6 marzo 2015 |
L. Lupària (ed.), Victims and criminal justice. European standards and National good practices, Wolters Kluwer, 2015, pp. 342.
Recensione
Negli ultimi anni la figura della vittima ha acquistato un prestigio in precedenza sconosciuto, dimenticata com'era ai margini della giustizia penale. L'interesse accademico ha accompagnato le recenti politiche volte a rivalutare i diritti dell'offeso all'interno, e anche all'esterno, del processo penale. In tale contesto l'Unione europea ha assunto il ruolo di principale promotore di una nuova visione della vittima. Già agli albori del suo intervento nel campo penale, l'Unione aveva cercato di armonizzare i diversi sistemi processuali nel tentativo di fornire un trattamento omogeneo alle vittime di reato sul territorio europeo. Come noto, il parziale insuccesso della precedente cornice normativa, unito alle nuove possibilità offerte dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ha spinto il legislatore dell'Unione ad intervenire nuovamente su questo terreno.
Se molti sono i nuovi strumenti che in qualche misura affrontano il problema del trattamento da riservare alle vittime (si veda per esempio la direttiva 2011/36/EU sulla tratta di esseri umani) la Direttiva 2012/29/UE è stata concepita come strumento di ampio respiro, valido per tutte le vittime di reato, in grado di rappresentare una vera pietra miliare nella definizione di uno statuto europeo della vittima. Eppure, in tutta Europa sin da subito ci si è dovuti confrontare con il contenuto talvolta vago delle previsioni normative contenute in tale testo, ed è risultato immediatamente chiaro come il successo dell'azione europea sarebbe dipeso dalla sua concreta ed uniforme implementazione in tutti gli Stati membri. Come osservato in dottrina, infatti, le indicazioni sovranazionali adottano spesso il linguaggio dei principi, il quale richiede di essere tradotto in regole precise da applicare in un determinato contesto normativo.
Anche per questo si sentiva la mancanza del volume collettaneo curato dal prof. Luca Lupária, uscito insieme alla sua versione italiana (Lo statuto europeo delle vittime di reato. Modelli di tutela tra diritto dell'Unione e buone pratiche nazionali). Non solo perché viene pubblicato con estrema tempestività - il 16 novembre 2015 scade il termine per il recepimento della Direttiva negli Stati membri - ma anche e soprattutto per il suo intrinseco valore scientifico. Il processual-penalista, infatti, nonostante il recente aumento della produzione accademica sulla vittima, rischia ancora di perdersi nella complessità del panorama delle fonti sovranazionali ed interne. Molti sono, infatti, i significati dischiusi dall'origine extra giuridica del termine "vittima", e molte le suggestioni create dalla multiforme natura di tale concetto.
Il volume contiene i risultati del progetto di ricerca Good practices for protecting victims inside and outside the criminal process finanziato dalla Commissione europea, e condotto dalle Università di Milano, Bologna e Siviglia in collaborazione con l'Association de Recherches Pénales Européennes di Parigi. Le varie tappe di tale progetto sono state, tra l'altro, scandite da quattro convegni che negli ultimi anni hanno contribuito a formare gli operatori del diritto nei tre diversi paesi ed alimentato un dibattito di matrice europea, anche grazie alle informazioni ed alla documentazione pubblicata nel sito www.protectingvictims.eu.
La dimensione internazionale di tale dibattito viene ora perseguita con la versione inglese del libro, il quale ha molti meriti. Innanzi tutto, quello di fornire una lettura d'insieme del difficile rapporto tra vittime e giustizia penale. In particolare, i contributi nella prima sezione illustrano le indicazioni provenienti da Unione europea (Silvia Allegrezza), Consiglio d'Europa (Stefania Martelli), Corti europee (Mitja Gialuz) e Tribunali penali internazionali (Chantal Meloni), nonché i problemi di fondo derivanti dalla partecipazione della vittima al procedimento nella sua veste di testimone (Giulio Illuminati).
Inoltre, si distingue il tentativo compiuto nella seconda parte del volume di fare il punto sul ruolo che la vittima riveste in tre sistemi europei, sulla sua "posizione" che è spesso il risultato di estemporanei provvedimenti normativi piuttosto che di razionali scelte di sistema. L'osservazione del sistema francese (Mathieu Jacquelin), italiano (Guido Todaro) e spagnolo (Juan Burgos Ladrón de Guevara), con anche un'incursione nel tema dell'accusa privata in sé non riconosciuta esplicitamente dalla Direttiva UE (Angel Tinoco Pastrana), offre una chiara visione di quello che è forse l'aspetto più spinoso del rapporto vittime-giustizia, potenzialmente in grado di incidere notevolmente, se non rivoluzionare, la struttura e gli equilibri del rito penale.
L'approccio comparato, comune a tutto il libro, è una delle più evidenti qualità dell'opera. Lo sguardo che attraversa il sistema italiano, francese e spagnolo risponde in primo luogo all'obiettivo dichiarato del progetto di fornire agli altri paesi non oggetto di indagine chiare indicazioni sulla strada da seguire nel recepimento delle molteplici istanze sovranazionali. Tuttavia, l'analisi comparata serve anche a rendere consapevole il lettore delle difficoltà di tale cammino: un panorama così variegato, infatti, sembra ancora lontano dalla meta prefissata più di un decennio fa dall'Unione, vale a dire l'uniforme trattamento dei soggetti che muovendosi nel territorio europeo diventano vittime di reato.
Accanto al metodo comparativo, l'aspetto più originale del lavoro è l'accento riposto sulle good practices (cioè l'insieme di comportamenti considerati indispensabili dalla maggior parte degli operatori di un dato settore), che trasforma l'analisi del quadro normativo in un approfondimento sulla law in action lungo quattro direttrici assai problematiche: la giustizia "riparativa" (con i contributi di Marc Toullier, Martina Cagossi e Mar Jimeno Bulnes), la violenza di genere (Julie Alix per la Francia, Silvia Allegrezza e Stefania Martelli per l'Italia, Carmen Requejo Conde per la Spagna), il trattamento delle vittime vulnerabili (Sabrina Delattre, Hervé Belluta e Antonia Monge Fernandez) ed il risarcimento del danno (Isabelle Sadowski, Marco Scoletta e Ana Ochoa Casteleiro). Tali approfondimenti si rivelano utili non solo per la valutazione dell'effettività degli strumenti europei e per fornire indicazioni immediate agli altri Stati Membri, ma anche per riempire di contenuto le varie disposizioni contenute nella Direttiva, evidenziandone i problemi e le sfide legate alla loro attuazione.
L'indagine compiuta nei vari ordinamenti ha il pregio di non limitarsi a fornire una fotografia di quanto accade nei vari Stati membri, ma grazie all'intelligente struttura del lavoro costituiscono delle ideali introduzioni ai capitoli conclusivi - i comparative remarks - di ogni sezione, redatti rispettivamente da Michele Caianiello, Luca Lupária, Raphaël Parizot e Juan Burgos Ladrón de Guevara. Tali analisi trasversali dei vari sistemi nazionali, oltre a rendere agevole la lettura, riannodano i fili di un discorso che altrimenti potrebbe apparire frammentario, e aiutano il lettore ad individuare i contorni di un approccio comune - lo statuto europeo indicato nel titolo italiano - in materia di vittime di reato.
Inoltre, tali notazioni comparate fungono a loro volta da ideali introduzioni per le conclusioni finali dell'opera, svolte dal curatore insieme a Raphaël Parizot, le quali non si limitano a fornire le coordinate del dibattito sulla vittima in Europa sintetizzando i risultati della ricerca, ma individuano altresì alcune prospettive future dischiuse dai recenti interventi legislativi europei.
In conclusione, si tratta del risultato di uno sforzo collettivo che nasce con l'idea di fornire indicazioni concrete agli operatori del diritto europei - ed ai vari legislatori nazionali preoccupati di garantire una puntuale attuazione della Direttiva 2012/29/UE - contribuendo in tal modo all'avanzamento del "progetto europeo" il cui successo dipende anche dal miglioramento del rapporto individuo-giustizia penale. Allo stesso tempo, però, il libro rappresenta uno strumento importante per il dibattito accademico. Non sembra esagerato affermare che qualsiasi ricerca europea sui diritti processuali delle vittime dovrà necessariamente, d'ora in poi, partire da qui.