ISSN 2039-1676


01 febbraio 2013 |

Riqualificazione del fatto da concussione a induzione indebita ex art. 319 quater c.p.: il 'concusso', già  costituitosi parte civile, conserva la legittimazione all'azione civile

Cass. Pen., Sez. VI, ud. 25.1.2013, Pres. Agrò, Rel. Fidelbo, ric. Ferretti (informazione provvisoria)

Segnaliamo ai lettori, per l'indubbio rilievo della notizia, e in attesa del deposito della motivazione, che con una decisione resa nell'udienza del 25 gennaio 2013 la Sesta Sezione della Corte di Cassazione ha esaminato e risolto in senso affermativo la seguente questione: "se, in caso di riqualificazione del delitto di concussione - commesso prima dell'entrata in vigore della legge n. 190/2012 - nel nuovo reato di induzione indebita previsto dall'art. 319 quater c.p., il soggetto 'concusso', che si sia regolarmente costituito parte civile nel processo per l'originario reato, conservi la sua legittimazione all'azione civile per le restituzioni e il risarcimento del danno".

Per bene inquadrare la questione occorre considerare che, con la legge n. 190/2012, il legislatore ha limitato l'ambito di applicazione della concussione  (art. 317 c.p.) al fatto del pubblico ufficiale (e non più, anche, dell'incaricato di pubblico servizio) che costringa il privato alla illecita dazione o promessa di denaro o altra utilità, con esclusione pertanto delle ipotesi di mera induzione. Queste ultime costituiscono l'oggetto della nuova e meno grave figura delittuosa di cui all'art. 319-quater c.p. ("Induzione indebita a dare o promettere utilità"), che al primo comma prevede il fatto del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità.

Nel caso esaminato dalla S.C. è dunque venuta in rilievo la riqualificazione di un fatto (commesso, non è dato sapere, da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio) da concussione per induzione, ai sensi del previgente art. 317 c.p., a induzione indebita ex art. 319-quater c.p.; riqualificazione che - si noti - presuppone la 'continuità normativa' tra le due incriminazioni, ai sensi dell'art. 2, co. 4 c.p., già peraltro affermata da precedenti sentenze della Cassazione segnalate in questa Rivista. Il riferimento è in particolare a Cass. Pen., Sez. VI, 4 dicembre 2012, ric. Nardi, secondo cui «la "induzione" richiesta per la realizzazione del delitto previsto dall'art. 319, comma 1, quater c.p. non è diversa, sotto il profilo strutturale, da quella del previgente art. 317 c.p. e, pertanto, quanto all'induzione, vi è "continuità normativa" tra le due disposizioni, essendo formulate in termini del tutto identici »; con conseguente applicazione della lex mitior in relazione ai fatti commessi nel vigore della precedente disciplina (salvo il limite del giudicato).

La complessità del problema esaminato dalla Cassazione con la pronuncia qui segnalata si tocca con mano considerando come nel nuovo assetto della disciplina in materia:

a) risulta confermata, nell'ipotesi di concussione ex art. 317 c.p., la non punibilità del privato che effettua la dazione o la promessa di denaro, trattandosi all'evidenza di una vittima dell'abuso (della costrizione) del pubblico ufficiale;

b) viene d'altra parte e per la prima volta affermata la punibilità, sia pure con una pena sensibilmente inferiore a quella comminata per il pubblico ufficiale, del privato che sia stato indebitamente indotto alla dazione o alla promessa di denaro o altra utilità dal pubblico ufficiale che abbia abusato della sua qualità o delle sue funzioni (art. 319-quater, comma 2 c.p.).

Si tratta di una novità di assoluto rilievo. Vigente l'art. 317 c.p., nella versione antecedente alla l. n. 190/2012, al pari del "concusso mediante costrizione" il "concusso mediante induzione" non era punibile. A seguito della riforma, quest'ultimo ha radicalmente mutato la propria veste: da vittima a concorrente necessario del reato oggi previsto e punito dall'art. 319-quater, comma 2 c.p. Se, prima della riforma, allorché indossava l'abito della vittima, la sua costituzione di parte civile nei confronti del concussore era certamente ammissibile, oggi la questione si pone in termini affatto diversi: la pretesa risarcitoria del privato risulterebbe infatti avanzata nei confronti di un concorrente, in relazione a un illecito (il delitto di cui all'art. 319-quater, comma 2 c.p.) che l'istante, quale correo, ha dolosamente contribuito a realizzare.

La questione potrà forse essere affrontata in futuro - in relazione ai fatti commessi dopo la riforma -, e non costituisce, almeno direttamente, oggetto della decisione qui segnalata, che si è invece confrontata con un diverso problema di diritto intertemporale, relativo ai fatti commessi prima della legge n. 190 del 2012. La S.C., come si è detto, ha affermato che il soggetto "concusso" costituitosi parte civile nel processo per l'originario reato di concussione per induzione ex art. 317 c.p., conserva la legittimazione all'azione civile, anche dopo la riqualificazione del fatto ai sensi del nuovo art. 319-quater, comma 1 c.p.

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In attesa del deposito delle motivazioni, ci permettiamo di prospettare che la decisione della S.C. sia corretta: il "concusso", che in base al principio di irretroattività della legge penale sfavorevole non può assumere la veste di imputato per il nuovo reato di cui all'art. 319-quater, comma 2 c.p., conserva la legittimazione all'azione civile nel processo per l'originario reato di concussione in virtù del principio generale secondo cui se un fatto costituisce illecito civile nel momento in cui è stato commesso, su di esso non influiscono le successive vicende della punibilità - relative cioè alla rilevanza penale di quel fatto. E' un principio già presente nella giurisprudenza di legittimità, che ne ha fatto applicazione in relazione alla speculare ipotesi dell'abolitio criminis affermando che "al diritto  del danneggiato dal reato al risarcimento del danno non si applicano i principi attinenti la successione nel tempo delle leggi penali, fissati dall'art. 2 c.p., ma il principio stabilito dall'art. 11 delle preleggi": agli effetti civili la legge, anche quella penale, non dispone che per l'avvenire, e in ogni caso non ha dunque effetto retroattivo (cfr. Cass., S.U., 21 gennaio 1992, Dalla Bona, CED 190006, con la quale si è affermato che il diritto al risarcimento del danno permane anche in caso di abolitio criminis. Più di recente v., tra le altre, Cass., Sez. V, 24 maggio 2005, n. 28701, Romiti, CED 231866). Si tratta certamente di una questione complessa, sulla quale sarà opportuno tornare con più ampie riflessioni.

 

Contiamo di pubblicare la motivazione di questa importante pronuncia non appena interverrà il relativo deposito.