ISSN 2039-1676


13 maggio 2011 |

Corte cost., 12 maggio 2011, n. 164, Pres. Maddalena, Rel. Frigo (presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere ex art. 275, c. 3, c.p.p nei procedimenti per omicidio volontario)

Parzialmente incostituzionale la modifica dell'art. 275 co. 3 c.p.p. introdotta con il "pacchetto sicurezza" del 2009

Con la sentenza in esame, che ha già fatto registrare le prime reazioni critiche da parte di esponenti della maggioranza politica che aveva espresso la norma censurata,  si è dichiarata l’illegittimità della disposizione che poneva una presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere, per la garanzia di esigenze cautelari, in presenza di gravi indizi di colpevolezza per il delitto di omicidio.
 
Più precisamente, con la pronuncia in commento la Corte costituzionale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, secondo e terzo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’art. 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’art. 575 del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”.
 
Dopo essere già intervenuta sull’art. 275, comma 3 c.p.p. con la sent. 21 luglio 2010, n. 265, che aveva dichiarato l’incostituzionalità della medesima presunzione assoluta relativamente ai reati a sfondo sessuale, la Corte ha ribadito il consolidato principio secondo cui le presunzioni legali iuris et de jure (come quella che qui ci occupa) sono da ritenersi contrarie al principio di uguaglianza nella misura in cui “non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit”. In particolare, l’irragionevolezza della presunzione si coglie ogniqualvolta «sia ‘agevole’ formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» (cfr. Corte cost. n. 139 del 2010 e 291 del 2010).
 
Mentre la deroga al principio di gradualità nella scelta tra le diverse misure cautelari prevista dalla stessa norma scrutinata in relazione ai delitti di criminalità mafiosa appare, per la marcata ed oggettiva pericolosità che caratterizza questi delitti, rispettosa della su indicata condizione di legittimità costituzionale, altrettanto non può dirsi con riferimento al delitto di omicidio, il quale – per quanto efferato e incidente sul più rilevante tra i valori costituzionali – presenta caratteristiche oggettive e soggettive così fortemente differenziabili e variabili da non consentire l’enucleazione di una valida regola d’esperienza che permetta di ritenere idonea a soddisfare le esigenze cautelari sussistenti in relazione all’autore di tale delitto la sola misura della custodia in carcere, per di più in una materia, come quella della limitazione della libertà personale nel corso del processo, in cui vige la regola generale del “minor sacrificio necessario” imposta direttamente dai principi di uguaglianza (art. 3 Cost.), inviolabilità della libertà personale (art. 13 Cost.) e di presunzione d’innocenza (art. 27, c. 2, Cost.).
 
La Corte ha sottolineato, in proposito, che “l’omicidio può bene essere, e sovente è, un fatto meramente individuale, che trova la sua matrice in pulsioni occasionali o passionali”, spesso maturate nell’ambito familiare o in particolari contesti socioeconomici, come per l’appunto nel caso oggetto del procedimento a quo, in cui il fatto sembra connotarsi – sulla base della ricostruzione operata nell’ordinanza di rimessione – come “episodio ‘a carattere reattivo a fronte di una lunga storia di violenze subite’ dall’imputata, nell’ambito di una relazione affettiva in dissoluzione”. In contesti simili, le esigenze cautelari ben possono “trovare idonea risposta anche in misure diverse da quella carceraria, che valgano a neutralizzare il “fattore scatenante” o ad impedirne la riproposizione”, semplicemente assicurando la separazione dell’imputato dal contesto che è stato all’origine dell’atto violento.
 
Conformemente a quanto già affermato nella precedente sentenza n. 265/2010, la Corte ha d’altra parte escluso che il primario rilievo degli interessi tutelati dalla norma incriminatrice o il particolare allarme sociale ingenerato da un determinato tipologia di reato possano di per sé legittimare una presunzione assoluta di adeguatezza della misura custodiale. In particolare l’eliminazione o la riduzione dell’allarme sociale non possono essere ascritte tra le legittime finalità della custodia cautelare, costituendo esse semmai una finalità istituzionale della pena, sulla base però di un compiuto accertamento della responsabilità per il reato. 
 
In ragione dunque dell’assenza di un sostrato empirico-fattuale che possa suffragare la presunzione contenuta nell’art. 275, c. 3, c.p.p., la Corte ne dichiarata l’incostituzionalità, nei termini enunciati in apertura.
 
Come nei precedenti sopra citati, il giudizio di incompatibilità costituzionale è stato fondato sul carattere non superabile della presunzione posta dalla norma, senza negare la possibilità che, in base alla valenza sintomatica tipica di determinate condotte, il legislatore incida sulle regole di accertamento del livello di pericolosità dell’accusato. In pratica, la presunzione di adeguatezza della sola custodia in carcere non è stata eliminata, quanto piuttosto trasformata, da assoluta a relativa. Di qui la nuova possibilità per il giudice di apprezzare elementi specifici utili a documentare che, nel caso concreto, anche misure non carcerarie possono garantire tutela delle esigenze cautelari indicate dall’art. 274 c.p.p.