ISSN 2039-1676


14 febbraio 2017 |

Le modalità di esecuzione del mandato d’arresto europeo in caso di resistenza alla consegna da parte del ricercato: la soluzione interpretativa della Corte di giustizia e alcune brevi riflessioni sulla disciplina nazionale

Corte di Giustizia UE, Terza Sezione, sent. 25 gennaio 2017, Vilkas, causa C-640/15

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1. Con la sentenza del 25 gennaio 2017, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha avuto occasione di pronunciarsi in merito alla previsione di un nuovo termine per procedere alla consegna del ricercato, ai sensi dell'art. 23, par. 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro del Consiglio 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009.

Secondo tale disposizione, in caso di sussistenza di una causa di forza maggiore, l'autorità giudiziaria dello Stato d'emissione e quella dello Stato d'esecuzione sono tenute a concordare una nuova data per procedere alla consegna del ricercato.

Si è sottoposta al parere dei Giudici di Lussemburgo la questione se, in applicazione della medesima previsione normativa, tale obbligo permanga anche qualora non sia stato possibile dare esecuzione al mandato di arresto europeo con la consegna del ricercato, a causa della resistenza opposta da quest’ultimo.

Nel caso di specie, si trattava dell'esecuzione, da parte delle autorità irlandesi, di due mandati d'arresto europei emessi dal giudice lituano nei confronti di un proprio cittadino. Nonostante la High Court irlandese avesse disposto la consegna del ricercato alle autorità di Vilnius, in due occasioni le autorità irlandesi non erano riuscite ad attuare la misura a causa della resistenza opposta dall'interessato, che aveva vanificato entrambi i tentativi di consegna[1]. In seguito a tali eventi, il Ministro della Giustizia irlandese aveva presentato alla High Court un’istanza per l’autorizzazione di un terzo tentativo di consegna alle autorità lituane. Il giudice irlandese, tuttavia, si era dichiarato incompetente e aveva ordinato la scarcerazione del ricercato.

Il Ministro aveva, quindi, proposto appello dinanzi alla Court of Appeal, la quale, dopo aver disposto la sospensione del procedimento, ha presentato alla Corte di Giustizia la questione pregiudiziale concernente l'art. 23, par. 3, della decisione quadro 2002/584/GAI.

In particolare, si chiedeva alla Corte di Lussemburgo di stabilire se tale previsione normativa impedisse alle autorità interessate di concordare «una nuova data di consegna, in forza dell’articolo 23, paragrafo 3, della decisione quadro, qualora la resistenza opposta ripetutamente dal ricercato abbia impedito la consegna del medesimo entro un termine di dieci giorni successivi a una prima nuova data di consegna concordata in applicazione di tale disposizione» (§ 19).

 

2. Com'è noto, la decisione quadro 2002/584/GAI ha rappresentato la prima attuazione, sul piano normativo, del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie, posto a fondamento della cooperazione in materia penale fin dal Consiglio europeo di Tampere[2].

In particolare, essa ha introdotto, nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea, un meccanismo volto a facilitare la consegna tra autorità giudiziarie di persone ricercate, al fine di consentire l'esercizio dell'azione penale ovvero l'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale.

Per il profilo che qui interessa, l'art. 15 della decisione quadro 2002/584/GAI prevede che l'autorità giudiziaria di esecuzione decida se procedere o meno alla consegna del ricercato «nei termini e alle condizioni stabilite dalla presente decisione quadro». A tal proposito, l'art. 23 specifica che l'autorità d'emissione e quella d'esecuzione devono concordare una data di consegna del ricercato, stabilendo, altresì, che quest'ultima deve in ogni caso avvenire «entro dieci giorni a partire dalla decisione definitiva di eseguire il mandato d'arresto europeo» (art 23, par. 2). Il par. 3 della norma disciplina un'eccezione a tale regola, prevedendo che, qualora il termine di cui al par. 2 non possa essere rispettato per la presenza di cause di forza maggiore, le autorità interessate dovranno fissare una seconda data per la consegna, la quale dovrà aver luogo entro i dieci giorni successivi[3]. Il mancato rispetto dei termini indicati determina il rilascio del ricercato, che si trovi in stato di custodia (art. 23, par. 5).

Il giudice del rinvio si domanda, pertanto, se l'art. 23, par. 3, consenta alle autorità giudiziarie nazionali di procedere alla fissazione di una terza data di consegna, qualora, a seguito del verificarsi di un'ulteriore causa di forza maggiore, non sia stato possibile procedervi nemmeno in occasione della seconda data stabilita.

 

3. A fronte di tale interrogativo, la Corte di giustizia ritiene che la norma in esame non preveda un numero massimo di nuove date concordabili dalle autorità degli Stati membri, qualora sussistano cause di forza maggiore che impediscono la consegna entro il termine di dieci giorni a partire dalla decisione definitiva di eseguire il mandato di arresto europeo.

Pertanto, a giudizio della Corte, il dato letterale della norma non impedisce di ritenere applicabile l'art. 23, par. 3, anche qualora la causa che osta all'esecuzione del mandato intervenga nei dieci giorni successivi alla nuova data di consegna concordata tra le autorità interessate. Infatti, la fissazione di tale nuova data è necessariamente conseguente alla sussistenza dell'impossibilità di procedere alla consegna del ricercato entro il termine di cui all'art 23, par. 2.  A tale conclusione condurrebbe sia il tenore della norma, sia una sua lettura che valorizzi il contesto e lo scopo perseguito dall'atto normativo in cui essa si inserisce.

Una diversa interpretazione, infatti, porterebbe a sottoporre l'autorità dello Stato di esecuzione ad un obbligo impossibile da adempiere, in violazione dell'obiettivo - posto a fondamento della decisione quadro in esame - di semplificare e accelerare la cooperazione giudiziaria in materia penale. Secondo i giudici di Lussemburgo, una siffatta esegesi condurrebbe ad esiti ancora più eclatanti ed inaccettabili, laddove si consideri che, ai sensi dell'art. 23, par. 5, la persona sottoposta all'euromandato, che si trovi in stato di custodia, dovrebbe essere obbligatoriamente rilasciata una volta trascorsi i dieci giorni successivi alla seconda data concordata. Invero, si dovrebbe procedere alla scarcerazione indipendentemente dalle circostanze del caso di specie e, dunque, anche qualora la proroga della consegna non sia riconducibile ad una mancanza di diligenza dell'autorità d'esecuzione, ma, piuttosto, ad una condotta ostruzionistica del ricercato (§ 38). Viceversa, l'interpretazione offerta nella sentenza della Corte di giustizia consentirebbe di mantenere la persona da consegnare in stato di custodia, qualora l'esecuzione del mandato d’arresto fosse impedita da cause di forza maggiore[4].

Considerando, poi, in modo specifico, la situazione prospettatasi nel procedimento principale, la Corte chiarisce la nozione di "cause di forza maggiore", che, nei diversi settori del diritto dell'Unione, corrisponde a quelle «circostanze estranee a colui che l’invoca, anormali e imprevedibili, le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso» (§ 53). A tal riguardo, la Corte precisa che l’art. 23, par. 3, costituisce una deroga alla regola sancita al par. 2 del medesimo articolo e, conseguentemente, la nozione di cause di forza maggiore, ivi contenuta, deve essere interpretata restrittivamente. In particolare, essa è integrata nel caso in cui le circostanze verificatesi siano idonee ad impedire la consegna entro il termine previsto dall'art. 23, par. 2, non essendo sufficiente che l'esecuzione del mandato d’arresto sia resa semplicemente "più difficile".

Pertanto, proseguono i Giudici, la resistenza opposta dal ricercato alla propria consegna potrà configurare una causa di forza maggiore unicamente qualora, in virtù di circostanze eccezionali, risulti oggettivamente che essa non poteva essere prevista dalle autorità interessate e che le sue conseguenze non potevano essere evitate, malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso (§ 64)[5]. Tale valutazione, tuttavia, può essere effettuata unicamente dal giudice del rinvio.

La Corte precisa, peraltro, che, anche qualora il giudice nazionale dovesse escludere che la resistenza reiterata opposta dal ricercato nel caso di specie sia qualificabile come "causa di forza maggiore", non verrebbe comunque meno il dovere delle autorità interessate di eseguire il mandato d’arresto europeo, individuando una nuova data in cui procedere alla consegna, nonostante siano scaduti i termini stabiliti dall'art. 23. Infatti, secondo un'interpretazione sistematica - che tenga conto dei già citati obiettivi posti a fondamento della decisione quadro -, la non applicabilità dell'art. 23, par. 3, avrebbe come unico effetto la necessaria scarcerazione del ricercato in stato di custodia, ex art. 23, par. 5, e non esenterebbe, invece, lo Stato d'esecuzione dall'obbligo di dar corso al mandato d’arresto europeo. Infatti, nella decisione quadro non è rinvenibile alcuna disposizione che indichi espressamente un limite di validità temporale di tale obbligo. Pertanto, in un'ipotesi siffatta, non cessa il dovere delle autorità interessate di proseguire il procedimento di esecuzione, concordando una nuova data di consegna, in applicazione dell’art. 23, par. 1 (§§ 69-70).

Sulla base di tali argomentazioni, la Corte risponde alla questione pregiudiziale affermando che «l’art. 23, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, deve essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione e l’autorità giudiziaria emittente concordano una nuova data di consegna in forza di tale disposizione, qualora la consegna del ricercato, entro un termine di dieci giorni successivi a una prima nuova data di consegna concordata in applicazione della disposizione in parola, sia impedita dalla resistenza ripetutamente opposta dal medesimo, sempreché, a causa di circostanze eccezionali, non fosse possibile, per tali autorità, prevedere siffatta resistenza e non fosse possibile evitarne le conseguenze, malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso da parte delle stesse autorità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. L’articolo 15, paragrafo 1, e l’articolo 23 della decisione quadro 2002/584, come modificata dalla decisione quadro 2009/299, devono essere interpretati nel senso che le stesse autorità continuano ad essere tenute a concordare una nuova data di consegna in caso di scadenza dei termini fissati da tale articolo 23».

 

4. Alla luce della decisione in oggetto, sembrano opportune alcune osservazioni in relazione alla normativa italiana. A tal riguardo, vale la pena rilevare che l'ipotesi in cui il ricercato si opponga alla propria consegna risulta riconducibile ad una fattispecie espressamente ed autonomamente disciplinata dall'art. 23 della legge 22 aprile 2005, n. 69, che ha attuato nell'ordinamento giuridico nazionale la decisione quadro 2002/584/GAI.

Tale norma riproduce fedelmente il dettato dell'omologa previsione dell’atto europeo per quanto concerne il termine entro il quale, di regola, deve avvenire la consegna (ossia entro dieci giorni, ex art. 23, comma 1). Allo stesso modo, essa disciplina l'ipotesi di deroga connessa alla sussistenza di cause di forza maggiore (art. 23, commi 2 e 4), che determina la sospensione dell'esecuzione del provvedimento di consegna fino a che non cessi la causa ostativa al trasferimento. Una volta venuto meno l'impedimento, le autorità degli Stati membri dovranno concordare una nuova data di consegna, la quale - conformemente a quanto stabilito dalla decisione quadro - dovrà avvenire nei successivi dieci giorni.

La legge di attuazione, tuttavia, va oltre a quanto previsto nella decisione quadro, introducendo il caso in cui la consegna è ineseguibile per un fatto imputabile al ricercato. In tale ipotesi, l'art. 23, comma 5, l. 69/2005 dispone la sospensione del termine entro cui lo Stato di esecuzione deve necessariamente consegnare il ricercato, escludendo, altresì, la perdita di efficacia della misura custodiale eventualmente applicata.

Una simile previsione risulta, peraltro, in linea con la disciplina dettata dal codice di procedura penale in tema di sospensione dei termini di durata della custodia cautelare.

In particolare, può rilevarsi un parallelismo tra il caso in cui la resistenza opposta dal ricercato impedisca l'esecuzione del mandato d'arresto europeo e le ipotesi previste dall'art. 304, commi 1, lett. a) e 4 c.p.p. Queste ultime norme dispongono la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare, qualora vi sia stata la sospensione o il rinvio del dibattimento, dell'udienza preliminare o del giudizio abbreviato, a causa di una richiesta dell'imputato o del suo difensore, ovvero di un loro impedimento.

Com'è stato rilevato dalla Suprema Corte di Cassazione, la ratio di tale previsione consiste «nell'esigenza di scoraggiare l'imputato o il suo difensore dall'uso strumentale di determinate situazioni tipiche per meri scopi tattici o dilatori e di evitare, quindi, possibili, indebite scarcerazioni come conseguenza di detto comportamento»[6]. Sulla base di tale interpretazione, le Sezioni Unite hanno ritenuto, infatti, che la presentazione della dichiarazione di ricusazione del giudice, ex artt. 37 e ss. c.p.p., determina la sospensione di cui all'art. 304, commi 1, lett. a) e 4 c.p.p., qualora essa venga proposta nel momento immediatamente precedente la deliberazione della sentenza. Invero, in tal caso, ai sensi dell'art. 37, comma 2 c.p.p., si verifica una sospensione ex lege del processo e, pertanto, la dichiarazione presentata «finisce, di fatto, per convertirsi in una mera istanza di rinvio o di sospensione»[7]. Tale circostanza giustifica, quindi, l'operatività della sospensione dei termini di custodia, poiché «il giudice, di fronte ad una simile situazione, non può evitare il pericolo [...] di strumentalizzazioni dell'istituto», le quali finiscono per risolversi, in definitiva, in un comportamento ostruzionistico, idoneo ad incidere «negativamente e, a volte, rovinosamente sul decorso dei termini di custodia cautelare»[8].

La ratio dell'art. 304, commi 1, lett. a), e 4 c.p.p., così come esplicitata dalla Corte di cassazione, appare estensibile alla previsione di cui all'art. 23, comma 5, l. 69/2005, la quale svolge, infatti, la funzione di evitare che un mero comportamento ostruzionistico, avente la finalità di provocare la scarcerazione, sia in grado di pregiudicare la positiva conclusione della procedura di consegna del destinatario del mandato di arresto europeo.

 

[1] In entrambe le occasioni le autorità irlandesi hanno tentato di procedere alla consegna del ricercato mediante un volo di linea.

[2] Cfr. punto 33 delle Conclusioni del Consiglio europeo di Tampere, 15-16 ottobre 1999, il cui testo è disponibile sul sito www.consilium.europa.eu

[3] Al par. 4 è codificata un'ulteriore eccezione alla regola di cui all'art. 23, par. 2, concernente l'ipotesi di differimento della consegna in ragione di gravi motivi umanitari.

[4] Tale conclusione, secondo la Corte di Giustizia, non configura una violazione della libertà personale, tutelata dall'art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Infatti, ai sensi dell'art. 12 della decisione quadro 2002/584/GAI, la restrizione del ricercato in stato di custodia non segue automaticamente all'emanazione del mandato d’arresto, ma è rimessa ad una valutazione dell'autorità giudiziaria d'esecuzione, conformemente alle previsioni del proprio diritto interno. Pertanto, qualora le autorità interessate fissino un'ulteriore data di consegna, ex art. 23, par. 3, il ricercato potrà essere trattenuto in stato di custodia solamente ove, nel singolo caso di specie, il procedimento di consegna sia stato condotto con sufficiente diligenza e la durata della custodia non risulti eccessiva (§ 43).

[5] La Corte rileva, infatti, che le autorità giudiziarie dispongono di mezzi, che consentono generalmente di fronteggiare le resistenze opposte dal ricercato. Questi sono individuati non solo in determinate misure coercitive, ma anche in specifici mezzi di trasporto.

[6] Cfr. Cass. pen., S.U., 20 settembre 2002 n. 31421, in CED n. 222046.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.