ISSN 2039-1676


23 marzo 2016 |

Presunzione di innocenza e diritto di partecipare al giudizio: due garanzie fondamentali del giusto processo in un'unica Direttiva dell'Unione europea

Direttiva 2016/343/UE del 9 marzo 2016 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali

clicca qui per scaricare il testo della Direttiva 2016/343/UE

 

1. Con la recente Direttiva 2016/343/UE del 9 marzo 2016 (in G.U.U.E., 11 marzo 2016, L 65/1), il Parlamento europeo e il Consiglio hanno adottato norme minime comuni, ai sensi dell'art. 82 par. 2 TFUE, relative ad alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al giudizio, racchiudendo, in un unico atto normativo, due garanzie fondamentali del "giusto processo penale europeo".

Tale iniziativa si inserisce all'interno del più ampio obiettivo di sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia che, conformemente a quanto sancito nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 1999[1], si fonda, come è noto, sul principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, l'autentica "pietra angolare" della cooperazione giudiziaria nell'Unione europea, che presuppone una reciproca fiducia nei rispettivi sistemi di giustizia penale e costituisce lo strumento più efficace per il ravvicinamento delle legislazioni nazionali dei Paesi membri dell'Unione.[2]

Se, in un primo momento, l'opera di armonizzazione ha privilegiato gli strumenti normativi, volti a implementare l'efficienza della giustizia penale in un'ottica prevalentemente preventiva e repressiva, a partire dal 2009 l'ambito di intervento delle istituzioni europee è stato esteso in senso garantistico, andando ad interessare anche i diritti della difesa.[3] A tal riguardo, è opportuno ricordare che il Consiglio ha adottato una risoluzione relativa a una "tabella di marcia" per il rafforzamento dei diritti di indagati o imputati in procedimenti penali, la quale invitava le istituzioni ad adottare misure concernenti il diritto alla traduzione e all'interpretazione (misura A), il diritto a informazioni relative ai diritti e all'accusa (misura B), il diritto alla consulenza legale e all'assistenza legale (misura C), il diritto alla comunicazione con familiari, datori di lavoro e autorità consolari (misura D) e garanzie speciali per gli indagati o imputati vulnerabili (misura E)[4].

Tale risoluzione è stata successivamente recepita nel Programma di Stoccolma, con il quale il Consiglio europeo non si limitava a sollecitare la Commissione a presentare le proposte previste nella tabella di marcia, ma si spingeva oltre, invitando la stessa ad "esaminare ulteriori aspetti dei diritti procedurali minimi di indagati e imputati e a valutare se fosse necessario affrontare altre questioni, quali, ad esempio, la presunzione di innocenza, per promuovere una migliore cooperazione nel settore"[5].

 

2. Proprio in questo quadro, si inserisce la Direttiva sul "rafforzamento" della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al giudizio, la quale si pone l'obiettivo di garantire, anche sotto tali profili, un equo processo, come espressamente previsto dall'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dall'art. 6 CEDU.

È, anzitutto, necessario precisare che, al fine di determinare la portata dei diritti sanciti all'interno della presente Direttiva, si deve tener conto, come sempre, del livello di tutela che ad essi è garantito dalla CEDU, alla luce dell'interpretazione fornita dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. A tal proposito, l'atto normativo prevede espressamente, al pari degli altri recenti provvedimenti dell'Unione europea, una clausola di non regressione, la quale stabilisce che nessuna disposizione può essere interpretata in modo tale da limitare o derogare ai diritti e alle garanzie procedurali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, dalla CEDU, da altre pertinenti disposizioni di diritto internazionale o dal diritto di qualsiasi Stato membro, che assicurino un livello di protezione più elevato (art. 13).

Si deve, poi, sottolineare che l'ambito di applicazione della Direttiva è limitato ai procedimenti penali, nell'accezione data dall'interpretazione della Corte di giustizia, nonché dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. La normativa non trova, invece, applicazione con riferimento ai procedimenti civili o amministrativi, anche quando questi ultimi possono comportare sanzioni, quali i procedimenti in materia di concorrenza, commercio, servizi finanziari, circolazione stradale, fiscalità o maggiorazioni d'imposta, e alle indagini connesse svolte da autorità amministrative (v. considerandum n. 11).

Inoltre, la Direttiva si applica alle persone fisiche, indagate o imputate della commissione di un reato, in ogni fase del procedimento penale - a prescindere dal momento in cui il soggetto è venuto a conoscenza del procedimento stesso - sino a quando la colpevolezza non sia stata legalmente accertata con decisione definitiva (art. 2). Le istituzioni europee hanno voluto evitare di estendere l'applicazione dello strumento normativo in esame alle persone giuridiche, ritenendo "prematuro" un intervento in questo settore e preferendo mantenere ferma l'applicazione alle persone giuridiche della presunzione di innocenza come sancita nella CEDU e come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e dalla Corte di giustizia, la quale ha, peraltro, riconosciuto che i diritti derivanti dalla presunzione di innocenza non sorgono in capo alle persone giuridiche allo stesso modo rispetto a quanto accade per le persone fisiche (considerandum n. 13 e n. 14).[6]

 

3. La presunzione di innocenza, a cui è dedicato il Capo II dell'articolato normativo, viene sviluppata lungo tre principali direttrici, rispettivamente concernenti: il divieto di presentare in pubblico l'indagato o l'imputato come colpevole (artt. 4 e 5); l'onere della prova (art. 6); e, infine, il diritto al silenzio e alla non autoincriminazione (art. 7).

Quanto al primo profilo, l'art. 4 della Direttiva prescrive agli Stati membri di adottare le misure necessarie per garantire che, nel fornire informazioni ai mass media, le dichiarazioni rilasciate dalle pubbliche autorità[7] e le decisioni giudiziarie, diverse da quelle sulla colpevolezza, non presentino l'indagato o l'imputato come colpevole, fino a che la sua responsabilità non sia stata legalmente accertata. A tal fine, gli Stati membri dovrebbero informare le autorità pubbliche dell'importanza di rispettare la presunzione di innocenza nel fornire o divulgare informazioni ai media, fatto salvo il diritto nazionale a tutela della libertà di stampa e dei media (v. considerandum n. 19). [8]

Viene espressamente specificato che tale previsione lascia impregiudicati, da un lato, gli atti della pubblica accusa, volti a dimostrare la colpevolezza dell'indagato o dell'imputato - come l'imputazione - e, dall'altro, le decisioni preliminari del procedimento penale, fondate soltanto su indizi di colpevolezza, quali i provvedimenti riguardanti la custodia cautelare, purché non presentino l'indagato o imputato come colpevole. Resta, inoltre, ferma la possibilità per le autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all'indagine penale o per l'interesse pubblico (art. 4, par. 3). In tal senso, vengono espressamente menzionate le ipotesi di diffusione di materiale video, quando sia utile  all'individuazione del presunto autore del reato, nonché i casi in cui le autorità competenti forniscano informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale, onde salvaguardare la sicurezza o l'interesse pubblico (considerandum n. 18)[9].

Al fine di garantire l'effettivo rispetto delle prescrizioni sopra esposte, l'art. 10 impone l'adozione di specifici strumenti di impugnazione, da attivare in caso di violazione dei diritti previsti dalla Direttiva, i quali dovrebbero avere l'effetto di porre l'indagato o imputato nella posizione in cui si sarebbe trovato se la violazione non si fosse verificata.

Nell'ottica di non presentare l'indagato o imputato come colpevole, si collocano anche le previsioni di cui all'art. 5 della Direttiva, le quali prescrivono l'adozione delle misure appropriate, volte ad evitare il ricorso a misure di coercizione fisica - quali manette ai polsi, gabbie o ferri alle gambe - a meno che queste non risultino necessarie per ragioni legate alla sicurezza o al fine di impedire che gli indagati o imputati fuggano o entrino in contatto con testimoni e vittime.[10]

Il secondo profilo, su cui si articola la tutela della presunzione di innocenza, concerne l'onere della prova (art. 6). In particolare, viene precisato che l'onus probandi circa la colpevolezza di indagati e imputati incombe sulla pubblica accusa e che, conseguentemente, qualsiasi dubbio in merito dovrebbe valere in favore del soggetto sottoposto all'accertamento penale. Vengono, peraltro, fatti salvi i poteri di accertamento esercitati  dal giudice e la sua indipendenza nel valutare la colpevolezza dell'indagato o dell'imputato. Si evidenzia, inoltre, che è consentito il ricorso a presunzioni di fatto o di diritto, riguardanti la responsabilità penale di un indagato o di un imputato, purché siano confutabili e confinate entro limiti ragionevoli, prestando particolare attenzione al rispetto dei diritti della difesa (considerandum n. 22).

La Direttiva pone, infine, particolare enfasi sull'ultimo profilo, concernente il diritto al silenzio e alla non autoincriminazione, il quale implica che le autorità competenti non dovrebbero costringere indagati e imputati a fornire informazioni o a produrre prove e documenti, qualora questi non desiderino farlo.

In particolare, è opportuno osservare che il diritto al silenzio viene riconosciuto agli indagati e imputati unicamente in merito al reato loro contestato, mentre nulla è previsto con riferimento ad ogni altro fatto riferibile agli stessi (art. 7, par. 1). Così pure non è possibile avvalersi di tale diritto con riferimento a domande riguardanti l'identificazione dell'indagato o dell'imputato (considerandum n. 26).

Quanto al riconoscimento del diritto di non autoincriminarsi, la normativa si preoccupa di coordinare tale garanzia con quanto stabilito dalla Direttiva 2012/13/UE[11], prevedendo che, quando gli indagati o imputati ricevono informazioni sui loro diritti, a norma degli artt. 3 e 4 di quest'ultima Direttiva, siano informati anche in merito al diritto di non autoincriminarsi, come applicabile a norma del diritto nazionale (considerandum n. 31 e n. 32).

Inoltre, si specifica che l'esercizio di tale diritto non impedisce alle autorità competenti di raccogliere prove, che possono essere ottenute lecitamente, ricorrendo anche a strumenti coercitivi, indipendentemente dalla volontà dell'indagato o imputato (art. 7, par. 3)[12].

Viene altresì precisato che, sebbene il comportamento collaborativo dei soggetti sottoposti al procedimento penale possa essere valutato dall'autorità giudiziaria all'atto della pronuncia della sentenza, l'esercizio da parte degli indagati e imputati del diritto al silenzio e del diritto di non autoincriminarsi non può essere utilizzato contro di loro e non è considerato quale prova che essi abbiano commesso il reato loro ascritto (art. 7, par. 4 e 5).

Infine, viene espressamente mantenuta ferma la possibilità che, in relazione ai reati meno gravi, lo svolgimento del procedimento, o di alcune sue fasi, possa avvenire per iscritto o senza un interrogatorio dell'indagato o imputato da parte delle autorità, in merito al reato loro contestato, purché ciò risulti conforme al diritto a un equo processo (art. 7, par. 6).

 

4. Il terzo Capo della Direttiva è dedicato, invece, all'altro tema fondamentale, ossia il diritto degli indagati e imputati di presenziare al processo penale[13], che deve essere garantito dagli ordinamenti nazionali degli Stati membri, in quanto anch'esso è espressione massima del principio dell'equo processo.

Pur riconoscendo la natura essenziale di tale diritto, la Direttiva ne sancisce una portata non assoluta. In alcune situazioni, infatti, si prevede la possibilità che un procedimento si concluda con una pronuncia di colpevolezza o innocenza dell'imputato, anche se quest'ultimo non ha partecipato al processo.[14] Affinché una tale eventualità si verifichi, è tuttavia necessario il rispetto di precise condizioni, consistenti nella circostanza che l'indagato o l'imputato sia stato informato, in tempo utile, del processo e delle conseguenze della mancata comparizione, nonché lo stesso sia stato rappresentato da un difensore di fiducia oppure nominato d'ufficio. Una volta che tali condizioni siano rispettate, la decisione adottata potrà essere eseguita nei confronti dell'indagato o imputato giudicato in absentia (art. 8, par. 2 e 3).

Nell'eventualità che non sia possibile soddisfare le condizioni appena illustrate, in quanto non è possibile rintracciare l'indagato o imputato - ad esempio nei casi di fuga o latitanza -, gli Stati membri potranno comunque consentire l'adozione della decisione in absentia e la sua esecuzione. In simili ipotesi, tuttavia, dovrà essere garantito agli indagati e imputati il diritto ad essere informati della possibilità di impugnare la decisione, nonché del diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale (art. 8, par. 4).

Con particolare riferimento a tale ultimo profilo, l'articolo 9 della Direttiva precisa che gli Stati membri sono tenuti ad assicurare ai soggetti sottoposti a procedimento penale il diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di impugnazione, che consenta di riesaminare il merito della decisione - incluso l'esame di nuove prove - e che possa condurre alla riforma della sentenza precedentemente adottata. In tale nuovo giudizio, gli Stati membri assicurano che gli indagati o imputati abbiano il diritto di presenziare, partecipando in modo efficace ed esercitando i diritti della difesa, conformemente alle procedure previste dal diritto nazionale.

Infine, ai sensi del testo normativo in esame, il diritto dell'indagato o imputato a presenziare al processo non è pregiudicato, né dalle norme nazionali, che attribuiscono al giudice il potere di escludere temporaneamente un indagato o imputato dal processo, qualora ciò sia necessario per garantire il corretto svolgimento del procedimento penale[15], né da quelle regole che prevedono lo svolgimento per iscritto del procedimento o di talune sue fasi, oppure una procedura in cui non è prevista alcuna udienza, purché ciò avvenga in conformità con il diritto a un equo processo (art. 8, par. 5 e 6).

 

5. La Direttiva si chiude con alcune disposizioni generali e finali, le quali si occupano, anzitutto, di prescrivere agli Stati membri l'adozione di mezzi di ricorso adeguati, che, conformemente al principio dell'efficacia del diritto dell'Unione, possano essere attivati in caso di violazione dei diritti ivi previsti (art. 10). A tal proposito, viene precisato, in particolare, che, nella valutazione delle dichiarazioni rese da indagati o imputati o delle prove raccolte in violazione del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi, siano garantiti i diritti della difesa e l'equità del procedimento (art. 10, par. 2).

Da ultimo, si prevede che le disposizioni di attuazione della Direttiva debbano essere adottate dagli Stati membri (esclusi il Regno Unito, l'Irlanda e la Danimarca) entro il 1° aprile 2018 (art. 14).

Inoltre, entro il 1° aprile 2020, e successivamente ogni tre anni, gli Stati membri devono trasmettere alla Commissione i dati disponibili relativi alle modalità con cui sono stati attuati i diritti sanciti dall'atto normativo (art. 11), mentre entro il 1° aprile 2021, la Commissione presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione sull'attuazione della Direttiva (art. 12).

 


[1] V. Conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15-16 ottobre 1999, in Cass. pen., 2000, p. 302 ss.

[2] Cfr. J. R. Spencer, Il principio del mutuo riconoscimento, in R. E. Kostoris (a cura di), Manuale di procedura penale europea, Giuffrè, Milano, 2015, p. 277 ss.

[3] A tal riguardo, v. M. Caianiello, Dal terzo pilastro ai nuovi strumenti: diritti fondamentali, "road map" e l'impatto delle nuove direttive, in questa rivista, 4 febbraio 2015; D. Vigoni, Novità sovranazionali - La "codificazione europea" delle regole minime per la tutela dei diritti della difesa, in Proc. pen., giust., 2014, n. 2, p. 14 ss.

[4] Cfr. Risoluzione del Consiglio, 30 novembre 2009, relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali, in G.U.U.E., 4 dicembre 2009, C 295/1. In forza di tale road map, sono stati adottati dalle istituzioni dell'Unione europea i seguenti atti normativi: la Direttiva 2010/64/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 ottobre 2010, sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali (in G.U.U.E., 26 ottobre 2010, L 280/1), recepita dall'ordinamento italiano con il D.Lgs. 4 marzo 2014, n. 32, in G.U., 18 marzo 2014, n. 64; la Direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all'informazione nei procedimenti penali (in G.U.U.E., 1° giugno 2012, L 142/1), recepita con il D.Lgs. 1° luglio 2014, n. 101, in G.U., 17 luglio 2014, n. 164; la Direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d'arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari (in G.U.U.E., 6 novembre 2013, L 294/1). Con riferimento alle misure in attesa di approvazione, vanno ricordate due proposte di direttiva e due raccomandazioni, presentate dalla Commissione europea il 27 novembre 2013: Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle garanzie procedurali per i minori indagati o imputati in procedimenti penali, COM(2013) 822 final; Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato per indagati o imputati privati della libertà personale e sull'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nell'ambito di procedimenti di esecuzione del mandato d'arresto europeo, COM(2013) 824 final; Raccomandazione della Commissione sul diritto al patrocinio a spese dello Stato per indagati o imputati in procedimenti penali, in G.U.U.E., 24 dicembre 2013 C 378/11; Raccomandazione della Commissione sulle garanzie procedurali per le persone vulnerabili indagate o imputate in procedimenti penali, in G.U.U.E., 24 dicembre 2013, C 378/8. Su quest'ultimo "pacchetto" di proposte, v. T. Rafaraci, Diritti fondamentali, giusto processo e primato del diritto UE, in Proc. pen. giust., 2014, n. 3, p. 1 ss.; M. Cagossi, Prosegue inarrestabile il percorso verso il rafforzamento dei diritti processuali dei cittadini dell'Unione Europea, in questa rivista, 20 dicembre 2013.

[5] Cfr. Programma di Stoccolma - Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini, in G.U.U.E., 4 maggio 2010, C 115, punto 2.4. A tal proposito, v., precedentemente, il Libro verde della Commissione, del 26 aprile 2006, sulla presunzione di non colpevolezza - COM(2006) 174 def.

[6] Si deve, tuttavia, rilevare che le persone giuridiche sono espressamente considerate in altri importanti atti dell'Unione europea, quali, ad esempio, la Direttiva 2014/41/EU sull'ordine europeo di indagine penale e la Decisione quadro 2003/577/GAI, relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro.

[7] Secondo il considerandum n. 17, per "dichiarazioni pubbliche rilasciate da autorità pubbliche" dovrebbe intendersi qualsiasi dichiarazione riconducibile a un reato e proveniente da un'autorità coinvolta nel procedimento penale che ha ad oggetto tale reato, quali le autorità giudiziarie, di polizia e altre autorità preposte all'applicazione della legge, o da un'altra autorità pubblica, quali ministri e altri funzionari pubblici, fermo restando che ciò lascia impregiudicato il diritto nazionale in materia di immunità.

[8] Si tratta di un tema di particolare rilevanza, che forse sinora non è stato tenuto nella dovuta considerazione. A fronte del diritto-dovere di informare la collettività sullo svolgimento del procedimento penale, tramite la stampa e gli altri mass media, è necessario garantire, oltre alla riservatezza e all'onore, la presunzione di non colpevolezza dell'imputato, prevista, nel nostro ordinamento, dall'art. 27 comma 2 Cost., oltre che dalle Convenzioni internazionali (art. 6 comma 2 CEDU; art. 14 Patto internazionale sui diritti civili e politici; art. 11 Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo). Inteso come regola di trattamento, il principio costituzionale vale ad impedire che l'indagato o l'imputato sia sottoposto, prima della sentenza definitiva, a forme di assoggettamento o mortificazione della persona che comportino la sua identificazione con il colpevole e garantisce che questi non subisca alcun pregiudizio di colpevolezza che possa socialmente o moralmente sminuirlo nei confronti degli altri cittadini, sino al momento in cui intervenga una condanna definitiva a sancire la sua responsabilità. Anche la divulgazione delle notizie attinenti al processo penale, pur costituendo espressione del diritto di ricevere e comunicare informazioni (c.d. diritto di cronaca giudiziaria), non può, pertanto, ritenersi legittima qualora possa comportare, nei termini sopra indicati, un sacrificio della presunzione di innocenza dell'imputato. Sul tema, v., volendo, L. Camaldo, La pubblicazione degli atti processuali tra giusto processo e libertà di stampa, Milano, Giuffrè, 2012, p. 8 ss.; P.P. Paulesu, La presunzione di innocenza, tra realtà processuali e dinamiche extraprocessuali, in Giurisprudenza europea e processo penale italiano, a cura di A. Balsamo - R.E. Kostoris, Torino, Giappichelli, 2008, p. 125 ss; S. Turchetti, Cronaca giudiziaria e responsabilità penale del giornalista, Milano, Dike, 2014, p. 25 ss.

[9] Il considerandum n. 18 riporta il caso in cui, per motivi di sicurezza, siano fornite informazioni agli abitanti di una zona interessata da un presunto reato ambientale, oppure la pubblica accusa o un'altra autorità competente fornisca informazioni oggettive sullo stato del procedimento penale al fine di prevenire turbative dell'ordine pubblico.

[10] A tal riguardo, con specifico riferimento alla normativa prevista dal nostro codice di procedura penale (art. 114 comma 6-bis c.p.p.), considerata sotto il profilo della presunzione d'innocenza, v., volendo, L. Camaldo,  Immagine dell'imputato in manette, presunzione di non colpevolezza e tutela della libertà morale, in Cass. pen., 2001, n. 6, p. 1942 ss.

[11] Cfr. Direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2012, sul diritto all'informazione nei procedimenti penali, in G.U.U.E., 1° giugno 2012, L 142/1.

[12] Il considerandum n. 29, fa riferimento, a tal proposito, al materiale ottenuto sulla base di un mandato o per il quale sussista l'obbligo per legge di conservarlo e fornirlo su richiesta, o l'analisi dell'aria alveolare espirata, del sangue o delle urine, o dei tessuti corporei per la prova del DNA.

[13] Per le persone vulnerabili (ossia che non sono in grado di capire o di partecipare efficacemente al procedimento penale per ragioni di età, condizioni mentali o fisiche o eventuali disabilità) e per i minori dovrebbero essere previste garanzie specifiche per quanto riguarda il diritto di presenziare al processo e il diritto a un nuovo processo (v. considerandum n. 42 e n. 43).

[14] Sul tema, v. Decisione quadro 2009/299/GAI del 26 febbraio 2009, che modifica le decisioni quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell'interessato al processo, in G.U.U.E., 27 marzo 2009, L 81/24, recentemente recepita dal D.Lgs. 15 febbraio 2016, n. 31, in G.U., 8 marzo 2016, n. 56. In dottrina, con riferimento all'ambito europeo, v., F. Siracusano, Reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, procedure di consegna e processo in absentia, in Riv. it. dir. proc. pen., 2010, p. 118 ss.; F. Caprioli, Cooperazione giudiziaria e processo in absentia, in T. Rafaraci (a cura di), L'area di libertà, sicurezza e giustizia: alla ricerca di un equilibrio fra priorità repressive ed esigenze di garanzia, Giuffrè, Milano, 2007, p. 391 ss.; nonchè, volendo, L. Camaldo, Reciproco riconoscimento e sentenze pronunciate in assenza dell'imputato, in D. Vigoni (a cura di), Il giudizio in assenza dell'imputato, Torino, Giappichelli, 2014, p. 73 ss.

[15] Come previsto dal considerandum n. 40, ciò potrebbe verificarsi, ad esempio, qualora un indagato o imputato disturbi l'udienza e debba essere accompagnato fuori dall'aula per ordine del giudice, o qualora risulti che la presenza dell'indagato o imputato impedisce la corretta audizione di un testimone.