ISSN 2039-1676


03 novembre 2014 |

Ergastolo senza liberazione anticipata, estradizione e art. 3 CEDU

Nota a C. eur. dir. uomo, sez. V, 4 settembre 2014, Trabelsi c. Belgio, ric. n. 140/2010

 

Il testo della sentenza Trabelsi c. Belgio qui annotata è disponibile sul portale della Corte in lingua francese (clicca qui per scaricare il testo) e in lingua inglese (clicca qui per scaricare il testo).

 

1. Con questa recente pronuncia, torna all'attenzione della Corte la questione della compatibilità dell'estradizione finalizzata all'esecuzione di una sentenza di ergastolo senza (o con solo teoriche) possibilità di liberazione anticipata con l'art. 3 Cedu, della quale la Corte si era già occupata, con esito peraltro affatto differente da quello raggiunto nella sentenza cui in commento, in due arresti del 2012, Babar Ahmad e altri c. Regno Unito (per la quale si rinvia a C. Parodi, Ergastolo senza possibilità di liberazione anticipata e art. 3 Cedu: meno rigidi gli standard garantistici richiesti in caso di estradizione, Nota a Corte EDU, sez. IV, sent. 10 aprile 2012, ric. nn. 24027/07, 11949/08, 36742/08, 66911/09 e 67354/09, Babar Ahmad et al. c. Regno Unito) e Harkins e Edwards c. Regno Unito (su cui cfr. F. Viganò, Ergastolo senza speranza di liberazione condizionale e art. 3 CEDU: (poche) luci e (molte) ombre in due recenti sentenze della Corte di Strasburgo, in questa Rivista e in Rivista telematica giuridica dell'Associazione Italiana dei Costituzionalisti, 2 luglio 2012).

Il differente dictum della Corte rispetto al precedente risente delle considerazioni espresse dai giudici europei nella sentenza della Grande Camera del luglio 2013 Vinter e atri c. Regno Unito (sulla quale il commento di F. Viganò, Ergastolo senza possibilità di liberazione condizionale nel Regno Unito e articolo 3 CEDU: la Grande Camera della Corte EDU ribalta la sentenza della Quarta Camera, C. eur. dir. uomo, Grande Camera, sent. 9 luglio 2013, Vinter e a. c. Regno Unito, ric. n. 66069/09, 130/10 e 3896/10), poi ribadite in altra recente sentenza del 20 maggio 2014, Laszlo Magyar c. Ungheria (della quale si dà conto in Galluccio A., Longo S., Monitoraggio Corte Edu maggio 2014. Trovandoci di fronte a un quadro in evoluzione, conviene tracciare qualche linea ferma che aiuti l'interprete a leggere la posizione della Corte in una prospettiva diacronica.

 

2. La prima pronuncia della Corte di Strasburgo riguardante i rapporti tra art. 3 Cedu ed ergastolo senza possibilità di liberazione anticipata è la nota sentenza del febbraio 2008 Kafkaris c. Cipro, in cui la Corte aveva escluso che tale forma di detenzione potesse essere considerata di per sé un "maltrattamento" nel senso di cui alla norma convenzionale. Il contrasto col divieto di maltrattamenti insorge solo allorquando l'ordinamento nazionale non preveda meccanismi che consentano de jure o de facto la liberazione anticipata del condannato; meccanismi che nel caso di specie la Corte ritenne rappresentati dal potere discrezionale di revisione, commutazione e riduzione delle sentenze che la Costituzione cipriota attribuisce al Presidente della Repubblica.

A distanza di quattro anni i giudici convenzionali avevano nuovamente affrontato la questione, raffinando e approfondendo il ragionamento giuridico intrapreso con la sentenza Kafkaris. Si tratta delle sentenze della quarta sezione Vinter e altri c. Regno Unito e Harkins e Edwards c. Regno Unito, entrambe del gennaio 2012, la prima riguardante la compatibilità con l'art. 3 Cedu dell'ergastolo corredato da un whole life order[1], la seconda riguardante la compatibilità con la medesima norma convenzionale dell'estradizione di cittadini britannici dal Regno Unito agli Stati Uniti affinché fossero sottoposti a una sentenza di life imprisonment without parole[2].

La prima operazione compiuta dalla Corte in queste due sentenze è quella di verificare se la condanna all'ergastolo sia di per sè grossolanamente sproporzionata rispetto al crimine commesso (grossly disproportionated to the crime): qualora tale pena appaia eccessivamente e manifestamente gravosa rispetto all'entità del fatto contestato, allora essa costituirà indubitabilmente maltrattamento ai sensi dell'art. 3 Cedu. In questo test di proporzionalità, che involge considerazioni di politica criminale, gli Stati godono però di un apprezzabile margine di discrezionalità, nel senso che solo in casi limite si potrà verificare questa sproporzione, e pertanto la lesione dell'art. 3 Cedu già in sede di irrogazione della pena; e per l'appunto in quell'occasione, che riguardava ipotesi di omicidio, tale grossolana sproporzione non fu ravvisata.

Il secondo momento per valutare il possibile contrasto con l'art. 3 Cedu è durante l'esecuzione della pena: l'ergastolo è illegittimo se, una volta che la detenzione abbia esaurito ogni propria funzione - retributiva, rieducativa o preventiva -, non sussistano strumenti di diritto o di fatto che consentano una liberazione anticipata. Solo qualora la pena non sia più giustificata da alcuna delle proprie finalità, la privazione della libertà si rivelerebbe una sofferenza gratuita per il condannato, e pertanto costituirebbe maltrattamento ai sensi della norma convenzionale; e quindi solo in tal caso l'ergastolo senza possibilità di liberazione anticipata violerà l'art. 3 Cedu, qualora non sia previsto alcun meccanismo di preventiva scarcerazione, nemmeno nella forma di una grazia da concedersi da parte dal potere esecutivo. Trattandosi però di un'evenienza da prendere in considerazione durante l'esecuzione della pena, la quarta sezione escluse nei casi di specie allora al suo esame l'attualità di una violazione dell'art. 3 Cedu: e ciò sia nei confronti dei ricorrenti nel caso Vinter, condannati per omicidi particolarmente odiosi per i quali erano ancora sussistenti necessità punitive e preventive che giustificavano la persistente esecuzione della pena, sia - a maggior ragione - nei confronti dei ricorrenti nel caso Harkins, per i quali pendevano semplicemente procedimenti di estradizione in vista di una futura ed eventuale condanna, negli Stati Uniti, a un ergastolo la cui esecuzione non era nemmeno iniziata.

 

3. Poco più di un anno dopo, nel luglio 2013, a seguito del ricorso alla Grande Camera presentato dai ricorrenti, la Corte europea nella sua più autorevole formazione ribaltava la decisione del caso Vinter, ravvisando una violazione dell'art 3 Cedu nell'inflizione di una condanna all'ergastolo non accompagnata da previsioni certe, al momento stesso della pronuncia, circa gli strumenti attraverso i quali il condannato possa ottenere una scarcerazione prematura rispetto all'originario termine finale.

La Grande Camera ripercorre l'iter argomentativo seguito dalla quarta sezione nel caso Vinter (e prima ancora, dalla stessa Grande Camera nel caso Kafkaris), riaffermando che l'ergastolo, nel momento in cui viene inflitto, non è necessariamente contrario all'art. 3 Cedu, a meno che non sia palesemente sproporzionato rispetto al crimine commesso: è compito degli Stati fornire la risposta più adeguata ai fenomeni criminosi, e la Corte sul punto non può che essere tenuta a svolgere un sindacato esterno, che non tocchi il merito delle scelte ma la loro ragionevolezza sub specie di proporzionalità. E d'altronde, poiché nel caso di specie - continua la Corte - trattavasi di soggetti resisi responsabili di più omicidi, ben poteva ritenersi la pena dell'ergastolo una risposta ragionevole finalizzata alla protezione della comunità sociale.

La posizione della Corte però muta nel momento in cui prende in considerazione i due elementi che devono sussistere affinché, durante la sua esecuzione, l'ergastolo non violi l'art. 3 Cedu, e cioè il persistere di una giustificazione penologica alla continuazione dello stesso, e la presenza di strumenti che, qualora tale giustificazione non sussista più, rendano possibile la liberazione anticipata.

Ci devono essere, affermano i giudici europei, "una prospettiva di rilascio e una possibilità di revisione". Le finalità perseguite dalla carcerazione possono difatti essere le più svariate, e variano esse stesse nel corso del tempo; ciò comporta la necessità che la posizione dell'ergastolano (il suo comportamento inframurario, le sue prospettive di reinserimento) sia periodicamente rivaluta, anche al fine di ottenere la scarcerazione. Non è infatti possibile aspettarsi che il condannato si ravveda, e cerchi un reinserimento nel tessuto sociale - finalità che secondo la Corte è, alla luce della legislazione penale dei vari ordinamenti europei, quella preponderante soprattutto nella parte finale delle detenzioni di lunga durata - se una prospettiva di reinserimento gli è preclusa dalla infinitezza della sua detenzione.

Per queste ragioni la Corte ritiene che, affinché una sentenza d'ergastolo sia in armonia con l'art. 3 Cedu, è necessario che l'ordinamento nazionale preveda meccanismi di valutazione della condotta del condannato e del suo percorso verso la riabilitazione che consentano di stabilire se la perdurante carcerazione sia ancora giustificata da esigenze repressive, preventive, riabilitative. L'individuazione del concreto strumento per compiere tale valutazione è riservata alla discrezionalità degli Stati, ma la comparazione e gli strumenti legislativi internazionali mostrano "una chiara preferenza per l'introduzione di meccanismi appositi che garantiscano un riesame non oltre 25 anni dall'imposizione della sentenza, con periodici riesami a seguire".

In ogni caso, l'ergastolano non può essere lasciato in una situazione di nebulosa incertezza qual è quella che si schiude di fronte a chi sente pronunciare nei suoi confronti una sentenza "a vita"; ciò sarebbe contrario al principio di certezza del diritto e controproducente rispetto al fine rieducativo della pena. Egli ha diritto di sapere già, nel momento stesso in cui la sua condanna viene pronunciata, cosa dovrà fare per essere liberato - nel senso di quale percorso trattamentale dovrà intraprendere - e quali sono le condizioni alle quali ciò potrà avvenire.

Nel caso dell'ordinamento britannico, la Corte di Strasburgo giudicò il potere discrezionale di grazia attribuito al Segretario di Stato non sufficientemente chiaro nelle sue modalità d'utilizzo e dai margini applicativi eccessivamente ristretti, ravvisando pertanto una violazione dell'art. 3 Cedu nell'imposizione ai ricorrenti del whole life order.

La Grande Camera chiude così il cerchio del ragionamento iniziato con la sentenza Kafkaris, che le pronunce del 2012 avevano in parte lasciato aperto: non rinvia più a un imprecisato meccanismo in fase esecutiva il compito di valutare se la pena assolva ancora a una funzione. Ma richiede che già nel momento d'irrogazione della pena detentiva a vita, il condannato sappia in modo chiaro quale sia lo strumento attraverso il quale ottenere un'analisi del percorso carcerario svolto - ed eventualmente una liberazione, se tale percorso abbia avuto esito positivo - e quando tale strumento sarà utilizzabile.

 

4. Con la presente sentenza la Corte europea torna dunque a occuparsi della concessione di un'estradizione finalizzata all'esecuzione di una sentenza di ergastolo, ma lo fa alla luce dei nuovi principi espressi dalla Grande Camera nel 2014 nella sentenza Vinter.

Il ricorrente è un cittadino tunisino arrestato in Belgio nel settembre 2001 per sospetta attività terroristica e ivi condannato, nel 2003, a dieci anni di reclusione per aver progettato di far esplodere una base militare belga. Nel 2008 gli Stati Uniti trasmettono alle autorità belghe una richiesta di estradizione processuale nei suoi confronti, giacché durante la perquisizione della sua abitazione al tempo dell'arresto era stata rinvenuta, oltreché un'ingente quantità di esplosivo, una mappa dettagliata dell'ambasciata statunitense a Parigi. Le autorità belghe decidono di concedere l'estradizione, ma l'interessato propone appello, paventando il rischio di essere condannato in suolo americano a una sentenza di ergastolo senza possibilità di liberazione anticipata, con ciò realizzandosi una violazione da parte del Belgio dell'art. 3 Cedu. Nel 2011 il cittadino tunisino fa ricorso alla Corte EDU, chiedendo che essa adotti una misura provvisoria ai sensi dell'art. 39 Cedu che sospenda il procedimento di estradizione, misura concessa nonostante l'opposizione del Belgio. Nel maggio 2012, a seguito dell'ennesima richiesta di ritirare la misura provvisoria da parte del Belgio, la Corte risponde che essa rimarrà valida ed efficace fino a che essa non si sarà pronunciata sul caso Babar Ahmad e altri c. Regno Unito, ancora pendente; e un mese dopo, a seguito del deferimento alla Grande camera del ricorso sul caso Vinter, la Corte decide di posporre ulteriormente l'esame nel merito del caso del signor Trabelsi.

Nell'ottobre 2013 il Belgio procede all'estradizione contravvenendo intenzionalmente alla misura interinale della Corte; i giudici di Strasburgo si trovano quindi a dover giudicare il comportamento del Belgio a estradizione avvenuta. Essi applicano a questo punto principi ormai divenuti saldi nella loro giurisprudenza: in prima battuta si tratta di verificare se tal pena appaia gossolanamente sproporzionata rispetto alla non gravità del crimine commesso; in secondo luogosi tratta di verificare se sussistano prospettive di liberazione anticipata nel caso in cui vengano meno le ragioni che giustificano la perdurante esecuzione della pena. Tali prospettive devono peraltro essere concrete ed effettive, e delle loro modalità e tempi il condannato deve essere a conoscenza già al momento della condanna, affinché ciò possa incentivarne il percorso rieducativo.

Per quanto riguarda il criterio della di grossolana sproporzione, la Corte, tenuto conto della gravità dei fatti di terrorismo contestati al ricorrente, non ritiene la sentenza di ergastolo ingiustificata.

Diverso l'esito dell'esame del secondo profilo di possibile contrasto, quello cioè riguardante le prospettive di liberazione anticipata: sul punto la Corte non ritiene dirimenti le rassicurazioni fornite dal governo statunitense, secondo cui l'irrogazione di una sentenza di ergastolo non è obbligatoria per il giudice in casi analoghi a quelli del ricorrente, e che comunque sussisteranno possibilità di liberazione anticipata, garantite dal potere di clemenza del Presidente degli Stati Uniti. Secondo la Corte, infatti, tali possibilità di liberazione anticipata sono troppo vaghe e generiche, e non consentirebbero comunque al condannato di conoscere anticipatamente tempi e modalità della liberazione anticipata medesima.

La Corte infine stigmatizza il comportamento dello Stato belga che "avrebbe deliberatamente e in maniera irreversibile abbassato il livello di tutela dei diritti di cui all'articolo 3 della Convenzione [...]. L'avvenuta estradizione ha reso inutile ogni riscontro di una violazione della Convenzione, dal momento che il ricorrente è stato estradato verso uno Stato che non ne è parte, dove riteneva potesse essere sottoposto a un trattamento contrario alla Convenzione".

 

 


[1] Strumento previsto dall'ordinamento britannico attraverso il quale il giudice in sede di sentencing assicura che il condannato sconterà la pena effettivamente per tutta la vita, salvo un eccezionale potere di liberazione anticipata riservato alla decisione discrezionale del Segretario di Stato.

[2] Forma di ergastolo senza possibilità di liberazione anticipata nella quale l'unica possibilità per l'ergastolano di essere liberato anzitempo è, ancora una volta, il potere clemenziale del Governatore dello Stato.