Con la sentenza 26.11.2009, n. 12433 (dep. 30.3.2010), le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno riaffermato la compatibilità del delitto di ricettazione (art. 648 c.p.) con la forma eventuale del dolo. Con specifico riguardo alla fattispecie in parola, il dolo eventuale va ravvisato nella rappresentazione, da parte dell’agente, della concreta possibilità della provenienza illecita della cosa acquistata e deve ritenersi sussistente quando l’agente non avrebbe desistito dall’azione – dall’acquisto – anche se avesse avuto la certezza della provenienza illecita della cosa stessa. Il mero sospetto su tale circostanza, d’altra parte, può integrare l’elemento soggettivo proprio della contravvenzione di incauto acquisto (art. 712 c.p.).
Riconosciuta la c.d. formula di Frank nel criterio probatorio fatto proprio dalle Sezioni Unite, Massimo Donini condivide nel complesso l’impostazione della Suprema corte, che ha accolto una nozione pienamente psicologica di dolo eventuale ed ha affermato implicitamente che l’alternativa dolo/colpa va sciolta guardando all’elemento differenziale della volontà, dal momento che persino il dubbio – non solo il sospetto – è ancora compatibile con la colpa.
A parere dell’Autore, tuttavia, la sentenza pone anche qualche interrogativo. Più precisamente, due sono le questioni fondamentali. In primo luogo, se la soluzione a cui sono pervenute le Sezioni Unite sia generalizzabile e, dunque, possa valere per ogni fattispecie penale, quale che sia la sua struttura – di condotta, di evento – e non solo per il delitto di ricettazione o figure criminose simili, come pure la stessa Suprema corte sembra avere suggerito. In secondo luogo, come rendere operativa nel processo la formula di Frank e che cosa debba fare il giudice quando non riesca ad utilizzare questa formula.
Quanto alla prima questione, Donini ritiene che tanto la nozione di dolo eventuale quanto il relativo criterio di prova patrocinati dalle Sezioni Unite siano da adattare ad ogni fattispecie penale, e che dunque non vi sia spazio per soluzioni diverse a seconda che venga in rilievo una fattispecie di mera condotta o una fattispecie di evento. Si tratta piuttosto di valutare se vi possano essere concretizzazioni probatorie differenziate e modulabili sulle singole figure criminose, dal momento che la prova dell’atteggiamento soggettivo con riguardo al verificarsi di un risultato futuro può contare su apprezzamenti – quelli sulle capacità dell’agente, o di terzi, di impedire il prodursi di tale risultato – che semplicemente non vengono in gioco nel confronto con una fattispecie di mera condotta.
Con riferimento alla seconda questione, l’Autore esclude che la formula di Frank sia da considerare come esclusivo criterio di prova di un dolo eventuale ricostruito in senso pienamente volontaristico. Ciò che occorre provare, per ritenere sussistente il dolo eventuale nel caso concreto, è anche solo qualcosa che equivalga al fatto che l’autore avrebbe agito comunque. Peraltro, qualora non si riesca ad ottenere la prova della decisione attraverso l’apprezzamento di elementi volontaristici molto forti – come richiesto dalla formula di Frank, che apre alla valutazione del processo motivazionale dell’autore –, occorrerebbe per lo meno richiedere un’azione connotata da un livello di rischio oggettivamente apprezzabile, elevato, che non consista nella rappresentazione della semplice possibilità del fatto.
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Paolo Pisa esprime invece alcune perplessità sui contenuti della sentenza delle Sezioni Unite. In particolare, l’Autore teme che il rigore preteso dalla Suprema corte nella ricostruzione e nell’accertamento del dolo eventuale di ricettazione possano comportare un irragionevole ridimensionamento della portata del delitto a favore della contravvenzione di incauto acquisto, che nel sistema ha una posizione chiaramente sussidiaria.
Pisa, poi, contesta l’idea che il dolo eventuale di ricettazione possa ritenersi sussistente solo quando si riesca a dimostrare che l’acquisto sarebbe avvenuto comunque, anche se fosse risultata certa la provenienza illecita della cosa. Ciò, infatti, equivale a pretendere un’inutile probatio diabolica, dal momento che per accertare il dolo eventuale sarebbe sufficiente un attento esame del caso concreto, teso a valutare se ricorressero elementi tali da indurre l’agente a superare l’ipotetico dubbio iniziale, che di per sé non basta a fondare il dolo.