1. Con la sentenza che può leggersi in allegato, le
Sezioni Unite della Cassazione hanno risolto
in senso affermativo il seguente
quesito, posto da un’ordinanza di rimessione della Seconda Sezione, già pubblicata
in questa Rivista con un’annotazione di Romeo: “se la recidiva, che può determinare un aumento di pena superiore a un terzo, sia
circostanza aggravante ad effetto speciale e se, pertanto, soggiaccia, ove ricorrano altre circostanze aggravanti ad effetto speciale, alla regola dell’applicazione della pena stabilita per la circostanza più grave, con possibilità per il giudice di applicare un ulteriore aumento”; regola stabilita dall’
art. 63, co. 4 c.p.”.
Nel caso oggetto del giudizio rimesso alle S.U., il Tribunale di Genova, nel pronunciare condanna per il delitto di rapina, in continuazione con altri reati, aveva applicato la predetta regola a fronte del concorso tra l’aggravante di cui all’art. 628, co. 3, n. 1 c.p. (fatto commesso con armi, o da persona travisata o da più persone riunite) e la recidiva (reiterata, specifica e infraquinquiennale), individuata quale circostanza (ad effetto speciale) più grave. A venire in rilievo, in particolare, è nel caso di specie la recidiva obbligatoria ex art. 99, co. 5 c.p. (la rapina aggravata ai sensi dell’art. 628, co. 3 c.p. è infatti compresa nel catalogo dei reati di cui all’art. 407, co. 2, lett. a c.p.p., cui l’art. 99, co. 5 c.p. rinvia per l’individuazione dei casi in cui l’aumento di pena per la recidiva è obbligatorio).
Avverso la sentenza di condanna ricorreva il P.G. presso la Corte d’Appello di Genova, lamentando l’erronea applicazione dell’art. 63, co. 4 c.p., sul presupposto che la recidiva, anche quando comporta un aumento di pena superiore a un terzo (cioè in tutte le sue forme, tranne quella ‘semplice’ di cui all’art. 99, co. 1 c.p.) sarebbe una mera circostanza inerente la persona del colpevole (art. 70 c.p.), e non potrebbe qualificarsi come circostanza ad effetto speciale, come tale soggetta alla disciplina dell’art. 63, co. 4. Il Tribunale, pertanto, anziché applicare il solo aumento di pena per la recidiva (ritenuta, come si è detto, circostanza più grave ai sensi dell’art. 63, co. 4 c.p.) avrebbe dovuto provvedere a un duplice aumento di pena: sia ai sensi dell’art. 628, co. 1, n. 3, sia ai sensi dell’art. 99, co. 5.
2. Le tesi sostenute, rispettivamente, dal Tribunale e dal P.G., corrispondono a
due contrapposti orientamenti (recidiva come circostanza inerente alla persona del colpevole, ai sensi dell’art. 70 c.p.,
vs. recidiva come circostanza ad effetto speciale), che hanno dato luogo a un contrasto giurisprudenziale (sul quale v. il già citato contributo di Romeo, in
questa Rivista) risolto dalle S.U. a favore della tesi che ravvisa nell’ipotesi in esame un
concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale, disciplinato dall’art. 63, co. 4 c.p. che prevede, per tale ipotesi, il cumulo giuridico delle pene.
Il presupposto di tale approdo è la qualificazione della
recidiva come circostanza del reato ad effetto speciale, allorché comporta un aumento di pena superiore a un terzo (in tal senso v. anche Cass. S.U. 24.2.2011, n. 17386, Naccarato,
in questa Rivista). E’ una qualificazione, osservano le S.U., che
non è logicamente incompatibile con l’indubbia natura di circostanza soggettiva, inerente alla persona del colpevole, assegnata alla recidiva dall’art. 70 c.p. I criteri di classificazione delle circostanze – si legge infatti nella sentenza annotata – sono plurimi a seconda che si abbia riguardo ai
contenuti (circostanze oggettive/soggettive), alla
modalità di previsione legislativa (definite/indefinite; discrezionali/obbligatorie), o agli
effetti applicativi (ad effetto comune/speciale).
Ripercorrendo la più recente elaborazione della giurisprudenza ordinaria e costituzionale in tema di recidiva (oggetto, in questa
Rivista, di un
ricco contributo di Piffer), le S.U. confermano la “piena adesione alla concezione della
recidiva quale circostanza aggravante”, e non già quale “mero
status desumibile dal certificato penale”. “Il giudizio sulla recidiva – osservano le S.U. precisando il
fondamento dell’aggravante e la sua
natura ‘soggettiva’ – non riguarda l’astratta pericolosità del soggetto o un suo
status personale
svincolato dal fatto reato. Il riconoscimento e l’applicazione della recidiva quale circostanza aggravante postulano, piuttosto, la
valutazione della gravità dell’illecito commisurata alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal soggetto agente, idonea ad incidere sulla risposta punitiva - sia in termini retributivi che in termini di prevenzione speciale - quale aspetto della
colpevolezza e della
capacità di realizzazione di nuovi reati, soltanto nell’ambito di una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente significativo – in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, e avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen. – sotto il profilo della
più accentuata colpevolezza e della
maggiore pericolosità del reo.
Proprio in quanto circostanza del reato, la recidiva non può che essere soggetta alle disposizioni che il codice penale riserva, appunto, alle circostanze del reato: “l’esclusivo richiamo alla distinzione tra circostanze oggettive e soggettive (art. 70 c.p.), attinente a un profilo squisitamente contenutistico, per inferire un peculiare regime della recidiva [sottraendola alla disciplina di cui all’art. 63, co. 4 c.p. – n.d.a.], sottintende una lettura parziale della relativa disciplina, che non si esaurisce nella predetta disposizione, ma si articola in altre norme: l’art. 99 c.p., che […] impone […] aumenti di pena superiori ad un terzo, qualora il giudice ritenga sussistente l’aggravante e ne faccia concreta applicazione; l’art. 69 c.p. […] che, come si ricava dalla stessa rubrica, detta le regole in tema di ‘Concorso di circostanze aggravanti e attenuanti’ ai fini del trattamento sanzionatorio, e, al quarto comma, annovera chiaramente, ai fini del divieto di bilanciamento, la recidiva nella categoria delle circostanze”.
La valorizzazione esclusiva dell’art. 70 c.p. – prosegue la sentenza annotata – non tiene d’altra parte in debita considerazione “i principi generali contenuti negli artt. 63 e 64 c.p., che stabiliscono in linea generale i criteri discretivi tra ordinarie circostanze aggravanti e circostanze aggravanti ad effetto speciale e disciplinano l’applicazione dei relativi aumenti di pena anche con riferimento al concorso di circostanze omogenee o eterogenee”.
3. La sentenza annotata precisa, d’altra parte, come alla regola stabilita dall’art. 63, co. 4 non si sottrae nemmeno la
recidiva obbligatoria ex art. 99, co. 5 c.p., contestata e ritenuta nel caso di specie (tesi sostenuta, invece, da Cass. Sez. II, 16.6.2009, n. 26517, Grande,
Ced Cassazione m. 244723.
Contra, Piffer,
in questa Rivista): l’obbligatorietà dell’aumento di pena per la recidiva, osservano le S.U., non comporta una deroga all’art. 63, co. 4 c.p., che il legislatore
non ha previsto. Lo impone un’interpretazione conforme a Costituzione: quella deroga infatti – attribuendo alla recidiva obbligatoria uno statuto speciale per il caso di concorso con altre circostanze aggravanti ad effetto speciale, che imporrebbe sempre e comunque di procedere al cumulo materiale – sarebbe contraria ai principi costituzionali di offensività, proporzionalità e ragionevolezza della pena, oltre che alla funzione rieducativa della pena.
Va notato come l’affermata applicabilità dell’art. 63, co. 4 alla recidiva obbligatoria comporta invece, a ben vedere, una
deroga al regime di obbligatorietà dell’aumento di pena per tale forma di recidiva (non si tratta peraltro dell’unica deroga: anche il giudizio di bilanciamento
ex art. 69 c.p., nel quale è attratta anche la recidiva obbligatoria, può comportare l’esclusione del relativo aumento di pena). E’ un corollario implicito al principio di diritto affermato dalle S.U.: è infatti ben possibile (anche se
non è il caso oggetto della sentenza annotata) che circostanza più grave, ai sensi dell’art. 63, co. 4, sia la diversa circostanza ad effetto speciale concorrente con la recidiva
ex art. 99, co. 5 c.p. E anche se le S.U. non lo precisano, a noi pare che, in tale ipotesi la recidiva, contestata e ritenuta dal giudice, produrrebbe comunque tutti gli
effetti diversi e ulteriori rispetto all’aumento di pena (analogamente a quanto avviene, secondo quanto da ultimo affermato dalle S.U. nella
sentenza Calibè del 2010, allorché all’esito del giudizio di bilanciamento, la recidiva risulti subvalente o equivalente rispetto a concorrenti attenuanti, nei limiti in cui ciò è consentito dall’art. 69 c.p.).
3.1. Va altresì segnalato – per inciso – che la sentenza annotata ha costituito l’occasione per due importanti obiter dicta circa l’individuazione delle ipotesi in tema di recidiva obbligatoria ex art. 99, co. 5 c.p.:
a) a dover essere compreso nell’elenco di cui all’art. 407, co. 2, lett. a) c.p.p. è il nuovo delitto commesso (e non già quello precedente, o entrambi). Cfr. Cass. 23.9.2010, Pisanello, Ced Cassazione m. 248289; Cass. 12.11.2009, Moussaid, ivi, 246254; Cass. 11.6.2009, ivi, 244268;
b) l’art. 99, co. 5 c.p. “affianca alle diverse forme di recidiva facoltativa, disciplinate dai primi quattro commi, altrettante forme di recidiva obbligatoria” (non si limita perciò a contemplare, come pure è stato sostenuto, una forma di recidiva reiterata o aggravata obbligatoria). Cfr. Cass. 12.11.2009, Moussaid, cit.; Cass. 2.7.2007, Farris, Ced Cassazione m. 236910, nella motivazione. In dottrina cfr., ad es., Marinucci-Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, III ed., 2009, p. 506.
4. L’applicabilità dell’art. 63, co. 4 alla recidiva non è peraltro l’unico principio di diritto enunciato dalla sentenza allegata, che nella parte conclusiva si sofferma sul problema della individuazione della circostanza “più grave” ai sensi della disposizione medesima, indicando come criterio quello della valutazione in astratto. Sicché, si deve tener conto non già della pena in concreto irrogabile, bensì del massimo della pena edittale e, in caso di parità del massimo edittale, del maggior minimo. Fermo restando però che l'individuazione della circostanza più grave sulla base del massimo della pena astrattamente prevista non può comportare, in presenza di un’altra aggravante il cui limite minimo sia più elevato, l’irrogazione di una pena ad esso inferiore” (analogamente a quanto affermato dalle S.U. in tema di concorso formale e di continuazione, nell’ipotesi in cui il minimo della pena edittale stabilita per un reato sia inferiore al minimo della pena edittale prevista per un altro reato in continuazione. Cfr. Cass. S.U. 27.3.1992, n. 4901, Cardarilli, Ced Cassazione m. 191120-28).
Applicando tali principi al caso di specie, le S.U. concludono dunque affermando che la pena di cinque anni di reclusione irrogata dal Tribunale di Genova “pur se conseguente all’erronea individuazione della recidiva ex art. 99, co. 5 c.p. quale circostanza aggravante più grave ai fini di cui all’art. 63, co. 4 c.p., è stata correttamente determinata, in quanto non inferiore al minimo stabilito dalla legge per l’aggravante ad efficacia speciale in concorso con quella (art. 628, co. 1, n. 3, c.p.) per la quale è contemplata in astratto una sanzione più elevata.