12 settembre 2012 |
Le Sezioni Unite rimettono alla Corte costituzionale l'adeguamento del nostro ordinamento ai principi sanciti dalla Corte EDU nella sentenza Scoppola
Cass. pen., Sez. Un., ord. 19 aprile 2012 (dep. 10 settembre 2012), n. 34472, Pres. Lupo, Est. Milo, Imp. Ercolano
1. A pochissimi giorni di distanza dalla parallela sentenza Giannone, di cui abbiamo dato conto avant'ieri sulla nostra Rivista (cfr. F. Viganò, Una prima pronuncia delle Sezioni Unite sui "fratelli minori" di Scoppola: resta fermo l'ergastolo per chi abbia chiesto il rito abbreviato dopo il 24 novembre 2000), arriva ora il deposito dell'ordinanza con la quale le Sezioni Unite - investite del ricorso promosso da un condannato che, trovandosi in condizione identica a quella esaminata dalla Corte di Strasburgo nella sentenza Scoppola c. Italia (n. 2), del 17 settembre 2009, chiedeva la rideterminazione della pena dell'ergastolo inflittagli in quella di trent'anni di reclusione - sollevano questione di legittimità costituzionale degli artt. 7 e 8 del d.l. 24 novembre 2000, n. 341 (conv. in l. 19 gennaio 2001, n. 4) in riferimento agli artt. 3 e 117 co. 1 Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 7 CEDU.
Rinviando alla nota appena citata per una sintetica illustrazione dei termini della questione, nonché ai numerosi contributi già pubblicati sulla nostra Rivista ivi citati per ogni ulteriore dettaglio, conviene qui soltanto precisare che l'ordinanza ora depositata si riferisce a un condannato che, esattamente come Scoppola, aveva formulato richiesta di giudizio abbreviato nel lasso di tempo compreso tra l'entrata in vigore della legge Carotti (2 gennaio 2000), che aveva modificato l'art. 442 c.p.p. disponendo la sostituzione dell'ergastolo con la pena temporanea di trent'anni di reclusione in caso di condanna con rito abbreviato, e l'entrata in vigore del d.l. 341/2000 (24 novembre 2000), che all'art. 7 modificava ulteriormente l'art. 442 c.p.p., disponendo in via di interpretazione autentica che tale sostituzione doveva ritenersi applicabile soltanto in relazione alla pena dell'ergastolo senza isolamento diurno, mentre l'ergastolo con isolamento diurno (applicabile segnatamente nel caso di condanna per omicidio aggravato in concorso con altri gravi delitti) avrebbe dovuto essere sostituito con l'ergastolo semplice.
2. Questi i passaggi argomentativi essenziali dell'ordinanza:
- le sentenze della Corte europea che accertano difetti "sistemici" o "strutturali" dell'ordinamento dello Stato resistente, dai quali dipende la violazione dei diritti convenzionali del ricorrente, non hanno valenza limitata al singolo caso concreto, ma - in forza dell'interpretazione estensiva dell'art. 46 CEDU espressamente enunciata a partire dal caso Broniowski c. Polonia, del 2004 e fatta propria dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa - impongono allo Stato di rimuovere tali difetti strutturali per evitare la violazione dei diritti convenzionali di tutti coloro che si trovino in una situazione identica a quella riscontrata nel singolo caso concreto (§ 2);
- tale obbligo di adeguamento sussiste anche nei confronti di chi non abbia a suo tempo proposto ricorso alla Corte EDU nel termine di sei mesi dalla decisione interna definitiva, ai sensi dell'art. 35 CEDU (§ 2);
- la sentenza Scoppola c. Italia (n. 2) della Corte EDU "presenta i connotati sostanziali di una 'sentenza pilota' in quanto, pur astenendosi dal fornire specifiche indicazioni sulle misure generali da adottare, evidenzia comunque l'esistenza, all'interno dell'ordinamento giuridico italiano, di un problema strutturale dovuto alla non conformità rispetto alla CEDU dell'art. 7 del d.l. n. 341 del 2000" (§ 3), dal momento che quest'ultima norma - imponendo con effetto retroattivo la sostituzione dell'ergastolo con isolamento diurno con l'ergastolo semplice, anche rispetto a coloro che avevano formulato istanza di giudizio abbreviato tra il 2 gennaio e il 24 novembre 2000 confidando nella sostituzione della pena perpetua con quella temporanea di trent'anni di reclusione (prevista dall'art. 442 c.p.p. nella versione allora in vigore) - ha determinato nei confronti di tutti costoro la violazione in particolare dell'art. 7 CEDU, che impone l'applicazione della legge più favorevole tra tutte quelle entrate in vigore dalla commissione del fatto alla pronuncia della sentenza definitiva (§ 4);
- se dunque alla pronuncia Scoppola deve attribuirsi una "valenza generale e, conseguentemente, un effetto vincolante per la soluzione di casi identici", ne deriva che il ricorrente nel caso di specie sottoposto all'attenzione delle Sezioni Unite è stato anch'egli vittima di una violazione dell'art. 7 CEDU nel momento in cui è stato condannato alla pena dell'ergastolo, e che tale violazione - con effetti tuttora perduranti in fase esecutiva - deve oggi essere rimossa dalla giurisdizione italiana "anche a costo di porre in crisi il 'dogma' del giudicato", non essendo tollerabile l'esecuzione di una pena ritenuta illegittima dall'interprete autentico della CEDU, in patente contrasto - oltretutto - con il principio della parità di trattamento tra condannati che versano in identica posizione (§ 5; ma cfr. in precedenza anche il § 2 in fine: "di fronte a pacifiche violazioni convenzionali di carattere oggettivo e generale, già in precedenza stigmatizzate in sede europea, il mancato esperimento del rimedio di cui all'art. 34 CEDU [...] e la conseguente mancanza, nel caso concreto, di una sentenza della Corte EDU cui dare esecuzione non possono essere di ostacolo ad un intervento dell'ordinamento giuridico, attraverso la giurisdizione, per eliminare una situazione di illegalità convenzionale, anche sacrificando il valore della certezza del giudicato, da ritenersi recessivo rispetto ad evidenti e pregnanti compromissioni in atto di diritti fondamentali della persona. La preclusione, effetto proprio del giudicato, non può operare allorquando risulti pretermesso, con effetti negativi perduranti, un diritto fondamentale della persona, quale certamente è quello che incide sulla libertà: s'impone, pertanto, in questo caso di emendare 'dallo stigma dell'ingiustizia' una tale situazione");
- il rimedio per ovviare alla violazione nel caso di specie dovrà allora essere, come è accaduto nel caso Scoppola, quello della rideterminazione della pena, con conseguente sostituzione della pena dell'ergastolo con quella temporanea di trent'anni di reclusione, analogamente a quanto è accaduto in seguito alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della c.d. aggravante di clandestinità di cui all'art. 61 n. 11 bis c.p., allorché la Cassazione ha per l'appunto riconosciuto al giudice dell'esecuzione il potere di rideterminare la pena inflitta al condannato in via definitiva, con eliminazione della frazione di pena in eccesso, da considerarsi illegittima e, pertanto, non eseguibile (Cass. pen., Sez. I, sent. 27 ottobre 2011, dep. 13 gennaio 2012, Hauohou: § 5);
- a tale soluzione si oppone, tuttavia, l'ostacolo normativo rappresentato dagli artt. 7 e 8 del d.l. 24 novembre 2000 n. 341, norme espressamente qualificate dal legislatore in termini di "interpretazione autentica" dell'art. 442 c.p.p. nella versione modificata dalla legge Carotti, e come tali aventi efficacia retroattiva a partire dall'entrata in vigore della norma autoritativamente interpretata (e cioè a partire dal 2 gennaio 2000): norme inequivocabilmente applicabili, dunque, anche agli imputati che avevano chiesto di essere giudicati con rito abbreviato nel lasso di tempo intercorso tra il 2 gennaio e il 24 novembre 2000 (§ 7-8); e ciò anche se, come le Sezioni Unite stesse riconoscono, ai predetti artt. 7 e 8 deve attribuirsi natura "innovativa", e non "autenticamente interpretativa", del diritto (pre)vigente (§ 9);
- dal momento che, come più volte chiarito dalla Corte costituzionale a partire dalle sent. n. 348 e 349 del 2007, l'obbligo di conformarsi agli obblighi derivanti dalla CEDU così come interpretati dalla Corte di Strasburgo non autorizza il giudice ordinario italiano a disapplicare la norma di legge nazionale contrastante, e che non è d'altra parte praticabile - contrariamente a quanto sostenuto dalla Procura generale in udienza - la via di una interpretazione conforme alla CEDU dei predetti artt. 7 e 8 del d.l. 341/2000, l'antinomia tra tali norme (che hanno imposto l'applicazione retroattiva, in malam partem, di una disciplina sanzionatoria deteriore agli imputati che avevano formulato richiesta di rito abbreviato in un'epoca in cui l'inequivoco testo dell'art. 442 c.p.p. prospettava loro pena sensibilmente più mite) e l'art. 7 CEDU dovrà essere eliminata non già dal giudice ordinario, bensì dalla Corte costituzionale, alla quale spetterà dunque vagliare la compatibilità tra dette norme e il duplice parametro rappresentato dall'art. 117 co. 1 (in riferimento all'art. 7 CEDU così come interpretato dalla sentenza Scoppola) e 3 Cost. (sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza, vulnerato dalla violazione del legittimo affidamento dell'imputato sulla misura massima della pena cui sarebbe stato esposto in caso di giudizio abbreviato, nonché delle "ingiustificate disparità di trattamento, affidate casualmente ai variabili tempi processuali, tra soggetti che versano identica posizione sostanziale" (§ 10);
- la questione di legittimità costituzionale, oltre che non manifestamente infondata per le ragioni appena esposte, è altresì rilevante nel caso di specie, atteso che - in caso di accoglimento della questione - la pena dell'ergastolo, in quanto illegittimamente inflitta, diverrebbe ineseguibile (dovendo essere sostituita con quella di trent'anni di reclusione) in forza dell'art. 30 co. 4 della legge n. 87 del 1953, che secondo le Sezioni Unite "impedisce anche l'esecuzione della pena o della frazione di pena inflitta in base alla norma dichiarata costituzionalmente illegittima", tale norma possedendo una portata più ampia dello stesso art. 673 c.p.p., che si riferisce esclusivamente all'ipotesi dell'abrogazione o della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice (§ 11).
3. Riservandoci al più presto un commento più esteso, ci limitiamo qui a rilevare come la soluzione accolta dalle Sezioni Unite coincida integralmente, in tutti i passaggi appena riassunti, con quella sostenuta da chi scrive in un intervento pubblicato pochi giorni prima della camera di consiglio del 19 aprile scorso (F. Viganò, Figli di un dio minore? Sulla sorte dei condannati all'ergastolo in casi analoghi a quello deciso dalla Corte EDU in Scoppola c. Italia, in questa Rivista, 10 aprile 2012), salvo che per la conclusione relativa alle modalità tecniche con cui pervenire alla rimozione della violazione del diritto fondamentale del ricorrente: modalità che avevamo allora ritenuto di indicare - in uno con la posizione sostenuta in udienza dalla Procura generale - in un'interpretazione conforme alla CEDU dell'art. 7 del d.l. 341/2000 ad opera dello stesso giudice ordinario, in modo da escluderne l'applicazione a quegli imputati che avessero richiesto il rito abbreviato nel lasso di tempo tra il 2 gennaio e il 24 novembre 2000.
Le Sezioni Unite, come si è riferito, non ritengono invece praticabile questa opzione interpretativa - pur riconoscendo espressamente il carattere novativo del diritto vigente della disposizione in parola -, e rimettono piuttosto la palla alla Corte costituzionale perché sia il giudice delle leggi a pervenire al medesimo risultato, dichiarando l'illegittimità in parte qua della disposizione (e del contiguo art. 8 del medesimo d.l.) ed aprendo così la strada alla rideterminazione della pena per i singoli ricorrenti ad opera - parrebbe - del giudice dell'esecuzione, o comunque della stessa Cassazione nell'ambito del procedimento di cui all'art. 625 bis c.p.p., già utilizzato per porre rimedio alla violazione nel caso Scoppola.
Di enorme importanza appaiono, comunque, numerose affermazioni contenute nell'ordinanza oggi pubblicata, che trascendono largamente i casi di specie e le loro peculiarità: dalla decisa (ri)affermazione del ruolo della giurisdizione (ordinaria e costituzionale) per assicurare l'adeguamento del diritto interno alla CEDU, così come interpretata dal "suo" giudice, la Corte di Strasburgo; all'inequivoco superamento dell'autentico luogo comune che vorrebbe l'efficacia delle sentenze CEDU limitata al caso concreto, luogo comune che misconosce la funzione della Corte di "interprete ultimo" della Convenzione a beneficio dei primi giudici della Convenzione medesima - ossia dei giudici nazionali, chiamati in prima battuta ad assicurare il rispetto dei diritti fondamentali nell'estensione loro riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte -; sino alla rivoluzionaria affermazione secondo cui il principio dell'intangibilità del giudicato deve ritenersi "recessivo" rispetto ad "evidenti e pregnanti compromissioni in atto di diritti fondamentali della persona", come quelle conseguenti all'esecuzione di una pena inflitta in violazione di uno di tali diritti.
Molta carne al fuoco, dunque, su cui riflettere - e con la dovuta calma - nel prossimo futuro.