ISSN 2039-1676


21 dicembre 2017 |

La sentenza della Corte d’Appello di Milano sul caso Maroni (Malangone/Expo S.p.A.): esclusa l’induzione indebita

Corte App. Milano, Sez. II, sent. 13 settembre 2017 (dep. 5 ottobre 2017), n. 4979, Pres. rel. Piffer, Imp. Malangone

Contributo pubblicato nel Fascicolo 12/2017

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1. Come è noto – la vicenda ha avuto notevole risalto mediatico – il Presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni, è attualmente chiamato a rispondere davanti al Tribunale di Milano di concorso nei reati di induzione indebita a dare o promettere utilità (art. 319 quater c.p.) e di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente (art. 353 bis c.p.).

I fatti risalgono al 2013-2014 e coinvolgono due ex collaboratrici del Presidente Maroni, all’epoca in cui lo stesso ricopriva la carica di Ministro dell’Interno, successivamente assunte presso enti controllati indirettamente da Regione Lombardia: Eupolis ed EXPO 2015 S.p.A. In un caso, relativo a un incarico di consulenza annuale da parte di Eupolis a beneficio di Mara Carluccio, la Procura di Milano ha contestato la turbativa del procedimento per l’attribuzione del medesimo (art. 353 bis c.p.); in un altro caso, relativo al rapporto biennale instaurato da Mariagrazia Paturzo con EXPO 2015 S.p.A., quale temporary manager, la Procura ha contestato non già irregolarità nell’instaurazione del rapporto di lavoro (per quanto risultato difficilmente giustificabile), bensì la promessa del Direttore Generale della società, Christian Malangone, di far accollare alla stessa ingenti spese di viaggio che la Paturzo – asseritamente legata al Presidente Maroni da una relazione affettiva – avrebbe dovuto sostenere per accompagnare il Presidente e la delegazione regionale a Tokyo in occasione di un evento promozionale di Expo 2015, viaggiando nella stessa classe di volo e di albergo.

 

2. Mentre il procedimento nei confronti del presidente Maroni è attualmente in corso davanti al Tribunale di Milano, si è invece già concluso, con sentenza definitiva, quello per induzione indebita ex art. 319 quater c.p. contro l’allora Direttore Generale di EXPO S.p.A., Christian Malangone, nei cui confronti si è proceduto separatamente, a seguito e per effetto della scelta del rito abbreviato. Secondo la prospettazione accusatoria, Malangone – chiamato a rispondere del delitto di cui al secondo comma dell’art. 319 quater c.p., sarebbe il concorrente necessario nel reato di induzione indebita commesso da Roberto Maroni e Giacomo Ciriello, Capo della Segreteria della Presidenza della Regione Lombardia, ai quali è invece contestata la più grave ipotesi di cui al primo comma dell’art. 319 quater c.p. In altri termini, Maroni e Ciriello avrebbero ‘indotto’ Malangone “a promettere indebitamente a Maroni e a Mariagrazia Paturzo, legati da una relazione affettiva, l’utilità per entrambi di addossare ad EXPO 2015 S.p.A. le spese di viaggio per la Paturzo (biglietti arerei in business class ed albergo di categoria lusso, per il complessivo ammontare di 6000 euro)”; spese peraltro non sostenute in considerazione del fatto che la partecipazione alla missione in Giappone della Paturzo incontrò la decisiva opposizione della portavoce del Presidente Maroni, Isabella Votino, con conseguente rinuncia dello stesso Maroni a partire per Tokyo.

Attraverso la promessa dell’utilità, secondo l’accusa, Malangone avrebbe ottenuto plurimi vantaggi: avrebbe evitato la compromissione dei rapporti personali tra Maroni e Giuseppe Sala (allora Amministratore Delegato di Expo 2015 S.p.A), nonché tra la Regione Lombardia e la società stessa; avrebbe rafforzato la propria posizione nella società, salvaguardando quella di Sala; si sarebbe infine accreditato nei confronti dei vertici di Regione Lombardia.

All’esito del giudizio di primo grado, il G.u.p. di Milano, con sentenza del 20 novembre 2015, ha condannato Malangone a quattro mesi di reclusione, mentre ha escluso la responsabilità amministrativa di EXPO 2015 S.p.A., contestata ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, avendo Malangone agito nell’interesse proprio o di terzi, senza perseguire un oggettivo interesse della società.

 

3. Con la sentenza che può leggersi in allegato, la Corte d’Appello di Milano ha riformato la sentenza di primo grado assolvendo l’imputato perché il fatto non sussiste. Dopo avere proceduto ad un preliminare inquadramento sistematico della fattispecie di induzione indebita – in linea con la fondamentale sentenza Maldera delle Sezioni Unite –, la Corte d’Appello di Milano ha proceduto alla verifica degli elementi della fattispecie nel caso in esame (p. 35 s.), elementi individuati: a) in un abuso induttivo da parte del pubblico ufficiale; b) nella correlata prospettazione di un vantaggio indebito per l’extraneus; c) nella percezione della prospettazione medesima, da parte dell’extraneus, che si motiva ad agire in ragione del perseguimento del vantaggio.

Orbene, sulla base di una ricostruzione dei fatti diversa da quella prospettata dalla procura della Repubblica e posta a fondamento della condanna nel giudizio di primo grado, la Corte d’Appello ha escluso tanto la configurabilità nella condotta di Maroni e di Ciriello di un abuso induttivo, quanto la prospettazione di un vantaggio indebito per Malangoni. Va premesso che l’accusa ha individuato la condotta induttiva in una serie di richieste insistenti fatte da Ciriello a Malangoni, per conto di Maroni, e volte a far accollare ad EXPO 2015 S.p.A. le spese di viaggio della Paturzo. Senonché la Corte d’Appello (p. 36) ha escluso che una richiesta aperta e perentoria dell’indebito, proveniente dal pubblico ufficiale, integri l’abuso induttivo ex art. 319 quater c.p.: “ciò equivarrebbe a trasformare in reato di induzione indebita qualunque richiesta del p.u. avente ad oggetto un’utilità non dovuta, il che non pare sostenibile”. Secondo la Corte d’Appello, infatti, “nella fattispecie di cui all’art. 319 quater c.p. i profili dell’abuso e dell’induzione in realtà si intrecciano inscindibilmente e si concretizzano nella prospettazione di un vantaggio indebito per l’extraneus”. Tale prospettazione, secondo la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Appello, sarebbe mancata nel caso di specie (p. 37 s.); meglio, non sarebbe stata provata, e il perseguimento di un vantaggio personale, per effetto dell’accoglimento della richiesta di Maroni, sarebbe relegabile a una mera supposizione di Malangone (p. 40 s.).

Si giunge così al cuore della motivazione assolutoria, che richiama un principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza (n. 22526/15) che ha assolto Silvio Berlusconi nel noto caso Ruby: “non basta certo a dimostrare la sussistenza di una condotta induttiva ex art. 319 quater c.p. un comportamento dell’extraneus accondiscendente anche nei confronti di un’alta carica dello Stato, se l’assunto che egli abbia fatto ciò per guadagnarsi la benevolenza dell’intraneus, foriera potenzialmente di futuri favori, resta un argomento assertivo, di mero sospetto, che non trova alcun riscontro probatorio dei dati processuali acquisiti” (p. 42. V anche p. 34).

 

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4.  I principi di diritto affermati dalla sentenza annotata sono di per sé condivisibili e in linea con quelli già affermati dalla Cassazione, a partire dalla sentenza delle Sezioni Unite Maldera, in tema di induzione indebita ex art. 319 quater c.p.; figura che anche la sentenza annotata riconduce al genus della corruzione, in considerazione della punibilità dell’indotto. Se invocare quei principi sia corretto, nel caso di specie, dipende evidentemente dalla ricostruzione della vicenda in fatto che – lo ribadiamo – è ancora in corso davanti al Tribunale di Milano nel procedimento ‘principale’ a carico di Maroni e Ciriello, del quale si attende la definizione.