Il 17 ottobre 2011 sono state depositate la motivazioni della sentenza con la quale il Tribunale di Verbania ha assolto i vertici della Montefibre S.p.A. dalle accuse di omicidio colposo e lesioni personali colpose, contestate in relazione alle morti e alle malattie di alcuni lavoratori che erano stati esposti all’amianto.
Si tratta del secondo processo avente ad oggetto le – ipotizzate – responsabilità penali di Montefibre per le patologie, spesso letali, manifestatesi tra i lavoratori degli stabilimenti di Pallanza, dove si producevano fibre di nailon e si respirava l’amianto: frequenti, infatti, erano gli interventi di manutenzione sugli impianti coibentati col pericoloso minerale per reggere le elevate temperature del ciclo produttivo.
Nell’ambito del primo processo Montefibre si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione (sentenza n. 38991 del 2011), che da un lato ha confermato le condanne per i tre casi di asbestosi, dall’altro ha annullato con rinvio quelle per gli otto decessi dovuti a mesotelioma. Gli ermellini hanno infatti evidenziato – in modo condivisibile – come la sentenza d’appello non avesse adeguatamente motivato l’opzione a favore della legge scientifica che, individuando un effetto acceleratore dello sviluppo del mesotelioma nel protrarsi dell’esposizione all’amianto, consente di conferire alle condotte di tutti gli imputati il ruolo di concause nella produzione dell’evento letale hic et nunc
verificatosi.
Anche la nuova sentenza assolutoria – i cui snodi principali sono di seguito oggetto di massimazione – ha come fulcro il difetto di prova in ordine alla cd. causalità generale, ossia all’individuazione di una affidabile legge di copertura, capace di fondare un’attendibile ipotesi scientifica in ordine alla rilevanza eziologica delle condotte contestate gli imputati.
Nel dettaglio, il thema probandum del processo Montefibre-bis riguardava la responsabilità penale di undici imputati, succedutisi in posizioni di vertice della società tra gli anni ’70 e ’80, per la morte di diciotto lavoratori (dieci dei quali colpiti da mesotelioma, i restanti da tumore polmonare) e per le malattie insorte in altri nove (un tumore polmonare, uno alla vescica e diversi episodi di placche pleuriche e inspessimenti pleurici).
SALUTE E SICUREZZA DEL LAVORO – OMICIDIO COLPOSO E LESIONI COLPOSE – Struttura commissiva delle fattispecie – Differenza tra posizione di garanzia e obbligo di adottare misure cautelari.
In materia di salute e sicurezza sul lavoro, le fattispecie di omicidio colposo e lesioni personali colpose, allorché contestate al datore di lavoro, hanno la struttura di reati commissivi. Gli autentici obblighi di garanzia di cui all’art. 40 comma 2 c.p., infatti, presuppongono che il soggetto garante non abbia cagionato con la propria azione la situazione di pericolo, avendo essi come ratio la tutela di beni contro le offese causate da forze esterne, naturali od umane; laddove invece un soggetto tenga un’attività pericolosa, quale quella industriale, e sia destinatario di obblighi di adottare misure cautelari, le sue condotte hanno natura attiva, e la violazione degli obblighi indicati non rileva sul piano dell’ascrizione oggettiva dell’evento, bensì, a valle dell’accertamento del nesso di causalità naturalistico, sul piano soggettivo della colpa.
Riferimenti normativi:
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c.p. art. 589
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c.p. art. 590
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c.p. art. 40 commi 1 e 2
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c.p. art. 43
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SALUTE E SICUREZZA DEL LAVORO – OMICIDIO COLPOSO E LESIONI COLPOSE – Struttura commissiva delle fattispecie – Riflessi sul piano dell’accertamento del nesso causale.
L’accertamento del nesso causale tra la condotta del datore di lavoro – da considerarsi commissiva, in quanto consistente nello svolgimento di un’attività potenzialmente pericolosa, quale quella industriale – e gli eventi lesivi occorsi ai suoi dipendenti, deve avvenire non già secondo il modello predittivo caratteristico della causalità omissiva – ossia verificando l’efficacia salvifica che avrebbero potuto dispiegare le condotte conformi alle norme cautelari violate: accertamento che non scompare, ma scivola sul piano della colpa – bensì secondo il modello esplicativo che contrassegna la causalità commissiva: il giudizio controfattuale, in altre parole, deve essere strutturato domandandosi se, eliminando mentalmente la condotta del datore di lavoro – ovvero di ciascuno dei datori di lavoro succedutisi nel periodo in cui la vittima era esposta al fattore di rischio – l’evento lesivo consistito nella malattia e/o nella morte non si sarebbe verificato del tutto, o quanto meno si sarebbe verificato in un momento cronologicamente successivo, quest’ultima evenienza traducendosi, per la vittima, nel godimento di ulteriori anni di buona salute o di vita.
Riferimenti normativi:
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c.p. art. 589
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c.p. art. 590
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c.p. art. 40 commi 1 e 2
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c.p. art. 43
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SALUTE E SICUREZZA DEL LAVORO – OMICIDIO COLPOSO E LESIONI COLPOSE – Malattie professionali – Nesso di causalità – Accertamento.
Nel caso in cui un soggetto, adibito durante la vita lavorativa a mansioni comportanti l’esposizione ad un fattore di rischio per la salute, contragga una patologia, l’accertamento del nesso causale tra l’evento lesivo – ossia la malattia ed eventualmente la morte – e la condotta del datore di lavoro imputato – o dei datori di lavoro imputati – si articola in due verifiche essenziali, ciascuna delle quali deve essere eseguita sulla scorta di leggi scientifiche di copertura (la cui attendibilità va vagliata alla luce dei criteri indicati dalla Cassazione nella
sentenza n. 43786/2010), ed articolata nel giudizio bifasico scolpito dalle Sezioni Unite Franzese (successivamente fatto oggetto di approfondimento sempre da parte di
Cass. n. 43786/2010). Tali verifiche sono: a) se la patologia letale sia causalmente riconducibile all’esposizione al fattore di rischio presente nell’impresa, e non ad altri fattori di rischio; b) nel caso in cui la vittima sia stata esposta a quel fattore di rischio in diverse occasioni, sia professionali (ossia alle dipendenze di diversi datori di lavoro: titolari di diverse imprese, oppure succedutisi nella gestione della medesima azienda), che extraprofessionali, se la patologia letale sia causalmente riconducibile – o quantomeno anche riconducibile – all’esposizione avvenuta alle dipendenze dei soggetti imputati.
Riferimenti normativi:
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c.p. art. 589
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c.p. art. 590
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c.p. art. 40 comma 1
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SALUTE E SICUREZZA DEL LAVORO – OMICIDIO COLPOSO – Mesotelioma pleurico – Nesso di causalità con l’esposizione ad amianto – Accertamento – Fattispecie – Esclusione.
Nel caso in cui un soggetto, adibito durante la vita lavorativa a mansioni comportanti l’esposizione ad amianto, muoia di mesotelioma pleurico, l’accertamento del nesso causale tra l’evento letale e la condotta del datore di lavoro imputato – o dei datori di lavoro imputati – deve articolarsi nelle due verifiche a) e b) precedentemente indicate, le quali si atteggiano come segue. La verifica sub a) è normalmente di agevole esecuzione, pacifica essendo nel mondo scientifico la capacità dell’amianto di provocare il mesotelioma (giudizio di c.d. causalità generale), ed atteso che, pur trattandosi di una patologia a stretto rigore multifattoriale, nella maggior parte dei casi concreti è realisticamente possibile escludere il contatto della vittima con fattori di rischio diversi dall’amianto, quali l’erionite e le radiazioni ionizzanti (c.d. causalità individuale). Particolarmente complessa, invece, è la verifica sub b), in quanto la scienza non è in grado di stabilire né il momento in cui la patologia insorge, né la quantità di amianto necessaria ad indurla o a farla progredire più rapidamente. Ciò posto, delle due, l’una: o esiste una legge scientifica di copertura in grado di affermare che tutte le esposizioni all’amianto dispiegano un effetto acceleratore sullo sviluppo del mesotelioma, tale per cui ciascuna esposizione rappresenta una concausa dell’evento letale hic et nunc verificatosi; oppure permane un dubbio ragionevole in merito alla responsabilità degli imputati, che impone l’esito assolutorio (Nel caso di specie il giudice ha pronunciato sentenza di assoluzione, ritenendo raggiunta la prova sub a), atteso che senz’altro i mesoteliomi erano insorti a causa dell’amianto respirato negli stabilimenti di Montefibre; ma non raggiunta, già sul piano della causalità generale, la prova sub b), posto che la scienza è in grado di individuare soltanto un rapporto causale tra l’aumento della dose di amianto respirata e l’incremento dell’incidenza della patologia nella popolazione di riferimento, ma non tra l’aumento della durata dell’esposizione e l’accelerazione della carcinogenesi).
Riferimenti normativi:
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c.p. art. 589
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c.p. art. 40 comma 1
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SALUTE E SICUREZZA DEL LAVORO – OMICIDIO COLPOSO E LESIONI COLPOSE – Tumore polmonare – Nesso di causalità con l’esposizione ad amianto – Accertamento – Fattispecie – Esclusione.
Nel caso in cui un soggetto, adibito durante la vita lavorativa a mansioni comportanti l’esposizione ad amianto, contragga – eventualmente con esito letale – un tumore polmonare, l’accertamento del nesso causale tra l’evento lesivo e la condotta del datore di lavoro imputato – o dei datori di lavoro imputati – deve articolarsi nelle due verifiche a) e b) precedentemente illustrate. Particolarmente problematica risulta già la prima delle citate verifiche, atteso che, pur essendo pacifica nel mondo scientifico la capacità dell’amianto di provocare il tumore polmonare, quest’ultimo costituisce una patologia multifattoriale, ed in particolare può essere indotto dal fumo di sigaretta. Pertanto, qualora i soggetti ammalatisi risultino essere fumatori, e non sia dunque possibile escludere l’incidenza di tale fattore di rischio alternativo, il giudice dovrà pronunciare sentenza assolutoria, a meno che non emerga un’affidabile legge scientifica che dimostri il ruolo concausale esercitato dall’amianto, in concorso col fumo di sigaretta, nello sviluppo del tumore (Nel caso di specie il giudice ha assolto gli imputati, dopo aver constatato che tutti – tranne uno – i soggetti colpiti da tumore polmonare erano fumatori, e che non esiste una legge scientifica attendibile in grado di individuare una relazione sinergica tra l’effetto cancerogeno dispiegato dall’amianto e quello derivante dal fumo di sigaretta) (
Massime a cura di Stefano Zirulia).
Riferimenti normativi:
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c.p. art. 589
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c.p. art. 590
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c.p. art. 40 comma 1
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