ISSN 2039-1676


18 gennaio 2017 |

Il delitto di rientro sul territorio italiano dello straniero espulso e l'art. 131-bis c.p.: applicabilità in astratto della causa di non punibilità e suoi possibili criteri di applicazione in concreto in due provvedimenti del Tribunale di Milano

Nota a Trib. Milano, Sez. II pen., sent. 13 maggio 2016, n. 6133, ed a Trib. Milano, Sez. V pen., sent. 28 settembre 2016, n. 10230

Contributo pubblicato nel Fascicolo 1/2017

Per leggere il testo delle due sentenze annotate, clicca sui link indicati di seguito: Trib. Milano, sent. 6133/2016 - Trib. Milano, sent. 10230/2016

 

1. Con due recenti provvedimenti che giungono a conclusioni opposte in punto di fatto, le Sez. II e V del Tribunale di Milano hanno affrontato il tema della compatibilità fra il delitto di cui all’art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998 (rientro in Italia dello straniero espulso) e la nuova causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, introdotta dall’art. 131 bis c.p. In entrambe le sentenze, i giudici milanesi hanno però ribadito l’astratta compatibilità fra la norma de qua e il reato in esame, delineando, inoltre, alcuni criteri empirici utili per stabilire se e quando il delitto possa considerarsi di «particolare tenuità».

 

2. Con il provvedimento del Tribunale di Milano – Sez. V Penale del 28/9/2016, veniva definito il procedimento a carico di un cittadino straniero che, a seguito di decreto di espulsione dal territorio nazionale per la durata di cinque anni, si era volontariamente allontanato dall’Italia, per poi farvi intenzionalmente rientro, a breve distanza e in difetto di autorizzazioni, asserendo di non potersi procurare un lavoro nel suo Paese di origine.

La vicenda affrontata dalla Sez. II del Tribunale di Milano riguardava, invece, il caso di uno straniero rientrato in Italia, privo di autorizzazioni, a seguito di espulsione, il quale aveva dichiarato di trovarsi sul territorio nazionale occasionalmente e a ridosso della scadenza del decreto espulsivo, nonché – secondo quanto si legge nel provvedimento – provvisto di permesso di soggiorno spagnolo, in base al quale aveva erroneamente creduto di poter circolare in tutti i Paesi dell’Unione europea.

 

3. Va preliminarmente osservato che, nei provvedimenti in esame, non è in discussione la sussistenza del fatto tipico di cui all’art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998, né dell’elemento soggettivo in capo all’autore della condotta. Per quanto attiene al profilo oggettivo, infatti, la consumazione del reato è insita nel fatto che l’imputato sia fisicamente trovato sul suolo italiano, «dove non avrebbe potuto e dovuto trovarsi, poiché espulso[1]»: si tratta, perciò, di accertare la mera presenza o rientro sul territorio nazionale del cittadino straniero che ne sia stato espulso, sempreché l’antigiuridicità del fatto non sia esclusa da una autorizzazione ministeriale che giustifichi il rientro. Circa la sussistenza dell’elemento soggettivo, poi, i casi in esame non presentano, parimenti, particolari difficoltà probatorie, considerando che gli stessi imputati avevano dichiarato di essere rientrati in Italia intenzionalmente con una finalità ora lavorativa, ora ludica.

 

4. Più delicata è la questione della compatibilità fra il delitto di cui all’art. 13, comma 13, T.U. immigrazione e la sua eventuale non punibilità per particolare tenuità del fatto.

A tal riguardo, come anticipato, le due sentenze hanno concordemente ritenuto in astratto applicabile l’istituto di cui all’art. 131 bis c.p. alla di cui all’art. 13 cit., pur addivenendo a conclusioni diverse circa la sua concreta applicabilità ai casi specifici.

La nozione di «tenuità» è infatti riferita dall’art. 131 bis c.p. alle modalità della condotta o all’esiguità del danno o pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133 c.p.; si tratta quindi di valutazioni di per sé effettuabili anche sulle condotte di cui all’art. 13 T.U. immigrazione. La questione si inserisce nel più ampio problema della compatibilità fra particolare tenuità e condotte tipiche dei c.d. reati di disobbedienza, in cui il legislatore ha inteso punire secondo una logica di «tutto o nulla», non rilevando cioè il quantum della lesione al bene giuridico tutelato, bensì se il bene è leso oppure no.

Sul punto, sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione, che si sono espresse nel senso della astratta compatibilità fra tali reati e la causa di non punibilità in esame[2].

 

5. Ciò premesso, come si precisa nel provvedimento della Sez. V Penale, la particolare tenuità è elemento ulteriore rispetto alla condotta, il quale deve essere provato e non può ritenersi implicito nel fatto che il delitto ex art. 13 d.lgs. n. 286/1998, in una valutazione politico-criminale, punisca di per sé – o sempre – anche una condotta scarsamente lesiva del bene giuridico tutelato. In altre parole – si legge nella sentenza in questione – «la tenuità del fatto deve (...) essere rilevata con riferimento non al fatto in sé, ma ai parametri di cui all’art. 133 c.p., oltre agli altri richiamati dall’art. 131 bis c.p.». Al riguardo, il Tribunale rileva che è non solo possibile, ma «doveroso per il giudice effettuare una valutazione del reale disvalore del fatto storico, con riguardo a reati in cui l’intrinseca pericolosità della condotta tipica sia già individuata in astratto dal legislatore».

Ciò premesso, la Sez. V Penale esclude tuttavia che nel caso sottopostogli i requisiti di cui all’art. 131 bis c.p. fossero integrati; in particolare, a nulla varrebbe, secondo il tribunale, la giustificazione dell’imputato «di essersi diretto in Italia perché impossibilitato a trovare lavoro», dal momento che «lo stesso avrebbe potuto recarsi in altro Paese in cui non fosse in atto un provvedimento nei suoi confronti»: circostanza alla quale si può riconoscere valore attenuante del reato, ma non di esclusione della punibilità.

 

6. Nell’argomentare su questo punto, il giudice di merito richiama, in particolare, l’altra decisione del Tribunale di Milano qui in esame (Trib. Milano – Sez. II Penale, sent. 13/5/2016, n. 6133).

In questo caso, il tribunale penale aveva diversamente concluso nel senso della applicabilità al caso di specie della causa di cui all’art. 131 bis c.p., osservando che l’imputato era rientrato solo occasionalmente in Italia per incontrare alcuni conoscenti e che lo stesso era in possesso di regolare carta di soggiorno spagnola, con la quale riteneva di poter circolare liberamente in tutti i Paesi europei. In quel caso, inoltre, l’imputato aveva dichiarato di non sapere di essere stato colpito da ordine di espulsione attualmente in vigore.

Proprio in queste circostanze la Sez. II del Tribunale di Milano ha individuato alcuni indici empirici circa la particolare tenuità del fatto riconducibile all’art. 13, comma 13, d.lgs. n. 286/1998. Indici di tal tipo sono espressamente considerati la contingenza della presenza dello straniero sul territorio, l’occasionalità della condotta, la scarsa lesività della stessa, riscontrabile nel fatto che l’imputato fosse in possesso di un permesso di soggiorno di altro Paese comunitario e che fosse rientrato in Italia a ridosso della scadenza del provvedimento espulsivo; a questi indici, si aggiungono il motivo ludico della presenza sul territorio italiano e l’assenza di precedenti penali dell’imputato.

 

7. È chiaro allora perché, a contrariis, il giudice della Sez. V Penale abbia escluso l’applicabilità al caso di specie dell’art. 131 bis c.p. L’imputato – si legge – risultava, in questo caso, essere rientrato in Italia al fine di cercare lavoro e restarvi, privo di qualsiasi autorizzazione e a distanza di solo un anno dalla sua espulsione, privo di permessi di soggiorno o circolazione validi per altri Paesi membri dell’Unione, da cui potesse erroneamente ritenere che il suo rientro in Italia era possibile o lecito; l’imputato era, inoltre, volutamente rientrato in Italia con la consapevolezza e volontà di violare l’ordine espulsivo, con progettualità precisa e certamente non di breve termine (quale quella di lavorare in Italia in maniera continuativa). Infine, si evince che lo straniero ben conosceva il divieto di rientrare nel territorio italiano, tantoché aveva impugnato lo stesso provvedimento del Prefetto, con esito negativo.

 

8. È interessante notare, infine, che la Sez. V ha ritenuto ostativa all’applicazione dell’art. 131 bis c.p. nel caso di specie la presenza di precedenti penali «non irrilevanti» a carico dell’imputato. Al riguardo, la circostanza sembra rilevare in quanto indice di non scarsa offensività della condotta e non ai sensi del terzo comma della disposizione in questione. Da un punto di vista generale, infatti, la presenza di precedenti potrebbe incidere sul requisito ex art. 131 bis c.p. della non abitualità della condotta per cui si procede, da intendersi, secondo giurisprudenza, in senso estensivo, riferendosi a ogni comportamento seriale che non sia necessariamente riconducibile alla condanna o alla recidiva (secondo giurisprudenza è sufficiente la commissione di una pluralità di reati della stessa indole[3]). Tuttavia, si legge espressamente nella sentenza in esame che la presenza di gravi precedenti penali rileva «a monte», impedendo una valutazione di tenuità della condotta dell’imputato, il quale «meno di due anni fa è uscito dal carcere, dove ha scontato una condanna a più di quattro anni per violazione della legge sugli stupefacenti e che proprio per tale motivo è stato espulso dall’Italia [a pena espiata, n.d.a.] per la durata di cinque anni».

 

[1] Trib. Milano – Sez. V Penale, sent. in esame.

[2] Cass., Sez Un., sent. n. 4/2016. Nel senso della compatibilità fra particolare tenuità del fatto e reati di pericolo presunto o astratto e fra particolare tenuità del fatto e reati in cui il legislatore fissa una soglia minima di rilevanza penale, cfr. Cass., sez. IV, sent. n. 10/2016; Cass., sez. VI, sent. n. 1457/2016; Cass., sez. IV, sent. n. 2251/2015; Cass., sez. III, sent. n. 51020/2015; Cass., sez. VI, sent. n. 44417/2015.

[3] Cass., Sez. 5, sent n. 26813/2016.