A cura di Giulio Ubertis e Francesco Viganò.
Tutti i provvedimenti citati sono agevolmente reperibili sul database ufficiale della Corte EDU.
Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Stefania Basilico e Silvia Bernardi. L'introduzione è a firma di Silvia Bernardi per quanto riguarda gli art. 2, 3, 7, 10, 11 e 1 Prot. add. Cedu, mentre si deve a Stefania Basilico la parte relativa agli art. 5, 6, 8 e 13 Cedu.
1. Introduzione
a) Art. 2 Cedu
b) Art. 3 Cedu
c) Art. 5 Cedu
d) Art. 6 Cedu
e) Art. 7 Cedu
f) Art. 8 Cedu
g) Art. 10 Cedu
h) Art. 11 Cedu
i) Art. 13 Cedu
l) Art. 1 Prot. add. Cedu
2. Sintesi delle pronunce più rilevanti
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1. Introduzione
a) Art. 2 Cedu
In materia di diritto alla vita, nella sent. 12 luglio 2016, Kotelnikov c. Russia la C. eur. dir. uomo accerta una violazione dell’art. 2 Cedu in un caso in cui lo Stato convenuto aveva mancato di svolgere adeguate indagini penali relative a un incidente automobilistico, a causa del quale il ricorrente aveva subito gravi lesioni permanenti alla propria integrità fisica, venendo così meno al proprio obbligo positivo di garantire un’adeguata tutela del diritto alla vita anche sul piano processuale, confermando così che tale obbligo sussiste anche in relazione a ipotesi di sospetti reati colposi che ledano o pongano in immediato pericolo la vita umana.
Al medesimo esito la Corte europea giunge nella sent. 12 luglio 2016, Mučibabić c. Serbia, riscontrando l’inefficacia dei procedimenti interni disposti nel caso concreto per accertare le responsabilità inerenti a un’esplosione avvenuta nell’ambito di attività di produzione segreta di carburante per missili, nella quale diversi operai avevano trovato la morte.
Il caso oggetto della sent. 30 agosto 2016, Aydoğdu c. Turchia, invece, riguarda la morte di una neonata, nata prematura con seri problemi respiratori, cagionata dall’inadeguatezza delle strutture ospedaliere e dalla negligenza del personale medico. Di conseguenza, la C. eur. dir. uomo accerta la violazione delle garanzie di cui all’art. 2 Cedu tanto sul piano sostanziale, quanto su quello processuale, riscontrandosi inoltre che il procedimento penale svoltosi innanzi ai giudici nazionali non aveva permesso un compiuto accertamento delle reali cause del decesso della neonata.
b) Art. 3 Cedu
Con riguardo al divieto di trattamenti inumani e degradanti, nelle sent. 12 luglio 2016, A.M. e altri c. Francia, A.B. e altri c. Francia, R.M. e altri c. Francia, R.K. e altri c. Francia (per una sintesi, v. infra) e V.C. e R.C. c. Francia la C. eur. dir. uomo riscontra una violazione dell’art. 3 Cedu in casi in cui soggetti minori erano stati trattenuti in stato di detenzione amministrativa in attesa dell’esecuzione del provvedimento di espulsione emesso a carico dei genitori.
Una violazione dell’art. 3 Cedu è positivamente accertata anche dalla sent. 5 luglio 2016, Eğitim ve Bilim Emekçileri e altri c. Turchia, ove i giudici di Strasburgo considerano inumani e degradanti i trattamenti riservati dalla polizia turca nei confronti di alcuni manifestanti, prima colpiti con idranti e gas lacrimogeni, poi condotti forzosamente su un veicolo blindato e lì ulteriormente percossi; in aggiunta a ciò, la Corte europea riscontra altresì una violazione degli obblighi procedurali discendenti dalla disposizione in esame, evidenziando l’ineffettività tanto delle indagini amministrative, quanto di quelle penali.
Sempre in materia di abuso dell’uso della forza da parte delle forze di polizia, stavolta nell’ambito di un interrogatorio, accerta una violazione dell’art. 3 Cedu - sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto quello processuale - anche la sent. 12 luglio 2016, Gedrimas c. Lituania; nella sent. 26 luglio 2016, Adam c. Slovacchia, la C. eur. dir. uomo riscontra una violazione del medesimo precetto convenzionale, poiché, sebbene non apparisse provato che il ricorrente, ragazzo sedicenne di etnia rom, fosse stato schiaffeggiato in faccia durante un interrogatorio di polizia, le indagini che su tale vicenda erano state compiute dalle autorità nazionali apparivano inadeguate.
Nessuna violazione è stata invece rilevata nel caso oggetto della sent. 5 luglio 2016, A.M. c. Paesi Bassi: a giudizio della Corte europea, infatti, il ricorrente, la cui richiesta di asilo era stata rigettata dallo Stato convenuto, non aveva provato che una sua espulsione verso l’Afghanistan lo avrebbe esposto al concreto rischio di subire torture o altri trattamenti inumani e degradanti. Diversamente, nella sent. 23 agosto 2016, J.K. e altri c. Svezia (per una sintesi, v. infra), la Corte di Strasburgo valuta che l’espulsione verso l’Iraq del ricorrente e della sua famiglia darebbe adito a un rischio di tal genere, per cui il provvedimento emesso contro costoro, se effettivamente eseguito, determinerebbe violazione dell’art. 3 Cedu.
Degna di nota, infine, è la sent. 5 luglio 2016, Jeronovičs c. Lettonia: il ricorrente aveva precedentemente presentato un primo ricorso alla C. eur. dir. uomo, lamentando di aver subito maltrattamenti da parte di alcuni poliziotti mentre si trovava in stato di detenzione, ma che le indagini penali svolte dagli organi giudiziari interni su tali fatti si erano rivelate inconclusive. A seguito dell’ammissione spontanea della violazione commessa a opera dello Stato convenuto mediante dichiarazione unilaterale, però, il ricorso era stato cancellato dal ruolo; tuttavia, le autorità giudiziarie lettoni si erano rifiutate di riaprire il procedimento penale contro i poliziotti colpevoli dei maltrattamenti, motivo per cui il ricorrente aveva presentato un nuovo ricorso ai giudici di Strasburgo. A giudizio della Corte europea, il fatto che lo Stato convenuto abbia ammesso la violazione del divieto di trattamenti inumani e degradanti in danno del ricorrente, mediante dichiarazione unilaterale, non esaurisce l’obbligo di condurre sul piano interno un effettivo accertamento della suddetta violazione; ne deriva allora che il rifiuto di riaprire il procedimento penale da parte della autorità nazionali comporta a sua volta violazione delle garanzie di ordine processuale derivanti dall’art. 3 Cedu.
c) Art. 5 Cedu
Il diritto alla libertà e alla sicurezza, ed in particolare la legittimità delle misure privative della libertà personale, sono oggetto della sent. 5 luglio 2016, Bandur c. Ungheria. Nel caso di specie, la C. eur. dir. uomo non riscontra alcuna violazione dell’art. 5 comma 1 lett. c Cedu, essendosi il provvedimento di applicazione della misura cautelare basato sul ragionevole sospetto della commissione del reato; di contro, violato è l’art. 5 comma 3 Cedu perché insussistente, in concreto, l’esigenza cautelare di evitare il pericolo di fuga sulla base della quale, invece, l’autorità giurisdizionale ungherese aveva prorogato la detenzione. Nella medesima pronuncia, la C. eur. dir. uomo accerta la violazione dell’art. 5 comma 4 Cedu sotto il profilo del principio della parità delle armi, essendo rimasta preclusa alla difesa la possibilità di visionare i risultati d’indagine e di esaminare la richiesta di proroga della misura cautelare avanzata dal pubblico ministero.
Una violazione dell’art. 5 comma 3 Cedu è riscontrato anche in sent. 5 luglio 2016, Buzadji c. Moldavia (per una sintesi, v. infra), per un caso dove l’autorità moldava non aveva adeguatamente motivato l’applicazione e la proroga della misura cautelare nei confronti del ricorrente, avvalendosi invece di formule astratte e stereotipate.
Da segnalare, inoltre, sono le plurime pronunce della Corte di Strasburgo relative alla legittimità della privazione della libertà personale finalizzata a consentire l’espulsione di cui all’art. 5 comma 1 lett. f Cedu. Tra queste, degna di nota è la sent. 12 luglio 2016, R.K. e altri c. Francia (per una sintesi, v. infra, e, analogamente, v. sent. 12 luglio 2016, A.B. e altri c. Francia, e sent. 12 luglio 2016, R.M. e altri c. Francia), dove i giudici di Strasburgo riscontrano una violazione del canone predetto per il caso in cui, detenuti dei minori per effetto della detenzione dei genitori, le autorità nazionali non si sono attivate per l’individuazione di una misura meno afflittiva cui sottoporre i bambini.
Di converso, nessuna violazione dell’art. 5 comma 4 lett. f Cedu è riscontrata nella sent. 12 luglio 2016, A.M. e altri c. Francia (analogamente, v. sent. 12 luglio 2016, V.C. e R.C. c. Francia), essendo stati esperiti, in entrambi i casi, concreti tentativi di individuazione di misure adeguate alla presenza di minori.
d) Art. 6 Cedu
Sul versante dell’equità processuale, con la sent. 12 luglio 2016, Kacan c. Turchia, la C. eur. dir. uomo accerta la non violazione dell’art. 6 comma 1 Cedu sotto il profilo del diritto di difesa: nel caso di specie, il ricorrente era sì stato condannato sulla base di intercettazioni autorizzate solo nei confronti dei suoi interlocutori, ma aveva egli stesso potuto contestare l’ammissibilità di dette intercettazioni dinanzi ai giudici nazionali ed era stato condannato sulla base di plurime ed ulteriori prove a suo carico.
Una violazione del diritto di difesa è invece riscontrata in sent. 5 luglio 2016, Lazu c. Moldavia (per una sintesi, v. infra), ove i giudici di Strasburgo considerano violato il parametro di cui all’art. 6 comma 1 Cedu per un caso ove la condanna del ricorrente nel secondo giudizio di appello, dopo un’assoluzione in primo grado per insufficienza di prove, si era basata esclusivamente sul materiale presente nel fascicolo, senza che si fosse proceduto al riesame dei testi d’accusa.
Degna di nota è la sent. 7 luglio 2016, Zosymov c. Ucraina (per una sintesi, v. infra), ove i giudici di Strasburgo considerano manifestamente infondata la questione relativa all’art. 6 Cedu sollevata dal ricorrente sotto il profilo della ragionevole durata del procedimento, non essendo attribuibile allo stesso lo status di indagato in quanto non destinatario di un formale rimprovero.
Da evidenziare, poi, è la sent. 12 luglio 2016, Reichman c. Francia (per una sintesi, v. infra), dove la C. eur. dir. uomo accerta la violazione del diritto di difesa, in particolare del diritto d’accesso a un giudice, per un caso in cui la Cassazione aveva ecceduto in un rigido e censurabile formalismo. Infatti, la Corte di Strasburgo ha ritenuto che fosse legittimo, contrariamente all’opinione dei giudici francesi, conferire la procura ad impugnare in via eventuale prima della pronuncia d’appello.
e) Art. 7 Cedu
Significativa in materia di principio di legalità è la sent. 12 luglio 2016, Ruban c. Ucraina (per una sintesi, v. infra), in cui la C. eur. dir. uomo nega che comporti violazione dell’art. 7 Cedu, in specie nella forma del principio di retroattività della lex mitior, il fatto che il ricorrente fosse stato condannato all’ergastolo per un fatto punito al tempo della condotta con la pena di morte, benché prima della condanna quest’ultima fosse stata dichiarata incostituzionale e conseguentemente, per un periodo di circa tre mesi, fosse rimasta in vigore solamente la pena alternativa di quindici anni di reclusione, prima che una modifica legislativa trasformasse la pena di morte originariamente prevista in pena perpetua.
f) Art. 8 Cedu
Nella sent. 12 luglio 2016, R.K. e altri c. Francia (per una sintesi, v. infra, e, analogamente, v. sent. 12 luglio 2016, A.B. e altri c. Francia), i giudici di Strasburgo accertano la violazione del diritto al rispetto della vita familiare, avendo le autorità nazionali realizzato, con la detenzione di minori per effetto della detenzione dei genitori finalizzata all’espulsione, un’interferenza non necessaria in una società democratica.
Un’effettiva tutela del minore ed il rispetto del canone di cui all’art. 8 Cedu sono invece riscontrati dalla C. eur. dir. uomo nelle sent. 12 luglio 2016, V.C. e R.C. c. Francia, e sent. 12 luglio 2016, A.M. e altri c. Francia: le autorità nazionali hanno esperito il tentativo di individuare una misura cautelare adeguata alla presenza di un minore, sicché la misura limitativa della libertà personale è risultata avente scopo legittimo, necessaria in una società democratica e conforme ai parametri convenzionali.
Il diritto alla privatezza è pure oggetto della sent. 7 luglio 2016, Zosymov c. Ucraina (per una sintesi, v. infra), ove i giudici di Strasburgo riscontrano una violazione dell’art. 8 Cedu in quanto la perquisizione domiciliare subita dal ricorrente era avvenuta in difetto della preventiva autorizzazione giudiziaria richiesta dalla legge.
g) Art. 10 Cedu
Sotto il profilo della libertà d’espressione, la sent. 5 luglio 2016, Ziembiński c. Poloniaaccerta la violazione dell’art. 10 Cedu in un caso in cui un giornalista era stato condannato a pagare una multa per aver offeso, in un suo scritto dal carattere satirico, alcuni pubblici ufficiali locali. L’interferenza dello Stato nell’esercizio della libertà d’espressione del ricorrente, infatti, appare alla Corte europea priva del carattere della necessità, in quanto lo scritto satirico aveva a oggetto le azioni svolte da funzionari pubblici (tra cui il sindaco del distretto) nell’esercizio delle loro funzioni, le quali rappresentano materia di pubblico interesse e sono giustamente esposte al pubblico giudizio, e l’articolo, che aveva un carattere chiaramente ironico e sarcastico, non eccedeva i limiti del corretto esercizio della libertà giornalistica. Oltre a ciò, l’interferenza statale appare sproporzionata, in relazione alla gravità della sanzione irrogata (una multa del valore di quasi 3000 euro).
Significativa è anche la sent. 12 luglio 2016, Reichman c. Francia (per una sintesi, v. infra), in cui la Corte di Strasburgo riscontra la violazione dell’art. 10 Cedu ai danni di un presentatore radiofonico, il quale durante il programma da lui diretto aveva espresso dure critiche nei confronti di uno dei membri del consiglio di amministrazione della radio stessa.
h) Art. 11 Cedu
Nella già citata sent. 5 luglio 2016, Eğitim ve Bilim Emekçileri e altri c. Turchia, i giudici di Strasburgo accertano che le autorità pubbliche turche hanno indebitamente interferito con l’espletamento del diritto di riunione e associazione dei ricorrenti, bloccando i pullman con i quali questi si stavano recando sul luogo ove doveva tenersi una manifestazione contro il governo in ragione del fatto che la stessa non era stata previamente segnalata agli organi responsabili della pubblica sicurezza.
i) Art. 13 Cedu
Nella sent. 12 luglio 2016, A.B. e altri c. Francia, la C. eur. dir. uomo riscontra una violazione dell’art. 13 Cedu in combinato disposto con l’art. 5 Cedu. In particolare, i giudici di Strasburgo ritengono che la normativa francese in materia di detenzione amministrativa finalizzata all’espulsione non fornisca rimedi giurisdizionali effettivi per contestare la legittimità della privazione della libertà personale di minori nel caso in cui questa, di fatto, sia limitata per effetto della detenzione dei genitori.
In combinato disposto con l’art. 8 Cedu, i giudici di Strasburgo riscontrano una violazione dell’art. 13 Cedu nella sent. 7 luglio 2016, Zosymov c. Ucraina (per una sintesi, v. infra), per non aver avuto il ricorrente a disposizione effettivi rimedi interni per opporsi ad un sequestro arbitrario eseguito presso il domicilio.
Una violazione del precetto convenzionale in esame, in combinato disposto con l’art. 3 Cedu, è invece esclusa dalla sent. 5 luglio 2016, A.M. c. Paesi Bassi, ove la Corte europea sottolinea che l’art. 13 Cedu non obbliga gli Stati a istituire un secondo grado di giudizio dotato di efficacia sospensiva nei casi di rigetto di domande di asilo politico.
l) Art. 1 Prot. add. Cedu
La C. eur. dir. uomo riscontra una violazione delle garanzie di cui all’art. 1 Prot. add. Cedu nella sent. 30 agosto 2016, Turturica e Casian c. Repubblica di Moldavia e Russia. Nello specifico, i ricorrenti avevano subito il sequestro della propria autovettura da parte delle autorità dell’autoproclamata Repubblica Moldava di Transnistria (“MRT”), Stato non riconosciuto dalla comunità internazionale, in quanto la targa non era omologata alle regole imposte dalle nuove autorità locali. Della lesione del diritto di proprietà dei ricorrenti, avvenuta in assenza di base legale, viene allora chiamata a rispondere la Federazione Russa, in virtù del continuo supporto militare, economico e politico da essa fornito alla “MRT”, la cui sopravvivenza sarebbe stata altrimenti impossibile.
Anche nella già citata sent. 7 luglio 2016, Zosymov c. Ucraina (per una sintesi, v. infra) la Corte di Strasburgo riscontra una violazione del canone convenzionale in esame, in un caso in cui, nell’ambito di una perquisizione domiciliare priva di autorizzazione giudiziaria, era stato effettuato un sequestro di beni di proprietà del ricorrente, in ordine al quale il diritto interno non forniva al ricorrente nessuno strumento processuale, almeno fino alla conclusione del procedimento penale a suo carico, per accertarne la legittimità e la proporzionalità.
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2. Sintesi delle pronunce più rilevanti
C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 5 luglio 2016, Buzadji c. Moldavia
Il ricorrente, socio di una società a partecipazione statale, nel 2007 viene sottoposto a custodia cautelare in carcere con l’accusa di essersi appropriato indebitamente di beni della società. Su richiesta del pubblico ministero, che ravvisa l’esigenza cautelare di evitare il pericolo di fuga, la misura è più volte oggetto di proroga. Successivamente, su istanza del ricorrente, la detenzione cautelare in carcere viene convertita in quella degli arresti domiciliari, per poi essere trasformata nella misura della custodia cautelare in carcere, e, ancora una volta, in quella degli arresti domiciliari, per una durata complessiva di detenzione superiore a dieci mesi dal momento dell’arresto al rilascio del ricorrente. La Corte di Strasburgo, chiamata a pronunciarsi in merito alla tutela del diritto alla libertà e alla sicurezza ex art. 5 comma 3 Cedu, constata una violazione del canone convenzionale, censurando in particolare, l’utilizzo, da parte delle autorità nazionali, di formule stereotipate ed astratte a legittimazione della detenzione del ricorrente. Con l’occasione, i giudici di Strasburgo puntualizzano altresì come una concreta ed effettiva verifica della sussistenza delle esigenze cautelari debba sussistere fin dalla prima applicazione della misura. (Stefania Basilico)
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 5 luglio 2016, Lazu c. Moldavia
Imputato per il reato di lesioni occorse a danno di un passeggero di un autobus, il ricorrente viene dapprima assolto in primo e in secondo grado per insufficienza di prove, e, in particolare, per l’inattendibilità delle dichiarazioni dei testimoni d’accusa; poi, a seguito di annullamento con rinvio da parte della Cassazione, il ricorrente viene condannato nel secondo giudizio d’appello. Chiamata a pronunciarsi in merito ai principi dell’equo processo, la C. eur. dir. uomo considera che nel caso di specie vi sia stata una violazione dell’art. 6 comma 1 Cedu, e che, in particolare, sia rimasto pregiudicato il diritto di difesa del ricorrente, essendosi la condanna basata esclusivamente sul materiale probatorio presente nel fascicolo senza che i giudici del secondo giudizio d’appello avessero provveduto ad esperire il dovuto riesame dei testi d’accusa. (Stefania Basilico)
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 7 luglio 2016, Zosymov c. Ucraina
Il ricorrente invoca gli art. 8 e 13 Cedu lamentando sia di aver subito una perquisizione domiciliare di carattere arbitrario, sia di non aver potuto fruire di adeguati rimedi interni per opporvisi. Sul punto, la Corte di Strasburgo ravvisa un’evidente violazione dei canoni predetti: da una parte, i giudici rilevano che, nel caso di specie, è difettata l’autorizzazione giudiziaria necessaria per procedere a perquisizione, sicché l’atto compiuto dalla polizia di Stato è da considerarsi a tutti gli effetti un’ingerenza non conforme alla legge; dall’altra, che il diritto interno non ha fornito adeguate forme di garanzia giurisdizionale contro l’arbitrarietà delle forze di polizia. Al riguardo, la Corte di Strasburgo ravvisa altresì una violazione dell’art. 1 Prot. add. Cedu, sia perché il sequestro dei beni di proprietà del ricorrente non si è fondato sui presupposti previsti dalla legge, sia perché si è trattato di misura sproporzionata rispetto allo scopo di garantire la buona amministrazione della giustizia. Di contro, rigettata per manifesta infondatezza è la doglianza del ricorrente relativa alla ragionevole durata del procedimento ex art. 6 Cedu; in particolare, la C. eur. dir. uomo constata come il ricorrente non sia mai stato destinatario di un formale rimprovero e che, pertanto, non possa nemmeno considerarsi indagato ai sensi della Cedu. (Stefania Basilico)
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 12 luglio 2016, R.K. e altri c. Francia
I ricorrenti, cittadini russi di origine cecena, vistisi negare dal governo francese il diritto d’asilo e, conseguentemente, detenuti ai fini dell’espulsione, invocano l’art. 3 Cedu dinanzi ai giudici di Strasburgo asserendo che il diniego d’asilo avrebbe comportato il rischio di subire torture nel Paese d’origine. La Corte di Strasburgo non considera violato il canone convenzionale, sia perché insussistenti concreti elementi da cui desumere il rischio di sottoposizione a trattamenti inumani e degradanti, sia perché le dichiarazioni dei ricorrenti alle autorità erano di contenuto contraddittorio e lacunoso. Di contro, una violazione dell’art. 3 Cedu sussiste, secondo i giudici di Strasburgo, sotto il profilo della tutela minorile, essendo nove giorni un periodo eccessivamente lungo ed inaccettabile per la detenzione di un minore. Parimenti violati, secondo la C. eur. dir. uomo, sono gli art. 5 comma 1 lett. f e 5 comma 4 Cedu, non avendo le autorità nazionali adottato idonei provvedimenti per l’individuazione di una misura adeguata alla presenza di un bambino, e non essendo stato garantito il diritto a un controllo giurisdizionale effettivo sulla legittimità della privazione della libertà personale di minori la cui libertà era, di fatto, limitata dalla detenzione dei genitori. Da ultimo, i giudici di Strasburgo riscontrano altresì una violazione dell’art. 8 Cedu sotto il profilo del diritto al rispetto della vita familiare, essendo stata la limitazione della libertà personale in questione una misura avente scopo legittimo, ma, attesa la presenza di un minore, di carattere non necessario e di durata sproporzionata. (Stefania Basilico)
C. eur. dir. uomo, sez. V, sent. 12 luglio 2016, Ruban c. Ucraina
Il ricorrente, condannato in via definitiva all’ergastolo per omicidio aggravato e banditismo, lamenta la violazione da parte delle autorità giudiziarie ucraine dell’art. 7 Cedu, con particolare riferimento all’obbligo di applicazione retroattiva della legge penale più favorevole, affermato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo come corollario del principio di legalità convenzionale fin dalla sent. 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia. Per i fatti di cui viene riconosciuto responsabile, infatti, al tempo della condotta il codice penale ucraino comminava alternativamente la pena di morte oppure la pena a quindici anni di reclusione; prima della condanna, tuttavia, la Corte costituzionale aveva dichiarato costituzionalmente illegittima la pena di morte e solo tre mesi più tardi il legislatore nazionale era intervenuto per emendare le norme incriminatrici colpite dalla pronuncia di incostituzionalità, sostituendo espressamente la pena di morte con l’ergastolo. I giudici di Strasburgo, però, non accolgono la ricostruzione operata dal ricorrente, rilevando che tra l’abolizione della pena di morte a opera della Corte costituzionale e l’introduzione legislativa della pena perpetua vi fosse sì stata una lacuna normativa per tre mesi, ma che si trattasse di lacuna non intenzionale. Di conseguenza, non può leggersi in essa alcun intento del legislatore in particolare, né dello Stato in generale, di mitigare il trattamento sanzionatorio riservato a quel genere di reati nella misura richiesta dal ricorrente. Poiché, anzi, il Parlamento stesso, dopo che la pena di morte era stata dichiarata incostituzionale, aveva ritenuto che la pena dell’ergastolo fosse proporzionata rispetto alla gravità dei fatti, la Corte europea considera che i giudici interni abbiano correttamente applicato tale sanzione nei confronti del ricorrente. Interessante appare, peraltro, l’opinione dissenziente del giudice Hajiyev, il quale ritiene invece sussistente nel caso di specie una violazione dell’art. 7 CEDU: egli, infatti, reputa ragionevole sostenere che, nel periodo di transizione tra l’abolizione della pena di morte e l’introduzione dell’ergastolo, l’unica pena concretamente applicabile fosse quella a quindici anni di reclusione; di conseguenza, a suo giudizio la norma più favorevole al reo, esistente nel periodo intermedio, doveva applicarsi incondizionatamente. (Silvia Bernardi)
C. eur. dir. uomo, sent. 12 luglio 2016, Reichman c. Francia
Il ricorrente è un presentatore radiofonico, condannato per diffamazione per aver criticato aspramente, durante il programma che conduceva, il comportamento del vice-direttore del consiglio di amministrazione della radio per cui lavorava, il quale, nel corso di una riunione, aveva impedito a coloro che vi partecipavano di esprimere la propria opinione. Lo Stato francese viene così convenuto innanzi ai giudici di Strasburgo con l’accusa di aver violato l’art. 10 Cedu, oltre che le garanzie processuali stabilite dall’art. 6 § 1 Cedu, poiché il ricorso in cassazione presentato dal ricorrente contro la condanna era stato dichiarato inammissibile per motivi meramente formali. La Corte europea accoglie entrambi i ricorsi, osservando che, da un lato, viola il diritto di accesso alla giustizia riconosciuto dalla Convenzione il mancato esame del ricorso in cassazione in ragione di una mera formalità (l’avere cioè il ricorrente conferito procura a impugnare al proprio difensore alcuni giorni prima della pubblicazione della sentenza d’appello); e che, dall’altro, la condanna subita dal ricorrente viola i diritti garantiti dall’art. 10 Cedu, in quanto costui, mediante le proprie allusioni, aveva espresso dei giudizi di valore e non dei giudizi di fatto. I giudici interni, osserva la Corte europea, non hanno tenuto conto di tale distinzione, e anzi si sono limitati a rintracciare genericamente gli elementi costitutivi del reato di diffamazione, senza esaminare i numerosi criteri elaborati dalla Corte europea stessa per vagliare la proporzionalità dell’ingerenza statale in casi simili. Da ultimo, i giudici di Strasburgo ricordano che la previsione di sanzioni penali può di per sé costituire una limitazione della libertà d’espressione dell’individuo, esortando gli Stati a preferire ai procedimenti penali altre tipologie di rimedi, per esempio di carattere civile. (Silvia Bernardi)
C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 23 agosto 2016, J.K. e altri c. Svezia
Una famiglia di nazionalità irachena, la cui richiesta di asilo politico era stata rigettata da parte dello Stato svedese, adisce i giudici di Strasburgo, sostenendo che il conseguente provvedimento di espulsione comporti violazione dell'articolo. 3 Cedu, dal momento che la sua esecuzione esporrebbe i ricorrenti al serio e grave pericolo di subire trattamenti inumani e degradanti nel Paese d'origine. Capovolgendo il precedente giudizio espresso dalla sez. V, la grande camera della C. eur. dir. uomo osserva che, sebbene la situazione in Iraq in ordine alla sicurezza generale non sia tale da impedire di per sé l'espulsione dei ricorrenti verso quei territori, la deportazione di J.K e la sua famiglia li esporrebbe effettivamente ad un reale pericolo di persecuzione: e ciò in quanto gli stessi, in ragione dei rapporti commerciali che J.K. intratteneva con basi militari americane, sarebbero stati con estrema probabilità oggetto di attacchi da parte di al-Qaeda, che del resto già aveva compiuto in passato numerosi attentati nei loro confronti, durante i quali la famiglia aveva tra l'altro perso una figlia e la casa di abitazione. Alla luce della situazione personale dei ricorrenti, pertanto, la Corte europea reputa lo Stato iracheno incapace di assicurare loro un'adeguata protezione; di conseguenza, conclude che l'esecuzione del provvedimento di espulsione emesso dalla Svezia violerebbe l'art. 3 Cedu, comportando un serio rischio per i ricorrenti di subire trattamenti inumani e degradanti. (Silvia Bernardi)