ISSN 2039-1676


15 dicembre 2014 |

La sentenza della Corte d'Assise di Milano sul caso Santa Rita (c.d. 'clinica degli orrori')

Corte d'Assise di Milano, 9 aprile 2014 (dep. 2 luglio 2014), Pres. Introini, Imp. Brega Massone e altri

Pubblichiamo di seguito, con una breve scheda di presentazione, la nota sentenza della Corte d'Assise di Milano sul caso della clinica "Santa Rita", soprannominata dai media "Clinica degli orrori". La pronuncia può essere scaricata, cliccando qui. Il file PDF è suddiviso in tre parti: I - capi d'imputazione (pagg. 1 - 92); II - motivazioni (pagg. 93 - 973); III - indice (pagg. 973 - 976). N.b. I riferimenti alle pagine nella scheda fanno riferimento alla numerazione delle pagine della motivazione e non del file PDF.

 

1. Con la sentenza in commento, la Corte d'Assise di Milano ha per la prima volta riconosciuto la responsabilità di un medico per omicidio volontario compiuto nell'ambito della sua attività professionale.

 

2. Si tratta di una sentenza pronunciata all'esito di un lungo dibattimento, durato quasi un anno e mezzo e caratterizzato da una complessa attività istruttoria. Vediamo, in estrema sintesi, i fatti.

Pierpaolo Brega Massone (dirigente medico responsabile dell'unità Operativa di Chirurgia Toracica della casa di cura Santa Rita di Milano), Pietro Fabio Presicci e Marco Pansera (membri dell'équipe di chirurgia toracica) erano accusati di aver eseguito interventi chirurgici non necessari, senza finalità terapeutica e in assenza di valido consenso del paziente; e di avere, conseguentemente, provocato lesioni personali a decine di pazienti e il decesso di quattro. Secondo l'ipotesi accusatoria, tale attività era stata realizzata al fine di far ottenere indebitamente alla casa di cura Santa Rita (e per un periodo anche alla clinica San Carlo di Milano), i rimborsi per la prestazioni eseguite, erogati da parte della Regione Lombardia, anche attraverso la predisposizione di richieste ideologicamente false.

La Corte d'Assise, accogliendo nel suo complesso l'impostazione accusatoria, ha condannato gli imputati per i reati aggravati di truffa, falso, lesioni personali e omicidio volontario. In particolare, Brega Massone è stato condannato alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno per tre anni; Presicci alla pena di anni trenta di reclusione; Pansera alla pena di anni ventisei e mesi due di reclusione.

 

3. Al di là del clamore mediatico suscitato dalla vicenda, la sentenza in esame risulta interessante soprattutto perché, come preannunciato, ha riconosciuto responsabili dei medici per omicidio volontario. La Corte d'Assise ha accertato, in relazione ad ognuno dei decessi provocati dai chirurghi, l'inutilità dell'intervento (e quindi l'assenza di finalità terapeutica), l'elevato grado di rischio dell'operazione chirurgica, l'inesistenza di un valido consenso del paziente, la sussistenza del nesso di causalità tra condotta degli imputati ed evento-morte e, infine, il dolo in capo ai medici (pagg. 617 ss.).

 

4. Proprio quest'ultimo profilo costituisce il "cuore giuridico" dell'intera pronuncia. Le valutazioni espresse dalla Corte d'Assise possono essere generalizzate e riassunte nei termini che seguono (pagg. 587 ss.).

 

4.1. In via preliminare, i giudici evidenziano come l'imputazione per omicidio volontario non possa che essere riferita all'elemento psicologico del dolo eventuale, in quanto la condotta dei chirurghi non è stata diretta intenzionalmente a provocare il decesso dei pazienti. Ciò che deve allora essere dimostrato è che l'evento morte, pur non voluto, sia stato effettivamente previsto dagli imputati e sia stato da questi accettato, rappresentando la conseguenza tipica ed altamente probabile dell'intervento chirurgico, quale eventuale "prezzo da pagare" pur di conseguire lo scopo (estraneo alla finalità terapeutica) prefissato. Al fine di poter ritenere sussistente il dolo eventuale è dunque necessario provare non solo la prevedibilità e previsione dell'evento-morte, ma soprattutto la sua accettazione, seppure come eventualità, da parte degli imputati. In ciò consiste, del resto, il principale criterio discretivo rispetto alla colpa cosciente e, quindi, rispetto all'omicidio preterintenzionale, altra possibile qualificazione dei fatti contestati[1].

 

4.2. Consapevole della necessità di non poter arrestare la propria indagine esclusivamente nella sfera psichica degli imputati, la Corte d'Assise si premura di individuare alcuni indicatori fattuali in presenza dei quali ritenere sussistente il dolo eventuale. Ricostruiamo allora  sinteticamente come la Corte abbia individuato tali indicatori, analizzando poi, per ciascuno di essi, come siano stati applicati nel caso di specie.

 

a) Il grado del rischio prospettabile: tanto maggiore è il grado del rischio prospettabile, tanto maggiori sono le probabilità di sussistenza della prevedibilità dell'evento non (direttamente) voluto e, quindi, del dolo eventuale (pagg. 591 ss. e 598 ss.).

Questo indicatore - avente ad oggetto non la volizione, bensì la rappresentazione dell'evento non (direttamente) voluto - si struttura in due necessari momenti di indagine: da un lato è necessario valutare gli elementi di fatto che rendevano palese all'agente il rischio di verificazione dell'evento non voluto (prevedibilità dell'evento), dall'altro lato è necessario accertare quali fossero le probabilità  del verificarsi di tale evento (gravità del rischio).  Sotto il primo profilo, si deve controllare se vi fossero segnali della consapevolezza del rischio da parte dell'agente prima e durante l'azione, se siano intervenuti dei fattori che hanno fuorviato la sua cognizione dei fatti, se vi siano state delle ragioni per omettere l'approfondimento della verifica delle situazioni o se ciò sia stato solo indice della consapevolezza e dell'accantonamento del rischio che da questa derivava e che l'agente aveva già percepito. Sotto il secondo profilo, si evidenzia come tanto maggiore sia il tasso di concretezza e probabilità della previsione del verificarsi dell'evento come conseguenza dell'azione (in particolare nei casi in cui il bene giuridico tutelato sia di rango elevato), tanto più facilmente possa desumersi la sussistenza del dolo eventuale.

Applicando questo criterio al caso di specie, la Corte d'Assise evidenzia come le competenze mediche e le esperienze dei chirurghi - unitamente alle risultanze delle cartelle cliniche e all'avanzata età e alle precarie condizioni generali dei pazienti - non potevano non consentire loro di cogliere pienamente l'inutilità degli interventi e il rischio specifico inerente alle situazioni in cui andavano ad operare. In particolare, i giudici sottolineano che, nonostante l'accettazione di un rischio sia intrinseca a tutte le azioni mediche, nei casi in esame i chirurghi si erano trovati dinanzi ad un rischio che già a priori si sapeva non dominabile, viste le condizioni precarie di salute dei pazienti, condizioni che non potevano essere efficacemente contrastate. La Corte d'Assise conclude affermando che gli imputati non avevano quindi elementi per poter ragionevolmente sperare di evitare la morte dei pazienti.

 

b) L'urgenza della condotta medica: tanto minore è il grado di urgenza della condotta medica, tanto più consapevole può ritenersi (in quanto non inficiata dall'urgenza di agire) la valutazione del rischio di verificazione dell'evento non (direttamente) voluto svolta dal sanitario e, quindi, tanto maggiori sono le probabilità di ritenere sussistente il dolo eventuale (pagg. 592 ss. e 602 ss.). 

Questo indicatore si fonda sulla convinzione che, nei casi in cui non vi sia urgenza terapeutica, il fatto di omettere degli esami, di non verificarne i risultati, di non reiterarli, di non approfondirli oppure di non attendere il superamento di una fase critica particolare per il paziente, appaiono degli elementi che possono essere sintomatici del dolo eventuale. Infatti tali comportamenti, non potendo essere giustificati da una situazione di necessità, sembrano poter qualificare la condotta medica come comunque orientata alla realizzazione di una finalità diversa da quella terapeutica, "costi quel che costi".

La Corte d'Assise rileva come nel caso di specie non vi fosse non solo alcuna urgenza di realizzare gli interventi chirurgici contestati, ma, addirittura, come mancassero del tutto i presupposti per intervenire. In assenza di urgenza per i pazienti - concludono i giudici - la condotta degli imputati si è dunque caratterizzata solo per ingiustificata fretta, fretta evidentemente correlata alle esigenze organizzative a remunerative  dell'attività del reparto.

 

c) La protrazione o reiterazione nel tempo della condotta "pericolosa": tanto maggiore è il grado di protrazione o reiterazione della condotta nel tempo, tanto maggiore è la probabilità, da un lato, che nell'agente si sia rafforzata la consapevolezza del pregiudizio potenziale ricollegabile alla sua azione e, dall'altro, che l'agente stesso abbia accettato detto rischio, con conseguente maggiore probabilità di ritenere sussistente il dolo eventuale (pagg. 592 ss. e 604 ss.).

Questo indicatore si fonda sulla convinzione che qualora il sanitario, già in altri casi, sia incorso nelle stesse omissioni o negli stessi errori di giudizio che hanno condizionato l'esito infausto nel caso in esame, oppure se già in altre occasioni non abbia desistito di fronte a un rischio particolarmente elevato per il paziente oppure abbia già avuto modo di apprezzare le conseguenze negative delle complicanze che hanno determinato la morte del paziente nel caso in esame, allora è più probabile ritenere sussistente il dolo eventuale, avendo il soggetto agito senza curarsi delle conseguenze verosimilmente pregiudizievoli derivanti dalla sua condotta.

Nel caso di specie, la Corte d'Assise evidenzia come le condotte contestate agli imputati si siano sistematicamente ripetute, non solo in relazione ai pazienti poi deceduti, ma anche con riferimento a quelli lesi.

 

d) L'assenza di cautele: tanto minori sono le contromisure adottate dall'agente per evitare l'evento, tanto più probabile risulta la sussistenza del dolo eventuale (pagg. 593 ss. e 603 ss.).

Questo indicatore si fonda sulla convinzione che la presenza del dolo eventuale possa essere dimostrata a contrariis quando non si ravvisino nella situazione concreta in esame "elementi di fatto tali da escludere, con elevato grado di verosimiglianza, che l'agente abbia potuto coltivare la certezza o la probabilità o solo anche la mera speranza di evitare l'evento, e ancora, in assenza di dati di fatto idonei a dimostrare che egli, sia pure in extremis, abbia posto in essere una condotta contraria e pertanto sintomatica di un disvolere (...) revocando, seppure tardivamente, quell'adesione al rischio precedentemente manifestata[2]".

La Corte d'Assise precisa, da un lato, che per provare la sussistenza del dolo eventuale deve essere esclusa la presenza di adeguati supporti oggettivi idonei a qualificare come ragionevole la speranza dell'agente che l'evento non si verifichi; dall'altro lato, la "condotta contraria", finalizzata ad evitare la verificazione dell'evento, può assumere rilevanza per escludere il dolo eventuale nei soli casi in cui essa sia stata adottata quando vi era ancora spazio per impedire l'evoluzione negativa degli eventi, non successivamente. In sintesi, secondo i giudici, occorre accertare se i dati e gli strumenti sui quali l'autore del reato riponeva la speranza/affidamento di evitare le conseguenze dannose risultassero adeguati a sostenere una ragionevole convinzione - ed allora ricorrerà la colpa cosciente -, mentre ricorrerà il dolo eventuale qualora i fattori su cui l'agente confidava per escludere il rischio siano stati di fatto del tutto assenti oppure palesemente inidonei a governare il corso degli eventi.

Nel caso di specie, la Corte d'Assise ha ritenuto che gli imputati non abbiano adottato alcuna cautela, nonostante la precaria condizione di salute dei pazienti. In particolare, i chirurghi hanno eseguito gli interventi senza aver prima attentamente analizzato le cartelle cliniche, senza essersi arrestati di fronte alle complicazioni sviluppatesi durante le operazioni e, comunque, senza consultare altri medici specialisti. In conclusione, la mancata adozione di cautele costituisce un indice fattuale importante per desumere che anche il rischio di peggiorare le condizioni dei pazienti non ha trattenuto gli imputati dall'intervenire ugualmente.

 

e) Le conseguenze negative della verificazione dell'evento per il soggetto agente: tanto meno negative sono le conseguenze della verificazione dell'evento per il soggetto agente, tanto più probabilmente questi ha accettato tale verificazione e, conseguentemente, tanto più probabile risulta la sussistenza del dolo eventuale (pagg. 594 ss. e 608 ss.).

Questo indicatore si fonda sulla convinzione che ogni essere umano agisce al fine di ottenere il massimo risultato con il minimo sacrificio possibile dei propri interessi (c.d. "principio di economicità dell'azione"). Ne deriva che difficilmente un soggetto decide di agire nel caso in cui, per realizzare l'obiettivo prefissato, si rappresenti la possibilità che si verifichino conseguenze per lui talmente negative da arrecargli un pregiudizio assolutamente sproporzionato rispetto alla limitata utilità che vuole conseguire. Dunque, difficilmente può ravvisarsi il dolo eventuale nel caso in cui sussista una evidente contraddittorietà  tra lo scopo perseguito e le conseguenze derivanti dalla verificazione dell'evento lesivo. Ciononostante - sottolinea la Corte d'Assise - è ammissibile ritenere sussistente il dolo eventuale anche qualora sia possibile affermare che la certezza dell'avverarsi dell'evento lesivo avrebbe distolto l'agente dall'agire. Infatti, il soggetto potrebbe essersi orientato nell'agire in forza di un ingiustificato ottimismo: in tal caso potrebbe essere ravvisato il dolo eventuale, laddove si accerti che il soggetto aveva comunque messo in conto il possibile fallimento dell'opzione sperata, ma aveva scelto di agire considerando le possibilità di successo più importanti che non il rischio - volontariamente sottovalutato - di insuccesso. In conclusione, secondo i giudici, nonostante la sproporzione tra il pregiudizio ipotizzabile nel caso di verificazione dell'evento ed il vantaggio perseguito nel caso contrario sia astrattamente un indice della sussistenza della colpa cosciente, non è comunque possibile prescindere dai fattori soggettivi che caratterizzano il caso concreto. Tra questi, la Corte d'Assise enuclea la considerazione da parte dell'agente del vantaggio ripromessosi, la sua errata valutazione dell'indice di probabilità dell'evento non voluto e, soprattutto, la sua errata valutazione della probabilità di andare esente da responsabilità. Infatti, qualora l'agente possa ritenere che la sua azione rischiosa - anche nel caso di verificazione dell'evento non (direttamente) voluto - non possa essere facilmente ed immediatamente a lui addebitata, il suo giudizio sulla "economicità" della sua azione ne sarà indubbiamente condizionato.

Proprio quest'ultima considerazione spinge la Corte d'Assise a ritenere sussistente nel caso concreto il dolo eventuale. Infatti, i tre medici non erano mai stati denunciati dai parenti delle vittime in occasione dei vari interventi chirurgici dall'esito infausto, consolidando così la loro convinzione di poter andare esenti da responsabilità. Ciò si spiega anche a causa del fatto che i parenti stessi ricevevano le informazioni sullo stato di salute dei propri cari direttamente dagli imputati, i quali si prodigavano di fornire informazioni artatamente rielaborate con il fine di evitare che potessero cadere dei sospetti sul loro operato. Allo stesso modo, anche la casa di Cura Santa Rita, così come la ASL, non avevano mai sollevato alcuna questione sull'operato dei chirurghi.

 

f) Il contesto illecito: tanto più intenso è il contesto di illiceità in cui versa il soggetto agente, tanto più probabilmente può ritenersi sussistente il dolo eventuale (pagg. 596 ss.).

Questo indicatore si fonda sulla convinzione che chi versa in una situazione di illiceità è più predisposto a realizzare un bilanciamento irragionevole tra l'opportunità di agire e le conseguenze negative derivanti dalla verificazione dell'evento non (direttamente) voluto. E' più facilmente riscontrabile, in definitiva, il dolo eventuale.

E così, le condotte degli imputati sono state valutate con particolare rigore, posto che l'inutilità e l'illegittimità degli interventi chirurgici da cui sono conseguite le morti dei pazienti hanno dimostrato che i medici non si preoccupavano in alcun modo di tutelare i pazienti, ma agivano esclusivamente per realizzare un tornaconto personale.

 

g) Gli artifici o gli inganni utilizzati dal soggetto agente: tanto più rilevanti sono gli artifici o gli inganni utilizzati per realizzare la condotta causativa dell'evento non (direttamente) voluto, tanto più forte risulta la determinazione del soggetto nel perseguire la propria finalità e, quindi, tanto più probabilmente può ritenersi sussistente il dolo eventuale (pagg. 597 ss. e 606 ss.).

Questo indicatore si fonda sulla convinzione che l'utilizzo di artifici o inganni denota una più intensa volontà di raggiungere (ad ogni costo) il risultato vantaggioso per l'agente.

In quest'ottica sono letti dalla Corte d'Assise i vari tentativi dei chirurghi di ottenere, attraverso comportamenti mistificatori di vario tipo, il consenso del paziente per l'esercizio dell'attività terapeutica.

 

 4.3. Sulla base di tali considerazioni, dunque, la Corte d'Assise è giunta a pronunciare sentenza di condanna nei confronti dei tre chirurghi per omicidio volontario (aggravato).

 

5. Da ultimo, è solo il caso di segnalare, tra le varie decisioni di condanna pronunciate dalla Corte d'Assise, la riconosciuta responsabilità per concorso colposo in delitto doloso degli anestesisti in relazione a due dei quattro omicidi[3]. I giudici, ritenuta sussistente una posizione di garanzia in capo a questi ultimi, hanno riscontrato la violazione di una regola cautelare diretta ad evitare la condotta delittuosa di terzi, unitamente all'esistenza di un nesso di causalità tra gli eventi morte e i comportamenti colposi degli anestesisti (in concorso, ovviamente, con quelli dolosi dei chirurghi). Gli anestesisti sono stati quindi condannati in quanto la Corte d'Assise ha ritenuto che gli stessi fossero consapevoli che con la loro condotta colposa avrebbero contribuito all'azione dei chirurghi, violando così lo specifico dovere su di essi incombente di controllare che i medici non realizzassero interventi ingiustificati e, quindi, illeciti.

 


[1] La Corte d'Assise, a pag. 589 della sentenza, così ricostruisce i rapporti tra omicidio preterintenzionale e omicidio volontario: "Ricorrerà la fattispecie dell'omicidio preterintenzionale allorquando il chirurgo poteva vantare un'errata, ma pur sempre ragionevole, convinzione di poter evitare la morte del paziente. Ricorrerà invece il delitto di omicidio volontario nel caso in cui il medico non possa addurre alcun logico motivo per sostenere che contava di evitare l'evento morte, cosicché si potrà affermare che aveva accantonato la considerazione del rischio estremo cui sottoponeva il paziente, pur di raggiungere il proprio diverso scopo, ovvero che aveva consapevolmente accettato detto rischio". 

[2] Cfr. Cass. pen., 10 febbraio 2009, n. 13083.

[3] Due dei quattro anestesisti, peraltro, sono stati prosciolti per intervenuta prescrizione. Cfr. pagg. 715 ss. e 776 ss. per le posizioni dei singoli imputati. Cfr. pagg. 96 ss. per i rapporti intercorrenti tra chirurgo e anestesista.