ISSN 2039-1676


21 dicembre 2015 |

La Corte europea in tema di offese pubbliche contro gli Ebrei

C. eur. dir. uomo, quinta Sezione, Dieudonné M'Bala M'Bala c. Francia, ric. 25239/13

 

Clicca qui per consultare il testo della sentenza annotata, disponibile sul portale della Corte.

Clicca qui per scaricare il comunicato stampa, realizzato dalla Cancelleria della Corte, sulla sentenza annotata e disponibile sul portale della Corte.

 

Con decisione del 20 ottobre 2015, la Corte Europea dei Diritti Umani si è pronunciata nel caso Dieudonné M'Bala M'Bala contro Francia[1], dichiarando irricevibile il ricorso presentato da M'Bala M'Bala, noto come Dieudonné[2], non ritenendo che la sua condotta rientrasse nella protezione offerta dall'art. 10 CEDU, che tutela la libertà di espressione.

 

1. La vicenda si basa sulla condanna di Dieudonné da parte del Tribunal de Grande Instance di Parigi, il 27 ottobre 2009, ad una pena pecuniaria di € 10.000 per aver commesso ingiuria pubblica, aggravata dalla componente razzista[3], reato previsto dal comma 3 dell'art. 33 della legge del 29 luglio 1881 sulla libertà di stampa.[4]

Il procedimento ha avuto ad oggetto fatti commessi nell'ambito del finale di uno spettacolo di Dieudonné nel 2008 al teatro Zenith di Parigi, quando lo stesso è stato affiancato dal noto negazionista Robert Faurisson[5].

La condanna è stata confermata dalla Corte d'Appello di Parigi ed il ricorso in Cassazione, proposto dal condannato, è stato rigettato[6].

 

2. Dieudonné è già stato oggetto di diversi procedimenti (penali e non), originati tutti dalle sue esternazioni in pubblico[7]. Le sue condanne per ingiuria o diffamazione aggravate da motivi razzisti vedono, fra le persone offese, note figure di origine ebraica[8], fino allo stesso esercito israeliano o gli ebrei in generale.[9] A livello extrapenale va segnalato che nel 2014 il Ministro degli Interni, Manuel Valls, ha inviato una circolare a sindaci e prefetti, chiedendo di vietarne gli spettacoli, nella misura in cui essi turbano l'ordine pubblico[10]. I conseguenti provvedimenti della pubblica autorità sono stati ritenuti legittimi dal Consiglio di Stato, poiché, alla luce dei precedenti spettacoli, non vi poteva essere la garanzia che un nuovo evento non realizzasse gravi attacchi alla «dignità della persona umana»[11].

Recentemente, Dieudonné è stato condannato anche per apologia di terrorismo[12], in seguito a un commento pubblicato su Facebook al termine della manifestazione di Parigi in ricordo delle vittime dell'attentato alla redazione di Charlie Hebdo e al supermercato ebraico Hyper Casher. Il commento terminava con la frase «Je me sens Charlie Coulibaly», accostando lo slogan della manifestazione al cognome di Amedy Coulibaly, autore della strage nel supermercato ebraico.

 

3. Il ricorso alla Corte di Strasburgo riguarda il finale del menzionato show[13]. In tale occasione, Dieudonné disse che nel preparare lo spettacolo di Parigi era stato «ispirato» dalla lettura dell'«ultima critica molto elogiativa di Bernard H» (alludendo al filosofo e giornalista, di origine ebraica, Bernard-Henry Levi, che aveva definito l'ultimo spettacolo di Dieudonné in quello stesso teatro «il più grande meeting antisemita dopo l'ultima guerra mondiale»). Aggiunse che tale critica aveva fatto sì che egli si dicesse «devo fare meglio questa volta». Veniva quindi fatto salire sul palco Faurisson, presentato come «un uomo che ha sviluppato delle sue tesi», «un uomo che è stato picchiato dalle milizie di occupazione israeliane [...] e lasciato sul ciglio di una strada, dato per morto». Faurisson, noto esponente del filone negazionista[14], è stato più  volte condannato in Francia per il reato di negazionismo[15].

Sul palco del teatro Zenith, Dieudonné fece consegnare a Faurisson il «premio dell'infrequentabilità e dell'insolenza» da parte del tecnico del suono J.S., il quale entrava in scena indossando un costume definito dallo stesso Dieudonné come «abito di luce»: un pigiama a strisce con una stella di David cucita sopra. Il premio consisteva in un candelabro a tre braccia, al cui vertice erano collocate tre mele.

Ricevuto il premio, Faurisson ha affermato che, a causa di una «legge speciale» che esiste in Francia, egli non ha il «diritto di dire che cosa è in realtà il revisionismo, ciò che quelle persone chiamano negazionismo» e ha aggiunto, «se loro continuano a chiamarmi negazionista, io li chiamerò affermazionisti» ed ha quindi concluso dichiarando come da trentaquattro anni egli sia trattato nel suo stesso Paese «come un palestinese»[16]. Tutto questo veniva accompagnato da un gesto osceno rivolto ai "sionisti"[17].

Secondo quanto dichiarato successivamente all'autorità giudiziaria dal tecnico del suono, l'utilizzo del medesimo costume era previsto anche nelle altre repliche, in riferimento a una polemica politica in corso in Francia[18]. Nello spettacolo allo Zenith tuttavia, tale parte finale dello spettacolo veniva sostituita con la premiazione di Faurisson, mantenendo il costume da deportato. Faurisson non avrebbe dovuto parlare spontaneamente, bensì proporre una lettura dello scrittore Louis Ferdinand Céline. Nonostante la palese notorietà di Faurisson in Francia in relazione al negazionismo della Shoah, Dieudonné ha affermato di aver appreso solo dopo lo spettacolo che egli nega l'esistenza delle camere a gas ed ha sostenuto di averlo invece invitato perché interessato alla sua opera di contestazione dell'esistenza della tratta negriera[19].

 

4. Condannato in via definitiva per ingiuria pubblica aggravata, Dieudonné ha lamentato, davanti alla Corte Europea dei Diritti Umani, una violazione degli artt. 7 e 10 CEDU, che sanciscono rispettivamente il principio nulla poena sine lege e la libertà di espressione. La Corte tuttavia ha ritenuto di dover esaminare il caso sulla base del solo art. 10 CEDU.

Alla luce della Convenzione e della giurisprudenza della Corte, una limitazione della libertà di espressione di cui all'art. 10 CEDU può essere considerata legittima sulla base dell'art. 17 CEDU, ovvero dell'art. 10 comma 2 CEDU; tuttavia l'applicazione dell'una o dell'altra disposizione presuppone scenari profondamente differenti. L'art. 17 CEDU è, come noto, una disposizione eccezionale utilizzata dalla Corte per escludere dalla protezione della Convenzione i casi di abuso del diritto, in cui una libertà garantita dalla Convenzione venga utilizzata per fini contrari al testo e allo spirito della stessa, diretti alla distruzione e all'eliminazione dei diritti e delle libertà in essa garantiti. L'eccezionalità di questa disposizione sta proprio nel suo rapporto con la libertà di espressione. Le ipotesi del c. 2 dell'art. 10 CEDU costituiscono infatti delle legittime restrizioni della libertà sancita al c. 1, se e in quanto necessarie in ragione di altre esigenze meritevoli di tutela in una società democratica (quali ad esempio la sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, la protezione della salute); in tali casi pertanto le condotte in questione sono considerate sì manifestazioni della libertà di espressione, tuttavia si consente ad una restrizione in un'ottica di bilanciamento di interessi. Al contrario, l'applicazione dell'art. 17 CEDU porta ad escludere totalmente che determinate affermazioni costituiscano una manifestazione della libertà di espressione, in quanto ad essa si ricorre solo strumentalmente.

La Corte ritiene che il caso di specie possa essere ricondotto all'art. 17 CEDU e consista in un abuso della libertà di espressione. La condotta di Dieudonné non è tutelata dall'art. 10 CEDU.

Nel suo percorso argomentativo, la Corte valuta il complesso dello "sketch" finale.  Con riferimento a Faurisson, la Corte ha ritenuto che, appellando i suoi accusatori come "affermazionisti", egli avrebbe istigato chiaramente a mettere sullo stesso piano dei «fatti storici chiaramente stabiliti[20]» ed una tesi la cui espressione è proibita nel diritto francese ed è sottratta alla protezione dell'art. 10 CEDU da parte dell'art. 17 CEDU[21]. Valutando il contesto complessivo dello spettacolo, la Corte ha ritenuto che si trattasse di un evento antisemita. Questo elemento avrebbe fatto sì che, dall'ingresso in scena di Faurisson, lo spettacolo non potesse più essere definito tale e diventasse un «meeting», «una presa di posizione d'odio e antisemita, camuffata sotto l'aspetto di una produzione artistica e pericolosa al pari di un attacco diretto e frontale»[22].

In relazione ai fatti oggetto della decisione, la Corte stabilisce che essi «sia nel loro contenuto che nel loro tono complessivo, e dunque nella loro finalità, hanno un marcato carattere negazionista e antisemita; la Corte ritiene che il ricorrente tenti di deviare l'articolo 10 dalla sua vocazione, utilizzando il suo diritto alla libertà di espressione per fini contrari al testo e allo spirito della Convenzione i quali, se fossero ammessi, contribuirebbero alla distruzione dei diritti e delle libertà garantiti dalla Convenzione»[23]. Conclude pertanto la Corte che «in virtù dell'articolo 17, il ricorrente non può beneficiare della protezione dell'articolo 10»[24].

 

5. Nella lettura della decisione della Corte, una prima constatazione emerge immediatamente. Dieudonné è stato condannato in Francia per ingiuria pubblica, un reato che si colloca fra quelli contro la persona, a tutela dell'onore. La Corte Europea dei Diritti Umani, interrogandosi sul diritto alla libertà di espressione, di cui Dieudonné lamentava la violazione, e sui limiti di tale diritto, non effettua la valutazione con riferimento all'onore e alla dignità umana della persona offesa, bensì qualifica i fatti in esame nell'ambito del cosiddetto hate speech ("discorso dell'odio").

Mentre, qualificando la condotta di Dieudonné come ingiuria, i giudici nazionali attribuivano ad essa una lesione di interessi individuali di un gruppo di persone offese (nella fattispecie gli ebrei), la Corte Europea al contrario sposta la valutazione della condotta su una chiave di lettura nettamente pubblicistica, focalizzata sull'analisi della pericolosità sociale della stessa, in quanto funzionale a istigare all'odio e alla discriminazione.

Il caso quindi viene ricondotto su un piano pubblicistico, al pari dei casi di negazionismo della Shoah, da sempre valutati dalla Corte in tali termini. É proprio la pericolosità in termini pubblicistici, alla luce del particolare contesto antisemita, a far ritenere che la condotta di Dieudonné sia un tentativo di deviare l'art. 10 CEDU dalla sua funzione. Poiché, cioè, le espressioni sono volte a fomentare l'odio e sono per questo pericolose in termini di pace sociale, si può dire che con esse Dieudonné tentasse di utilizzare il proprio diritto alla libertà di espressione per fini contrari alla Convenzione, perciò integrando un abuso del suo diritto ex art. 17 CEDU. É In quest'ottica che viene richiamata la giurisprudenza della Corte in tema di negazionismo.

Occorre tuttavia interrogarsi su quale sia esattamente la condotta penalmente rilevante di Dieudonné. Se da un lato è vero che lo "sketch" prevedeva la presenza del tecnico con il costume da deportato all'interno di un contesto ideologico molto specifico (che Dieudonné definisce "antisionista", ma che la decisione qualifica come "antisemita"), dall'altro non si può non constatare che ad essere incriminato e punito per ingiuria pubblica non è stato quello stesso "sketch" realizzato nelle precedenti date dello spettacolo, ma solo la serata che prevedeva la presenza di Faurisson. La Corte si sforza di rinvenire una maggiore pregnanza negazionista nella condotta di Faurisson, sostenendo che, avendo chiamato i suoi accusatori "affermazionisti", egli avrebbe istigato chiaramente a mettere sullo stesso piano dei «fatti storici chiaramente stabiliti» ed una tesi la cui espressione è proibita nel diritto francese ed è sottratta alla protezione dell'art. 10 CEDU da parte dell'art. 17 CEDU[25].

Tale ricostruzione parrebbe essere la giustificazione per cui la Corte affronta il caso concreto al pari di un'ipotesi di negazionismo e valuta la possibile limitazione dell'art. 10 CEDU alla luce della propria giurisprudenza relativa a tale reato[26], soprattutto con riguardo ai casi Garaudy c. Francia[27] e Lehideux e Isorni c. Francia[28].

Tuttavia una lettura complessiva della decisione mostra come tale valutazione della condotta di Faurisson sia marginale all'interno dell'analisi della Corte. A Faurisson, peraltro, in relazione a tale episodio non veniva contestato alcun reato, né tantomeno il reato di negazionismo, previsto all'art. 24 bis della medesima legge sulla libertà di stampa[29]. La Corte si concentra invece sulla condotta di Dieudonné, il quale, in un contesto «grottesco», con riferimenti «ridicolizzanti» simboli «della religione ebraica», ha «onorato una persona conosciuta e condannata in Francia per le sue tesi negazioniste»[30] La Corte, pertanto, alla luce del contesto antisemita della manifestazione, ritiene legittimo estendere la risposta punitiva dello Stato dalla repressione della condotta di negazionismo a quella di glorificazione o apologia non tanto del negazionismo, quanto della persona del negazionista. Si afferma che nella «valorizzazione del negazionismo attraverso lo spazio centrale dato all'intervento di Robert Faurisson [...] la Corte vede una dimostrazione di odio e di antisemitismo, oltre alla rimessa in discussione dell'Olocausto»[31]. La glorificazione della persona integrerebbe già di per sé un'offesa nei confronti della popolazione ebraica, un'offesa che la Corte pare qualificare non come lesione dell'onore, bensì in termini pubblicistici di istigazione all'odio e di pericolosità sociale. Del resto è proprio questo carattere pubblicistico a giustificare l'applicazione di una norma eccezionale quale l'art. 17 CEDU.

 

6. È ancora prematuro immaginare quali siano gli effetti di tale decisione sui casi futuri. Per il momento è possibile ipotizzare un effetto duplice. Da un lato ci si può chiedere se essa possa aprire la strada ad un'anticipazione della repressione penale dei fenomeni negazionisti, in chiave pubblicistica di hate speech[32], anche con riferimento a condotte che non esplicitano le affermazioni negazioniste. In questo senso essa potrebbe anche implicare il riconoscimento di una pericolosità sociale dell'apologia del negazionista, con una conseguente anticipazione della tutela con traslazione dell'oggetto, inferendo cioè, dalla legittimazione della punibilità del negazionismo, la legittimazione della punibilità dell'apologia del negazionista come persona fisica.

Dall'altro invece proprio l'inquadramento proposto in chiave pubblicistica potrebbe essere indicativo di una tendenza di segno opposto, in chiave garantista.[33] La Corte si è infatti spesa in un'attenta analisi del contesto complessivo dello spettacolo di Dieudonné, proprio per mostrare l'esistenza di un antisemitismo latente. La Corte ha mostrato lo stesso sforzo ricognitivo anche in altri casi di negazionismo, ma finora non lo aveva sviluppato con tanta dovizia nei casi di negazionismo della Shoah, dove l'esistenza di una componente antisemita a monte delle affermazioni negazioniste è stata spesso data per presunta, in base alla considerazione per cui anche dietro la semplice negazione è sempre sottesa una riabilitazione del nazionalsocialismo ed un'accusa di falsificazione alle vittime ebree[34]. Nella prassi usuale della Corte dunque, anche a fronte di un'affermazione negazionista che non si palesasse come discorso di odio, ma che si limitasse a mettere in discussione l'esistenza dei fatti, veniva dato per implicito un antisemitismo latente, che giustificava l'intervento punitivo. Il legame con l'ideologia nazionalsocialista, e quindi con l'odio per gli ebrei, non veniva accertato compiutamente nel singolo caso di specie; «l'associazione del negazionismo dell'olocausto con l'ideologia totalitaria ed una natura di insulto alle vittime non è mai stata valutata in concreto dai giudici europei, ma è sempre stata considerata come un elemento intrinseco della condotta»[35]. Al contrario, la dovizia con cui, in questo caso, la Corte si spende in una valutazione del legame fra la condotta e un contesto ideologico di odio, parrebbe contravvenire a tale prassi usuale e richiedere un accertamento in concreto.

In conclusione, un profilo di rilievo della decisione che si commenta consiste nell'applicare una disposizione eccezionale come l'art. 17 CEDU[36], finora utilizzata solo con riguardo a manifestazioni negazioniste esplicite e dirette, per le quali non era necessaria alcuna interpretazione, ad un episodio di glorificazione di un negazionista all'interno del contesto di una sedicente rappresentazione artistica. Leggendo questa decisione nel quadro complessivo della giurisprudenza della Corte relativa al rapporto fra gli artt. 10 e 17 CEDU, inclusa la recente sentenza della Grande Camera nel caso Perinçek c. Svizzera,  è possibile ipotizzare quanto segue: non sembra essere tanto il carattere diretto o indiretto, esplicito o implicito del fenomeno negazionista a determinare l'applicabilità dell'art. 17 CEDU, quanto il fatto che sia  «immediatamente chiaro»[37] ed evidente il fine non consentito cui l'espressione in questione è diretta.  A questo riguardo la Corte, dopo aver affermato, come detto, che anche un discorso d'odio indiretto è pericoloso «al pari di un attacco diretto e frontale», conclude sostenendo che essa «non accetterà che l'espressione di una ideologia che va contro i valori fondamentali della Convenzione, quali li esprime il suo preambolo, ossia la giustizia e la pace, sia assimilabile a uno spettacolo, anche se satirico o provocatorio, che ricada sotto la protezione dell'articolo 10 della Convenzione»[38].

 


[1] C. eur. dir. umani, 20 ottobre 2015, M'Bala M'Bala contro Francia, ricorso n. 25239/13.

[2] Dieudonné (all'anagrafe Dieudonné M'Bala M'Bala), di madre francese e padre camerunense, presenta se stesso come un attore umorista; in alcune occasioni tuttavia ha riconosciuto a se stesso il ruolo di militante politico filopalestinese ed antisionista.

[3] Ovvero dall'essere diretta «contro una persona o un gruppo di persone in ragione della loro origine o della loro appartenenza o non appartenenza a un'etnia, a una nazione, a una razza o a una religione determinata».

[4] Tale reato esige che l'ingiuria abbia carattere pubblico, ossia che sia commessa mediante i mezzi di comunicazione elencati all'art. 23 della medesima legge: «attraverso discorsi, grida o a mezzo di scritti, stampe, incisioni, dipinti, emblemi, o attraverso ogni altro mezzo di scrittura, parola o immagine, venduti, distribuiti, messi in vendita o visualizzati in luoghi pubblici o riunioni, o mediante cartelli o manifesti esposti alla pubblica vista o con qualsiasi mezzo di comunicazione al pubblico per via elettronica».

[5] Sulla figura di Faurisson, fra i tanti contributi, si veda in particolare, anche per ulteriori richiami, Igounet V., Faurisson. Portrait d'un négationniste, Denoel, Paris, 2012.

[6] Cour de Cassation, Chambre Criminelle, 16 ottobre 2012, 11-82866 (il testo è consultabile a cliccando su questo link). La sentenza della Corte di Appello di Parigi è del 17 marzo 2011.

[7] La più recente condanna, per istigazione all'odio razziale, risale al 25 novembre scorso in Belgio. Cfr. Dieudonné condemné en Belgique pour antisémitisme, Le Monde, 25 novembre 2015 (il testo dell'articolo è consultabile cliccando su questo link).

[8] A titolo esemplificativo il cantante Patrick Bruel o il giornalista Patrick Cohen.

[9] A titolo esemplificativo si può menzionare un episodio del 2005, quando Dieudonné parlò di «sfruttamento del ricordo della Shoah», di una «pornografia della memoria» e di una «lobby sionista che coltiva l'unicità della sofferenza». Egli venne quindi condannato per diffamazione pubblica a carattere razzista, prevista all'art. 32 della citata legge sulla libertà di stampa. Cfr. Dieudonné, star de la semaine judiciaire, Le Figaro, 26 giugno 2008 (il testo dell'articolo è consultabile cliccando su questo link).

[10] Parisi S., Comici... o intrepidi militanti? In margine al caso Dieudonné, in Quaderni Costituzionali, 1/2014, 156-160, 156.

[11] Ibidem. Peraltro lo stesso consiglio di Stato nel 2010, al contrario, aveva sospeso la decisione del sindaco del Comune di Orvault di rifiutare, per contrarietà al buon costume, l'affitto di una sala presso cui Dieudonné avrebbe dovuto tenere uno spettacolo.

[12] Il 18 marzo 2015 Dieudonné è stato dunque condannato alla pena, sospesa, di due mesi di detenzione. Il reato di apologia di terrorismo era originariamente previsto all'interno della summenzionata legge sulla libertà di stampa, in quanto interviene in modo restrittivo sulla libertà di espressione. La legge n. 1353 del 14 novembre 2014 lo ha tuttavia collocato, come delitto comune, all'interno del Codice penale (art. 421-2-5 c.p.) ed ha introdotto un inasprimento sul piano processuale e sanzionatorio. Al riguardo cfr. Fronza E. nell'ambito del seminario Scherza con i Fanti, ma lascia stare i santi? Democrazia e limiti della libertà di espressione, tenutosi il 7 febbraio 2015, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Bologna, pubblicato in Fronza E., Gamberini A., Guarnieri  C., Insolera G., L'essenziale libertà, in Una città, n. 220, marzo 2015, 7.

[13] Al fine della comprensione del contesto, occorre ricordare, come rileverà la stessa Corte Europea, che il pubblico di Dieudonné, sia che lo si ritenga effettivamente un umorista che un militante politico, è comunque composto in prevalenza da militanti o simpatizzanti di partiti e movimenti radicali. La sera dello spettacolo allo Zenith, in particolare, erano presenti Jean-Marie Le Pen, all'epoca presidente del Front National, Alain de Benoist, fondatore del movimento Nouvelle Droite e Kémi Séba, già membro del movimento Nation of Islam.

[14]Anche i proclami di Faurisson indussero, nel 1990, il legislatore francese ad adottare la Loy Gayssot, la prima disposizione in Europa ad introdurre il reato di negazionismo. Cfr., per ulteriori dettagli, Fronza E., Il negazionismo come reato, Giuffrè, Milano, 2012, 44 ss.

[15] In riferimento alle condanne più recenti si veda, Robert Faurisson a été condamné pour "contestation de crime contre l'humanité", Le Monde, 29 aprile 1998; Le négationniste Robert Faurisson a été condamné à trois mois de prison avec sursis, Le Monde, 03 ottobre 2006 (il testo dell'articolo è consultabile cliccando su questo link).

[16] Cfr. par. 8 della decisione.

[17] Si fa riferimento al tristemente noto gesto della "quenelle", inventato dallo stesso Dieudonné.

[18] Originariamente esso doveva essere una reazione alla proposta, avanzata sotto la presidenza Sarkozy, di realizzare una gemellaggio fra ogni alunno di quinta elementare ed un bambino morto nei campi di sterminio, al fine di incentivare il recupero e la coltivazione della memoria storica della Shoah. Al momento dell'ingresso in scena, il tecnico doveva lamentarsi del fatto di essere stato costretto a portare quel costume e Dieudonné rispondeva «è la legge [...] un membro di una compagnia teatrale deve portare il costume di un deportato ebreo, è obbligatorio. Non dimenticarti che gli ebrei hanno sofferto». Il tecnico doveva allora rispondere «gli ebrei hanno sofferto quanto gli altri» e il comico lo doveva redarguire affermando «hanno sofferto molto di più». Cfr. par. 9 della decisione. Sulla polemica politica Cfr. Gabionz C.-Louis C., Le parrainage d'enfants juifs déportés crée la polemique, Le Figaro, 15 febbraio 2008 (il testo dell'articolo è consultabile cliccando su questo link).

[19] Opera minore nella bibliografia di Faurisson ed estranea al contesto dello "sketch", che invece conteneva molti riferimenti alla Shoah.

[20] Su tale formula, ricorrente nella giurisprudenza CEDU in materia, in particolare in relazione al negazionismo della Shoah, cfr. Fronza E., Negazionismo (diritto penale) (voce), in Enciclopedia del Diritto. Annali: VIII, Giuffrè, Milano, 2015, 642.

[21] Cfr. par. 36.

[22] Cfr. parr. 39-40.

[23] Cfr. par. 40.

[24] Cfr. par. 41.

[25] Cfr. par. 36.

[26] Su tale aspetto anche per ulteriori richiami cfr. Fronza E., Il negazionismo come reato, cit., 62 ss; Fronza E., Negazionismo (diritto penale) (voce), cit., 642 ss.; Hervieu N., Le négationnisme, prisme révélateur du dilemme européen face à la lutte contre l'extrémisme, in La Revue des droits de l'homme , 13 gennaio 2014, disponibile al seguente indirizzo: http://revdh.revues.org/503 e in questa rivista Lobba P., Un "arresto" della tendenza repressiva europea sul negazionismo, in questa Rivista, 15 gennaio 2014.

[27] C. eur. dir. umani, 24 giugno 2003, Garaudy c. Francia, ricorso n. 65831/01.

[28] Cfr. par. 32 e ss.

[29] Tale disposizione punisce «coloro che contestano, con una delle modalità previste dall'art. 23, l'esistenza di uno o più crimini contro l'umanità, come definiti dallo Statuto del Tribunale Militare Internazionale annesso all'Accordo di Londra dell'8 agosto 1945, che siano stati commessi tanto da membri di un'organizzazione dichiarata criminale ai sensi dell'art. 9 dell'Accordo medesimo, quanto da un individuo che sia stato dichiarato colpevole dei predetti crimini da una giurisdizione francese o internazionale».

[30] Cfr., par. 35.

[31] Cfr. par. 39.

[32] In particolare la sentenza della Grande Camera nel caso Perinçek c. Svizzera conferma la necessità che l'affermazione negazionista abbia i caratteri del discorso dell'odio, per poterne giustificare la punibilità. Con riferimento all'art. 17 CEDU, si afferma: «in casi relativi all'art. 10 della Convenzione, esso deve essere lasciato ai casi in cui è immediatamente chiaro che le affermazioni contestate mirano a deviare tale articolo dal suo scopo reale, utilizzando il diritto alla libertà di espressione per fini chiaramente contrari ai valori della Convenzione», in particolare al fine di «accrescere l'odio e la violenza». Cfr. C. eur. dir. umani, 15 ottobre 2015, Perinçek c. Svizzera, par. 114. Ai parr. 209 -2012 della stessa, la Corte dà conto di come nei precedenti casi, relativi al negazionismo della Shoah, fosse sempre presente il collegamento con l'ideologia nazista e con l'incitamento all'odio razziale e all'antisemitismo.   

[33] In particolare quest'interpretazione del negazionismo come funzionale all'accrescimento di odio e violenza, potrebbero residuare dunque ancora dei dubbi sulla legittimità di punire la c.d. einfache Auschwitzlüge, ossia la negazione pura, pur di «fatti storici chiaramente stabiliti», nei casi in cui questa non presenti elementi di incitamento all'odio. Si tratta di un tema non espressamente chiarito dalla Corte di Strasburgo.

[34] C. eur. dir. umani, 24 giugno 2003, Garaudy c. Francia, ricorso n. 65831/01, par. 26.

[35] Cfr. Lobba P., A European Halt to Laws Against Genocide Denial? In Perinçek v. Switzerland, the European Court of Human Rights Finds that a Conviction for Denial of Armenian 'Genocide' violates Freedom of Expression, in European Criminal Law Review, 2014, n. 1, 59 - 77, 75.

[36] Una ricostruzione del carattere eccezionale e delle finalità dell'art. 17 CEDU è fornita al par. 114 della sentenza della Grande Camera, del 15 ottobre 2015, nel caso Perinçek c. Svizzera, dove si afferma che l'art. 17 CEDU può essere invocato «su base eccezionale ed in casi estremi [...] in cui è immediatamente chiaro che le affermazioni contestate mirano a deviare tale articolo dal suo scopo reale», al fine di «accrescere l'odio e la violenza». Tale sentenza si riferisce a un caso di condanna per negazionismo, in relazione ad affermazioni espresse da un politico turco nell'ambito di tre conferenze tenute in tre città elvetiche e relative ai crimini commessi nel 1915 dall'Impero Ottomano nei confronti del popolo armeno. In tale caso la Corte non ha riscontrato elementi sufficienti né per ritenere applicabile l'art. 17 CEDU, né per ritenere legittima una limitazione della libertà di espressione in base all'art. 10 c. 2 CEDU. Su tale sentenza, si veda in questa rivista Montanari M., Libertà di espressione e dignità delle vittime in un caso di negazionismo del genocidio armeno: si pronuncia la Grande camera della Corte Edu, in questa Rivista, 21 ottobre 2015; fra gli altri si veda Belavusau U., Perinçek v. Switzerland: Between Freedom of Speech and Collective Dignity, in Verfassungsblog, 5 novembre 2015 (consultabile cliccando su questo link).

[37] Cfr. par. 114 della citata sentenza della Grande Camera nel caso Perinçek c. Svizzera.

[38] Cfr. par. 39.