ISSN 2039-1676


16 luglio 2013 |

La posizione della Commissione LIBE del Parlamento europeo alla proposta di direttiva relativa al congelamento e alla confisca dei proventi di reato

La posizione della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al congelamento e alla confisca dei proventi di reato nell'Unione europea (COM(2012)0085 - C7-0075/2012 - 2012/0036(COD))

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Per scaricare l'ampio commento di A. Maugeri, La proposta di direttiva UE in materia di congelamento e confisca dei proventi del reato: prime riflessioni, in Dir. pen. cont. - Rivista trimestrale, 2, 2012, p. 180 ss. alla originaria proposta di direttiva presentata dalla Commissione, alla quale si riferiscono gli emendamenti ora proposti dal Parlamento, clicca qui.

 

 

1. La Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) del Parlamento europeo ha presentato il 20 maggio 2013 i suoi emendamenti alla proposta di direttiva della Commissione europea COM(2012) 85, datata 12 marzo 2012, relativa al congelamento e alla confisca dei proventi di reato, proposta che peraltro seguiva ad una richiesta d'iniziativa legislativa rivolta alla Commissione europea da parte dello stesso Parlamento nell'ottobre 2011. Sebbene sul testo emendato debba ancora pronunciarsi l'assemblea plenaria del Parlamento, che così esprimerà la posizione dell'organo in prima lettura ai sensi dell'art. 294 del TFUE (procedura legislativa ordinaria), la rilevanza delle modifiche apportate (nonché l'ampia maggioranza raggiunta in Commissione LIBE) suggeriscono l'opportunità di formulare alcune brevi note di commento.

Come si avrà modo di vedere, infatti, il numero ed il contenuto degli emendamenti proposti comporta una significativa modifica del testo iniziale e, in particolare, l'elaborazione di un modello di confisca alquanto diverso (e più incisivo) di quello originariamente "pensato" dalla Commissione europea che, eppure, nel suo documento di sintesi sulla valutazione d'impatto SWS(2012) 32 chiariva che, tra le varie soluzioni possibili, era stata accolta proprio l'opzione "legislativa massima" (ossia volta a prevedere i poteri di confisca più estesi).

 

2. La proposta di direttiva formulata dalla Commissione europea si compone di 22 consideranda e 16 articoli, il cui contenuto è illustrato e motivato da un'ampia relazione iniziale.

La relazione (e poi i consideranda) si aprono con l'individuazione delle ragioni e degli obiettivi della direttiva, riconosciuti rispettivamente nell'esigenza di recuperare i proventi della criminalità organizzata transfrontaliera e nella predisposizione di norme minime di armonizzazione in materia di congelamento e confisca di tali proventi, oltre che nella promozione di forme di riconoscimento dei provvedimenti e cooperazione reciproca tra Stati.

La direttiva intende così "ereditare" e sviluppare le politiche già perseguite nelle diverse decisioni-quadro adottate nell'ambito del "vecchio" terzo pilastro dell'Unione europea in materia di confisca; tra queste, in particolare, sono espressamente richiamate le decisioni nn. 2001/500/GAI, 2005/212/GAI, 2003/577/GAI, 2006/783/GAI.

Coerentemente, la base giuridica è individuata negli art. 82 e 83 del TFUE con i quali sono state stabilite, dopo il trattato di Lisbona ed il superamento della divisione delle politiche dell'Unione in tre pilastri, le "nuove" competenze dell'Unione in materia di diritto e processo penale.

 

3. Le grandi linee della proposta della Commissione europea, illustrate nella relazione iniziale, nei consideranda e negli articoli (con diverse ripetizioni e, come si vedrà, alcune discrepanze), possono essere così sintetizzate:

a) la confisca dei proventi disciplinata dalla direttiva deve essere disposta per i reati già considerati dalla Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione dei funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri del 1997, da diverse decisioni-quadro (in materia di falsificazione di monete, lotta alle frodi, lotta al terrorismo, riciclaggio, corruzione nel settore privato, stupefacenti, reati informatici, criminalità organizzata, tratta di esseri umani) e dalla direttiva contro l'abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori;

b) il concetto di provento del reato deve essere ampliato in modo da includervi anche i ricavi indiretti, ossia quelle utilità che rappresentano il reinvestimento o la trasformazione dei proventi diretti, nonché il valore corrispondente a tutte le perdite evitate e gli utili valutabili (in breve, viene estesa la nozione di profitto a quello "indiretto" ed accolta la logica "per equivalente");

c) tale confisca deve abbracciare, come già avviene in diversi Stati membri, beni che "è molto più probabile" che siano stati originati da attività criminali "di natura o gravità analoga" a quella per cui il soggetto viene condannato (si tratta, quindi, di una confisca "estesa" che però è ancora vincolata al requisito di una condanna per un reato, analogamente a quanto previsto nell'ordinamento italiano dall'art. 12 sexies del d.l. n. 306/1992);

d) la confisca non può essere applicata in caso di prescrizione (soluzione particolarmente significativa in un momento in cui in Italia si registra, sul punto, un evidente contrasto giurisprudenziale alimentato anche di recente dalla sentenza Cass., Sez. VI, 6.12.2012, n. 18799) e, in generale, non può prescindere dal requisito della condanna ovvero essere applicata in un procedimento separato se quello penale si è concluso con l'assoluzione per il fatto presupposto (ne bis in idem);

e) la confisca in assenza di condanna deve essere ammessa nei "limitati" casi, già previsti in alcuni Stati membri (talvolta qualificando la misura come "civile" o "amministrativa"), di morte o impedimento permanente dell'imputato, fuga e impedimento temporaneo del medesimo che comportino il rischio di prescrizione e, infine, insussistenza di "prove sufficienti" per l'azione penale ma ritenuta "probabilità" che i beni siano di origine lecita (quest'ultima ipotesi è senza dubbio la più significativa e, in effetti, si deve notare come nella proposta della Commissione europea emerga "timidamente" solo nel considerando n. 12, mentre viene del tutto obliterata nel testo dell'art. 5 e nella nota illustrativa a tale disposizione presente nella relazione iniziale);

f) la confisca deve colpire anche i beni posseduti da soggetti terzi che siano in mala fede, intesa come conoscenza o conoscibilità della provenienza illecita dei beni medesimi alla luce di elementi di fatto che avrebbero dovuto farne sospettare tale origine;

g) occorre introdurre forme di sequestro ("congelamento") in grado di assicurare la confisca dei proventi del reato, purché siano pronunciate o comunque convalidate da un organo giurisdizionale, effettivamente volte a prevenire la dispersione dei beni confiscabili (alla luce di una verifica periodica della sussistenza di tale esigenza) e proporzionate;

h) è necessario creare di un'istituzione europea per l'amministrazione dei beni congelati e confiscati;

i) deve essere garantita la tutela dei diritti fondamentali stabiliti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e riconosciuti dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, tra i quali vengono annoverati i principi della presunzione d'innocenza e di legalità, il canone della proporzione, il diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale (con i dovuti adattamenti, anche ai soggetti terzi colpiti dal provvedimento).

In definitiva, dal testo proposto dalla Commissione europea, emerge una figura di confisca "ampia" dei proventi del reato (ammessa anche nella forma "per equivalente" o "di valore", oramai paradigmatica nelle fonti europee) e tendenzialmente vincolata alla condanna per determinati reati. Rimane incerta, in effetti, l'apertura alla possibilità di confiscare beni di probabile origine illecita anche nei casi di "prove insufficienti" per l'esercizio dell'azione penale.

 

4. Come segnalato, le modifiche apportate al testo dalla Commissione LIBE, anche alla luce del parere formulato dal Comitato economico e sociale europeo, incidono in maniera significativa sul contenuto della direttiva (tanto sui consideranda, quanto sugli articoli).

Sin dall'emendamento apportato al considerando n. 1, infatti, si specifica come la confisca non deve limitarsi a neutralizzare i proventi di reato, bensì deve estendersi a «qualsiasi proprietà che risulti dalle attività criminali», indicando la necessità di un riconoscimento reciproco delle misure adottate dagli Stati membri nei settori «diversi da quello penale» ovvero in assenza di una condanna ed aventi per oggetto redditi attribuibili ad una organizzazione criminale o ad una persona sospettata di appartenere ad un'organizzazione criminale (evidente il riferimento alla confisca di prevenzione prevista nell'ordinamento italiano). Ma soprattutto, oltre il problema del reciproco riconoscimento, la gran parte degli emendamenti successivi è volta ad elaborare un modello di confisca in assenza di condanna e riferibile alla generalità dei reati sopra richiamati e, quindi, non necessariamente a fenomeni collegati alla criminalità organizzata (v. le modifiche apportate ai consideranda 11 e 12 ed agli articoli 3, 4, 5 e 9).

In particolare, non solo si richiede espressamente la confisca in caso di prescrizione del reato (ribaltando la soluzione proposta dalla Commissione europea) ma, soprattutto, viene "risolta" l'asimmetria che si registrava nel testo originario tra il considerando n. 12 e l'articolo 5, dato che nella seconda disposizione si prevede ora espressamente una forma generale di confisca "senza condanna" (e proprio il considerando 12, come emendato, chiarisce che ciò vale anche nella fondamentale ipotesi di assenza di prove sufficienti per "ottenere" una condanna penale) nei casi in cui l'autorità giudiziaria sia comunque convinta, dopo aver utilizzato tutti i mezzi di prova disponibili, inclusa la sproporzione con il reddito dichiarato, che i beni derivano da attività di natura criminale. Si sottolinea, in proposito, che tale forma di confisca è stata già dichiarata compatibile con i diritti fondamentali e, in particolare, con le prerogative processuali sancite dall'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo da parte della Corte di Strasburgo (nuovo considerando n. 18-bis e articolo 5 emendato). Sul punto, in effetti, già la relazione della Commissione europea faceva riferimento alla nota giurisprudenza di Strasburgo in tema di misure di prevenzione patrimoniale italiane (nello specifico, alla sentenza Raimondo c. Italia, 22 febbraio 1994).

Altre modifiche, più marginali, riguardano l'introduzione di un reato di intestazione fittizia dei beni a fini elusivi (simile al trasferimento fraudolento di valori previsto dall'art. 12-quinquies del d.l. n. 306/1992), alcune specificazioni relative agli utilizzi dei beni confiscati da parte dell'agenzia europea ipotizzata dalla Commissione europea o, ancora, la soppressione dell'elencazione dei motivi di sospetto idonei a dimostrare la malafede dei terzi acquirenti (ritenuta ultronea).

 

5. In definitiva, si può notare che la Commissione LIBE punta decisamente su di un modello di confisca praeter probationem delicti diverso ed evoluto rispetto a quello delineato nella proposta della Commissione europea. Si tratta, in effetti, di una misura che presenta diversi tratti analoghi alla confisca di prevenzione ora disciplinata, nell'ordinamento italiano, dall'art. 24 del Codice delle leggi antimafia (in quanto parimenti fondata su di un giudizio di sproporzione dei beni rispetto al reddito ed altri elementi che dimostrino l'origine delittuosa degli stessi). Come si è già avuto modo di segnalare, d'altra parte, tale forma di confisca sarebbe chiamata ad operare anche rispetto a sfere di illiceità certamente estranee alla criminalità organizzata (con una tendenza espansiva che si registra anche in Italia e che è emersa sulle stesse testate giornalistiche con riferimento ad un recente "maxi-sequestro" in un'importante indagine per fatti di corruzione).

Inevitabilmente, peraltro, la Commissione LIBE è chiamata a pronunciarsi sulla natura di tale forma di confisca, il che affiora a più riprese nel testo emendato della direttiva. Ebbene, a parte il considerando n. 1 (che rinvia al riconoscimento delle confische adottate in settori "diversi da quello penale" dagli Stati membri), in varie disposizioni si ribadisce costantemente che la confisca (disposta a seguito di condanna o meno) deve essere ritenuta avente natura penale alla luce dei noti criteri elaborati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo (v. il considerando aggiunto n. 12-bis, il testo emendato dell'art. 5 e la relativa motivazione). Tale conclusione deriva evidentemente dall'esigenza di conservare l'aggancio alla base giuridica dell'art. 83 TFUE (il che è manifesto nelle motivazioni della Commissione LIBE in calce agli emendamenti nn. 27 e 33) ma, d'altra parte, risulta effettivamente coerente con l'approccio della Corte di Strasburgo in materia. Nella direttiva mancano, in effetti, riferimenti alla pericolosità dei beni che potrebbero autorizzare un'eventuale qualificazione in termini preventivi della misura e dopotutto, come già osservato, l'ambito applicativo della direttiva non si limita ai soli reati collegati alla criminalità organizzata.

Il problema, tuttavia, è che quando si sostiene la compatibilità di tale forma di confisca con le garanzie previste dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, non sembra tenersi conto del fatto che la Corte di Strasburgo giunge a tale conclusione proprio sulla base della negazione del carattere penale della misura. La richiesta di un certo equilibrio tra oneri dell'accusa e oneri della difesa rispetto alla dimostrazione della provenienza illecita dei beni, infatti, viene formulata dalla Corte europea sul terreno del canone di equità processuale di cui all'art. 6, § 1, Cedu e non su quello della presunzione d'innocenza di cui all'art. 6, § 2, Cedu (così avviene, appunto, nella già segnalata giurisprudenza sulla confisca di prevenzione prevista nella legislazione italiana antimafia).

In definitiva, nel testo della Commissione LIBE non sembra tenersi adeguatamente conto del fatto che, alla luce del riconoscimento della natura penale della confisca ivi disciplinata - il quale difficilmente potrebbe essere ignorato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e dalle stesse giurisdizioni interne -, l'applicazione della stessa dovrebbe soddisfare i (superiori) standard garantistici derivati dal principio "penalistico" della presunzione d'innocenza. Non appare casuale, in effetti, che il testo emendato dell'articolo 5 si riferisca ad una generica compatibilità con l'art. 6 Cedu omettendo, tuttavia, di specificare esattamente il paragrafo rilevante.

Eppure, non si possono sottovalutare taluni profili di tensione con il canone della presunzione di innocenza che potrebbero derivare, effettivamente, dall'applicazione di una misura dalla dichiarata natura penale anche in assenza di prove sufficienti a sostenere l'accusa in giudizio o, comunque, ad "ottenere" una condanna penale. Di fronte ad una scelta del legislatore europeo (allo stato, solo eventuale) nel senso della soluzione particolarmente "funzionalista", allora, non è difficile ipotizzare il riaffiorare dei cc.dd. "contro-limiti" previsti nei vari sistemi costituzionali e del conseguente problema della "gestione" dei diversi livelli di tutela riscontrabili nel panorama europeo (il pensiero corre, com'è evidente, alla recente vicenda Melloni, sui cui De Amicis, All’incrocio tra diritti fondamentali, mandato d’arresto europeo e decisioni contumaciali: la Corte di Giustizia e il caso Melloni, 7 giugno 2013, e Manacorda, Dalle carte dei diritti a un diritto penale "à la carte", 17 maggio 2013, entrambi in questa Rivista).