26 febbraio 2018 |
Patibolo ed ergastolo dall’Italia liberale al fascismo
Contributo pubblicato nella Rivista Trimestrale 4/2017
Abstract. Il saggio introduce il problema del rapporto pena di morte-pena perpetua con alcuni imprescindibili cenni al pensiero di Beccaria e al periodo sette-ottocentesco anteriore all’unificazione politica italiana. Esamina poi le principali tappe del lungo e tormentato iter che condusse, nel 1889, al codice penale unitario e alla sostituzione della pena capitale con l’ergastolo. Per raggiungere questo obiettivo, ostacolato da molti, i legislatori dovettero attribuire alla pena la massima efficacia intimidatrice e garantire l’eliminazione del condannato dalla società, sul presupposto della presunzione di incorreggibilità degli autori di reati gravissimi. La riforma è celebrata da molti come una grande vittoria, ma, per le pesanti modalità di esecuzione, dà adito anche a non poche critiche. Dopo l’avvento del fascismo, l’ideologia individualistica liberale viene soppiantata dalla concezione autoritaria della preminenza dei fini e degli interessi dello Stato su quelli degli individui. Essa implica che gli interessi dei cittadini e perfino la loro vita possano essere sacrificati se la conservazione e la difesa dello Stato lo esigano. In questo clima, gli attentati diretti contro il capo del governo forniscono l’occasione di reintrodurre, accanto ad un ergastolo mitigato, la pena capitale, dapprima con la legge del 1926, e poi stabilmente con il codice Rocco.
SOMMARIO: 1. I precedenti, da Beccaria all’Italia unita. – 2. L’unificazione penale e l’abolizione della pena di morte. – 3. Le critiche all’ergastolo zanardelliano. – 4. Il fascismo e la reintroduzione della pena di morte.