ISSN 2039-1676


25 maggio 2011 |

Fuga dalla polizia e successivo incidente stradale con esito letale: la Cassazione ritorna sulla distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente

Nota a Cass. Pen., Sez. I, 01.2.11 (dep. 15.3.11), n. 10411, Pres. Di Tomassi, Rel. Cassano

1. Il problema della distinzione tra dolo eventuale e colpa cd. cosciente o con previsione è certamente uno dei problemi più spinosi di tutto il diritto penale.
 
Com’è noto, la giurisprudenza di legittimità è solita utilizzare l’elastica formula della “accettazione del rischio” (di cagionare l’evento o di realizzare la fattispecie) per riempire di contenuto la nozione di “dolo eventuale. Tale formula rispecchierebbe i due momenti (rappresentativo e volitivo) del dolo eventuale, che consisterebbero rispettivamente: a) nella rappresentazione della concreta possibilità o probabilità del verificarsi dell’evento (o realizzarsi del fatto) parte del soggetto agente; nonché b) nella vera e propria “accettazione del rischio” del verificarsi dell’evento. La colpa cosciente, invece, si differenzierebbe dal dolo eventuale in quanto: da un lato, a) la rappresentazione della possibilità del verificarsi dell’evento (o del realizzarsi del fatto) avverrebbe in termini “astratti” e non “concreti”; dall’altro, b) la rappresentazione sarebbe comunque accompagnata dalla non-volizione (o anche: non-accettazione del rischio, respingimento del rischio) dell’evento da parte del soggetto agente (in termini sostanzialmente analoghi, da ultimo: Cass. 24.6.2009, CED 244693; Cass. 10.2.2009, CED 242979; Cass. 17.9.2008, CED 242610; Cass. 24.7.2008, CED 241984; Cass. 14.6.2001, CED 219952; Cass. 08.11.1995, CED 203484; Cass. 01.9.1994, CED 199760; Cass. 24.2.1994, CED 198272; Cass. 28.1.1991, CED 187950).
 
Con la sentenza in nota, la Corte di Cassazione ha innanzitutto affermato che, dal punto di vista rappresentativo, il dolo eventuale non può distinguersi dalla colpa cd. cosciente, in quanto la rappresentazione di un evento come possibile o probabile è comune ad entrambi gli stati soggettivi e pertanto, l’unica discriminante tra dolo eventuale e colpa cosciente consiste nel diverso atteggiarsi dell’agente, dal punto di vista volitivo, rispetto all’evento previsto.
 
Non solo. La Corte ha altresì statuito che non solo la previsione dell’evento, ma anche “l’accettazione del rischio” del verificarsi dello stesso è elemento in qualche misura comune sia al dolo eventuale che alla colpa cosciente, e che pertanto tale “accettazione” dà luogo a dolo esclusivamente quando consiste in una deliberazione consapevole (una vera e propria opzione), con la quale l’agente coscientemente pone in relazione il sacrificio (eventuale) di un bene giuridico con la condotta dal medesimo posta in essere; una determinazione a tal punto “intensa”, che il soggetto attivo avrebbe agito anche se avesse avuto la certezza del verificarsi dell’evento, che si atteggia così a"prezzo (eventuale) da pagare" per il conseguimento del risultato avuto di mira dal soggetto.
 
 
2. S’impone, per chiarire il senso delle determinazioni della Suprema Corte, una sintetica ricostruzione dei fatti di causa.
 
In data 6 febbraio 2009, la Corte d’Assise di Roma dichiarava I.V. colpevole dei delitti di omicidio volontario, lesioni volontarie e ricettazione, per avere il medesimo, alla guida di un furgone di provenienza illecita, cagionato un disastroso incidente stradale dal quale conseguivano la morte di T.R. e il ferimento di T.N., T.V. e G.G.
 
In sintesi, l’imputato, per sfuggire ad un controllo di polizia, aveva intrapreso una folle corsa nel pieno centro di Roma, nel corso della quale aveva superato diversi incroci col rosso ad una velocità superiore ai cento chilometri l’ora, finendo per schiantarsi contro le macchine a bordo delle quali viaggiavano T.R., T.V., T.N. e G.G.
 
A fronte di questa ricostruzione, la Corte territoriale affermava la responsabilità dell’imputato a titolo di dolo eventuale. Innanzitutto, secondo la Corte d’Assise di Roma, risiedendo il criterio distintivo tra dolo eventuale e omicidio colposo nella “accettazione del rischio”, «chi lo accetta, agendo anche a costo di determinare l’evento mortale che si rappresenta, risponde di omicidio volontario con dolo eventuale», mentre «chi, pur rappresentandosi l’evento come possibile risultato della sua condotta, agisce nella ragionevole speranza che esso non si verificherà, risponde di delitto colposo».
 
Pertanto, la Corte d’Assise di Roma emetteva una sentenza di condanna ai sensi degli artt. 575 e 582 c.p., ritenendo che una pluralità elementi del caso concreto – la velocità del mezzo, il numero di incroci impegnati, le particolari circostanza di tempo e luogo, il peso del furgone – dimostrassero oltre ogni ragionevole dubbio che a) l’imputato si fosse rappresentato di poter cagionare un incidente con esiti anche mortali, e che b) avesse accettato il rischio della sua verificazione pur di sottrarsi al controllo della pattuglia di Polizia che lo inseguiva.
 
 
3. In data 18 marzo 2010 la Corte d’Assise d’Appello riformava la sentenza dei giudici di primo grado, riqualificando i fatti contestati come omicidio colposo aggravato dalla previsione dell’evento e lesioni colpose aggravate.
 
I giudici d’appello, dopo avere premesso che la dinamica dell’accaduto non era oggetto di contestazione, osservavano innanzitutto come la linea di demarcazione tra dolo eventuale e colpa cosciente andava individuata nel fatto che, nel primo caso, l’agente «accetta il rischio che si verifichi un evento diverso non direttamente voluto, mentre nella seconda ipotesi, nonostante l’identità di prospettazione, respinge il rischio confidando nella propria capacità di controllare l’azione».
 
Ciò detto, in primo luogo, i giudici di secondo grado ritenevano che non si fosse raggiunta la prova del fatto che l’imputato si fosse effettivamente rappresentato gli eventi lesivi come concretamente realizzabili, in quanto l’essere riuscito a superare diversi incroci senza cagionare incidenti poteva aver ingenerato in lui la convinzione di poter dominare perfettamente la corsa del furgone. In ogni caso, poi, secondo la Corte d’Assise d’Appello, essendo l’eventualità dell’incidente la meno favorevole per l’imputato – nella misura in cui avrebbe arrestato la sua fuga – sarebbe stato inverosimile affermare che questo fosse animato dall’intenzione di procedere “a ogni costo”, accettando il rischio del verificarsi di un evento addirittura contrario ai propri interessi.
 
Il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Roma proponeva ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’Assise l’Appello, in particolare denunciando erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica del fatto come omicidio e lesioni colpose.
 
 
4. In accoglimento del gravame proposto dalla Procura generale presso la Corte d’Appello di Roma, la Corte annulla con rinvio la sentenza impugnata per non aver correttamente applicato «i principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità sui criteri distintivi tra dolo eventuale e colpa cosciente» nonché per numerosi altri profili attinenti alla contraddittorietà e illogicità della motivazione in ordine alla valutazione degli elementi probatori emersi nel corso del giudizio di primo grado.
 
Il Supremo Collegio, innanzitutto, ricostruisce brevemente il contenuto generale dei momenti volitivo e rappresentativo del dolo, ricordando in particolare che «poiché il comportamento doloso orienta finalisticamente i fattori della realtà nella prospettiva del mezzo verso un scopo, esso attrae nell’ambito della volontà l’intero processo che determina il risultato perseguito».
 
La Corte di Cassazione rammenta poi la definizione di dolo eventuale corrente nella giurisprudenza di legittimità, che consiste «nella rappresentazione e nell’accettazione, da parte dell’agente, della concreta possibilità, intesa in termini di elevata probabilità, di realizzazione dell’evento accessorio allo scopo perseguito in via primaria. Il soggetto pone in essere un’azione accettando il rischio del verificarsi dell’evento».
 
Quanto, invece, alla colpa con previsione, il giudice di legittimità precisa che questa sussiste «qualora l’agente, nel porre in essere la condotta nonostante la previsione dell’evento, ne abbia escluso la possibilità di realizzazione, non volendo né accettando il rischio che quel risultato si verifichi, nella convinzione, o nella ragionevole speranza, di poterlo evitare per abilità personale o per intervento di altri fattori».
 
Eppure, «dall’interpretazione letterale dell’art. 61 co. 1 n. 3 c.p., che fa esplicito riferimento alla realizzazione di un’azione pur in presenza di una fattore ostativo della stessa, si evince che la previsione deve sussistere al momento della condotta e non deve essere sostituita da una non previsione o contro previsione, come quella implicita nella rimozione del dubbio. Quest’ultimo non esclude il dolo, ma non è sufficiente ad integrarlo».
 
Pertanto, secondo il Supremo Collegio, «una qualche accettazione del rischio sussiste tutte le volte in cui si deliberi di agire, pur senza avere conseguito la sicurezza soggettiva che l’evento previsto non si verificherà».
 
“Dolo eventuale” e “colpa cosciente”, quindi, mentre hanno in comune sia l’elemento della rappresentazione dell’evento non direttamente perseguito, che – per lo meno in qualche misura – l’elemento consistente nell’accettazione del rischio, si differenziano soltanto in quanto «nel dolo eventuale il rischio dev’essere accettato a seguito di una deliberazione con la quale l’agente subordina consapevolmente un determinato bene ad un altro».
 
In altri termini, dunque, l’autore del reato agisce con dolo eventuale quando «si prospetta chiaramente il fine da raggiungere e coglie la correlazione che può sussistere tra soddisfacimento dell’interesse perseguito e il sacrificio di un bene diverso, effettua in via preventiva una valutazione comparata tra tutti gli interessi in gioco – il suo e quelli altrui – e attribuisce prevalenza ad uno di essi».
 
Precisamente, «occorre che la realizzazione del fatto sia stata accettata […], nel senso che egli avrebbe agito anche se avesse avuto la certezza del verificarsi del fatto»; nella colpa con previsione, invece, la rappresentazione come certa dell’evento avrebbe trattenuto l’agente dal porre in essere la condotta.
 
La Corte di Cassazione rileva infine come i giudici di secondo grado – oltre a non aver fatto corretta applicazione dei principi di diritto in tema di distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente – abbiano valutato in maniera parziale ed erronea le evidenze probatorie, e pertanto annulla la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma e rinvia il giudizio ad una nuova sezione della stessa Corte.
 
 

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5. In sintesi, la sentenza in nota risulta innovativa rispetto alla giurisprudenza maggioritaria almeno sotto tre aspetti.

 
In primo luogo, la Cassazione, affermando che «la previsione deve sussistere al momento della condotta e non deve essere sostituita da una non previsione o contro previsione» e che «la rappresentazione dell’intero fatto tipico come probabile o possibile è presente sia nel dolo eventuale che nella colpa cosciente», rigetta la tesi – molto comune nella giurisprudenza di legittimità – secondo la quale colpa cosciente e dolo eventuale si differenzierebbero già a livello rappresentativo, dal momento che in caso di colpa cosciente l’evento sarebbe dall’agente immaginato come “astrattamente realizzabile” mentre nel dolo eventuale l’evento sarebbe previsto come “concretamente realizzabile” (nello stesso anche Cass. 10.10.1996, CED 207333).
 
In secondo luogo, appare assolutamente degno di nota l’assunto della Corte di Cassazione (preso quasi testualmente da PROSDOCIMI, Dolus Eventualis, Milano, 1993, p. 31 ss.) secondo il quale, essendo l’elemento dell’accettazione del rischio comune sia al dolo eventuale che alla colpa cosciente, l’accettazione del rischio dà luogo a dolo eventuale soltanto quando consegue ad una consapevole subordinazione del bene eventualmente sacrificato dall’agente allo scopo perseguito, nonché alla comprensione della correlazione sussistente tra tale scopo e il sacrificio richiesto. Tale assunto – a rigore – implica infatti l’insufficienza della dimostrazione che il soggetto attivo ha “accettato il rischio” di cagionare un determinato evento per l’attribuzione dello stesso a titolo di dolo eventuale, occorrendo invece la puntuale dimostrazione – con il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio – che tale accettazione sia il frutto di un consapevole bilanciamento tra l’interesse perseguito e il bene giuridico eventualmente leso, conclusosi con la scelta di sacrificare quest’ultimo sull’altare degli interessi dell’agente
 
Infine, altrettanto significativo il richiamo della Supremo Collegio alla c.d. prima formula di Frank (peraltro già cursoriamente evocata dalle Sezioni Unite nella recente sentenza 26.11.2009, CED 246323, Nocera), secondo la quale per appurare se si sia in presenza di dolo eventuale o di colpa con previsione, si dovrebbe accertare se l’agente, prevedendo come sicuro il verificarsi dell’evento stesso, avrebbe agito ugualmente o si sarebbe astenuto dall’azione; versando nel primo caso l’agente in dolo eventuale, e nel secondo in colpa cosciente.
 
 
6. A parere di chi scrive, proprio l’adesione della Corte alla teoria di Frank costituisce la principale “nota dolente” della sentenza in esame, sotto almeno due profili.
 
Innanzitutto, ci pare che nel caso di specie l’applicazione della prima formula di Frank avrebbe dovuto portare de plano all’esclusione del dolo eventuale. Se, infatti, lo scopo dell’imputato era quello di sottrarsi ad un controllo di Polizia, un eventuale incidente non poteva che rappresentare un ostacolo al perseguimento dei suoi interessi; e se il verificarsi dell’incidente era contrario agli interessi dell’imputato, ne consegue che il medesimo, se avesse previsto come sicuro il realizzarsi dell’evento incidentale, si sarebbe trattenuto dall’agire – o quantomeno dall’agire con le modalità che hanno causato l’incidente – proprio per evitare un pregiudizio per i propri interessi.
 
Peraltro, la sentenza di appello traeva esplicitamente argomento per escludere la sussistenza del dolo eventuale – tra l’altro – dal fatto che il verificarsi di un incidente avrebbe rappresentato un evento sfavorevole per l’imputato, ritenendo perciò che lo stesso «non fosse animato dalla determinazione di procedere ad ogni costo, anche contro i propri interessi». La Suprema Corte invece afferma che «il generico riferimento alle conseguenze pregiudizievoli per l’imputato in caso di sinistro è stato effettuato, omettendo di considerare il dato – valorizzato invece dalla sentenza di primo grado – costituito dai diversi esiti, in caso di incidente, per colui che viaggiava a bordo di un furgone del peso pari a due tonnellate e per chi, invece, si trovasse a bordo di un auto». Tuttavia, tali “diversi esiti” erano stati esaminati dal giudice di primo grado soltanto in relazione al «rischio personale di chi […] guidava» il furgone; mentre, a ben vedere, l’esito pregiudizievole (o sfavorevole) per il piano di fuga dell’agente non era costituito tanto dal verificarsi di un incidente avente esito lesivo o mortale per l’agente stesso, quanto dal verificarsi di un incidente di qualunque genere, che avrebbe – come in effetti ha – definitivamente pregiudicato il suo obiettivo di sottrarsi ad un controllo di Polizia.
 
Su un piano più generale, poi, si può fondatamente dubitare dell’effettivo valore euristico della prima formula di Frank, il cui utilizzo per l’accertamento  del dolo eventuale presta il fianco ad almeno due obiezioni, che, per la frequenza con la quale sono richiamate in dottrina, possono considerarsi ormai “classiche”: a) la formula di Frank radica l’indagine su uno stato soggettivo ipotetico – quale sarebbe stata la deliberazione dell’agente – e non su quello reale – qual è stata effettivamente la deliberazione dell’agente; b) la formula di Frank porta necessariamente ad escludere l’attribuibilità a titolo di dolo eventuale di tutte quelle conseguenze dell’azione che – come nel caso di specie – hanno comportato il sostanziale fallimento del piano dell’agente (e.g. morte della persona dalla quale, tramite tortura, si volevano ottenere informazioni); risultato, quest’ultimo, forse non preso sufficientemente in considerazione dai giudici della Suprema Corte.