26 luglio 2013
Ergastolo senza possibilità di liberazione condizionale nel Regno Unito e articolo 3 CEDU: la Grande Camera della Corte EDU ribalta la sentenza della Quarta Camera
C. eur. dir. uomo, Grande Camera, sent. 9 luglio 2013, Vinter e a. c. Regno Unito, ric. n. 66069/09, 130/10 e 3896/10
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Segnaliamo ai nostri lettori prima della pausa estiva, prima di poterne fornire una nota, una recente e rilevantissma sentenza della Grande Camera che - rovesciando il giudizio espresso in prima istanza dalla Quarta camera - dichiara (con una maggioranza di 16 giudici contro uno) la violazione, da parte del Regno Unito, dell'art. 3 CEDU in relazione alla previsione, nell'ordinamento britannico, della pena dell'ergastolo senza possibilità di liberazione condizionale. In estrema sintesi, la Corte dichiara che la pena dell'ergastolo in tanto può essere compatibile con la Convenzione in quanto lo Stato si doti di un meccanismo (non importa se affidato all'autorità giurisdizionale o al potere esecutivo) di revisione della effettiva necessità di prosecuzione dell'esecuzione della pena in rapporto ai fini della pena medesima, che tenga conto degli eventuali cambiamenti verificatisi nella persona del condannato e dei progressi da questi compiuti nel percorso riabilitativo; un tale meccanismo dovrà essere congegnato in modo da offrire concrete prospettive di liberazione al condannato una volta decorso un periodo minimo di detenzione, che lo Stato può discrezionalmente quantificare (anche se la Corte indica come misura tendenzialmente massima quella di venticinque anni), avendo cura però di predeterminare in maniera chiara tempi e modalità della revisione, in modo che il condannato sia posto in condizione di conoscere sin dall'inizio dell'esecuzione della pena quali siano requisiti per accedere alla liberazione condizionale (§§ 119-122).
La sentenza, dicevo, è coraggiosa, intervenendo in un contesto di crescente insofferenza da parte del Regno Unito contro le ormai frequenti censure della Corte europea contro le proprie scelte legislative, spesso sostenute - come quella che qui veniva in considerazione - da un vasto appoggio popolare; e si segnala, rispetto alla sentenza di primo grado, per una scrupolosa analisi delle tradizioni costituzionali comuni degli Stati parte, che conduce la Corte a dar conto anche della legislazione e della giurisprudenza costituzionale italiane, del tutto trascurate invece dalla Camera di prima istanza. Si conferma, poi, nella sentenza l'inclusione tra le garanzie convenzionali (sub art. 3 CEDU) del generale divieto di pene "grossolanamente sproporzionate" rispetto al reato, già enucleato dalla Camera: altro profilo potenzialmente gravido di conseguenze, che colma almeno parzialmente una lacuna della Convenzione rispetto alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (che enuncia invece espressamente il divieto di pene "sproporzionate" all'art. 49 § 3).
De hoc satis, per ora: confidiamo di tornare sul tema nel prossimo futuro, rinviando per ora gli interessati alla lettura diretta della sentenza, e limitandoci soltanto a richiamare il commento pubblicato a suo tempo dalla nostra Rivista alla sentenza di primo grado, ora riformata dalla Grande Camera (F. Viganò, Ergastolo senza speranza di liberazione condizionale e art. 3 CEDU: (poche) luci e (molte) ombre in due recenti sentenze della Corte di Strasburgo, in questa Rivista, 4 luglio 2012: clicca qui per accervi). (F.V.)