20 febbraio 2014 |
Monitoraggio Corte Edu Novembre 2013
Rassegna di sentenze e decisioni della Corte EDU rilevanti in materia penale sostanziale e processuale
A cura di Giulio Ubertis e Francesco Viganò.
All'introduzione - contenente la presentazione ragionata dei casi di maggior interesse decisi dalla Corte nel periodo di riferimento - segue la sintesi delle pronunce più rilevanti, presentate in ordine cronologico.
Tutti i provvedimenti citati sono agevolmente reperibili sul database ufficiale della Corte EDU.
Il monitoraggio delle pronunce è stato curato, questo mese, da Fabio Cassibba, Irene Gittardi, Francesco Mazzacuva e Matteo Montorsi. L'introduzione è a firma di Fabio Cassibba per quanto riguarda gli art. 5, 6 e 8 Cedu, mentre si deve a Francesco Mazzacuva la parte relativa agli art. 2, 3, 7 e 11 Cedu.
SOMMARIO
1. Introduzione
a) Art. 2 Cedu
b) Art. 3 Cedu
c) Art. 5 Cedu
d) Art. 6 Cedu
e) Art. 7 Cedu
f) Art. 8 Cedu
g) Art. 11 Cedu
2. Sintesi delle pronunce più rilevanti
* * *
1. Introduzione
a) Art. 2 Cedu
Tra le pronunce della Corte europea rilevanti in materia penale, si registrano anzitutto alcune sentenze nelle quali i giudici di Strasburgo hanno confermato il poliedrico sistema di garanzie offerto dall'art. 2 Cedu nei casi di decesso imputabile all'operato di agenti pubblici. Come noto, infatti, oltre ad una violazione del profilo sostanziale, dichiarata qualora venga riconosciuto un uso sproporzionato della forza, in tali ipotesi viene frequentemente rilevata altresì una violazione sul piano "procedurale" in ragione dell'inadeguatezza delle indagini interne.
Tale duplice dispositivo, ad esempio, è stato ancora una volta adottato dalla Corte europea in uno dei ricorrenti casi di sparizione di soggetti in territorio ceceno, ritenuto con ogni probabilità imputabile all'operato di agenti governativi (v. sent. 7 novembre 2013, Bopayeva e altri c. Russia, nella quale, peraltro, lo stato di angoscia dei familiari degli scomparsi derivato dall'inerzia delle indagini è stato valutato, come in passato, alla stregua di una violazione dell'art. 3 Cedu). Analoghe conclusioni, poi, sono state raggiunte nella sent. 12 novembre 2013, Benzer e altri c. Turchia (per una sintesi, v. infra), originata dai ricorsi dei familiari delle decine di vittime civili di un'operazione militare aerea. Confermando il proprio orientamento, inoltre, la Corte europea giunge alle medesime conclusioni anche con riguardo ad episodi di uso della forza non letali ma comunque potenzialmente idonei a cagionare la morte (in questo senso, v. sent. 26 novembre 2013, Taydas c. Turchia).
Come noto, poi, l'art. 2 Cedu impone obblighi "positivi" di tutela in capo agli Stati anche in situazioni di decesso non imputabile all'esercizio della forza pubblica. Dal punto di vista "sostanziale", ad esempio, si manifestano anzitutto veri e propri doveri di prevenzione degli omicidi in determinate situazioni di "custodia" (caserme, penitenziari, ecc.), come ribadito nella sent. 12 novembre 2013, Yabansu e altri c. Turchia, in cui è stata dichiarata la violazione di tale profilo rispetto all'uccisione di un soldato da parte di un commilitone cui era stato consentito l'uso di un'arma da fuoco nonostante la sofferenza di disturbi psichici. Quanto all'aspetto procedurale, si ripropone l'affermazione secondo la quale l'accertamento delle responsabilità penali nei casi di omicidio deve essere imparziale, efficace e rapido, come ribadito nell'ultima pronuncia citata, nonché nella sent. 28 novembre 2013, Nikolay e Igor Volkogonov c. Ucraina, relativa ad un incidente stradale nel quale erano rimasti coinvolti privati cittadini e nel quale uno di questi aveva perso la vita.
b) Art. 3 Cedu
L'articolazione tra garanzie sostanziali e processuali viene riproposta dalla Corte europea, come noto, anche nelle ipotesi di uso della forza integrante le fattispecie di "tortura" e "trattamenti inumani e degradanti" (la cui distinzione, giova ricordarlo, è essenzialmente quantitativa), in particolare se imputabile ad agenti pubblici. Di conseguenza, violazioni dell'art. 3 Cedu sono riscontrate, rispettivamente, qualora il ricorso alla violenza da parte della pubblica autorità risulti sproporzionato ovvero non sia seguito da indagini imparziali, rapide ed effettive.
Nel mese di novembre, tali tipologie di violazione sono state riscontrate cumulativamente nelle sent. 5 novembre 2013, Mesut Deniz c. Turchia e Nezir Adiyaman c. Turchia, 7 novembre 2013, Belousov c. Ucraina e Ermakov c. Russia, sent. 14 novembre 2013, Ryabtsev c. Russia, sent. 28 novembre 2013, Aleksandr Novoselov c. Russia. D'altra parte, non mancano pronunce in cui la Corte europea rileva esclusivamente la violazione di uno dei due aspetti considerati, come nelle sent. 5 novembre 2013, Ertus c. Turchia (che presenta censure in relazione al solo profilo procedurale) e 7 novembre 2013, Gerashchenko c. Ucraina (in cui la distruzione del fascicolo processuale impedisce alla Corte europea di esprimersi sulla, pur ritenuta probabile, inadeguatezza delle indagini, ma non di dichiarare una violazione sostanziale dell'art. 3 Cedu), ovvero casi in cui il ricorso viene dichiarato inammissibile per inconsistenza delle allegazioni (in effetti, a tali conclusioni la Corte europea perviene solitamente attraverso la procedura del Commitee, ma le stesse possono essere riportate in una sentenza camerale pubblica in caso di compresenza di altri motivi di ricorso non manifestamente inammissibili, come avvenuto nella sent. 7 novembre 2013, Lobas c. Ucraina).
Come osservato per l'art. 2 Cedu, le garanzie sostanziali e procedurali rilevano anche rispetto a trattamenti contrari all'art. 3 Cedu posti in essere da privati. In tali ipotesi, ancora una volta, il substantial limb si traduce in un obbligo "positivo" di prevenzione delle condotte illecite anche mediante la minaccia e l'inflizione della sanzione penale, anche se la Corte europea di recente sembra preferire limitarsi a dichiarare violato il solo procedural limb, come avvenuto nelle sent. 14 novembre 2013, Skorokhodov c. Ucraina e Aleksandr Nikonenko c. Ucraina.
Con le coeve sent. 14 novembre 2013, Z. M. c. Francia, Kasymakhunov c. Russia, Chankayev c. Azerbaijan e M.D. c. Belgio, la Corte europea ribadisce che i provvedimenti di espulsione o estradizione che espongano il destinatario ad un rischio di trattamenti contrari all'art. 3 Cedu nello Stato di destinazione rendono responsabile anche lo Stato espellente, anche se nel terzo caso tale rischio viene ritenuto insussistente, mentre nell'ultimo, alla luce degli impegni assunti dal governo belga, la causa dal ruolo viene cancellata dal ruolo essendo la controversia ritenuta "risolta" ai sensi dell'art. 37 Cedu.
Come sempre numerosi, infine, risultano i casi di violazione dell'art. 3 Cedu in ragione delle condizioni di detenzione inumane e degradanti. Tale situazione è riscontrata dalla Corte europea, ad esempio, in casi di assistenza medica inadeguata, come nella sent. 14 novembre 2013, Blokhin c. Russia (in cui si precisa che l'onere della prova circa l'adeguatezza delle cure mediche è a carico del governo resistente) ovvero, più in generale, di insufficiente luminosità, aerazione e nutrimento, purché venga attinta una certa soglia di gravità, come confermato a contrario dalla sent. 28 novembre 2013, Dvorski c. Croazia. La causa più ricorrente, d'altra parte, rimane rappresentata dal problema del sovraffollamento carcerario che, nel mese di novembre, è stato considerato ancora una volta alla stregua di un trattamento contrario all'art. 3 Cedu nelle sent. 26 novembre 2013, Cojoaca c. Romania, e 28 novembre, Sergey Babushkin c. Russia e Gorbatenko c. Ucraina.
c) Art. 5 Cedu
Con riguardo alla legalità della custodia cautelare, merita di essere segnalata la sent. 19 novembre 2013, El Kashif c. Polonia (per una sintesi, v. infra): la Corte europea accerta la violazione dell'art. 5 comma 1 lett. c Cedu in un caso in cui, nell'ambito di un dibattimento celebrato contro il ricorrente per reati fiscali, l'ordinanza cautelare è stata emessa dal giudice allo scopo di assicurare la comparizione dell'imputato al giudizio, senza che l'autorità procedente verificasse che una simile esigenza potesse essere soddisfatta da una misura meno afflittiva. D'altra parte, il ritardo di sedici giorni nella traduzione dell'imputato detenuto davanti al giudice per il controllo della legalità della misura cautelare implica pure la violazione dell'art. 5 comma 3 Cedu.
Sul versante della legalità della custodia cautelare in pendenza del procedimento di estradizione passiva, protetta dall'art. 5 comma 1 lett. f Cedu, vanno segnalate le sent. 7 novembre 2013, Ermakov c. Russia (per una sintesi, v. infra) e 14 novembre 2013, Kasymakhumov c. Russia. Va premesso che la Corte europea accerta, in ambedue le vicende, anche la violazione dell'art. 3 Cedu - sotto i profili sostanziale e processuale - per essere stati i ricorrenti torturati dopo avere subito la traduzione forzata in Uzbekistan, senza che la Russia avesse adottato ogni misura atta ad evitare il rischio della extraordinary rendition, ed, anzi, avendo le autorità russe violato un provvedimento urgente di protezione, emesso in favore dei ricorrenti dalla Corte di Strasburgo. Quanto ai profili attinenti all'art. 5 Cedu, i giudici europei accertano, anzitutto, che il procedimento di estradizione è stato condotto con diligenza e in modo celere in ambedue le vicende. Nel primo caso esaminato risulta, invece, la violazione dell'art. 5 comma 4 Cedu, poiché un appello cautelare proposto dal ricorrente contro una proroga della detenzione provvisoria non è stato esaminato dal giudice competente.
d) Art. 6 Cedu
Sul versante dell'equità processuale protetta dall'art. 6 Cedu, merita anzitutto di essere segnalata - anche per il rilievo in senso lato politico della vicenda - la sent. 7 novembre 2013, Al-Dulimi e Montana Management Inc. c. Svizzera (per una sintesi, v. infra). La Corte europea ravvisa una violazione del diritto di accesso al giudice ex art. 6 comma 1 Cedu, non avendo i ricorrenti goduto di alcuna via effettiva di ricorso allo scopo di ottenere la cancellazione dei propri nominativi dalle c.d. black-lists, la cui predisposizione era stata, a suo tempo, autorizzata dal Consiglio di Sicurezza dell'O.N.U. al fine di fronteggiare il fenomeno del terrorismo internazionale, anche con misure incidenti sul patrimonio delle persone fisiche e giuridiche.
Una segnalazione merita pure la sent. 14 novembre 2013, Ryabtsev c. Russia, che ribadisce il consolidato indirizzo della Corte di Strasburgo secondo cui viola l'art. 6 comma 1 Cedu l'impiego probatorio della confessione estorta con torture.
Quanto al profilo attinente alla tutela della presunzione d'innocenza, vanno segnalate le dec. 12 dicembre 2013, Adams c. Regno unito (per una sintesi, v. infra) e A.L.F. c. Regno unito, in cui la Corte europea esclude la violazione dell'art. 6 comma 2 Cedu a seguito del rigetto della domanda di indennizzo per miscarriage of justice, avanzate dai ricorrenti assolti in grado di appello dopo la condanna in primo grado, sul presupposto che la loro innocenza non emergeva oltre ogni ragionevole dubbio, nonostante l'assoluzione.
Sul versante della tutela dei diritti della persona accusata, la sent. 28 novembre 2013, Alexandr Dementyev c. Russia interviene con riguardo al diritto alla comparizione personale del ricorrente detenuto a un'udienza volta alla conversione della pena. Con la pronuncia, la Corte europea esclude la violazione del combinato disposto dell'art. 6 commi 1 e 3 lett. c Cedu: benché l'autorità nazionale avesse tempestivamente informato il detenuto della data dell'udienza e del diritto di parteciparvi personalmente, l'interessato non ha chiesto la traduzione all'udienza (come da suo onere, di cui era stato puntualmente informato), così tacitamente, ma inequivocabilmente e consapevolmente, rinunciando al diritto a comparire.
Infine, quanto al diritto alla difesa tecnica, la sent. 28 novembre 2013, Dvorski c. Croazia (per una sintesi, v. infra) ha escluso la violazione dell'art. 6 comma 3 lett. c Cedu. Il ricorrente, in stato di arresto, non aveva potuto godere dell'assistenza del difensore nominato dai familiari, essendogli stato imposto - in modo discutibile - un difensore d'ufficio. Tuttavia, il diritto alla difesa tecnica non risulta violato, da un lato, perché la difesa d'ufficio, svolta durante le indagini, è stata adeguata, dall'altro e soprattutto, perché la confessione del ricorrente, resa alla presenza del difensore d'ufficio, non ha costituito prova decisiva per l'accertamento della colpevolezza.
e) Art. 7 Cedu
Per ciò che concerne il principio di legalità di cui all'art. 7 Cedu, si deve segnalare la sent. 28 novembre 2013, Glien c. Germania (per una sintesi, v. infra), nella quale la Corte europea è tornata sul problema della legittimità delle modifiche retroattive apportate alla disciplina della misura di sicurezza detentiva della Sicherungsverwahrung (custodia di sicurezza). Confermando l'impianto argomentativo del leading case rappresentato dalla sent. 17 dicembre 2009, M. c. Germania, infatti, la Corte europea ha ribadito la natura "penale" della misura e la conseguente violazione dell'art. 7 Cedu derivante dall'abrogazione retroattiva del termine massimo decennale. Sebbene si riconosca che, alla luce della citata pronuncia M. c. Germania, nonché delle indicazioni fornite dal Bundesverfassungsgericht con la sentenza del 4 maggio 2011 (sul punto, v. M. Pelissero, Il controllo dell'autore imputabile pericoloso nella prospettiva comparata. La rinascita delle misure di sicurezza custodiali, in questa Rivista, 26 luglio 2011), le autorità nazionali stiano cercando di porre in essere una certa differenziazione tra l'esecuzione della pena detentiva e quella della custodia di sicurezza, la Corte europea ritiene che nessun mutamento significativo abbia riguardato le modalità di internamento del ricorrente («In the present case, the Court, referring to its findings above (see paragraphs 98-99), notes that at the time of the applicant's preventive detention as a result of the proceedings here at issue, extensive measures had been initiated in the defendant State on judicial, legislative and executive level with a view to adapting the execution of preventive detention to the requirements, in particular, of the fundamental right to liberty in the near future. As a result of the changes, the adequate treatment of persons in preventive detention with a view to reducing their dangerousness shall be at the heart of the execution of preventive detention orders. However, the Court is not persuaded that during the period of the applicant's detention here at issue, the applicant was provided with any such additional measures»). Pertanto, viene ribadita la violazione dell'art. 7 Cedu derivante dalla riforma retroattiva sfavorevole di quella che deve qualificarsi come una "sanzione penale", rilevandosi altresì una violazione dell'art. 5 Cedu, non potendo tale restrizione della libertà personale (sempre relativamente al periodo successivo alla scadenza del termine decennale), giustificarsi sulla base della precedente condanna, né tantomeno, come sostenuto dal governo resistente, ai sensi della lettera e) della disposizione, in ragione degli asseriti problemi psichici del ricorrente.
f) Art. 8 Cedu
Quanto al diritto alla vita privata, protetto dall'art. 8 Cedu, meritano una segnalazione due pronunce.
La violazione della vita privata e del diritto a non subire discriminazioni, ai sensi del combinato disposto degli art. 8 e 14 Cedu viene accertata dalla sent. 7 novembre 2013, E.B. e altri c. Austria (per una sintesi, v. infra). La norma del codice penale austriaco, che puniva gli atti omosessuali con minorenni, dapprima, è dichiarata costituzionalmente illegittima, poi, è sostituita con una diversa fattispecie incriminatrice. I ricorrenti, già condannati dai giudici nazionali sulla base dell'originaria previsione, chiedevano la revisione delle condanne per intervenuta abolitio crimins e la conseguente cancellazione delle relative iscrizioni dal casellario giudiziale. Tutte le richieste venivano, però, rigettate, sul presupposto della continuità di tipo d'illecito fra le norme incriminatrici. Per la Corte europea, le iscrizioni nel casellario giudiziale hanno serie ripercussioni negative sull'individuo: il legislatore nazionale avrebbe, così, dovuto considerare l'opportunità di introdurre, per reati come quello considerato, un'eccezione al generale dovere di mantenere nel casellario le iscrizioni dei provvedimenti di condanna. La Corte europea accerta pure la violazione dell'art. 13 Cedu, non avendo i ricorrenti goduto di un ricorso interno effettivo.
Sul versante penalistico sostanziale dell'art. 8 Cedu, viene ancora in gioco la sent. 14 novembre 2013, Södermann c. Svezia (per una sintesi, v. infra). Secondo la Corte europea, l'ordinamento svedese, nel considerare alla stregua di un fatto non previsto dalla legge come reato la captazione clandestina (non seguita dalla diffusione) di immagini di una minorenne nuda, in casa propria, da parte del patrigno, non assicura un'adeguata tutela del minore: l'effettivo rispetto dell'art. 8 Cedu impone, invece, che lo Stato adempia ai propri obblighi positivi di protezione in favore di soggetti vulnerabili.
g) Art. 11 Cedu
Deve essere segnalata, in conclusione, la sent. 26 novembre 2013, KudreviÄius e altri c. Lituania (per una sintesi, v. infra), con cui la Corte europea ha deciso di valutare sul terreno dell'art. 11 Cedu - piuttosto che su quello dell'art. 10 Cedu, rispetto al quale viene configurato un rapporto di genere a specie - la legittimità della repressione penale di una manifestazione di protesta sfociata in un blocco della circolazione stradale, dato che la stessa era stata organizzata da associazioni di categoria. In particolare, il fatto che la manifestazione fosse stata autorizzata e che, in casi simili, fosse stata applicata esclusivamente una sanzione amministrativa, conduce la Corte europea a ritenere sproporzionate le pene inflitte ai ricorrenti ed a riconoscere, di conseguenza, una violazione della disposizione in parola.
2. Sintesi delle pronunce più rilevanti
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 7 novembre 2013, E.B. e altri c. Austria
All'esito di una pluralità di distinti procedimenti penali, intentati contro vari ricorrenti, sono pronunciate diverse condanne per atti omosessuali con minorenne: divenute definitive, le stesse sono iscritte nel casellario giudiziale. Nel frattempo, la Corte costituzionale austriaca dichiara illegittima la norma del codice penale che fondava le condanne e il legislatore la sostituisce con una diversa fattispecie incriminatrice. Pertanto, i ricorrenti chiedono ai competenti giudici nazionali la revisione dei processi per abolitio criminis e, conseguentemente, la cancellazione delle iscrizioni dal casellario giudiziale. Tutte le richieste sono, però, respinte, poiché per i giudici austriaci emerge, sostanzialmente, una continuità di tipo d'illecito fra quello previsto dalla fattispecie originaria e quella previsto dalla fattispecie di nuovo conio. Per la Corte europea, il mantenimento delle iscrizioni nel casellario giudiziale ha serie ripercussioni negative sull'individuo. Il legislatore nazionale avrebbe, così, dovuto considerare l'opportunità d'introdurre, per reati come quello considerato, un'eccezione al generale dovere di mantenere nel casellario le iscrizioni dei provvedimenti di condanna. D'altra parte, sussiste pure la violazione dell'art. 13 Cedu, non avendo i ricorrenti goduto di un ricorso interno effettivo per ottenere la cancellazione delle loro condanne dal casellario giudiziale. (Fabio Cassibba)
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 7 novembre 2013, Ermakov c. Russia
Il ricorrente viene posto in custodia cautelare in vista dello svolgimento di un procedimento di estradizione passiva dalla Russia verso l'Uzbekistan: lo stato detentivo si protrae per dieci mesi dall'avvio del procedimento in parola alla emissione del provvedimento di estradizione. Secondo la Corte europea, le autorità russe hanno svolto il procedimento con diligenza e in modo celere, assicurando il rispetto della legalità della detenzione ai sensi dell'art. 5 comma 1 lett. f Cedu. Analogamente, non sussiste la violazione dell'art. 5 comma 4 Cedu, poiché al ricorrente è stato garantito il diritto al tempestivo controllo giurisdizionale sulla legalità della detenzione, a seguito di un'impugnazione cautelare. Invece, la Corte di Strasburgo ravvisa la violazione dell'art. 5 comma 4 Cedu sotto un diverso profilo: l'appello contro una delle proroghe della custodia cautelare disposte in pendenza del procedimento di estradizione non è esaminato dal giudice competente. Tocca infine notare, per inciso, che la Corte europea ravvisa anche la violazione degli art. 3 e 39 Cedu: il ricorrente, una volta scarcerato, subisce una extraordinary rendition verso l'Uzbekistan, dove viene torturato, senza che le autorità russe avessero adottato ogni misura per scongiurare un simile rischio, ed, anzi, contravvenendo a un provvedimento urgente di protezione già emanato dalla Corte di Strasburgo. (Fabio Cassibba)
C. eur. dir. uomo, sez. IV, dec. 12 novembre 2013, Adams c. Regno unito
A seguito della scoperta di nuove prove a favore del ricorrente dopo la condanna inflitta in primo grado, il giudice di appello assolve l'imputato. Questi formula una domanda d'indennizzo per "miscarriage of justice", lamentando che il processo penale contro di lui non avrebbe nemmeno dovuto essere instaurato. La domanda è respinta, poiché - secondo l'autorità inglese competente - le nuove prove non dimostrano che l'imputato è innocente oltre ogni ragionevole dubbio. La Corte europea non ravvisa la violazione della presunzione d'innocenza, protetta dall'art. 6 comma 2 Cedu, avendo l'autorità inglese fatto buon governo dei precedenti rispetto al caso di specie e interpretando correttamente la legge nazionale che regola il procedimento d'indennizzo per "miscarriage of justice". (Fabio Cassibba)
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 12 novembre 2013, Benzer e altri c. Turchia
I ricorrenti, 41 cittadini turchi, si rivolgono alla Corte europea denunciando un fatto di estrema gravità. Riportano infatti le evidenze di un attacco militare posto in essere da forze dell'aeronautica turca ai danni di due villaggi della regione di Sirnak. Il 26 marzo 1994, infatti, con il pretesto di combattere le formazioni combattenti del PKK - e in seguito a dissidi con la popolazione locale, sospettata di supportare i ribelli curdi - un aeromobile militare bombardava i due villaggi, radendoli al suolo: nel corso dell'attacco morivano 38 persone, mentre molte altre rimanevano gravemente ferite. La Corte europea, dopo aver accuratamente ricostruito il fatto, accoglie il ricorso sotto il profilo dell'art. 2 Cedu. I giudici ritengono provata l'esistenza dell'attacco e l'attribuibilità dello stesso al Governo turco, in ragione di diversi elementi, quali, in primo luogo, le risultanze dei piani di volo e di altri documenti dell'aereonautica militare, inizialmente tenuti nascosti alla Corte europea; in secondo luogo, i giudici considerano la puntuale corrispondenza tra le risultanze documentali e le testimonianze dei superstiti, notando, d'altro canto, l'assenza di spiegazioni convincenti da parte del Governo. La Corte europea quindi reputa, non sorprendentemente, il bombardamento aereo indiscriminato di civili e dei loro villaggi non accettabile in una società democratica e non riconducibile a nessuna ragione che giustifichi l'uso della forza in ragione dell'art. 2 comma 2 Cedu. Lo Stato turco viene dunque giudicato responsabile per la violazione dell'art. 2 Cedu nel suo aspetto sostanziale.
Nell'arresto si afferma poi la sussistenza di una lesione all'art. 2 Cedu anche nel suo aspetto procedurale, in ragione dell'esistenza, emergente dalla lettura del fascicolo di indagine, di gravi lacune investigative. In particolare, i giudici osservano il mancato compimento di atti di indagine nei giorni immediatamente successivi all'attacco, con l'inevitabile perdita di prove preziose, la non acquisizione delle scatole nere e delle dichiarazioni dei militari coinvolti, nonché l'impossibilità, per le vittime e per i loro legali, di accedere agli atti di indagine. La Corte europea censura poi l'attribuzione del bombardamento, arbitraria e mai dimostrata, a fantomatici membri del PKK. Infine, si rammenta l'assoluta mancanza di collaborazione tra le diverse procure che negli anni si erano occupate del caso, accompagnata dall'atteggiamento ostruzionistico tenuto dai militari nel corso delle indagini. La Corte europea giudica violato, da ultimo, l'art. 3 Cedu: il terrore, la paura e il panico causati ai ricorrenti dal bombardamento costituiscono, senza dubbio, un trattamento inumano rilevante alla luce della Convenzione Edu. I ricorrenti lamentano, infatti, non tanto la sofferenza per la morte dei familiari, quanto le circostanze del bombardamento e gli accadimenti successivi. Riportano l'assenza di qualsiasi forma di aiuto da parte delle autorità: sia subito dopo il bombardamento, quando erano stati costretti a raccogliere a mani i corpi dilaniati dei propri cari e a portare i feriti all'ospedale su mezzi di fortuna; sia nei mesi successivi, quando avevano dovuto abbandonare la loro terra e quel che restava delle loro proprietà, senza che le autorità statali fornissero loro una qualche forma di assistenza o, quantomeno, ponessero in essere indagini effettive su quanto accaduto. (Irene Gittardi)
C. eur. dir. uomo, grande camera, sent. 14 novembre 2013, Söderman c. Svezia
Il patrigno della ricorrente, minorenne all'epoca dei fatti, appostandosi fuori dal bagno dell'abitazione con una videocamera, riprende abusivamente quest'ultima mentre è nuda. A seguito della denuncia della minorenne, viene aperto contro il patrigno un procedimento penale, che si conclude con l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato, poiché le immagini abusivamente captate non erano state diffuse ed erano servite solo per soddisfare istinti voyeuristici dell'imputato. Da qui, anche il mancato riconoscimento del diritto al risarcimento del danno civilistico in favore della minorenne. Secondo la Corte europea, l'ordinamento svedese, sul duplice versante penalistico e civilistico, non assicura, in simili casi, un'adeguata tutela in favore del minore, imposta invece dall'art. 8 Cedu: sussiste, così, la violazione degli obblighi positivi di protezione da parte dello Stato. (Fabio Cassibba)
C. eur. dir. uomo, sez. IV, sent. 19 novembre 2013, El Kashif c. Polonia
Nell'ambito di un dibattimento celebrato contro il ricorrente per reati fiscali, il giudice procedente emana un'ordinanza di custodia cautelare per assicurare la comparizione dell'imputato: quest'ultimo resta detenuto per sedici giorni, prima dell'udienza. Secondo la Corte di Strasburgo, sussiste la violazione dell'art. 5 commi 1 e 3 Cedu. Da un lato, alla luce della non elevata gravità del fatto e della personalità del ricorrente, la misura custodiale è sproporzionata rispetto all'esigenza da soddisfare, non avendo le autorità nazionali seriamente verificato se la comparizione del ricorrente potesse essere assicurata mediante l'adozione di una misura meno afflittiva. Dall'altro, il controllo giurisdizionale sulla legalità della detenzione è stato tardivo, poiché la traduzione dell'imputato davanti al giudice dibattimentale è avvenuta solo sedici giorni dopo l'esecuzione della misura custodiale. (Fabio Cassibba)
C. eur. dir. uomo, sez. II, sent. 26 novembre 2013, Al-Dulimi e Montana Management Inc. c. Svizzera
In ottemperanza all'embargo economico deliberato con un'apposita Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'O.N.U. nel 1990, in occasione della c.d. Prima Guerra del Golfo contro l'Iraq di Saddam Hussein, i beni del ricorrente (ritenuto un finanziatore dei servizi segreti irakeni) e quelli di una sua società in Svizzera sono "congelati" dal governo svizzero. Nel 2003, a seguito di una nuova Risoluzione, deliberata del Consiglio di Sicurezza dell'O.N.U. in occasione della c.d. Seconda Guerra del Golfo, volta a contrastare il terrorismo internazionale anche con misure di natura patrimoniale, il nome del ricorrente e di una sua società sono inseriti in una black-list come finanziatori di organizzazioni terroristiche. Il governo svizzero, conseguentemente, emana un provvedimento di confisca dei beni patrimoniali già "congelati" nel 1990. Nel frattempo e sino al 2009, il ricorrente intenta una pluralità di complessi procedimenti giudiziari, davanti a diverse autorità svizzere, ma tutte le azioni restano senza esito. Il ricorrente ottiene solamente dall'autorità amministrativa - e non da quella giurisdizionale - un parziale svincolo di alcuni beni, allo scopo di metterlo nelle condizioni di pagare gli avvocati che lo assistevano, nonché la sospensione dell'esecuzione della confisca dei beni patrimoniali. La richiesta di cancellazione dalla black-list è, invece, reiteratamente rigettata dalle diverse autorità a cui il ricorrente si è via via rivolto; al contempo, perdurano i danni del ricorrente per gli effetti economici pregiudizievoli derivanti dall'inserimento dei suoi dati personali e di quelli societari nella black-list. Per la Corte di Strasburgo, la protezione dei diritti fondamentali offerta dal diritto internazionale a seguito delle Risoluzioni O.N.U. applicate contro il ricorrente non raggiunge la soglia minima di garanzie imposta dalla Convenzione europea: più precisamente, il ricorrente non ha goduto di alcun ricorso giurisdizionale effettivo per contestare i provvedimenti nazionali di sequestro e di confisca dei beni; né una simile limitazione al diritto di accesso al giudice è giustificata, perché è sproporzionata rispetto alle esigenze prese di mira dalle Risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza dell'O.N.U. (Fabio Cassibba)
C. eur. dir. uomo, sez. II, sentenza 26 novembre 2013, KudreviÄius e altri c. Lituania
I ricorrenti sono cinque agricoltori lituani che lamentano il mancato rispetto degli artt. 10 e 11 della Convenzione, ritenendo violata la propria libertà di espressione e di associarsi pacificamente. In particolare, essi avevano partecipato nel 2003 a tre diverse manifestazioni di protesta, organizzate in prossimità di primarie arterie stradali, le quali erano state autorizzate dalle autorità ma che erano sfociate in un blocco delle carreggiate (pur rimanendo consentito il transito ai veicoli e ai trasporti urgenti o pericolosi), revocato solo dopo quattro giorni, una volta concluse le trattative conclude con la rappresentanza governativa. Successivamente i ricorrenti venivano tutti sottoposti a procedimento penale, accusati di aver istigato e organizzato una rivolta, con grave pregiudizio per l'ordine pubblico, a norma del art. 283 comma 1 del Codice Penale lituano. Per i ricorrenti interviene quindi condanna a due mesi di arresto, pena sostituita con il divieto di allontanamento per un anno dalla propria città e confermata nei gradi successivi, essendo state giudicate le condotte degli stessi idonee a turbare sicurezza e ordine pubblico e costituenti legittimo esercizio della libertà di espressione, né in quella di associazione pacifica. Un altro agricoltore coinvolto nelle proteste per condotte analoghe a quelle ascritte ai ricorrenti, veniva invece sanzionato in via amministrativa per la violazione del Codice della Strada.
La Corte di Strasburgo, preliminarmente, rileva che la tutela fornita dall'art. 11 Cedu possa spiegare il suo effetto anche sulla lamentata ingerenza nella libertà d'espressione, dovendosi l'art. 11 considerare lex specialis, in questo caso, rispetto all'articolo 10 Cedu: pertanto, la questione viene affrontata solo in riferimento all'articolo 11 Cedu. La Corte europea prosegue e rileva come la libertà di associarsi, e quindi di aggregarsi e partecipare a manifestazioni, non sia da interpretarsi restrittivamente e che anche qualora lo Stato debba intervenire per assicurare quello che è "necessario in una società democratica", come prevede l'art. 11 comma 2 della Cedu, la compressione di tale diritto dovrà essere proporzionata. Nel caso di specie, la Corte europea, pur riconoscendo che la condanna penale possa considerarsi, in certi casi, misura adeguata, rileva come sia inevitabile che il ritmo di vita ordinario, ed in particolare il traffico, risenta in qualche misura dell'esercizio della libertà di associarsi, e come sia importante che lo Stato mostri un certo grado di tolleranza. La Corte europea dunque, considerato che la manifestazione era stata autorizzata, e che per condotte simili un altro cittadino lituano era stato sanzionato in via amministrativa, ritiene la sanzione penale in questione sproporzionata e non necessaria allo scopo perseguito: riscontra quindi la violazione dell'articolo 11 Cedu. (Matteo Montorsi)
C. eur. dir. uomo, sez. I, sent. 28 novembre 2013, Dvorski c. Croazia
La polizia non consente a G.M. - difensore del ricorrente in stato di arresto, designato dai familiari - di assistere all'interrogatorio. Davanti al giudice della convalida, il ricorrente manifesta l'intenzione di essere assistito da G.M., ma l'autorità procedente lo fa invece assistere da M.R., difensore individuato dalla polizia. Il ricorrente confessa in udienza mentre è assistito da M.R. Successivamente, nel corso del processo, egli, assistito da G.M., non si duole della assistenza tecnica già svolta durante le indagini da M.R.: all'esito del processo il ricorrente è condannato. Per la Corte europea, non sussiste la violazione del diritto all'assistenza tecnica, protetto dall'art. 6 commi 1 e 3 lett. c Cedu. Durante la fase delle indagini, la difesa tecnica espletata da M.R. è risultata adeguata ed effettiva, mentre durante il dibattimento il ricorrente, difeso da G.M., ha potuto contestare le modalità della designazione del difensore di ufficio M.R., pur senza dolersi del suo operato. Al contempo, la confessione, resa dal ricorrente mentre era assistito dal difensore di ufficio M.R., non costituisce la prova decisiva per la colpevolezza. Così, alla luce delle peculiari circostanze del caso, l'originaria condotta della polizia con riguardo all'individuazione del difensore d'ufficio del ricorrente in stato di arresto - benché assai discutibile - non ha compromesso in misura irreparabile il diritto di difesa. (Fabio Cassibba)
C. eur. dir. uomo, sez V, sentenza 28 novembre 2013, Glien c. Germania
Nel ricorso viene lamentata la violazione degli artt. 5 e 7 della Convenzione: in particolare, per quanto concerne la violazione dell'articolo 7 Cedu, il ricorrente ritiene sia stato violato il divieto di retroattività della norma penale, con riferimento alla lunga sottoposizione alla misura di sicurezza detentiva della Sicherungsverwahrung (custodia di sicurezza) ed al suo prolungarsi oltre il termine di dieci anni, che costitutiva il limite massimo previsto dalla legge del tempo in cui tale misura fu ordinata. Nel 1997, infatti, il ricorrente veniva condannato ad anni quattro di reclusione per aver indotto dei minori, tra il 1986 e il 1997, a compiere atti sessuali, e nei suoi confronti, essendo stato formulato un giudizio di pericolosità, veniva disposta anche la misura della detenzione preventiva ex art. 66 co. 1 del Codice Penale tedesco. Nel 1998, tuttavia, interveniva l'abolizione del limite massimo decennale di durata di tale misura e, pertanto, scontata la pena detentiva, il ricorrente rimaneva internato in custodia di sicurezza anche oltre tale termine.
Il ricorrente davanti ai giudici di Strasburgo lamenta quindi di essere stato sottoposto dal 2011 ad una sanzione penale, in violazione del divieto di retroattività sancito dall'articolo 7 Cedu: lo stesso rileva infatti come non vi fosse alcuna sostanziale differenza tra il regime carcerario cui era sottoposto durante la detenzione preventiva, e quello riservato alla reclusione vera e propria. La Corte europea innanzitutto riafferma la propria determinazione, nell'indagine circa la sostanziale natura delle misure sottoposte al suo vaglio, ad andare pragmaticamente oltre le apparenze per accertare in concreto l'animus delle misure e la loro effettiva carica afflittiva: analizza dunque tale misura alla luce dei propri consolidati indici, rivelatori della natura di "penalty", ossia qualificazione in diritto interno, natura, scopo e severità. Con riferimento alla qualificazione in diritto interno, la Corte europea rileva come la Corte costituzionale tedesca in una recente pronuncia abbia ribadito come la detenzione preventiva non sia da considerarsi una "penalty": in questi termini, tale misura sarebbe pertanto sottratta all'operatività dell'art. 7 Cedu. Tuttavia, la Corte europea decide di confermare quanto rilevato nella sentenza M. c. Germania e, viste le modalità di internamento del tutto analoghe a quelle della pena detentiva (rimaste invariate anche dopo le diverse pronunce seguite al leading case sopra citato) e la rilevante severità della misura (la cui durata è stata circa tre volte superiore quella della pena cui era stato condannato il ricorrente), ne ribadisce la natura penale. Ne consegue, pertanto, la violazione dell'art. 7 Cedu in relazione alla retroattività dell'abrogazione del termine decennale, nonché dell'art. 5 Cedu con riguardo il periodo in cui il ricorrente, oltre tale limite, è stato sottoposto a tale misura. (Matteo Montorsi)