31 ottobre 2017 |
L'eterointegrazione della legge Gelli-Bianco: aggiornamenti in tema di linee guida 'certificate' e responsabilità penale in ambito sanitario
Contributo pubblicato nel Fascicolo 10/2017
Per leggere il testo del decreto del Ministero della Salute in data 2 agosto 2017, clicca qui.
Per leggere il testo del decreto del Ministero della Salute in data 29 settembre 2017, clicca qui.
Per leggere il testo della “Nota di chiarimento” del Ministero della Salute in data 23 ottobre 2017, clicca qui.
1. Dopo il primo contributo interpretativo fornito dalla Quarta Sezione della Cassazione con la sentenza 20 aprile – 7 giugno 2017, n. 28187[1], il percorso di ridefinizione dello statuto penale della colpa medica fa un ulteriore passo avanti, con l’attesa pubblicazione di due decreti ministeriali chiamati a integrare profili essenziali – anche sul versante penalistico - della legge Gelli-Bianco[2]. Ci si riferisce, nel dettaglio, ai decreti del Ministero della Salute 2 agosto 2017 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 186 del 10 agosto 2017) e 29 settembre 2017 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 248 del 23 ottobre 2017), rispettivamente dedicati all’individuazione di un ”elenco delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie” e alla “istituzione dell’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza in sanità”.
2. Un breve passo indietro. Come si ricorderà, tra i punti qualificanti la legge 8 marzo 2017, n. 24, oltre all’introduzione, nel codice penale, di un nuovo articolo, concernente la responsabilità colposa per morte o per lesioni personali in ambito sanitario (art. 590-sexies c.p.), si è stabilita all’art. 5 una dettagliata disciplina dei requisiti formali delle linee guida all’interno delle quali individuare le raccomandazioni tendenzialmente vincolanti per gli esercenti le professioni sanitarie.
Si prevede infatti che “gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti ed istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco, istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali”. Con la precisazione, contenuta al terzo comma, che tali linee guida devono essere integrate nel Sistema nazionale per le linee guida e pubblicate nel sito internet dell’Istituto superiore di sanità, previa verifica sia della conformità della metodologia adottata a standard definiti e resi pubblici dallo stesso Istituto sia della rilevanza delle evidenze scientifiche dichiarate a supporto delle raccomandazioni.
Il compito di elaborare tali linee guida è stato dunque attribuito ad enti e istituzioni di natura pubblica e privata, nonché alle società scientifiche e alle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie, iscritte in un apposito elenco. E proprio su tale versante incidono i provvedimenti in commento.
3. In estrema sintesi, con il primo decreto è istituito presso il Ministero della Salute un elenco (aggiornato con cadenza biennale) delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie ‘accreditate’ (art. 1), al quale – entro novanta giorni (e dunque entro l’8 novembre) – possono chiedere di essere iscritte le società scientifiche e le associazioni che siano in possesso, fra gli altri, dei seguenti requisiti (art. 2):
a) rilevanza di carattere nazionale, con una rappresentanza in almeno dodici regioni e province autonome, anche mediante associazione con altre società o associazioni della stessa professione, specialità o disciplina;
b) rappresentatività di almeno il 30% dei professionisti non in pensione nella specializzazione o disciplina o nella specifica area o settore di esercizio professionale;
c) comprovata indipendenza da attività imprenditoriali e assenza di finalità di lucro;
d) adempimento dell'obbligo di pubblicazione dell’attività scientifica attraverso il sito web della società o associazione, aggiornato costantemente;
e) esclusione di retribuzione delle cariche sociali;
f) assenza, tra le finalità istituzionali dell’ente, della tutela sindacale degli associati e comunque non svolgimento, diretto o indiretto, di attività sindacale;
g) previsione della massima partecipazione degli associati alle attività e alle decisioni dell'ente.
Vengono così introdotti parametri estremamente selettivi, sul mantenimento dei quali è prevista una periodica verifica da parte dello stesso Ministero della Salute; qualora si dovesse riscontrare la perdita sopravvenuta anche solo di uno di essi, la società o l’associazione potrà essere prima sospesa, poi eventualmente cancellata dall’elenco (art. 3).
Va altresì segnalato come il 23 ottobre, a seguito di numerose richieste di chiarimento, sia stata emanata da parte della Direzione Generale delle Professioni sanitarie e delle Risorse umane del Ministero una specifica “Nota di chiarimento ai fini della compilazione dell’istanza per l’iscrizione nell’elenco delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie di cui al DM 2 agosto 2017” nella quale sono chiariti dubbi interpretativi sollevati con riferimento alla metodologia di applicazione delle previsioni del decreto in merito alle aree specialistiche e alle percentuali di rappresentatività e vengono offerte proposte ed esemplificazioni utili in sede di prima applicazione (ad esempio per quanto concerne la composizione dei Comitati scientifici e i rapporti con i sindacati).
4. Con il secondo, ancor più recente, decreto è istituito presso l’AGENAS (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) l’Osservatorio nazionale delle buone pratiche della sicurezza in sanità, di cui all’art. 3 della legge 24 del 2017. Si tratta di un organo deputato a svolgere, nel rispetto degli indirizzi di programmazione sanitaria nazionale definiti dal Ministero della Salute, compiti estremamente significativi, fra i quali:
i) acquisire dai Centri per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, di cui all'art. 2 della legge n. 24 del 2017 - e quindi analizzare - i dati regionali relativi ai rischi, agli eventi avversi ed eventi sentinella, nonché agli eventi senza danno, oltre ai dati regionali relativi alle tipologie dei sinistri, alle cause, all'entità, alla frequenza e all'onere finanziario del contenzioso;
ii) fornire indicazioni alle Regioni sulle modalità di sorveglianza del rischio sanitario ai fini della sicurezza del paziente;
iii) individuare idonee misure per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario e per il monitoraggio delle buone pratiche per la sicurezza delle cure da parte delle strutture sanitarie, nonché per la formazione e l'aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie anche attraverso la predisposizione di linee di indirizzo;
iv) monitorare le buone pratiche per la sicurezza delle cure a livello nazionale sulla base dei dati acquisiti.
5. Evidente l’incidenza dei due recenti provvedimenti ministeriali sul fronte penalistico. A bene vedere, soprattutto il primo decreto assume un ruolo centrale rispetto all’obiettivo di tipizzare le fonti di riferimento per gli esercenti le professioni sanitarie (ma anche, di riflesso, per i giudici), tenuti a conformarsi solo alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi della legge e soprattutto elaborate da soggetti, per così dire, ‘accreditati’ sulla base dei parametri sanciti nel decreto ministeriale del 2 agosto.
Avere sottratto al singolo medico (ma anche al giudice) il vaglio preventivo di credibilità e affidabilità delle fonti cui doversi attenere – pur con tutti i limiti in ogni caso riscontrabili nei criteri individuati in sede di normazione secondaria, con l’evidente rischio di traslare dalla sede penale a quella amministrativa il contenzioso legato all’affidabilità scientifica di tali fonti - rappresenta uno sforzo apprezzabile, in considerazione delle ben note obiezioni relative al numero elevato di linee guida elaborate dalle svariate società scientifiche che intervengono, sovente su posizioni contrapposte, nei singoli ambiti di competenza, alimentando il timore di scelte postume, e cioè di una selezione ex post delle fonti per giustificare, anzitutto in sede processuale, la condotta medica.
Per tale via si potrà pure ridimensionare la preoccupazione che, da un lato, le stesse – in assenza di rigidi e formalizzati criteri selettivi - promanino da associazioni o società scientifiche la cui affidabilità non è sempre dimostrabile in termini di certezza e coerenza, e, dall’altro, che le distorsioni legate ai frequenti e irriducibili contrasti tra scuole e società scientifiche nei medesimi settori di competenza si traducano nel proliferare di linee guida disomogenee, ambivalenti e talvolta persino antitetiche. Si potrà poi attenuare la risalente disputa sui possibili conflitti di interesse che legano ricercatori, editori e industrie (farmaceutiche in particolare) e l’incertezza di fondo circa le basi nosografiche in relazione alle quali vengono prodotte.
Oltre a ciò, la scelta può agevolare la conoscenza, prima che la condotta venga tenuta, del discrimine tra lecito e illecito. Per giunta, trasmigrando tali fonti nell’ambito dell’eteronormazione (seppure non originaria, ma mediata dal procedimento di validazione ministeriale nelle forme che sono state accennate), si offrono argomenti per superare quel pregiudizio latente nella giurisprudenza, ricollegato all’originale coincidenza tra produttore e destinatario finale della regola, che porta il giudice a guardare con elevato tasso di scetticismo la loro (reale o potenziale) idoneità rispetto allo scopo di garantire la migliore cura per il paziente, in maniera non dissimile da quanto avviene, in altro ambito e su altri presupposti, con riferimento alla valutazione della portata esimente dei modelli organizzativi ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001.
L’impatto sulla responsabilità è immediato, dal momento che il nuovo art. 590–sexies c.p., introdotto con l’art. 6 della legge Gelli-Bianco, nel ridisegnare la cornice della responsabilità per i delitti di cui agli artt. 589 e 590 c.p. commessi nell’esercizio della professione sanitaria, esclude la punibilità qualora, nell’esercizio della professione sanitaria, non solo l’evento si sia verificato a causa d’imperizia, ma siano state altresì rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida, come definite e pubblicate ai sensi di legge (ovvero, in mancanza, le buone pratiche clinico-assistenziali, che assumono quindi una posizione suppletiva nei confronti delle linee guida), e le raccomandazioni contenute nelle linee guida predette risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
6. Il peso assunto dalle nuove linee guida è stato riconosciuto anche dalla richiamata sentenza della Cassazione, depositata nello scorso mese di giugno.
Tracciando un primo itinerario interpretativo della nuova disciplina, infatti, i giudici sottolineano la funzionalità dell'art. 5, “che reca un vero e proprio statuto delle modalità di esercizio delle professioni sanitarie” (§. 7.5). In questa chiave di lettura, ribadita la natura “di direttive di massima, che devono confrontarsi con le peculiarità di ciascuna situazione concreta, adattandovisi”, si evidenzia “la recisa volontà di costruire un sistema istituzionale, pubblicistico, di regolazione dell'attività sanitaria, che ne assicuri lo svolgimento in modo uniforme, appropriato, conforme ad evidenze scientifiche controllate”, finalizzata a “superare le incertezze manifestatesi dopo l'introduzione della legge n. 189/2012 a proposito dei criteri per l'individuazione delle direttive scientificamente qualificate”, col proposito di “stornare il pericolo di degenerazioni dovute a linee guida interessate o non scientificamente fondate” e “favorire, inoltre, l'uniforme applicazione di direttive accreditate e virtuose”. Siffatta scelta normativa non solo “assicura all'Istituzione sanitaria il governo dell'attività medica”, ma ha un “altrettanto rilevante impatto sul professionista, che è tenuto ad attenersi alle raccomandazioni, sia pure con gli adattamenti propri di ciascuna fattispecie concreta”, e matura “la legittima, coerente pretesa a vedere giudicato il proprio comportamento alla stregua delle medesime direttive impostegli”. Tutto ciò “fornisce un inedito inquadramento precettivo, focalizzato sulle modalità di svolgimento dell'attività sanitaria e di accertamento della colpa”, che offre al giudice “precise indicazioni in ordine all'esercizio del giudizio di responsabilità” (§. 7.5).
7. Non possono tacersi le note e altrettanto rilevanti riserve avanzate in merito alla reale adeguatezza di linee guida - pure se accreditate, comunque strumenti generali e astratti, come tali non in grado di calarsi nel quadro patologico e nelle molteplici sfumature del singolo paziente – a ergersi a paradigma d’imputazione colposa in sede penale, per lo più legate all’ontologica impossibilità di formalizzare cautele (che così divengono doverose) in settori insofferenti a forme di standardizzazione[3]. Pur non essendo questa la sede per approfondire la questione, non si può fare a meno di ricordare, seppure incidentalmente, come il riferimento espresso alle specificità del caso concreto di cui all’art. 5 e al secondo comma dell’art. 6 possa, almeno in parte, attenuare i timori che un’implementazione acritica e formalistica della tipizzazione delle cautele sul ‘terreno minato’ della medicina possa garantire maggiormente il medico di fronte al rischio penale a discapito delle esigenze di migliore cura del paziente[4].
8. Per concludere, come si è avuto modo di mettere in luce altrove, il legislatore del 2017, nel delineare una presunzione relativa di non punibilità, non solo ha aperto nuovi e non meno rilevanti fronti problematici rispetto alla precedente disciplina, ma pare anche - e soprattutto – avere in parte fallito l’obiettivo di garantire più certezze di irresponsabilità, arretrando rispetto alle più recenti acquisizioni della giurisprudenza di legittimità maturate con riguardo alla legge Balduzzi, in termini di garanzia della classe medica e conseguentemente di effettiva e piena attuazione del diritto alla salute e di contrasto alla medicina difensiva[5]. E ciò, a bene vedere, è stato riconosciuto pure dalla giurisprudenza, che, qualificando la normativa previgente come più favorevole, ha di fatto sancito il fallimento della riforma.
Nella prospettiva di un effettivo ed efficace contrasto alla medicina difensiva, gli operatori sanitari, per essere ‘tranquillizzati’, da una parte potranno sperare di avere commesso i fatti prima dell’entrata in vigore della legge Gelli-Bianco, dall’altra dovranno affidarsi a un cauto ed equilibrato governo del meccanismo procedimentale accusatorio nei loro confronti, già a partire dalla prima fase, di gestione delle iscrizioni delle notizie di reato.
In questa prospettiva, un segnale confortante lo si può cogliere nelle direttive impartite nella circolare inviata dal Procuratore della Repubblica di Roma lo scorso 2 ottobre, avente ad oggetto l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione delle notizie di reato dopo l’entrata in vigore della legge n. 103 del 2017[6]. Qui, abbandonando l’idea di un favor iscritionis, “criterio non formalizzato ed estraneo al sistema”, si raccomanda di non procedere a iscrizioni al Modello 21 (soggetto identificato) in modo affrettato e senza i necessari presupposti, rammentandosi come la condizione di indagato sia “connotata da aspetti innegabilmente negativi” e da effetti pregiudizievoli, sul piano “professionale e reputazionale”, diversi e ulteriori rispetto al “danno connesso alla notizia dell’iscrizione indebitamente diffusa”. Si ricorda altresì come spesso l’iscrizione sia “strumentalmente utilizzabile, dai denuncianti o da altri, per fini diversi rispetto all’accertamento processuale, specie in contesti di contrapposizione di carattere politico, economico, professionale, sindacale”, di talché essa “ha molto spesso un ‘costo’ significativo anche per colui nel cui (astratto) interesse viene effettuata ed è inoltre soggetta ad essere sollecitata per ragioni di carattere strumentale del tutto estranee alle fisiologiche dinamiche processuali” (pag. 4).
Non è affatto casuale, allora, che proprio la colpa medica sia presa in considerazione allorquando, nell’auspicare l’abbandono di un criterio “formale” dell’attribuzione del reato in denuncia o in querela, si raccomanda un vaglio attento e cauto, soprattutto con riguardo al caso in cui “sia in qualche modo specifico l’evento, ma non ancora le condotte che lo hanno cagionato, il che accade non solo nei casi in cui l’autore sia del tutto ignoto, ma anche quando non sia sufficientemente chiaro quale condotta – tra le varie astrattamente in gioco – rappresenti la specifica causa dell’evento”. è infatti proprio ciò che si appalesa “in molte ipotesi di colpa medica: in tali frangenti si verifica talora che, a malintesi fini di garanzia, nell’immediatezza di una denuncia per il reato di cui all’art. 590-sexies c.p. siano iscritti quali indagati numerosi operatori sanitari, così da consentirne la partecipazione all’atto irripetibile rappresentato dall’esame autoptico (pag. 5); si tratta di un’opzione (…) “che confonde i presupposti con le conseguenze: sino a quando non vi siano indizi specifici in ordine alla condotta di questo o quell’operatore sanitario, non vi sono i presupposti perché alcuno di essi sia avvertito del compimento di atti irripetibili” (pag. 6).
[1] Cass. pen., Sez. IV, 7 giugno 2017, n. 28187, in questa Rivista, fasc. 6/2017, p. 280 ss., con nota di C. Cupelli, La legge Gelli-Bianco e il primo vaglio della Cassazione: linee guida sì, ma con giudizio; in Riv. it. med. leg., 2017, 713 ss., con nota di M. Caputo, ‘Promossa con riserva’. La legge Gelli-Bianco passa l’esame della Cassazione e viene ‘rimandata a settembre’ per i decreti attuativi e in Dir. pen. proc., 2017, p. 1369 ss., con nota di G.M. Caletti – M.L. Mattheudakis, La Cassazione e il grado della colpa penale del sanitario dopo la riforma “Gelli-Bianco”.
[2] Sulla novità legislativa, con differenti sfumature critiche, si vedano P.F. Poli, Il d.d.l. Gelli-Bianco: verso un’ennesima occasione persa di adeguamento della responsabilità penale del medico ai principi costituzionali?, in questa Rivista, fasc. 2/2017, p. 67 ss.; P. Piras, Imperitia sine culpa non datur. A proposito del nuovo art. 590-sexies c.p., ivi, fasc. 3/2017, p. 269 ss.; Id., Il discreto invito della giurisprudenza a fare noi la riforma della colpa medica, in Dir. pen. cont., 4 luglio 2017; G.M. Caletti – M.L. Mattheudakis, Una prima lettura della legge “Gelli-Bianco” nella prospettiva del diritto penale, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2/2017, p. 84 ss.; G. Iadecola, Qualche riflessione sulla nuova disciplina della colpa medica per imperizia nella legge 8 marzo 2017 n. 24 (legge cd Gelli-Bianco), in questa Rivista. pen, fasc. 6/2017, p. 53 ss.; C. Cupelli, La responsabilità penale degli operatori sanitari e le incerte novità della legge Gelli-Bianco, in Cass. pen., 2017, p. 1765 ss.; F. Centonze – M. Caputo, La risposta penale alla malpractice: il dedalo di interpretazioni disegnato dalla riforma Gelli-Bianco, in Riv. it. med. leg., 2016, 1361 ss.; L. Risicato, Il nuovo statuto penale della colpa medica: un discutibile progresso nella valutazione della responsabilità del personale sanitario, ivi, 5 giugno 2017; F. D’Alessandro, La responsabilità penale del sanitario alla luce della riforma “Gelli-Bianco”, in Dir. pen. proc., 2017, 573 ss.; A. Roiati, La colpa medica dopo la legge “Gelli-Bianco”: contraddizioni irrisolte, nuove prospettive ed eterni ritorni, in Arch. pen., 2/2017; G. Salcuni, La colpa medica tra metonimia e sineddoche. La continuità tra il decreto Balduzzi e l’art. 590-sexies c.p., ivi; A. Massaro, L’art. 590-sexies c.p., la colpa per imperizia del medico e la camicia di nesso dell’art. 2236 c.c., ivi, 3/2017; M. Caputo, La responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria dopo la l. n. 24 del 2017…”quo vadit”? Primi dubbi, prime risposte, secondi dubbi, in Danno e responsabilità, 2017, 293 ss.; O. Di Giovine, Mondi veri e Mondi immaginari di Sanità, modelli epistemologici di medicina e sistemi penali, in Cass. pen., 2017, 2151 ss.; G. Pavich, La responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria: cosa cambia con la legge Gelli-Bianco, ivi, 2017, 2961 ss.; A. Palma, Molto rumore per nulla: la legge Gelli-Bianco di riforma della responsabilità penale del medico, in Riv. it. med. leg., 2017, 523 ss.; F. Cembrani, Su alcuni snodi critici della legge ‘Gelli-Bianco’, ivi, 873 ss.
[3] Cfr. i contributi richiamati alla nota 1.
[4] Sia consentito, su punto, rinviare a C. Cupelli, La responsabilità penale degli operatori sanitari e le incerte novità della legge Gelli-Bianco, cit., p. 1771 ss. e all’ampia bibliografia ivi riportata.
[5] Cfr. ancora C. Cupelli, La responsabilità penale degli operatori sanitari e le incerte novità della legge Gelli-Bianco, cit., p. 1777 ss.
[6] Pubblicata in Dir. pen. cont., 12 ottobre 2017 e in Questione giustizia on line, 17 ottobre 2017, con commento di D. Stasio, «No a iscrizioni frettolose». Pignatone sfata la leggenda dell’atto dovuto.