitenziario ha, infatti, la finalità precipua di consentire, a seguito di reclamo al magistrato di sorveglianza, l'immediata rimozione di situazioni tali da violare i diritti del detenuto, prevedendosi altresì uno specifico rimedio mutuato sullo schema del giudizio amministrativo di ottemperanza.

Per quanto attiene alla materia della violazione dei diritti dei detenuti, il presupposto della tutela giurisdizionale è che si accerti "la sussistenza e l'attualità del pregiudizio" (cfr. art. 35 bis comma 3, secondo periodo), il quale anzi, a norma della nuova formulazione dell'art. 69, comma 6, lett. b), deve essere anche "grave". In caso ricorra detto presupposto, e quindi il pregiudizio risulti tuttora perdurante, il magistrato di sorveglianza "ordina all'amministrazione di porre rimedio".

 

3. Per quanto concerne il sistema di rimedio introdotto con l'art. 35 ter o.p. si rileva, invero, come la norma in questione, nell'ultima parte del primo comma, precisi come il destinatario del nuovo regime di tutela, sia da individuare nel detenuto che "ha subito il pregiudizio".

Ne segue che la legittimazione attiva a promuovere l'azione di cui all'art. 35 ter o.p. competa a colui che "ha subito" il pregiudizio e non esclusivamente a colui che in atto "subisce" il pregiudizio dei suoi diritti.

La terminologia operata dal legislatore non appare priva di significato in quanto rileva per l'appunto la volontà del legislatore di porre un rimedio compensativo e risarcitorio non strettamente connesso con l'attualità della lesione dei diritti del detenuto, quanto piuttosto un regime di tutela che per l'appunto compensi e risarcisca di un danno già sofferto e che tutt'ora il detenuto eventualmente stia subendo.

Anche sotto un profilo logico, appare evidente come si possa attribuire al reclamo giurisdizionale di cui all'art. 35 bis o.p. la funzione primaria di eliminare l'attualità del pregiudizio, chiedendo al magistrato di sorveglianza di ordinare all'Amministrazione di eliminare il pregiudizio grave ed attuale, che ovviamente deve permanere nel corso del procedimento dinnanzi al magistrato di sorveglianza, posto che altrimenti nessun ordine vincolante potrebbe essere rivolto all'Amministrazione se il pregiudizio non fosse più attuale.

Sul punto si è osservato come "Se l'applicazione giurisprudenziale del nuovo art. 35 ter o.p., pure fondata su importanti ragioni di interpretazione sistematica e di coordinamento del rimedio con l'art. 69 6° comma lettera b) o.p. e discendenti anche dalla natura stessa del reclamo, individuerà in modo consistente nella "attualità" della lesione e non del titolo detentivo il criterio distributivo della competenza tra magistrato di sorveglianza e tribunale civile, è probabile che venga fortemente circoscritta la vera innovazione normativa, costituita dall'introduzione del rimedio della riduzione della pena e dall'aver fornito per la prima volta al magistrato di sorveglianza un fondamento per risarcire il danno non patrimoniale da inumana detenzione. Solo nei limitati casi in cui non solo il titolo detentivo è ancora in esecuzione, ma anche l'inumana detenzione è ancora attuale, verrà decurtata proporzionalmente la pena"[3].

Deve infatti convenirsi che, allorquando si volesse accogliere l'impostazione di parte della magistratura di sorveglianza sopra citata, il ruolo attribuito al magistrato di sorveglianza in favore del detenuto finirebbe per essere non un rimedio efficace e di carattere primario, bensì un rimedio secondario e di scarsa concreta rilevanza.

 

4. Peraltro se si considera, anche sotto un aspetto meramente pratico, che l'istanza non deve essere necessariamente presentata da un difensore procuratore speciale, ma può essere presentata anche personalmente dal detenuto, si comprende bene come il detenuto sarebbe impedito materialmente di agire personalmente in ambito civile sino a quando lo stato di detenzione non sia cessato, con ciò verificandosi un differimento nel tempo del risarcimento del danno sofferto nonché l'esclusiva possibilità di ottenere un risarcimento in forma equivalente (di natura patrimoniale).

Sul punto appare di notevole interesse anche l'osservazione secondo la quale la Corte di Strasburgo ha inteso in più occasione rafforzare l'accessibilità da parte dei detenuti ad una effettiva tutela giurisdizionale - "intesa non solo come possibilità di reclamare una decisione afflittiva dell'Amministrazione penitenziaria in conformità all'articolo 6 CEDU[4], ma anche di ottenere un'effettiva tutela risarcitoria per gli inumani trattamenti subiti in sede di esecuzione della pena, in applicazione dell'Articolo 13 letto in connessione con l'articolo 3 CEDU[5]"[6]- conseguentemente, si ritiene come la previsione di una permanenza di attualità di violazione dell'art. 3 CEDU da parte del ricorrente detenuto al fine di vedersi riconoscere dal magistrato di sorveglianza un risarcimento in primis in forma specifica e/o in subordine in forma equivalente, impedisca di fatto al detenuto stesso di esercitare pienamente ed efficacemente ai propri diritti.

Trattandosi peraltro di diritti di rilevante importanza - ossia di non subire trattamenti disumani ex art. 3 CEDU - appare evidente come si debba interpretare la normativa nel senso in cui la stessa possa maggiormente tutelare il detenuto per la grave violazione patita.

 

5. Nel caso di attivazione del rimedio compensativo e/o risarcitorio ex art. 35 ter O.P., a ben vedere, la necessità della permanenza della lesione al fine di ottenere ristoro del danno/pregiudizio non appare, non solo espressamente richiesto dalla normativa, ma nemmeno indispensabile sotto un profilo logico-giuridico.

Parte della magistratura di sorveglianza, invero, pone a supporto della necessità del presupposto dell'attualità della lesione il parere espresso dal CSM in data 30 luglio 2014, secondo il quale le domande azionabili al magistrato di sorveglianza sarebbero solo quelle riferibili a situazioni in cui la lesione dei diritti della persona incarcerata, conseguente al sovraffollamento, fosse attuale al momento della richiesta di accertamento e non si fosse ormai consumata (per essersi, ad esempio, esaurita la situazione di sovraffollamento).

In particolare tale conclusione si baserebbe sul riferimento del comma primo dell'art.1 della legge al "pregiudizio di cui all'articolo 69 comma 6 lett. b)" che, qualora consistente in condizioni detentive tali da violare l'art.3 CEDU, legittima la richiesta dei rimedi risarcitori: siccome l'art.69 comma 6 lett. b) qualifica il pregiudizio a quei fini rilevante come "grave" ed "attuale", la non attualità della lesione comporterebbe l'inammissibilità del ricorso al magistrato di sorveglianza e la possibilità, per l'interessato, di adire il giudice civile dopo la scarcerazione.

Sotto questo profilo, correttamente si osserva che "l'accento posto sulle aggettivazioni che accompagnano il 'pregiudizio' di cui all'ar.69 comma 6 appare incongruo se si ha riguardo all'attributo 'grave': ipotizzando di applicare pari rigore interpretativo e di assegnare, quindi, un significato proprio e dirimente alla 'gravità' del pregiudizio - secondo la previsione dell'art.69 comma 6 o.p. - ci si dovrebbe poter rappresentare l'eventualità di una condizione detentiva tale da violare l'art.3 CEDU e tuttavia non 'grave'"[7].

In quest'ultima ipotesi, infatti, appare di evidenza come al magistrato di sorveglianza si chieda di accertare un fatto lesivo passato, che tutt'al più può anche avere degli effetti lesivi permanenti al momento della celebrazione del procedimento camerale, ma che non debbano necessariamente essere sussistenti al momento della decisione.

All'uopo si precisa ulteriormente come la previsione di uno "sconto di pena" di 1 giorno per ogni 10 giorni di lesione non possa che ancorarsi ad un periodo di detenzione già espiato in condizione disumana e non possa che riguardare il futuro; non potendosi ovviamente prevedere un "sconto di pena" per un ipotetico periodo di tempo da scontare in condizioni disumane.

L'art. 35 ter o.p. si ribadisce, infatti, ha una funzione compensativa e risarcitoria di un danno già sofferto, mentre piuttosto è la previsione di cui all'art. 35 bis o.p. a dover impedire il protrarsi di condizioni di detenzione in violazione dell'art. 3 CEDU.

A ben vedere, infatti, l'interpretazione che richiede l'attualità del pregiudizio, in definitiva, attribuirebbe al magistrato di sorveglianza la competenza alla liquidazione dei rimedi risarcitori solo in funzione di una tutela giurisdizionale che, per essere diretta a riparare un pregiudizio in atto, non potrebbe non essere anche inibitoria: in tale modo la liquidazione stessa dei rimedi risarcitori verrebbe a configurarsi alla stregua di uno dei possibili esiti del reclamo ex art. 35 bis o.p.; quando, invece, si appalesa chiaramente dal tenore dello stesso art.1 d.l. n. 92/2014 e dalle disposizioni transitorie di cui all'art. 2 che l'azione di cui all'art.35 ter è stata voluta dal legislatore ed è descritta dalla normativa in esame come autonoma e indipendente rispetto al reclamo volto a far cessare la violazione dei diritti.

 

6. Il magistrato di sorveglianza di Bologna cala poi il dettato normativo nel contesto quotidiano della realtà carceraria, evidenziando correttamente come si possa individuare una prassi dell'amministrazione di determinare una costante variazione nel tempo delle presenze dei detenuti in cella.

Il magistrato di sorveglianza di Bologna rileva come "ben difficilmente i reclami dei detenuti nel territorio nazionale potranno riguardare una violazione attuale al momento della domanda e della decisione, tenuto conto, altresì, dei tempi intercorrenti per la necessaria istruttoria e lo svolgimento del giudizio", ne segue che "l'ancorare e limitare la tutela giurisdizionale del magistrato di sorveglianza al parametro dell'attualità della lesione , e non al pregiudizio subito in costanza di espiazione di pena attuale, conduce a svuotare sostanzialmente la portata della novella"[8].

Si osserva infatti come l'interpretazione elaborata da alcuni magistrati di sorveglianza, di richiedere l'attualità del pregiudizio, come condizione di ammissibilità della domanda di ristoro del detenuto davanti all'ufficio di sorveglianza, comporti inevitabilmente non solo un ritardo nella risposta compensativa dell'ordinamento giudiziario, con ulteriore vulnus ai diritti del detenuto, ma anche uno svuotamento della previsione di sconto di pena come compensazione del danno subito.

Se infatti il detenuto, tutt'ora in fase di espiazione di pena, che ha patito un trattamento carcerario in violazione dell'art. 3 CEDU non più attuale, non potesse avanzare al magistrato di sorveglianza una richiesta di compensazione di sconto di pena di un giorno per ogni dieci giorni di detenzione disumana, si svuoterebbe di significato la novella normativa, impedendo una forma di risarcimento in forma specifica, e soprattutto non rispettando i criteri compensativi elaborati dalla Corte Europea dei diritti dell'Uomo.

Appare infatti evidente come l'eventuale avvio di un procedimento civile dovrebbe prevedersi al termine della detenzione (ciò essendo confermato anche secondo il parere del CSM), con conseguente esclusione in primis della riduzione di pena come strumento di compensazione e con previsione in concreto di un mero risarcimento del danno per equivalente di carattere pecuniario.

Si ritiene quindi che la disciplina di cui all'art. 35 ter o.p. abbia piuttosto previsto una competenza funzionale della magistratura di sorveglianza per fornire tutela al detenuto nel periodo di espiazione della pena, con previsione, in caso di violazione dell'art. 3 CEDU, in via principale di un rimedio compensativo di riduzione di pena (sconto di un giorno per ogni dieci giorni di detenzione disumana) e solo in via subordinata, allorquando il detenuto ha già espiato la pena, di un risarcimento del danno per equivalente, di natura pecuniaria.

Nell'ambito di tale sistema, quindi, la previsione di una tutela risarcitoria davanti al tribunale ordinario (entro sei mesi dalla cessazione della pena) deve intendersi quale tutela sussidiaria e residua, allorquando l'interessato non sia più in espiazione di pena detentiva.

Il discrimine dunque per l'interessato tra presentare istanza dinnanzi al magistrato di sorveglianza ovvero ad agire in sede civile dinnanzi al tribunale ordinario deve rinvenirsi non tanto nell'attualità del pregiudizio lamentato, quanto nell'attualità della espiazione della pena; conseguentemente se l'interessato si trova ristretto in carcere - anche se il pregiudizio subito non è più attuale - il detenuto potrà azionare il rimedio compensativo al magistrato di sorveglianza.

A ben vedere tale ultima interpretazione risulta altresì confortata dalla disciplina letterale dell'art. 35 ter o.p., ove espressamente si indica la competenza a decidere del giudice ordinario qualora la lesione dei diritti del detenuto riguardi la custodia cautelare in carcere non computabile nella determinazione della pena da espiare, oppure quando sia intervenuta l'integrale espiazione della pena.

 

7. L'ordinanza del magistrato di sorveglianza, emessa in data 8 ottobre 2014, risulta meritevole di nota altresì per aver chiarito come la violazione dell'art. 3 CEDU non possa dirsi insussistente esclusivamente sulla base del rispetto di uno spazio vitale minimo di almeno 3 mq per detenuto.

Nell'ordinanza de qua, si rileva come "seppure al netto di detto mobilio essenziale la metratura della cella risulta di poco superiore a 3 mq e non sussista, pertanto, flagrante violazione di per sé sola sufficiente a integrare il grave pregiudizio, tuttavia va, nella specie, ritenuto non rispettato il disposto di cui all'art. 3 Convenzione EDU, coniugata l'esiguità dello spazio di vivibilità disponibile pro capite con altri fattori in concreto di rilevante negativa portata e frutto, anche, di inosservanza della normativa penitenziaria nazionale".

Ne segue che, se la stessa giurisprudenza della Corte Europea ha statuito che sicuramente al di sotto dei 3 mq per ciascun detenuto (cfr. sentenza Sulejmanovic v. Italia del 16 luglio 2009), si determina una presunzione iuris et de iure di assenza di spazio minimo vitale in violazione art. 3 CEDU, non si può ritenere che allorquando il detenuto fruisca di uno spazio maggiore di 3 mq, per questo solo dato oggettivo numerico, debba rigettarsi le doglianze del detenuto.

L'ordinanza in questione sottolinea, infatti, come sia doveroso verificare, oltre che il dato della dimensione dello spazio vita del detenuto, anche altre condizioni essenziali per una detenzione dignitosa e rispettosa degli esigenze primarie dell'interessato.

Nel caso di specie, in particolare, il magistrato di sorveglianza si sofferma sul disagio per i detenuti nel non poter fruire contemporaneamente di un tavolo per poter mangiare, l'assenza di stabile circolazione d'aria nel bagno cieco, senza finestra, attiguo alla stanza, l'assenza di punti luce che consenta ai singoli detenuti una lettura individuale, oltre alla circostanza di una luce principale della camera azionata con sistema centralizzato, senza pulsanti di accensione/spegnimento, in violazione dell'art. 6 d.P.R. 230/2000.

Nel caso de quo, si rimprovera altresì all'amministrazione che nel reparto giudiziario sia stata apposta una grata alla finestra di ciascuna cella che sacrifica la libera visione dei ristretti in tale settore senza essere tale situazione giustificata da eccezionali motivi di sicurezza.

 

8. Orbene, a parere di chi scrive, la soluzione prospettata dall'ufficio di sorveglianza di Bologna meglio riflette quale sia la ratio dell'art. 3 Cedu - anche alla luce della sensibile giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo in materia- che non consiste in una previsione di carattere esclusivamente astratta, ovvero di una indicazione meramente numerica del concetto di spazio vitale, bensì che comporta per l'amministrazione penitenziaria il dovere in concreto di rendere la detenzione in carcere una sanzione che non viola i diritti della persona umana e che consenta peraltro all'esecuzione della pena di raggiungere lo scopo primario della pena stessa alla luce dell'art. 27 Cost.

Ne segue che la previsione dell'istituto di cui all'art. 35 ter o.p. perderebbe di efficacia se dovesse ancorare la sua applicazione all'attualità del pregiudizio del detenuto al momento della decisione da parte del magistrato di sorveglianza, posto che nelle more della fissazione dell'udienza potrebbero verificarsi modifiche dello stato di detenzione non prevedibili da parte del ricorrente al momento della presentazione della domanda e financo si escluderebbe la possibilità del detenuto del beneficiare di una compensazione in forma specifica del danno subito, intesa come sconto di pena per ogni dieci giorni di detenzione disumana.

 


[1] Sul tema si richiamano le prime riflessioni di A. Della Bella, Il risarcimento per i detenuti vittime di sovraffollamento: prima lettura del nuovo rimedio introdotto dal d.l. 92/2014, in questa Rivista, 13 ottobre 2014.

[2] Cfr. decreto Mag. Sorv. Vercelli 24.9.2014, est. Fiorentin; decreto Mag. Sorv. Alessandria 31.10.2014, est. Vignera, in questa Rivista. Cfr inoltre F. Fiorentin, I nuovi rimedi risarcitori della detenzione contraria all'art. 3 CEDU. Le lacune della disciplina e le interpretazioni controversie, in questa Rivista, 6 novembre 2014.

[3] P. Gori, Art. 3 CEDU e risarcimento da inumana detenzione, in www.questionegiustizia.it

[4] Enea c. Italia, No.74912/01, [GC] 17 settembre 2009, § 108 e ss.

[5] Serdar Güzel c. Turchia, No. 39414/06, [C] 15 marzo 2011, § 47 e ss..

[6] P. Gori, Art. 3 CEDU, cit.

[7] Ordinanza Ufficio di Sorveglianza per le circoscrizioni dei Tribunali di Genova, Savona e Imperia, est. Daniela Verrina edita il 10 ottobre 2014 in www.conams.it

[8]Ordinanze Magistrato di Sorveglianza di Bologna, 26 settembre 2014 e 8 ottobre 2014, est. Napolitano, cit