ISSN 2039-1676


23 dicembre 2015 |

L'omicidio colposo e responsabilità  degli enti: un'indagine comparatistica (tesi di laurea)

Università: Università  degli Studi di Milano

Prof. Relatore: Piermaria Corso

Prof. Correlatore: Manfredi Bontempelli

 

1. Con il presente lavoro si è voluto analizzare il modo in cui l'ordinamento italiano e quello inglese hanno scelto di dare risposta punitiva al fatto di omicidio colposo commesso dalle persone giuridiche in violazione delle norme poste a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

Nello specifico si è prioritariamente affrontato lo studio della disciplina ex art. 25 septies D.lgs. 231/01 nonché i suoi innumerevoli rimandi alla disciplina di settore ed Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007 il cui obiettivo è quello appunto di disciplinare e sanzionare la condotta di enti (principalmente società ma non solo) dalla quale derivi la morte di un uomo.

Terminata l'analisi sostanziale delle due diverse fattispecie d'illecito, ci si è addentrati nello studio della disciplina processuale.

A tal proposito, come è noto, il nostro sistema giuridico è da sempre molto diverso da quello inglese e la specificità di base dei due ordinamenti raggiunge i suoi massimi livelli nella materia de qua.

In Italia il legislatore ha configurato un'autonoma responsabilità amministrativa dell'ente benché pedissequamente e, per ragioni di economia processuale, ha preferito optare per un simultaneus processus. In forza dell'art 36 d. lgs. 231/01 infatti, è il giudice penale competente a conoscere dei reati è altresì competente a conoscere gli illeciti amministrativi che da essi dipendono. Oltremanica si parla di reato commesso dall'ente. Questa fondamentale differenza ha fatto si che molti interrogativi nostrani derivanti dal "dover far spazio" all'accertamento della responsabilità amministrativa dell'ente all'interno del procedimento penale, in Inghilterra non si siano neppure posti. Lì, l'omicidio colposo è commesso dalla società, la società è indagata prima e, sussistendone i requisiti, imputata poi nonché, il luogo naturale di accertamento del reato è e rimane il procedimento penale per così dire ordinario.

 

2. Il Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007 diversamente dal D.lgs. 231/01 infatti non costituisce un sottostima normativo destinato ad integrare ovvero adattare il processo alla persona al processo alla corporate anzi, in forza della sec. 18 "an individual cannot be guilty of aiding, abetting, counselling or procuring the commission of an offence of corporate manslaughter. An individual cannot be guilty of aiding, abetting, counselling or procuring, or being art and part in, the commission of an offence of corporate homicid" con la conseguenza non priva di criticità che persona fisica e persona giuridica possono esser si contemporaneamente imputate per lo stesso fatto ma sulla base di un diverso charge. Il CMCHA detta dunque una serie davvero limitata di norme a contenuto procedurale che non vanno ad intaccare le fondamenta dello stesso. In particolare è stato disposto che il corporate manslaughter è un indictment offence e per tanto di competenza esclusiva della Crown Court ovvero di quel tribunale che vede la compresenza di un giudice e di una giuria le cui rispettive competenze già note ai giuristi anglosassoni, sono state ribadite e rese ancor più manifeste dall'atto.

E' stato poi esplicitamente previsto che il procedimento non può essere iniziato senza il consenso del Director of Public Prosecution e che può avere ad oggetto oltre naturalmente l'accertamento della responsabilità degli enti per omicidio colposo anche l'eventuale accertamento delle violazioni dell'Health and Safety Legislation    con la conseguenza, a noi del tutto estranea, del coinvolgimento quanto meno in fase di indagini preliminari dell' Health and Safe Executive. Infine è stato predisposto un sistema sanzionatorio con la funzione di guidare il giudice nel suo esclusivo compito di commisurazione della pena. Lo studio combinato del sistema processuale inglese e delle disposizioni processuali contenute nel CMCHA hanno dunque permesso di tracciare senza alcuna pretesa di esaustività, i tratti fondamentali del processo penale inglese a carico degli enti per l'ipotesi di omicidio colposo. Data l'ampiezza della materia si è ritenuto opportuno limitare l'oggetto dello studio agli aspetti processuali esplicitamente citati nel Corporate Manslaughter Act inquadrandoli e motivandoli alla luce del sistema a cui appartengono. Si è scelto quindi di iniziare l'analisi partendo dalla disposizione chiave contenuta nella già citata sec. 17 in forza della quale, non può esser iniziato un procedimento per corporate manslaughter senza il consenso del Director of Public Prosecution. Per comprendere la portata di tale scelta si è ricostruita la fase pre-trial del processo inglese, in particolare ci si è concentrati sui soggetti che dominano questa fase: la Police, l'Health and Safe Executive ed il Crown Prosecutor Service. Ciò, ha permesso tra l'altro di mettere in luce ulteriori specificità del processo in esame ovvero di affrontare lo studio del "Work-Related Deaths: A Protocol for Liaison" cioè di quel protocollo che disciplina la fase di indagini preliminari. Conclusa la fase pre-trial, ci si è concentrati sul dibattimento, in particolare sulla competenza affidata in forza della sec 1(6) alla Crown Court, sulla suddivisione dei compiti affidati rispettivamente al giudice e alla giuria secondo quanto disposto dalle regole generali del processo inglese e dalla sec 8 del CMCHA. Infine ci si è concentrati sulla fase di commisurazione della pena.

 

3. Lo studio così condotto ha permesso di concludere che appare criticabile l'ampio ricorso a concetti civilistici operato dal Corporate Manslughter Corporate Homicide Act. Ciò avviene in almeno due occasioni: innanzitutto il ricorso a concetti di diritto civile, diritto commerciale, diritto pubblico nonché di diritto del lavoro sono indispensabili per l'identificazione dei soggetti attivi del reato. Infatti, nonostante in prima battuta il contenuto della sec. 1 (2) possa risultare estremamente elementare, la concreta individuazione dei soggetti destinatari della normativa comporta la conoscenza e l'applicazione di regole civilistiche che le Corti penali non sempre sono capaci di risolvere. Poi, il ricorso agli istituti di fonte civilistica è imposto dalla sec. 2 (1) in forza della quale l'esistenza del duty of care deve essere accertata appunto under the law of negligence. La scelta del legislatore di affidare l'accertamento del duty of care principi della law of negligence e dunque ad un ramo del diritto diverso da quello penale, se da un lato è criticabile per i motivi appena esposti, dall'altro ha comportato un'estensione ben più ampia delle situazioni meritevoli di tutela rispetto alla disciplina italiana. Infatti, così strutturata la fattispecie di corporate manslaughter tutela non solo i lavoratori ma più in generale tutti i soggetti terzi che entrano in contatto con le corporates a prescindere dalla presenza di una violazione dell'Health and Safe Legislation. La legislazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro così, pur assumendo un ruolo centrale all'interno del Corporate Manslaughter Corporate Homicide Act, non ne definisce i contorni applicativi come invece accade ai sensi dell'art. 25 septies il quale si riferisce esclusivamente alle fattispecie di omicidio colposo commesse appunto in violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Restando in tema di duty of care è altresì apprezzabile la scelta del legislatore inglese di affidare al giudice togato e non alla giuria l'accertamento dell'esistenza del dovere di diligenza in campo all'ente imputato. Allo stesso tempo però stupisce l'assenza di una disposizione processuale ad hoc volta a chiarire se, essendo definito l'accertamento del duty of care under the law of negligence una question of law, possa esser definito già in fase di preparatory hearing ovvero, comportando anche un'analisi degli elementi di fatto si debba attendere l'instaurazione del trial. Seguendo sempre il filo delle criticità della fattispecie inglese, è altresì criticabile la scelta di focalizzare l'attenzione alla sfera gerarchica dell'ente richiedendo all'accusa di provare che il senior management abbia avuto un ruolo sostanziale nella violazione del dovere di diligenza. Se il destinatario della disciplina è l'ente nel suo complesso, perché limitare la responsabilità degli enti alla sola ipotesi in cui la violazione è frutto di errori di organizzazione e gestione dei vertici aziendali? A fronte di tale impostazione appare evidente l'escamotage offerto soprattutto alle grandi aziende di sfuggire ad una condanna di corporate manslaughter. Affidando infatti la gestione e l'organizzazione delle attività inerenti alla salute e sicurezza ai middle and junior managers e attribuendo ai senior manager il solo compito di supervisionare le attività svolte ai piani bassi, le grandi aziende potranno facilmente sostenere che l'errore commesso dal senior management non equivale a un "substantial element in the breach".

Diversamente, il legislatore italiano non ha configurato una forma di responsabilità penale autonoma dell'ente. Benché in forza dell'art. 8 D. Lgs. 231/01 non sia richiesto l'accertamento della responsabilità penale individuale, l'esistenza di un fatto di reato materialmente commesso da un singolo è tuttavia un prerequisito indispensabile per poter muovere un rimprovero all'ente. Così, "la responsabilità dell'ente sembrerebbe accedere, secondo i criteri oggettivi enucleati all'art. 5 del D. Lgs. 231/01, al reato di un soggetto qualificato, che ha agito nell'interesse o a vantaggio dell'ente". Inoltre, benché in termini generali in forza dell'art. 5 sono rilevanti sia le condotte poste in essere dai vertici aziendali sia quelle poste in essere dai soggetti a quest'ultimi subordinati, per la fattispecie di omicidio colposo e di lesioni personali colpose anche il legislatore italiano pare aver concentrato la sua attenzione solo sul senior management o meglio, sui senior managers. Di fatti, le condotte colpose rilevanti ai fini dell'art. 25 septies appaino più realisticamente attribuibili ai soggetti apicali. Se, come si è visto, in Italia la responsabilità individuale dei singoli gioca un ruolo fondamentale, in forza del Corporate Manslaughter Corporate Homicide Act questa invece non ha alcuna rilevanza. In forza della sec. 18 infatti "an individual cannot be guilty of aiding, abetting, counselling or procuring the commission of an offence of corporate manslaughter". L'esclusione di una responsabilità individuale se da un punto di vista può sembrare lodevole in quanto assolutamente coerente con la scelta di concentrarsi esclusivamente sulla responsabilità delle corporates dall'altro, presenta almeno un paio di criticità. Innanzitutto, pur esclusi dalla disciplina del corporate manslaughter i managers, qualora si verifichi la morte di un lavoratore, potrebbero risponderne a titolo di negligence manslaughter, con la conseguenza che, all'interno dello stesso procedimento a carico dell'ente e della persona fisica, la giuria potrebbe esser chiamata a decidere in merito allo stesso fatto secondo due diverse regole di giudizio potendo giungere all'emissione di verdetti tra loro contrastanti. Inoltre, essendo necessaria ai fini del gross negligence manslaughter la grave violazione di un dovere di diligenza dovuto nei confronti della vittima, appare ictu oculi evidente come sia ben più difficile fornirne la prova nei casi in cui il reato sia stato commesso all'interno di un a big company rispetto all'ipotesi in cui l'evento si sia verificato in realtà dalle piccole dimensioni in cui, ovviamente, il vertice aziendale è maggiormente a contatto con le situazioni di rischio dalle quali discendono i doveri di diligenza. A fronte di tutto ciò, la normativa ad esame è stata quindi accusata di aver creato una situazione di disparità tra piccole e grandi aziende nonché di non tenere in debita considerazione la condotta individuale dei managers offrendo a quest'ultimi la possibilità di scaricare la loro responsabilità sull'ente. Ciò pare peraltro confermato anche dalle disposizioni processuali. Come dimostra il recente caso Lion Steel, in un sistema in cui non vi è obbligo dell'azione penale ed è data in ogni momento la possibilità all'imputato di dichiararsi colpevole facendo venir meno in capo al CPS l'onere di dimostrazione dei fatti contestati nell'indictment, non è così remota la possibilità che pur di sfuggire ad una condanna personale i managers si accordino con il prosecutor e, offrendo una guilty plea dell'ente, ottengano una loro assoluzione. In ultimo e senza ombra di dubbio, delude altresì il sistema sanzionatorio predisposto dal Corporate Manslughter Act. Le due nuove tipologie di sanzioni predisposte dall'atto, i remedials orders e publicity orders, non sono state in grado di far venir meno la centralità della pena pecuniaria: Pena pecuniaria ritenuta inidonea a scoraggiare l'assunzione di condotte potenzialmente illecite da parte degli enti nonché ad infliggere una sanzione proporzionata alla gravità dell'evento lesivo causato. A fronte di tutto questo, l'unico aspetto positivo del sistema sanzionatorio attualmente in vigore nel Regno Unito per il corporate manslaughter si limita all'introduzione delle Counsil Guidelines vale a dire, all'introduzione imposta dal Criminal Justice Act 2003 di linee guida che guidando il giudice nella fase di commisurazione della pena, ne limitano il potere discrezionale. Come noto, di ben altro spessore è il sistema sanzionatorio predisposto dal legislatore italiano. Accanto alla pena pecuniaria commisurata in base al modello "bifasico", nel nostro ordinamento sono previste altresì misure interdittive particolarmente afflittive. Ci si riferisce ad esempio all'interdizione dall'esercizio dell'attività, al divieto di contrarre con la pubblica amministrazione nonché al divieto di pubblicizzare beni o servizi che oltre a svolgere un'efficace azione deterrente, impediscono all'ente di scaricare sui consumatori il prezzo della pena subita. Analizzate le criticità derivanti dal modo in cui l'ordinamento inglese ha scelto di dare risposta punitiva ai fatti di omicidio colposo commessi da persone giuridiche e, confrontate laddove possibile, con il modello italiano, ci è parso corretto concludere mettendone in evidenza anche gli aspetti positivi. A tal proposito merita in primis d'esser menzionata l'abolizione della Crown Immunity nonché l'inclusione degli enti pubblici nel novero dei destinatari del Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act, inclusione invece limitata nel nostro ordinamento ai soli enti pubblici economici come disposto dall'art. 3 D. Lgs. 231/01. Apprezzabile poi è sicuramente l'attenzione dedicata alle fase di indagini preliminari. Ci si riferisce nello specifico alla predisposizione del Work-Related Death Protocol. il quale, oltre a regolare i rapporti tra la police e l' Health and Safe Executive durante le indagini, impone un preventivo coinvolgimento del prosecutor al fine di renderlo a decision taker e non più un mero decision confirmer or reverser. Infine, di segno positivo anche la scelta di guidare la giuria, attraverso l'elenco di fattori di cui alla sec. 8, nell'arduo compito di decidere se la violazione del dovere di diligenza da parte dell'ente abbia in concreto condotto al decesso della vittima.